“Lo scioglimento del Consiglio Comunale per ritenuta sussistenza di fenomeni di infiltrazione e condizionamento di tipo mafioso: i principi generali”

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Nella pronuncia in commento la Sez. III del Consiglio di Stato esamina un caso di impugnazione di decreto con il quale è stato disposto lo scioglimento di un determinato Consiglio Comunale – ai sensi dell’art. 143 del D.lgs. n. 267/2000 (c.d. “Testo Unico degli Enti Locali”)a causa della ritenuta sussistenza di fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso, affermando alcuni principi di carattere generale.

Più in particolare, ad avviso del Collegio, lo scioglimento del Consiglio comunale per infiltrazioni mafiose costituisce una “misura straordinaria di prevenzione” i) basata sull’accertata diffusione nel  territorio della criminalità organizzata e ii) non avente “natura di provvedimento sanzionatorio” (cfr. Cons. di Stato, Sez. III, sentenza n. 4845 del 26 settembre 2014), bensì lo scopo fondamentale di salvaguardare “la funzionalità dell’amministrazione pubblica”.

Quanto agli elementi sulla base dei quali può essere disposto il provvedimento dissolutorio, la Sezione ha, in primis, affermato che le vicende che costituiscono il presupposto del provvedimento di scioglimento devono essere considerate “nel loro insieme, e non atomisticamente, e devono risultare idonee a delineare, con una ragionevole ricostruzione, il quadro complessivo del condizionamento mafioso”; avranno un ruolo decisivo, pertanto, situazioni non traducibili “in episodici addebiti personali”, ma tali da rendere, nel loro insieme, plausibile l’ipotesi di una “soggezione degli amministratori locali alla criminalità organizzata” (cfr. Cons. di Stato, Sez. VI, sentenza n. 1547 del 10 marzo 2011).

Il Collegio ha precisato, poi, che il sopracitato art. 143 del D.lgs. n. 267/2000 consente l’adozione del provvedimento di scioglimento sulla base di indagini ad ampio raggio sulla sussistenza di rapporti tra gli amministratori e la criminalità organizzata “non limitate alle sole evenienze di carattere penale” e, perciò, sulla scorta di circostanze che presentino “un grado di significatività e di concludenza serio, anche se di livello inferiore rispetto a quello che legittima l’azione penale o l’adozione di misure di sicurezza” (cfr. Cons. di Stato, Sez. III, sentenza n. 1266 del 6 marzo 2012). Nell’esercizio del potere di scioglimento del Consiglio Comunale per infiltrazioni mafiose troveranno giustificazione, quindi, gli ampi margini della potestà di apprezzamento di cui fruisce l’Amministrazione statale nel valutare gli elementi “su collegamenti, diretti o indiretti, o su forme di condizionamento da parte della criminalità di stampo mafioso” (cfr. Cons. di Stato, Sez. III, sentenza n. 3340 del 2 luglio 2014).

Se è vero, inoltre, che gli elementi raccolti devono essere “concreti, univoci e rilevanti” (come è richiesto dall’art. 143 del D.lgs. n. 267/2000), è soltanto dall’esame complessivo di tali elementi che si può ricavare, da un lato, “il quadro e il grado del condizionamento mafioso” e, dall’altro, “la ragionevolezza della ricostruzione operata quale presupposto per la misura dello scioglimento degli organi dell’ente” (cfr. Cons. di Stato, Sez. III, sentenza n. 2895 del 28 maggio 2013).

In conclusione, quindi, la finalità perseguita dal legislatore è indubbiamente rimasta quella di offrire uno strumento di tutela avanzata con riferimento al controllo e dell’ingerenza delle organizzazioni criminali sull’azione amministrativa degli enti locali, in presenza anche di situazioni “estranee all’area propria dell’intervento penalistico o preventivo”, nell’evidente necessità di evitare, con immediatezza, che l’amministrazione dell’ente locale resti “permeabile all’influenza della criminalità organizzata” (cfr. Cons. di Stato, Sez. III, sentenza n. 2038 del 23 aprile 2014; Cons. di Stato, Sez. III, sentenza n. 3340 del 2 luglio 2014).

Avv. Tramutoli Daniele

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