Liberalizzazione e regolazione del mercato dei trasporti ferroviari in Italia

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Introduzione
Nel corso degli ultimi decenni l‘intervento comunitario ha avuto un impatto assai rilevante sulla regolamentazione dei servizi di trasporto e delle attività ad essi correlate. Attraverso un numero assai ampio di regolamenti, direttive, documenti programmatici e decisioni la Comunità ha determinato, o quanto meno ha concorso a determinare, profondi cambiamenti negli assetti dei mercati del trasporto nell’area europea.
Il settore dei trasporti è stato interessato in particolare da un radicale processo di liberalizzazione e privatizzazione volto a razionalizzare il mercato e a introdurre elementi di concorrenza in un settore tradizionalmente caratterizzato da assetti monopolistici e da una forte presenza dell’operatore pubblico.
Fino a pochi anni fa, infatti, la regola era la presenza nei diversi settori modali di un unico operatore di servizi di trasporto, prevalentemente a capitale pubblico e in grado di operare in condizioni di monopolio.
Questa tipologia di assetto di mercato era maggiormente evidente nel settore ferroviario e  in quello aereo, sia in relazione alla fornitura del servizio di trasporto in senso stretto, sia per quanto riguarda la gestione delle infrastrutture di supporto.
 Come altri settori economici (telecomunicazioni, energia ecc.) anche il mercato dei trasporti è stato sottoposto alle dinamiche concorrenziali ed ha visto progressivamente l’ingresso di nuovi operatori privati soprattutto in quei settori contraddistinti, come detto, dalla presenza dell’operatore pubblico.
Il settore aereo è stato tra i primi ad essere interessato dalle politiche di liberalizzazione e le tradizionali compagnie di bandiera si sono dovute confrontare con nuovi competitors europei spesso molto aggressivi sotto il profilo commerciale (c.d. compagnie low cost).
Il settore ferroviario, tradizionalmente caratterizzato da un unico grande operatore pubblico nazionale, è stato a sua volta teatro di un importante processo di trasformazione che ha permesso di separare la gestione dell’infrastruttura dalla gestione del servizio: quest’ultima è stata formalmente aperta all’ingresso di operatori privati, sia per il trasporto passeggeri, sia per quello merci, anche se con tempistiche, come vedremo, diverse.
Anche  in Italia il panorama dei trasporti sembra oggi essere in continua evoluzione, grazie certamente alla spinta del legislatore comunitario ed al progressivo costituirsi di un mercato unico europeo, che ha imposto una maggiore apertura alla concorrenza tra i vettori comunitari e la conseguente caduta delle barriere protezionistiche nazionali.
 Sotto il profilo formale del recepimento dell’aquis communitaire, si può comunque affermare che l’Italia è uno dei primi paesi in Europa ad aver completato il processo di liberalizzazione, attraverso l’adozione di una serie di misure normative ed organizzative attuative dei principi e delle linee guida poste dal legislatore comunitario in tema di liberalizzazione del mercato dei servizi di trasporto ferroviario.
A tale dato formale non è corrisposta tuttavia un’apertura reale del mercato del trasporto ferroviario, che ha visto sì l’ingresso in questi ultimi anni di nuovi operatori (limitatamente al segmento del trasporto merci), ma che presenta ancora alcune barriere all’ingresso, di natura tecnica ed economica, che non lo rendono pienamente contendibile.  
Un’adeguata regolazione di tale settore rappresenta dunque uno strumento indispensabile per raggiungere l’obiettivo dell’apertura del mercato, che non sia solo formale ma anche sostanziale.
In questa direzione dev’essere visto con favore il recente disegno di legge con il quale il Governo Prodi ha proposto, tra l’altro, di istituire un’ Autorità  per i servizi e l’uso delle infrastrutture di trasporto, con funzioni di stimolo all’apertura dei mercati, di regolazione e coordinamento dell’intero settore dei trasporti, ivi incluso quello ferroviario.   Tale disegno di legge s’inquadra nel più ampio processo di liberalizzazioni (c.d. “pacchetto Bersani “) avviato dal Governo Prodi in questi ultimi mesi e finalizzato alla  tutela dei consumatori, allo sviluppo imprenditoriale e alla tutela della concorrenza.
