I limiti degli accertamenti fiscali

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La giurisprudenza della Corte di Cassazione si è più volte interessata di delineare i limiti degli accertamenti fiscali, tenendo conto delle specifiche disposizioni di legge.

Ultimamente, la Corte di Cassazione – Sezione Tributaria -, con l’importante sentenza n. 2468 depositata il 31/01/2017, ha ben delineato i presupposti per l’accertamento analitico – induttivo.

L’art. 39, comma 1, lett. d), del DPR n. 600 del 1973, recita:

“Per i redditi d’impresa delle persone fisiche l’ufficio procede alla rettifica: … d) se l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati risulta dall’ispezione delle scritture contabili e dalle altre verifiche di cui all’articolo 33 ovvero dal controllo della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni contabili sulla scorta delle fatture e degli altri atti e documenti relativi all’impresa nonché dei dati e delle notizie raccolti dall’ufficio nei modi previsti dall’articolo 32. L’esistenza di attività non dichiarate o la inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti.”

L’accertamento fiscale in contestazione si fonda sull’ultima parte della norma, ossia è un accertamento analitico-induttivo basato su presunzioni, anche semplici purché gravi, precise e concordanti e, in quanto tale, non è condizionato dalla presenza di una contabilità formalmente regolare.

È conseguentemente correlato, peraltro, che, in presenza di una contabilità regolare, è necessaria l’individuazione degli elementi (rectius, delle presunzioni) idonei a giustificare l’accertamento induttivo.

Orbene, la decisione impugnata ha testualmente motivato affermando che “non esistono i presupposti per poter procedere ad accertamento induttivo. Si è in presenza di contabilità regolarmente tenuta; di studi di settore, che una volta rilevato l’errore, sono risultati congrui; di accessi della G. di F. dai quali non è stata mai rilevata difformità nell’emissione di scontrini fiscali”.

La CTR, dunque, ha solo rilevato, in coerenza con il dato normativo, che l’accertamento non si poteva fondare su alcuna presunzione tale da superare il dato, di per sé solo preliminare, della regolarità formale delle scritture contabili, ossia che risultavano assenti elementi gravi, precisi e concordanti da far ritenere inattendibile la contabilità pur formalmente regolare ed idonei a legittimare l’Ufficio a dar corso all’accertamento induttivo.

Non è poi irrilevante la circostanza, adeguatamente apprezzata dai giudici di merito, che in occasione degli accessi della Guardia di Finanza, sicuramente casuali, non sia mai emersa alcuna difformità nell’emissione degli scontrini fiscali, costituendo un elemento indiziario di segno opposto rispetto a quanto invocato dall’Agenzia delle Entrate.

Quanto al rilievo, relativo alla validità e rilevanza della determinazione induttiva dei maggiori ricavi attraverso il riscontro dei caffè e dei tovaglioli, la questione investe, in realtà, un posterius logico e fattuale a quello sopra esaminato poiché attiene alla fase in cui, già comprovata dall’Ufficio finanziario la possibilità di procedere ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d), citato è legittima la determinazione, in via induttiva e con metodologie indirette, dei maggiori ricavi.

Per contro, in mancanza, come nella specie, dei presupposti per dar corso all’accertamento induttivo, resta inevitabilmente travolta la successiva attività ugualmente posta in essere.

Tale conclusione, del resto, è coerente con la costante giurisprudenza della Corte di Cassazione.

Nella fattispecie considerata da Cass. 20060 del 2014, difatti, la Corte valutò la correttezza dell’accertamento presuntivo sulla base del consumo unitario dei tovaglioli (con riferimento ad una attività di ristorazione), ma solo dopo aver evinto, sulla base dei rilievi di carattere formale mossi ai contribuenti, “la complessiva inattendibilità della contabilità aziendale, seppure regolarmente tenuta sul piano formale”, sicché legittimo diveniva il metodo di ricostruzione del reddito societario utilizzato dall’Ufficio (in termini analoghi v. Cass. n. 20857 del 2007 e Cass. n. 13068 del 2011).

 

Lecce,   10  giugno 2017

 

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