Libertà / sicurezza nell’atteggiamento

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            Vi è nell’essere umano una spinta ambivalente tra ricerca della libertà , quale estrema tensione fisica e cognitiva del nostro progenitore che si aggirava per ampi spazi nella “ricerca” di cibo, e la necessità di una sicurezza esistenziale che può risolversi solo nell’essere parte di un gruppo, i due estremi di questo arco, che si rispecchiano nell’anarchia o all’opposto nella creazione di un sistema politico dittatoriale, è percorso dal vario combinarsi dei due termini, esigenze ineludibili dell’essere umano.

A sua volta può considerarsi una risposta al confluire della ricerca della libertà nel gruppo l’accumulo di risorse, che nel garantire sicurezza alla comunità permette al contempo al singolo di garantirsi la libertà entro il gruppo, fino a trasformare la sua libertà nella preminenza sul gruppo, in un senso di potere che nel rendere liberi gratifica il proprio spirito in un crescendo senso di onnipotenza, fino a trasformare il combinarsi di sicurezza e accumulo in qualcosa di patologico se non filtrato dal sentirsi socialmente responsabile della comunità in cui si primeggia.

            Il passaggio da una “società disciplinare” propria del ‘900 ad una “società della prestazione” del nuovo millennio, “in cui le nostre parole d’ordine non sono più obbedienza, legge e obblighi da rispettare ma libertà, desideri e propensione a soddisfarli”, (49, Z. Bauman, Stranieri alle porte, Laterza, 2016), conduce dalla rivendicazione di una necessaria libertà propria dell’800/900 ad una nascente necessità di sicurezza, l’individualizzazione della responsabilità nell’affrontare l’incertezza che nasce dalla globalizzazione economica e che viene ad investire il nostro stile di vita porta all’incertezza, in quanto “al crescente processo di globalizzazione del potere ( che è la capacità di far fare) non segue una globalizzazione della politica (che è la capacità di decidere cosa fare)” (53 – cit.), d’altronde al cittadino medio la propria volontà appare irrilevante al potere pubblico, mentre non si conosce alcuna possibilità di influire sul futuro sì da  controllare il contesto in cui si agisce, si ha quindi un potente fattore di insicurezza rafforzato dalla propria precarietà economica e del ruolo (Bauman).

            I sentimenti finora descritti fanno assumere degli atteggiamenti che vengono a influenzare il comportamento, gli atteggiamenti d’altronde permettono di prevedere le azioni delle persone, questi possono definirsi o come il combinato di tre reazioni: affettiva, cognitiva e conativa – comportamentale nei confronti di un oggetto (Eagly – Chaiken), o, con approccio unidimensionale, quale espressione dell’unico indicatore rilevante che è quello affettivo (Petty – Cacioppo), in questa ultima ipotesi si viene a distinguere l’atteggiamento (aspetto emotivo) da quello della credenza (aspetto cognitivo) e dall’intenzione o manifesto comportamento (aspetto comportamentale), comunque la complessità cognitiva, la tolleranza verso l’ambiguità e le variabili relative alle differenze individuali influenzano la struttura degli atteggiamenti della persona.

            Gli atteggiamenti guidano la percezione, la valutazione e il giudizio sull’informazione pertinente all’atteggiamento stesso, l’influenza sul processo di elaborazione delle informazioni riguarda a sua volta la selezione dell’informazione, i processi di  codifica relativi alla percezione e al giudizio e, infine, il recupero di tale informazione dalla memoria, se l’informazione contrasta con il proprio atteggiamento verso un oggetto avviene allora una codifica selettiva dell’informazione in base agli atteggiamenti che il soggetto possiede verso quell’oggetto, si ha così una distorsione sulla percezione o giudizio come nel ricordo di informazioni congruenti o incongruenti con la struttura dell’atteggiamento, il processo si estende fino allo stesso processo di ricostruzione selettiva di informazioni mai state depositate in memoria, si deve considerare che le funzioni motivazionali dell’atteggiamento (Katz, Smith, Bruner, Mc Guire, White) sono:

  • Funzione di difesa dell’Io, motivazione legata al bisogno di difesa;
  • Funzione strumentale, adattiva o utilitaristica, motivazione legata al bisogno di raggiungere ricompense ed evitare punizioni;
  • Funzione di autorealizzazione attraverso l’espressione di valori, motivazione legata al bisogno di confermare il valore del proprio sé;
  • Funzione economica o di conoscenza, derivante dal bisogno di organizzare e strutturare un mondo caotico di informazioni sociali derivanti dall’ambiente eccessivamente complesso e sovraccaricato di informazioni.