 
I principi comunitari in materia di liberalizzazione
La politica europea di concorrenza si fonda su un quadro legislativo comunitario definito nei suoi punti essenziali dal Trattato, in particolare dagli articoli da 81 a 90, cui si aggiunge il regolamento del Consiglio relativo al controllo delle operazioni di concentrazione tra le imprese. Sulla base di questi testi fondamentali, la politica di concorrenza si articola attorno a quattro grandi settori di azione:
• repressione degli accordi restrittivi della concorrenza e degli abusi di posizione dominante;
• controllo delle concentrazioni tra imprese;
• liberalizzazione dei settori economici soggetti a monopolio;
• controllo sugli aiuti di Stato.
Con particolare riferimento al processo di liberalizzazione avviato al livello europeo, questo è consistito nell’apertura alla concorrenza di attività precedentemente esercitate in mercati di stampo monopolistico.
Nell’esporre le ragioni della politica di liberalizzazione adottata in questi ultimi anni, la Commissione[1] ha precisato che i diritti speciali, soprattutto di monopolio – concessi dagli Stati membri ad imprese pubbliche o private affinché possano adempiere ad una missione d’interesse economico generale in settori rilevanti, quali tra gli altri i trasporti – costituiscono in generale una contropartita degli oneri connessi all’espletamento della missione di servizio pubblico affidata alle imprese stesse. Tali diritti speciali non devono tuttavia andare al di là di quanto è necessario per l’adempimento di tale missione, altrimenti generano, ai sensi del diritto comunitario, situazioni restrittive della concorrenza.
I monopoli detenuti da talune imprese, se non sono giustificati da una missione d’interesse economico generale, nella maggior parte dei casi generano prezzi elevati, un servizio meno efficiente e ritardi in termini di innovazione o investimenti. E’ questa la ragione che ha spinto la Commissione a liberalizzare quei settori maggiormente soggetti a monopolio, al fine di migliorare la qualità del servizio e ridurre il livello dei prezzi.
Molto spesso questi monopoli riguardano — o hanno riguardato — le industrie a rete (trasporti, energia, telecomunicazioni). Ma in tali settori di attività è opportuno distinguere le infrastrutture dai servizi offerti sulla base di tali infrastrutture.
Se spesso è difficile creare una seconda infrastruttura concorrente, per ragioni legate ai costi d’investimento e per motivi di efficienza economica, per contro è possibile creare condizioni di concorrenza tra i servizi offerti. L’idea che la Commissione ha quindi elaborato è consistita nel aver separato l’infrastruttura dalle attività commerciali.
L’infrastruttura diventa così il semplice veicolo della concorrenza. Se sull’infrastruttura può sussistere il diritto di proprietà esclusiva (della rete ferroviaria, ad esempio), l’impresa monopolista deve consentire l’accesso a terzi intenzionati ad esercitare in concorrenza i servizi offerti sulla sua rete (i servizi di trasporto passeggeri o merci). Questo è il principio generale posto alla base delle direttive comunitarie sulla liberalizzazione dei trasporti.
Per realizzare il principio dell’apertura dei mercati soggetti a monopolio, la Commissione europea dispone di diversi strumenti, che autorevole dottrina[2]riconduce a tre tipi fondamentali:
  • c.d. liberalizzazione economica, consiste nell’abrogazione dei diritti speciali ed esclusivi, con l’effetto di liberalizzare l’accesso al mercato rimuovendone le barriere legali. E’ il tipico strumento utilizzato dal legislatore comunitario con l’emanazione di regolamenti e direttive che impongono agli Stati membri di abrogare le norme attributive dei suddetti diritti speciali ed esclusivi: di regola tali norme stabiliscono espressamente in quali casi è eccezionalmente legittimo preservare regimi di riserva e parziali posizioni di chiusura del mercato;
  • c.d. liberalizzazione amministrativa, consiste nella riforma della regolamentazione, con l’effetto di determinare una liberalizzazione delle attività, alleggerendo e semplificando adempimenti e vincoli  e introducendo peraltro nuove prescrizioni compatibili con il mercato (c.d. ri-regolazione). In questo ambito rientrano dunque quelle norme comunitarie volte a semplificare e a ridurre regole che, anche in settori monopolistici, complicavano l’acceso al mercato di nuovi operatori. Ciò non significa tuttavia l’eliminazione delle regole che governano i singoli mercati, bensì l’individuazione di regole che, seppur alleggerite e semplificate siano in grado di garantire il libero gioco della concorrenza;
  • c.d. regolazione asimmetrica, consiste nella promozione della concorrenza attraverso l’imposizione di regole finalizzate a disciplinare le relazioni tra gli operatori, sul presupposto di una condizione di disparità nelle condizioni di partenza. In questo ambito rientrano i regolamenti e le direttive comunitarie che obbligano gli Stati membri a conferire poteri precettivi e di controllo ad autorità di settore, affinché queste impongano agli operatori in posizione dominante responsabilità speciali e misure asimmetriche volte a riequilibrare il mercato.
