Licenziamento per giusta causa se il lavoratore ruba al datore di lavoro

Redazione 10/04/17
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In diritto penale, si è sempre detto che non costituisce reato di furto l’appropriazione indebita di un chicco d’uva, o di un chiodo, in quanto l’irrisorietà del valore dell’oggetto fa perdere l’antigiuridicità al fatto compiuto. Eppure, anche se non sarà abbastanza per costituire un capo di imputazione, il furto di oggetti, anche del più esiguo valore, può rappresentare una valida causa di licenziamento.

La Corte di Cassazione ha recentemente affermato, nella sentenza n. 8816/17 del 5 aprile 2017, che è legittimo il licenziamento del lavoratore che sottragga al proprio datore di lavoro, all’interno dei luoghi aziendali, oggetti di sua proprietà, indipendentemente dalle caratteristiche degli stessi. Ciò in quanto è lesa la fiducia che il datore di lavoro riponeva nel suo dipendente, e di conseguenza, la base su cui il rapporto di lavoro si era fondato. Il primo non potrà più aspettarsi l’adempimento integro della prestazione lavorativa dal secondo.

 

Furto aziendale è giusta causa di licenziamento

Dunque, il datore di lavoro non solo può ricorrere al licenziamento, ma può farlo anche ad nutum, ovvero senza preavviso e in tronco, senza temere di incorrere in una vertenza da parte del dipendente ed, eventualmente, nella sua reintegrazione sul posto di lavoro. Non sarà nemmeno dovuta l’indennità di licenziamento. Questo in quanto il furto, costituisce una vera e propria giusta causa di licenziamento, e non meramente un giustificato motivo oggettivo (caso in cui sarebbe comunque dovuto il preavviso).

Nonostante il licenziamento, come rammenta la stessa Corte di legittimità, sia sempre da considerare come extrema ratio, tra le sanzioni disciplinari comminabili nei confronti del lavoratore, e solo laddove l’irrogazione di tutte le altre, anche cumulativamente, non sia commisurata alla gravità del fatto, in un caso simile a quello ad essa sottoposto è giustificato.

 

Lesione del rapporto di fiducia: come si valuta?

Per valutare la proporzionalità della sanzione scelta all’entità del comportamento scorretto tenuto, bisogna constatare quanto la condotta in questione abbia avuto e avrà ripercussioni sul rapporto di lavoro. Degna di considerazione, infatti, è la dubbia affidabilità che il datore di lavoro può attribuire in futuro al lavoratore, in seguito alla condotta avuta. Ciò anche al di là del danno effettivamente originato nell’evento scorretto, in quanto rileva il fatto in sé, in quanto indice di personalità e moralità che il datore di lavoro può valutare in termini di aderenza e coerenza alla filosofia aziendale.

Si legge, infatti, nella sentenza: “Questa Corte ha reiteratamente affermato (ex plurimis, Cass. nr. 13168/2015 Cass. n. 19684/14, Cass. n. 16864/06 e Cass. n. 16260/04) che la tenuità del danno non è da sola sufficiente ad escludere la lesione del vincolo fiduciario e che ai fini della valutazione della proporzionalità tra fatto addebitato e recesso viene in considerazione non già l’assenza o la speciale tenuità del danno patrimoniale ma la ripercussione sul rapporto di lavoro di una condotta suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento, in quanto sintomatica di un certo atteggiarsi del dipendente rispetto agli obblighi assunti”.

Inoltre, bisogna ammettere che, anche nel caso in cui il dipendente non venisse licenziato, il datore di lavoro, non nutrendo più stima e fiducia nei suoi confronti, potrebbe continuamente sospettare della sua persona, creando anche un clima ostile e controproducente, anche per chi il furto l’ha commesso.

 

Sabina Grossi

Sentenza collegata

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