Gli atteggiamenti risentono anche della crescente “precarizzazione” dell’esistenza a seguito della perdita della certezza lavorativa, si parla di reddito di cittadinanza al fine di garantire all’individuo la sopravvivenza ma anche il ruolo di consumatore di una produzione priva del requisito funzionale del lavoro umano, diventato superfluo nella crescita potenziale dell’I.A. applicata dai manufatti ai servizi, vi è pertanto la necessità di ripensare al concetto stesso di lavoro se non si vuole creare la depressione dell’individuo ridotto al puro ingrasso, in lotta con terre lontane per una torta lavorativa sempre più ristretta od obbligato al puro consumo compulsivo, d’altronde se il consumo mediante reddito di cittadinanza non si riferisce alla produzione interna all’organizzazione statale di cui è cittadino , si può risolvere in un puro indebitamento a favore di paesi terzi, vi è pertanto il possibile ricorso all’Uomo forte in termini salvifici (Bauman) nell’incomunicabile insensibilità della politica stretta tra gli interessi globali e le paure delle classi impoverite, dove esplode il conflitto tra la negazione sociale di un qualsiasi rischio e l’individuo di fatto abbandonato al rischio della propria responsabilità precarizzata.

            È stato posto il problema della corrispondenza fra atteggiamenti e comportamenti esibiti, dove gli elementi salienti al momento della valutazione (azione, bersaglio, contesto e tempo, ossia momento del comportamento) devono corrispondere a quelli dell’esecuzione del comportamento, questo sia a livello cognitivo che affettivo, l’eventuale incoerenza affettivo-cognitiva negli atteggiamenti sarà preludio di un cambiamento comportamentale, l’elemento affettivo ha la prevalenza nel momento in cui è carente la fase dell’esperienza, con l’accrescersi dell’esperienza gli atteggiamenti risentiranno sempre più dell’elemento cognitivo così come l’aspetto comportamentale, tuttavia occorre sempre considerare se l’elaborazione delle informazioni avviene per via centrale con la dovuta capacità e motivazione, oppure per via periferica in termini euristici su informazioni parziali o superficiali, nella prima ipotesi il comportamento diverrà prevedibile secondo gli atteggiamenti mentre nella seconda ipotesi prevarrà l’imprevisto, (Petty, Cacioppo, Chaiken), ulteriori fattori di prevedibilità sono l’autocontrollo, l’autoconsapevolezza oggettiva e la coerenza con se stessi, a questi elementi la “teoria dell’azione ragionata” aggiunge l’intenzione + il giudizio, quale aspettativa delle persone più significative per l’individuo che questi assuma una determinata condotta, un terzo elemento è la percezione della propria capacità di mantenimento del controllo sul comportamento assunto, detto anche “teoria del comportamento pianificato” (Fishbein – Ajzen).

            L’atteggiamento quale intenzione si trasforma in comportamento come azione, sotto l’influenza di altri tre fattori quali: le abitudini, il sentirsi moralmente obbligato e le implicazioni del comportamento per l’identità personale, si ha quindi per Simon in molti casi l’impossibilità di una “ottimizzazione” del proprio comportamento, sia a causa della difficoltà di controllo degli innumerevoli fattori che intervengono, che per l’eventuale ulteriore difficoltà di elaborazione delle informazioni, il passaggio dall’intenzione alla azione avverrà quindi con l’elaborazione di un piano comportamentale quale ponte tra i due momenti (Modello Rubicone), un piano che nell’attuale fase storica risulta essere per l’individuo sempre più complesso fino ad evitare piani comportamentali su tempi estesi riducendosi al momento, viene meno la capacità programmatoria e i desideri e le motivazioni poste alla base.

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

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