Scambio elettorale politico mafioso: origini e riforma della norma

Lidia Vescio 04/10/17
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L’art. 416-ter c.p., rubricato  Scambio elettorale politico-mafioso, è stato introdotto ab origine dal D.L. n. 306/1992 (conv. in l. n. 356/92). La formulazione originaria della norma così recitava:

«La pena stabilita dal primo comma dell’articolo 416-bis si applica anche a chi ottiene la promessa di voti prevista dal terzo comma del medesimo articolo 416-bis in cambio della erogazione di denaro».

La disposizione, così formulata, aveva reso di fatto difficile l’applicazione della norma, era evidente la sua totale  inidoneità a reprimere il fenomeno della contiguità politico-mafiosa. In particolare, l’espressione “erogazione” di denaro aveva dato adito a diverse interpretazioni dottrinali proprio in ragione del suo significato incerto ; si discuteva se al fine della configurabilità del reato, dovesse intendersi soltanto la dazione o anche la mera promessa di denaro.

In seguito ,l’intervento della la giurisprudenza chiarisce l’ambito applicativo della norma,(Cassazione penale, sez. I, sentenza 21/08/2012 n° 32820) giungendo così a esprimere tale principio di diritto: “Il reato di scambio elettorale politico-mafioso si perfeziona al momento della formulazione delle reciproche promesse, indipendentemente dalla loro realizzazione, essendo rilevante, per quanto riguarda la condotta dell’uomo politico, la sua disponibilità di venire a patti con la consorteria mafiosa, in vista del futuro e concreto adempimento dell’impegno assunto in cambio dell’appoggio elettorale”.

 

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Il legislatore, due decenni più tardi dall’introduzione della norma, interveniva con la L. 17.04.2014 , n.62, sostituendo il contenuto dell’art. 416-ter: “Chiunque accetta la promessa di procurare voti mediante le modalità di cui al terzo comma dell’articolo 416-bis in cambio dell’erogazione o della promessa di erogazione di denaro o di altra utilità è punito con la reclusione da quattro a dieci anni. La stessa pena si applica a chi promette di procurare voti con le modalità di cui al primo comma”.

La legge 17 aprile 2014, n.62, dunque, modifica, profondamente, il delitto di scambio elettorale politico- mafioso di cui all’art.416 ter, da un lato ampliando la condotta incriminata , dall’altro riducendo in maniera ragionevole la pena comminata.

Rispetto alla testo previgente, il legislatore ha ampliato il novero dei fatti punibili, introducendo una novità legislativa, ossia affiancando alla condotta di “erogazione”  effettiva, quella di mera promessa di erogazione.

La modifica più rilevante riguarda l’oggetto dell’accordo tra politico e mafioso, che non è più circoscritto alla sola erogazione di denaro in cambio di voti, bensì è esteso anche ad “altra utilità”.

L’oggetto della promessa o dell’elargizione stessa, può essere qualsiasi utilità non solo il denaro, bensì altro tipo di vantaggio (promessa di altri comportamenti indebiti e vantaggiosi per il clan, come l’assegnazione di appalti, l’assunzione di lavoratori ecc.).

Il secondo comma , introdotto dalla riforma, prevede la punibilità anche del soggetto che promette di procurare voti, con le  modalità di cui al terzo comma dell’articolo 416 bis, da ciò deriva la trasformazione del reato da plurisoggettivo improprio, a reato plurisoggettivo proprio, in cui tutti i coagenti sono assoggettati a pena.

L’inciso “mediante le modalità di cui al terzo comma del 416 bis”  ha determinato molteplici dubbi, la definizione si riferisce ad un requisito oggettivo della condotta, il quale tuttavia per realizzarsi  necessita di determinati presupposti soggettivi.

A ben vedere, il  momento in cui si consuma il delitto deve essere rinvenuto in quello della definizione del patto elettorale tra i contraenti , tale scambio di promesse , deve necessariamente ricomprendere le modalità mafiose con cui i voti vengono procurati, sicché non è più sufficiente provare l’esistenza di un mero accordo, ma è necessario  dimostrare l’impegno del gruppo mafioso,che agisce secondo le modalità previste dal 3° comma. (Cass. Pen. 28 agosto 2014, n.36382 )

La forza intimidatrice che caratterizza le modalità di cui al terzo comma del 416 bis, deve derivare da un gruppo operante sul territorio, organizzato e stabile , idoneo a provocare fra i cittadini una condizione di omertà di fronte all’operato criminale posto in essere dalla cosca.

