Liquidare le terre comuni: termini di legge

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Una legge per riordinare

Il 16 giugno 1927 venne promulgata la legge n. 1766 per il riordino dei demani civici del regno. Per decenni, dall’Unità d’Italia (1861), e anche negli Stati preunitari si susseguirono numerose leggi sulla parziale o totale liquidazione dei domini collettivi. In altri casi, invece, queste disposizioni di legge miravano ad un riordino generale delle terre comuni, limitando i diritti promiscui o l’estensione dei demani civici. Fino al 1927, tuttavia, il Regno d’Italia non si era ancora formulato una legislazione ad hoc per gestire l’enorme estensione dei territori collettivi.

Accertare e liquidare

Il primo articolo della legge n. 1766/1927 chiarisce gli scopi più immediati e pratici della normativa: «[…] l’accertamento e la liquidazione generale degli usi civici e di qualsiasi altro diritto di promiscuo godimento delle terre spettanti agli abitanti di un Comune, o di una frazione di Comune, e per la sistemazione delle terre provenienti dalla liquidazione suddetta e delle altre possedute da Comuni, università ed altre associazioni agrarie […], soggette all’esercizio di usi civici […]»[1]. Ai fini del nostro articolo, ci interessa concentrarci sulla procedura prevista dalla legge per l’accertamento e la liquidazione degli usi civici. Si prevede, infatti, che qualora non vi siano documenti a provare l’esistenza di terre collettive, è ammesso alla verifica «qualunque altro mezzo legale di prova». Tutto ciò è possibile se l’esercizio degli usi civici da parte di una comunità locale non sia cessato prima del 1800[2]. Così si invitavano le varie amministrazioni separate o i comuni stessi a presentare regolare domanda di riconoscimento dei propri demani civici.

Cosa liquidare

Non tutti gli usi civici hanno le stesse finalità. Si parla, infatti, di usi civici «essenziali», quando il loro esercizio è necessario per soddisfare i primari bisogni esistenziali (il pascolatico, per esempio), e «utili», la cui fruizione è atta a trarre profitti. Questi diritti possono esercitarsi su terre comunali o assegnate a enti esponenziali (Università Agrarie…) o di proprietà privata, fino a quando il possessore non ne decreti una destinazione diversa[3]. A seconda della classe di appartenenza, il canone di compenso per la liquidazione degli usi civici sarà diverso.

Sul punto:”Usi civici e Governo del territorio”

Affrancazione o scorporo

In caso di compensazione in denaro delle terre civiche liquidate, si parla di «affrancazione». Il calcolo del canone è stabilito in base alla porzione di fondo gravato da uso civico e dalla sua classe di appartenenza. «Per i diritti della prima classe, comunque esercitati, l’anzidetta porzione di terreno corrisponderà al minimo di un ottavo del fondo, che potrà, secondo la varietà dei casi e le circostanze essere elevata ad un terzo ed anche sino alla metà»[4]. Per quanto riguarda i diritti della seconda classe, «il compenso, tenendo conto dei criteri suddetti, potrà da un minimo di un quarto elevarsi dal commissario fino al massimo di due terzi del fondo»[5]. In caso di «scorporo», quando il compenso è in terra, la porzione di terreno «da assegnarsi in compenso dei diritti civici da liquidare dovrà essere determinata non solo col criterio della sua estensione ma con quello anche del suo valore»[6]. È compito del Commissario per la liquidazione degli Usi Civici stabilire il canone, dopo aver ordinato una perizia sul fondo civico.

Il regista

Il Commissario per la liquidazione degli Usi Civici ha rappresentato un unicum nella storia del diritto italiano, che ha sempre contemplato una netta separazione tra la funzione amministrativa e quella giudiziaria dei pubblici ufficiali. Secondo gli articoli 26 e 27 della legge n. 1766/1927, è incaricato di verificare l’esistenza degli usi civici e approvare la liquidazione. Deve quindi amministrare le terre collettive oggetto di affrancamento o di scorporo ed emettere giudizi a riguardo. Ciò è avvenuto fino al 1977, quando, con il passaggio di alcune funzioni statali alle Regioni, l’attività amministrativa del commissario passò agli enti regionali. Nelle fasi di accertamento, oggi, gli è riservata la sola funzione giurisdizionale sulla persistenza o meno di usi civici[7].

Note

[1] Articolo 1, legge n. 1766 del 16 giugno 1766, in “Gazzetta Ufficiale” del 3 ottobre 1927, n. 228

[2] Articolo 2, cit.

[3] Articolo 4, cit.

[4] Articolo 5, cit.

[5] Ibidem

[6] Articolo 6, cit.

[7] Fabrizio Marinelli, Un’altra proprietà. Usi civici, assetti fondiari collettivi, beni comuni, Pisa, Pacini Editore, 2016, p. 40

Alfredo Incollingo

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