L’imputabilità penale

Redazione 19/11/18
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L’imputabilità rappresenta un presupposto essenziale della colpevolezza.

Il reato può considerarsi illecito quando venga commesso da un soggetto potenzialmente libero, padrone dei propri comportamenti, in grado di rappresentarsene il significato e le conseguenze e, proprio per questo, assoggettabile alla reazione dell’ordinamento: se il reo non è in grado di intendere e di volere, non potrà essere risocializzato e, conseguentemente, non sarà punibile. L’imputabilità, quale capacità di intendere e di volere ex. art.85 c.p.,  si differenza dalla colpevolezza, quale coscienza e volontà del fatto illecito che l’agente sta compiendo; entrambe esprimono categorie giuridiche concettualmente diverse ed operanti su piani diversi, benché ovviamente la prima, come substrato naturalistico della responsabilità penale, vada accertata con criterio di priorità rispetto alla seconda.

I soggetti non imputabili

Stante quanto sopra chiarito, qualora il reato commesso sia stato commesso da persona seminferma di mente deve essere in ogni caso oggetto di ricognizione e verifica la sussistenza dell’elemento psicologico del commesso reato, atteso che anche nella condizione di imputabilità diminuita residua pur sempre la capacità di intendere e di volere. La capacità di intendere viene ricondotta all’idoneità del soggetto a rendersi conto del valore delle proprie azioni, ad orientarsi nel mondo esterno secondo una percezione non distorta della realtà, e quindi nella capacità di rendersi conto del significato del proprio comportamento e di valutarne conseguenze e ripercussioni, ovvero di proporsi una corretta rappresentazione del mondo esterno e della propria condotta. La capacità di volere, invece, consiste nell’idoneità del soggetto ad autodeterminarsi, in relazione ai normali impulsi che ne motivano l’azione, in modo coerente ai valori di cui è portatore, ovvero nel potere di controllare gli impulsi ad agire e di determinarsi secondo il motivo che appare più ragionevole o preferibile in base ad una concezione di valore, e nell’attitudine a gestire un’efficiente regolamentazione della propria libera autodeterminazione; in sostanza, nella capacità di intendere i propri atti, come ancora si esprime la dottrina.

I fattori patologici e non

L’imputabilità può essere esclusa da fattori patologici, quali il vizio totale o il vizio parziale di mente, dall’immaturità (nel caso dei minorenni), dalla cronica intossicazione da alcool o dal sordomutismo (per quanto il progresso scientifico abbia oramai rimosso gli ostacoli alla maturità psichica che comportava tale malattia). Gli articoli 88 e 89 c.p. dispongono l’esclusione o la diminuzione dell’imputabilità in presenza di un vizio della mente talmente rilevante da compromettere la capacità di intendere e di volere del soggetto agente. Il vizio di mente è categoria i cui contenuti non sono di facile individuazione ed è al contempo un campo in cui il diritto e la scienza medica si confrontano e dialogano. Anche il mero disturbo di personalità, anche solo transeunte, può far scemare la capacità d’intendere e volere, purché il vizio sia grave, intenso e causale rispetto al reato. I disturbi della personalità, che non sempre sono inquadrabili nel ristretto novero delle malattie mentali, possono rientrare nel concetto di infermità, purché siano di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere o di volere, escludendola o scemandola grandemente, e a condizione che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato dal disturbo mentale.

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