L’imputabilità

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All’art. 85 del c.p. viene affidato, dal nostro Legislatore, il compito di individuare i criteri di imputabilità dell’illecito e la punibilità del soggetto che ne deriva; la norma afferma, al primo comma, che “nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato se , al momento in cui lo ha commesso, non era imputabile”, al secondo che “è imputabile chi ha la capacità di intendere e di volere”.

La definizione di capacità di intendere e di volere

Il codice penale prevede la nozione di imputabilità all’art. 85: “è imputabile chi ha la capacità di intendere e di volere”; è corretto, dunque, intendere imputabilità e capacità di intendere e di volere quali sinonimi, e per comprendere quest’ultimo concetto può essere utile suddividerlo in due parti:

  • la capacità di intendere riguarda la facoltà di capire cosa si sta facendo, l’attitudine, cioè, ad orientarsi nel mondo esterno percependo correttamente la realtà; oppure ancora la capacità di rendersi conto del valore sociale dell’atto che si compie.

Essa è valutata in concreto nel momento in cui effettivamente l’atto è compiuto, non come attitudine potenziale a rendersi conto del valore della propria azione; inoltre non è necessario che il soggetto sia in grado di percepire che la sua azione è contra legem, il solo fatto che possa genericamente comprendere che sta commettendo un’azione riprovevole è sufficiente.

  • La capacità di volere è, invece, la facoltà di una persona ad autodeterminarsi liberamente e autonomamente; la capacità, dunque, di distinguere ciò che bisogna fare da ciò che non lo è. Il contenuto di tale concetto è da ravvisarsi nella maturità psichica e nella sanità mentale. Ricopre un ruolo centrale, in questo caso, l’elemento volitivo: è uno stato della persona che deve esistere nel momento in cui la stessa commette il reato.

È chiaro che, affinché il soggetto possa dirsi imputabile sussisteranno entrambi gli elementi: il soggetto dovrà essere capace sia di intendere che di volere; i due elementi in questione, dunque, vengono considerati in maniera scissa e disgiunta (non è caso raro quello della persona che possiede la capacità di volere ma non di intendere e viceversa).

Momento rilevante nella valutazione dell’imputabilità

La Cassazione con la sent. 21826/2014 ha ribadito che l’imputabilità deve sussistere al momento della commissione del fatto, non importa che essa venga meno dopo o non ci fosse in un momento precedente.

È da distinguere, in tale circostanza, il momento dell’imputabilità rilevante per i cd. reati permanenti piuttosto che per quelli continuati: nel primo caso il soggetto sarà punito se considerato capace al momento nel quale è iniziata la condotta, allo stesso modo sarà punito il soggetto che era inimputabile quando la condotta ha avuto inizio, nel caso in cui, una volta venuto meno lo stato di incapacità, ha persistito nella condotta; per i cd. reati continuati, in base ad una delle tesi maggioritarie, non rileva che il soggetto fosse non imputabile al momento in cui ha commesso uno qualsiasi dei reati, è di significato, invece, che esista una pluralità di reati e che almeno uno di essi sia commesso in stato di capacità di intendere e di volere.

Esclusione o diminuzione dell’imputabilità

Esistono delle cause che escludono o diminuiscono l’imputabilità del soggetto agente; dai diciotto anni in poi un soggetto è pienamente imputabile, al di sotto di tale soglia abbiamo due fasce di età da considerare:

  • prima degli anni quattordici: il soggetto è sempre e totalmente inimputabile; se il giudice, però, accerta la sua pericolosità sociale, potrà decidere di assoggettarlo ad una misura di sicurezza (riformatorio giudiziario);
  • tra i quattordici e i diciotto anni: ai sensi dell’art. 98 è previsto l’esame, caso per caso, del soggetto al fine di accertarne la capacità di intendere e di volere al momento della commissione dell’illecito.

Al minore imputabile è irrogata la pena in misura ridotta e, a discrezione del giudice, possono applicarsi, una volta scontata la pena, le misure del riformatorio giudiziario o della libertà vigilata. È stato, inoltre, consentito ai minori rei il beneficio del perdono giudiziale, della sospensione condizionale della pena, della liberazione condizionale e della riabilitazione, in misura certamente più ampia rispetto alla normalità; è prevista, poi, la possibilità che il giudice sospenda il processo e affidi in prova il soggetto minorenne ai servizi minorili dell’amministrazione della giustizia per un periodo di osservazione, ed al termine di quest’ultimo, se la prova ha avuto esito positivo, potrà dichiararsi estinto il reato.

Si legga anche:”Il reato di circonvenzione di incapace. Applicabilità della norma incriminatrice anche quando l’incapacità di intendere della vittima è solo parziale”

Infermità di mente

Il vizio di mente è uno degli istituti che escludono l’imputabilità, esistono, nonostante il tormentato dibattito in merito, dei punti fermi essenziali per una corretta esposizione della tematica.

A differenza delle scienze psicologiche, il nostro codice penale parla di vizio di mente; se è assodato che la psicologia non ha mai trovato una definizione univoca di disturbo di personalità e di patologia, è ancor più chiaro come il diritto penale non può esaurire il dubbio circa il confine tra normale ed anormale e, quindi, tra ciò che è sano e ciò che è affetto da patologia; inoltre il diritto penale vive una esistenza autonoma e non muta i propri concetti secondo altre scienze, il diritto non deve necessariamente coincidere con la stessa nozione data dalla scienza medica o psicologica.