In un secondo tempo , la giurisprudenza conferma  l’orientamento precedente ,con riferimento alla natura di reato di pericolo strettamente collegata alla “mera conclusione dell’accordo”,  precisando che ai fini dell’integrazione del reato, rileva l’individuazione del protagonista qualificante dell’accordo,  chiarendo la necessaria “presenza di una associazione di stampo mafioso che si occupa anche del condizionamento del voto “ , con la conseguenza che tale “particolare qualità”, deve essere valutata ,accertata e soprattutto dimostrata. (Cass. Pen. 9 settembre 2014, n.37374)

Da ciò risulta che sul piano probatorio, le modalità esecutive dell’accordo non rientrano nella condotta tipica, sicché la sua esecuzione in concreto  per il reale procacciamento dei voti, potrebbe costituire un post factum non punibile oppure integrare ulteriori ipotesi di reato; per questo motivo l’accertamento deve indirizzarsi sull’indicazione di voto, percepita dai soggetti esterni, come derivante da una organizzazione mafiosa stabile sul territorio.

L’attività di ricerca di voti, posta in essere dal  procacciatore ,è strettamente connessa alla capacità dell’associazione mafiosa di assoggettare numerose aree territoriali e corpi sociali, proprio ,attraverso la forza intimidatrice della cosca.

Più recentemente la giurisprudenza è tornata sul punto con una sentenza che ha destato grande interesse, sviluppando due argomenti in particolare. relativi alla nuova fattispecie : le modalità previste dall’art 416 bis comma 3 c.p. e l’ambito soggettivo di riferimento previsto dal 2° comma dell’art.416 ter c.p.

L’oggetto dell’accordo è l’uso del metodo mafioso per fini elettorali, ossia l’esercizio della “ forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti …ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé od altri in occasioni di consultazioni elettorali “ (Art 416 bis, comma 3° , c.p.) ( Cass. Pen. VI sez., 10 giugno 2015 , n.31348), tale elemento è necessario.

Sul piano probatorio, non rileva la specifica dimostrazione della programmazione dei concreti atti di intimidazione posti in essere dall’organizzazione mafiosa e tesi a limitare la libertà del diritto di voto, bensì è fondamentale valutare l’esistenza della stessa e le attività che svolge sul territorio , secondo le caratteristiche ex art 416 bis comma 3.

Soltanto alla presenza di questi elementi, l’impegno elettorale assunto dal contraente mafioso risulta assumere rilevanza penale.

È necessario analizzare , a questo punto, l’aspetto soggettivo dell’art 416 ter c.p. , che punisce un accordo politico elettorale di “tipo mafioso”, non il fatto che esso sia concluso con la mafia-organizzazione, giacché  la controparte ben può essere un soggetto intraneus o extraneus alla cosca.

Qualora il politico contratti con un soggetto interno all’organizzazione mafiosa, viene da sé che la promessa dei voti è connotata dai caratteri previsti dal 1° comma dell’art 416 ter, ciò è valido sempre in seguito ad un concreto accertamento relativo all’appartenenza del procacciatore di voti ad un associazione mafiosa, operante sul territorio.

L’altra ipotesi presa in considerazione, riguarda l’eventualità che il politico concluda il patto con un soggetto intermediario ed extraneus all’associazione.

In questo caso, risulta evidente la mancanza di contatto diretto con l’ambiente malavitoso, pertanto occorre dimostrare, oltre all’esistenza dell’organizzazione operante e stabile sul territorio , anche le modalità di coartazione del voto previste dal 416 bis, al fine di considerare il politico penalmente responsabile ex art 416 ter.

Alla luce di quanto sopra detto, risulta, dunque, difficoltoso  dimostrare la matrice mafiosa del gruppo  per conto del quale l’accordo viene stipulato; quando l’interlocutore è una cosca mafiosa, la parte dell’accordo relativa alle modalità di procacciamento dei voti deve ritenersi presunta; quando, invece, la promessa proviene da altri soggetti, la prova del dolo diviene più rigorosa, chiedendosi in questo caso una chiara dimostrazione della consapevolezza del metodo mafioso.

Certamente, l’intervento della Corte ha garantito maggiore determinatezza della fattispecie, al fine di garantire la repressione di uno dei fenomeni più distruttivi per la democrazia del nostro paese.

Lidia Vescio

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