Limitazione animali domestici in condominio

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Il giudice può ordinare la limitazione il numero di cani e/o gatti presenti all’interno dell’abitazione di un condomino?
riferimenti normativi: art. 844 c.c.
precedenti giurisprudenziali: Cass., sez. II, Sentenza n. 21054 del 31/08/2018
Corte di Cassazione – sez. II – sentenza n. 1823 del 20-01-2023

Indice

1. La vicenda

La lite era causata da rumori e cattivi odori provenienti da un’abitazione (con giardino) nella quale erano custoditi un numero considerevole di cani e gatti.
I vicini con un procedimento ex art 700 c.p.c. si rivolgevano al Tribunale che accoglieva il ricorso e ordinava al titolare dell’abitazione di allontanare i cani, riducendone il numero a non più di quattro unità. A seguito di reclamo la suddetta ordinanza veniva dichiarata nulla. Veniva poi proposto un nuovo ricorso ex articolo 700 c.p.c. accolto dal Tribunale che ordinava di ridurre ad un massimo di sei unità il numero dei cani ospitati nel fabbricato (in tal caso poi il reclamo veniva rigettato). I medesimi attori chiedevano al Tribunale conferma di quanto disposto in sede cautelare; il Tribunale accoglieva la domanda e condannava il convenuto a ridurre il numero dei cani custoditi a non più di sei e al pagamento in favore degli attori della somma di euro 2000 a titolo di risarcimento del danno. La Corte d’Appello rigettava l’appello e confermava la sentenza del Tribunale. Rigettava anche l’eccezione di incompetenza per materia già eccepita in primo grado e ritualmente riproposta in appello quale motivo di impugnazione.

2. La questione

La domanda di cessazione delle immissioni che superino la normale tollerabilità vincola necessariamente il giudice ad adottare una misura determinata?

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3. La soluzione

I giudici supremi in via preliminare hanno confermato la competenza del Tribunale. Infatti hanno evidenziato che, qualora l’immobile, seppure a prevalente destinazione abitativa, sia utilizzato anche per scopi diversi e le relative attività siano all’origine delle immissioni illecite, deve conferirsi rilievo alla destinazione prevalente dell’immobile e alla fonte dei fenomeni denunciati, nel senso che se questi siano dedotti come effetto di attività non connesse all’utilizzo dell’immobile come abitazione civile da parte degli occupanti (proprietari o detentori), è esclusa l’applicazione dell’art. 7, comma terzo, n. 3 c.p.c.; in altre parole secondo la Cassazione il ricovero di un numero elevato di esemplari di animali genera un’immissione che non è generata da un uso ordinario per civile abitazione, bensì è un’attività di custodia e cura degli animali di competenza del Tribunale e non del Giudice di pace. Non rileva – come hanno precisato i supremi giudici – il carattere non commerciale dell’attività, desumibile dall’assenza dello scopo di lucro. In ogni caso la Suprema Corte ha ricordato che il limite di tollerabilità delle immissioni ex articolo 844 c.c. non ha carattere assoluto ma è relativo alla situazione ambientale, variabile da luogo a luogo, secondo le caratteristiche della zona e le abitudini degli abitanti; spetta, pertanto, al giudice di merito accertare in concreto il superamento della normale tollerabilità ed individuare gli accorgimenti idonei a ricondurre le immissioni nell’ambito della stessa. Viene quindi confermata la legittimità della decisione di secondo grado che ha la limitato nel numero di sei i cani “ospitabili” nell’abitazione, per assicurare un temperamento tra i diversi interessi e diritti e tenendo conto anche dello spazio a disposizione della casa.

4. Le riflessioni conclusive

Non è raro che un condomino accudisca (anche saltuariamente) per puro spirito umanitario e senza averne un ritorno economico, un certo numero di cani (o gatti) nella sua proprietà esclusiva.
In tal caso il condomino è tenuto ad adottare tutte le necessarie precauzioni volte ad evitare disagi problemi ai condomini.
Si ricorda che la Cassazione ha recentemente confermato la sentenza della Corte di Appello con cui è stato disposto il risarcimento del vicino, disturbato nelle ore di riposo a causa di “cupi ululati e continui e fastidiosi guaiti specie nelle ore notturne emessi dai cani dei vicini collocati sul terrazzo dell’abitazione e sul terreno comune del fabbricato” (Cass. civ., sez. III, 27/07/2022, n. 23408). Il giudice può liquidare il danno causato dalle immissioni rumorose in via equitativa, sulla base della prova fornita dal danneggiato anche con presunzioni, sulla base di nozioni di comune esperienza, senza che sia necessaria la dimostrazione di un mutamento delle abitudini di vita, liquidando a favore del danneggiato anche il danno non patrimoniale, consistente nella lesione del diritto al normale svolgimento della vita famigliare all’interno della sua abitazione, tutelato anche dall’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti umani (Cass. civ., Sez. Unite, 01/02/2017, n. 2611).
Del resto attirare cani randagi con ciotole di cibo può costituire molestia se i cani non solo vagano nelle parti comuni ma s’introducono negli appartamenti e relative pertinenze degli altri condomini limitandone il possesso: in altre parole, sempreché non sia proibito dal regolamento, dare da mangiare ai cani o gatti randagi non è vietato, ma è necessario adottare tutte le precauzioni idonee ad impedire che la presenza degli amici animali possa recare molestia al resto del condominio (App. Roma, Sezione IV civile, 29 aprile 2013).
Così, ad esempio, farli circolare nelle parti comuni liberamente può costituire una limitazione non consentita del pari diritto che gli altri condomini hanno sui medesimi spazi, se risulti che la mancata adozione delle suddette cautele impedisce loro di usare e godere liberamente di tali spazi comuni.
In ogni caso il condomino è chiamato a rispondere sia in sede civile che in sede penale dei danni cagionati (ad esempio, in caso di danni a cose altrui o di lesioni a persone) a seguito delle violazioni commesse.

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