L’infermità di mente può essere totale o parziale (semi-infermità); l’infermità totale di mente (art. 88 c.p.: il vizio totale di mente ricorre quando il soggetto “nel momento in cui ha commesso il fatto era, per infermità, in tale stato di mente da escludere la capacità di intendere o di volere”) comporta il proscioglimento dell’imputato, può essere anche presente la possibilità di applicare una misura di sicurezza, come il ricovero in ospedale giudiziario (art. 222).

Insieme al vizio totale di mente viene trattata una tematica singolare, ovvero quella delle monomanie; il monomaniaco è quel soggetto che, normale per tutti gli altri aspetti della sua vita, ha una mania particolare (es. cleptomania). Nonostante le varie teorie contraddittorie, in linea di principio, il monomaniaco è da considera incapace di intende e di volere solo se ha commesso un fatto collegato alla sua patologia.

Per ciò che concerne lo status di infermità parziale è definito dal nostro Legislatore come quello di “chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità di intendere e di volere”; il soggetto attivo, in questo caso, risponde del reato commesso in misura più lieve, il passaggio successivo sarà l’applicazione della misura di sicurezza dell’assegnazione ad una casa di cura o di custodia (art. 219), a questa misura può precedere l’esecuzione della pena.

Stati emotivi e passionali

L’art. 90 c.p. tratta degli stati emotivi e passionali (ira, gelosia, paura, sorpresa, ecc… ), questi non escludono né diminuiscono l’imputabilità, e possono dar luogo, eventualmente, alle singole attenuanti elencate all’art. 62 n. 1, 2 e 3; è da tenere presente come nell’ipotesi in cui lo stato passionale sia di particolare intensità potrebbe sfociare nella malattia mentale, esso  può coincidere con il vizio totale o parziale di mente, e dunque il soggetto attivo sarebbe da considerare inimputabile.

Assunzione di sostanze alcoliche o stupefacenti (ubriachezza e tossicodipendenza)

Situazione opposta a quella appena descritta è l’ubriachezza, disciplinata dal nostro codice penale agli artt. 91 e ss, viene affrontata secondo criteri di notevole severità atti a combattere e scoraggiare tale fenomeno; parificata all’ubriachezza, nel trattamento normativo, è la tossicodipendenza, ovvero l’assunzione di stupefacenti.

Unicamente nel caso di ubriachezza derivata da caso fortuito o da forza maggiore (art. 91 c.p.), che procura in un soggetto l’incapacità, al momento della commissione del fatto, di intendere o di volere, il Legislatore nega l’imputabilità del reato; dovrà trattarsi di una situazione imprevedibile o inevitabile, opposta all’ipotesi in cui l’ubriachezza sia volontaria o colposa (art. 92 c.p.), per la quale l’imputabilità non è né ridotta, né esclusa.

Si distingue l’ubriachezza vera e propria dalla cronica intossicazione da alcool; la prima delle due categorie si distingue, poi, in quattro tipologie:

  • Ubriachezza accidentale: regolata dall’art. 91 c.p., è quella incolpevole; occorrerà accertarsi se essa sia piena oppure parziale e dunque, nel primo caso, prosciogliere il soggetto, nel secondo applicare una diminuzione della pena.
  • Ubriachezza volontaria: regolata dall’art. 92 c.p., stabilisce che “tale stato non diminuisce né esclude l’imputabilità” dal momento che il soggetto volontariamente assume si procura tale ubriacatura.
  • Ubriachezza abituale: regolata dall’art. 94 c.p., decreta che “quando il reato è commesso in stato di ubriachezza, e questa è abituale, la pena è aumentata”; in tal caso, ai sensi dell’art. 221 c.p. si applica la misura di sicurezza del ricovero in una casa di cura o di custodia e, aumentando la pena di un terzo, si punisce il reo per la condotta di vita irresponsabile.
  • Cronica intossicazione da alcool: il Legislatore allude a tutti quei casi in cui l’alcolismo ha provocato gravi intossicazioni, patologie fisiche (es. cirrosi epatica, delirium tremens); in tali casi elencati, ai sensi dell’art. 95 c.p., si applicano gli artt. 88 e 89 (vizio totale e parziale di mente).

Le actiones liberae in causa

Meritano una trattazione particolare gli artt. 86 e 87 c.p., il primo, e meno incisivo, prescrive: “se taluno mette altri nello stato di incapacità di intendere e di volere, al fine di fargli commettere un reato, del reato commesso dalla persona resa incapace risponde chi ha cagionato lo stato di incapacità”; l’art. 87, invece, si occupa dell’ipotesi in cui taluno volontariamente si provochi uno stato di incapacità di intendere e di volere al fine di commettere un delitto: “la disposizione della prima parte dell’art. 85 non si applica a chi si è messo in stato di incapacità di intendere e di volere al fine di commettere il reato o di prepararsi una scusa”.

Detta norma in esame è analoga a quella prevista dell’articolo 92 comma 2 in tema di ubriachezza preordinata; esiste una differenza che risiede nel fatto che in caso di ubriachezza preordinata la pena è aumentata, nei casi di procurata incapacità per cause diverse la pena è immutata.

Tale situazione, definita “actio libera in causa”, può sembrare una accezione alla regola secondo cui il soggetto agente deve essere imputabile al momento in cui ha commesso il fatto; effettivamente, il soggetto pur commettendo il delitto in un momento in cui è incapace di intendere e di volere, viene trattato come se fosse capace.

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Bibliografia

  • Antolisei, Manuale di diritto penale parte speciale, Edizione 2016
  • Franceschetti, Altalex Editore, 2000
  • Pezzano, Compendio di diritto penale, Edizione Giuridiche Simone 2019
  • Studio Cataldi il Diritto quotidiano, Quotidiano giuridico, 2001

Giorgia Gargano

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