 
La politica europea di liberalizzazione dei trasporti ferroviari
Al livello comunitario è possibile individuare un disegno normativo coerente che, partendo dai principi fondamentali sulla concorrenza, si amplia in una serie di provvedimenti specifici volti ad applicare tali principi a quei settori che, per proprie caratteristiche, richiedono una disciplina espressamente dedicata.
Anche nel settore dei trasporti, proprio per le peculiarità del mercato caratterizzato da una naturale tendenza ad una configurazione di tipo monopolista, nonché per la vocazione pubblica e la componente fortemente sociale del servizio stesso, non è stato possibile applicare direttamente i principi generali della concorrenza previsti nel Trattato, ma si è resa necessaria una legislazione ad hoc in grado di tenere nella dovuta considerazione tali aspetti[3].
Nel Trattato istitutivo accanto ai principi generali sulla concorrenza previsti al Titolo VI trova spazio nel Titolo V anche la politica comune in materia di trasporti che, di volta in volta e con provvedimenti mirati, deroga alla disciplina in materia di concorrenza per tenere presente gli aspetti specifici appena citati.
Nell’ambito pur ristretto dei trasporti terrestri, l’art. 70 istituisce la politica comune dei trasporti ed il successivo art. 71 ne stabilisce le modalità di attuazione, affidando al Consiglio il diritto di stabilire le norme comuni applicabili ai trasporti internazionali in partenza dal territorio di uno Stato membro o a destinazione di questo, o in transito sul territorio di uno o più Stati membri; le condizioni per l’ammissione di vettori non residenti ai trasporti nazionali in uno Stato membro; le misure atte a migliorare la sicurezza dei trasporti.
Ai successivi tre articoli si sottolineano alcune caratteristiche della politica dei trasporti e in particolare il divieto per gli Stati membri di introdurre norme che rendano meno favorevoli le condizioni di operatività dei vettori non residenti rispetto ai vettori nazionali (art. 72); la compatibilità degli aiuti pubblici volti al coordinamento dei trasporti o alla compensazione degli oneri che derivano dagli obblighi di servizio pubblico (art. 73); la necessità di tenere in primaria considerazione la situazione economica dei vettori quando si decidono misure in materia di prezzi e di condizioni di trasporto (art. 74).
Un importante principio di politica comune dei trasporti volto a favorire la libera concorrenza nel settore dei trasporti terrestri è stabilito all’art. 75, dove si prevede, per il traffico interno alla Comunità, l’obbligo di abolizione di discriminazioni consistenti nell’applicazione da parte di un vettore di prezzi e condizioni di trasporto differenti per le stesse merci e per le stesse relazioni di traffico e fondate sul paese di origine o di destinazione dei prodotti trasportati.
Analogamente a quanto disposto dall’art. 75, il successivo art. 76 vieta agli Stati membri di imporre ai trasporti effettuati all’interno della Comunità l’applicazione di prezzi e condizioni che importino qualsiasi elemento di sostegno o di protezione nell’interesse di una o più imprese o industrie particolari, salvo quando tale applicazione sia autorizzata dalla Commissione. Spetta dunque alla Commissione vigilare sul rispetto di tale divieto, avendo particolare riguardo, da una parte, alle esigenze di una politica economica regionale adeguata, alle necessità delle regioni sottosviluppate e ai problemi delle regioni che abbiano gravemente risentito di circostanze politiche e, d’altra parte, all’incidenza di tali prezzi e condizioni sulla concorrenza tra i diversi modi di trasporto.
