Licenziamenti, la trattativa si avvia “comunque” alla conclusione

Redazione 22/03/12
Scarica PDF Stampa

Lilla Laperuta

Fissato per oggi a palazzo Chigi l’incontro conclusivo fra Governo e parti sociali sulla riforma del mercato del lavoro il cui fulcro critico ruota intorno all’intervento pesante sulla disciplina dei licenziamenti. Un’operazione cruciale per dare al Paese una migliore prospettiva di competitività, di produttività e di crescita dell’economia: in tali termini si è espresso il premier Monti lodando i contenuti della riforma e il suo artefice, il ministro Elsa Fornero. Apprezzamenti per nulla condivisi dalla leader della CGIL, Susanna Camusso, che la considera invece “una proposta squilibrata”, che danneggia solo una parte: i lavoratori.

Una cosa è certa: le voci dissenzienti non troveranno gli adeguati sfoghi istituzionali se non quello del mero auditing, un ascolto infruttuoso dunque. E già: ad esse il Governo non riconosce il potere di veto, né ha l’intenzione di addivenire con le stesse ad un accordo firmato. Il motivo? La cultura consociativa deve essere messa da parte … e adesso il momento è quello giusto! Queste le premesse per una riforma che incide su diritti fondamentali e conquiste storiche dei cittadini, riforma proposta da un governo “tecnico”.

Si riepilogano di seguito le novità in arrivo sul fronte dell’art. 18 L. 300/1970 (Statuto dei lavoratori).

 

Regime attuale. Sino ad oggi il licenziamento, in considerazione dei suoi connessi ed evidenti costi sociali, è una misura che può essere adottata solo in extrema ratio, in presenza dei requisiti di gravità voluti dalla legge, ai sensi degli artt. 2119 c.c. e 1 L. 604/1996. L’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori prevede che il giudice, una volta valutato il licenziamento come illegittimo (in quanto senza causa, o senza giustificato motivo soggettivo od oggettivo, oppure discriminatorio o nullo) ordina al datore di lavoro, nelle aziende con oltre 15 dipendenti, il reimpiego del lavoratore e il risarcimento da questi subito, con in aggiunta il pagamento di un indennizzo parametrato agli anni di durata del giudizio. Si consente al lavoratore di rinunciare alla reintegrazione e di chiedere il pagamento di una indennità sostitutiva, pari a 15 mensilità della sua retribuzione globale di fatto da sommarsi all’indennità risarcitoria (tutela reale).

Nelle aziende che hanno fino a 15 dipendenti, invece, laddove il Giudice dichiari illegittimo il licenziamento, il datore può scegliere tra la riassunzione del lavoratore entro tre giorni ovvero, in alternativa, il pagamento di un’indennità (da un minimo di 2,5 a 6 mensilità, somma variabile in relazione all’anzianità di servizio (tutela obbligatoria).

 

Cosa propone il Governo. Il disegno regolatorio attualmente in discussione prevede:

a) la tutela reale per le fattispecie dei licenziamenti discriminatori (per motivi politici, sindacali, religiosi, razziali, di lingua e di sesso), dei licenziamenti intimati in costanza di matrimonio, ovvero in violazione dei divieti di cui all’art. 54 D.Lgs. 151/2001, ovvero  determinati da un motivo illecito ex art. 1345 c.c.. La tutela assicurata vale anche per i dirigenti e si estende a tutte le imprese, compreso quelle con un numero inferiore ai 15 dipendenti;

b) il rinvio al giudice per i licenziamenti disciplinari (condotta colposa o manchevole del dipendente). In tal caso sarà l’organo giudicante a decidere per il reintegro “nei casi gravi” (fatto contestato non commesso o punibile con una sanzione conservativa) o per l’indennità variabile da un minimo di 15 sino ad un massimo di 24 mensilità, tenendo conto dell’anzianità di servizio;

c) il mero indennizzo per i licenziamenti economici (per ragioni attinenti all’attività o all’organizzazione dell’impresa o del lavoro). Per tale fattispecie il giudice qualora accerti la insussistenza del giustificato motivo oggettivo addotto dal datore di lavoro  può solo stabilire un indennizzo variabile da un minimo di 15 a un massimo di 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. L’indennità è modulata dal giudice tenuto conto delle dimensioni dell’impresa, dell’anzianità di servizio del prestatore di lavoro, delle iniziative assunte da questi per la ricerca di un nuovo lavoro.

 

Criticità della riforma. Da un lato il vertice del Welfare afferma di volere che il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato diventi quello “dominante”, “il migliore”, quello insomma da prendere come riferimento, dall’altro, con cosciente incoerenza, non si priva di destituirlo della sua reale forza, la stabilità, requisito che peraltro lo contraddistingue rispetto agli altri strumenti contrattuali di assunzione, annichilendo di fatto l’operatività del sistema di tutele, reale ed obbligatoria, concepito in difesa della parte debole contraente.

Redazione

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento