Linea dura contro l’usucapione e prevalenza della presunzione di condominialita’

Riccardo Salvi 02/05/14
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Le recenti tendenze giurisprudenziali tendono a punire chi abusivamente e sempre di più sfrutta le cose comuni, o ne rivendica la proprietà (Cass. 16.1.2014 n. 874) anche attraverso l’usucapione

Ormai la prova richiesta è rigorosissima sulla base del seguente presupposto.

A monte vi è un illecito in senso lato, che per quanto atecnicamente descritto, gravita attorno a quello che la coscienza comune immagina come un latrocinio o un furto.

Ed ecco che i giudici della Cassazione – pur a fronte della certezza del diritto che ne deriva dall’usucapione – per sacrificare le ragioni del diritto di proprietà richiedono una prova certa e rigorosa.

Spesse volte è stato considerato “falso usucapione”, l’apposizione di porte e porticine instabili e/o a soffietto, che non consentono di rendere palese ed esclusivo l’esercizio, (uno dei presupposti dell’usucapione).

 

Innanzitutto si è precisato anche grazie alla giurisprudenza di merito che,  in primis, l’usucapione può scattare solo in presenza di una prova certa sul termine iniziale di decorrenza del possesso. Lo ha statuito una decisione del Tribunale di Cassino. Con la sentenza n° 823/2011, il giudice ha precisato che, per l’attore che reclama l’usucapione, è elemento indispensabile fornire una prova certa della data di inizio del possesso. Non è sufficiente dichiarare di possedere il bene da “tempo immemorabile” in quanto, come afferma la pronuncia, l’istituto dell’immemorabile non rientra nell’ordinamento italiano e non può di conseguenza produrre effetti sui rapporti di tipo privatistico, ma solo in alcune fattispecie nell’ambito amministrativo.

 

Il rigore della prova, veramente difficile da darsi, passa anche attraverso alla “qualità” della stessa. Ed infatti si afferma che il possesso continuativo ininterrotto per il tempo necessario a far maturare l’usucapione deve essere provato in modo rigoroso. Nella valutazione delle antitetiche testimonianze assunte in giudizio sono da prendersi con la massima cautela se non proprio da non valutare quelle di natura orale (con tutti i dubbi da verificare ai fini della valutazione dell’attendibilità dei testi) (Tribunale di Milano, sez. IV, 23/02/2009, n. 2433).

Il punto è uno solo. Non vale lo stato dei luoghi come si presentano, ma lo stato di diritto attraverso i dati catastali o gli atti notarili.

La parte che vorrà provare di aver usucapito, per quanto attraverso una attività illecita a monte, dovrà dare una prova rigorosa, che, per quanto in linea di massima non esclusa, difficilmente si avrà attraverso le prove meramente testimoniali.

Le prove testimoniali sono da escludersi, quando il testimone, potrebbe essere interessato alla vicenda processuale, nel senso

a) della conoscenza o amicizia con la parte interessata ad usucapire, e relativi parenti

b) dalla inimicizia nei confronti della parte interessata, e relativi parenti.

La valutazione rigorosa da parte del giudice, non sono esclude la valenza della testimonianza ai fini dell’usucapione, ma sommandosi i casi a) e b) potrebbe accadere che questi trasmetta gli atti alla procura per valutare il reato di falsa testimonianza (se così sarà provato).

Ancora la compresenza di casi a) e b) produrrà sotto il profilo civilistico, la condanna alle spese per la parte che temerariamente ha proposto testimoni di parte.

 

Quello che è certo che una testimonianza, per quanto precisa e puntuale su tutti gli elementi necessari ai fini della esistenza dell’usucapione, mai potrà essere presa in considerazione dal giudice, nel caso in cui ci siano rapporti di amicizia o inimicizia con una delle parti, per un pregnante motivo: che con l’usucapione si vìola uno dei diritti considerati inviolabile dalla Costituzione, la proprietà.

Riccardo Salvi

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