L’ultima disposizione in materia è contenuta all’art. 77 e stabilisce che “le tasse o canoni che, a prescindere dai prezzi di trasporto, sono percepiti da un vettore al passaggio delle frontiere non debbono superare un livello ragionevole, avuto riguardo alle spese reali effettivamente determinate dal passaggio stesso”. Viene dunque introdotto un criterio di ragionevolezza nella loro determinazione e di proporzionalità ai costi reali sostenuti dalle pubbliche amministrazioni per espletare le procedure doganali relative al loro transito, nell’ottica di una progressiva riduzione di tali imposizioni fiscali altamente distorsive della concorrenza.
Gli articoli del Trattato appena citati sostanzialmente riprendono principi fondamentali espressi in linea generale dal Trattato, che tuttavia “risultano per i trasporti specificatamente ribaditi e riproposti, a causa della peculiarità del comparto in esame rispetto agli altri settori economici e del conseguente timore che, sulla scorta delle medesime, si potessero invocare, da parte degli Stati membri, regimi diversi per i trasporti rispetto ai principi del Trattato”[4].
Ma i principi generali contenuti nel Trattato di Roma richiedono per la loro attuazione pratica la stesura di documenti specifici che gli conferiscano forza di legge.
Le regole poste a tutela della concorrenza hanno trovato una rapida applicazione con il Regolamento 62/17/CEE, che, in applicazione dell’art. 81 (in materia di accordi, decisioni e pratiche concordate lesive della concorrenza) e dell’art. 82 (in materia di sfruttamento abusivo di posizione dominante), ne stabilisce le procedure di accertamento e le relative sanzioni. Ma, come detto, le particolari caratteristiche del settore dei trasporti hanno spinto il legislatore comunitario a riconoscere che nella politica comune dei trasporti si rende necessaria una regolamentazione della concorrenza diversa da quella degli altri settori economici, escludendo tale settore dall’applicazione del Regolamento 62/17/CEE. L’esclusione è avvenuta con l’emanazione nello stesso anno del Regolamento 62/141/CEE, attraverso il quale vengono esplicitamente esonerati dall’ambito di applicazione del Regolamento 62/17/CEE l’insieme dei trasporti terrestri per i quali si prevedeva di emanare entro breve tempo una disciplina ad hoc.
In realtà, almeno fino alla metà degli anni settanta, l’azione della Comunità nel settore dei trasporti ha proceduto con notevole lentezza ed il motivo del ritardo si deve essenzialmente ricercare nelle divergenti impostazioni degli Stati membri sull’attuazione della politica comune dei trasporti: molti di essi infatti ostacolavano la realizzazione di un sistema di trasporti unico ed integrato a livello europeo, e basato su criteri concorrenziali[5].
L’unico settore che ha di fatto ricevuto una rapida e tempestiva regolamentazione è stato proprio quello dei trasporti terrestri con il Regolamento 68/1017/CEE – che applica i principi contenuti nel titolo V e VI del Trattato, e con la successiva emanazione del Regolamento 70/1107/CEE –  relativo alla regolamentazione degli aiuti pubblici nel settore.
La disciplina prevista nel Regolamento 68/1017/CEE segue lo stesso schema previsto agli artt. 81, 82 e 86 del Trattato individuando, all’art. 2, le medesime fattispecie di divieto, ma prevedendo altresì una casistica specifica per quanto concerne le eccezioni, le esenzioni e la non applicabilità del divieto stesso.
Il secondo provvedimento di applicazione dei principi sulla concorrenza nel settore dei trasporti è rappresentato dal Regolamento 70/1107/CEE che detta una disciplina specifica sugli aiuti pubblici nel settore. Tale regolamento rende pienamente operativi gli artt. 87, 88 e 89 del Trattato in materia di aiuti di Stato alle imprese, a esclusione di quanto previsto dal Regolamento 69/1192/CEE, relativo alle norme comuni per la normalizzazione dei conti delle aziende ferroviarie e del Regolamento 69/1191/CEE, relativo all’azione degli Stati membri in materia di obblighi inerenti alla nozione di servizio pubblico nel settore dei trasporti per ferrovia, su strada e per via navigabile.
Nell’ordinamento comunitario, la materia della concorrenza nel settore dei trasporti oltre che trovare la propria fonte negli atti normativi (Trattato, regolamenti, direttive) è disciplinata anche negli atti ufficiali della Commissione (decisioni e comunicazioni) nonché in alcuni Libri Bianchi, che pur non essendo fonti normative in senso proprio assumono comunque rilevanza in quanto contengono la raccolta ufficiale di proposte della Commissione nel settore dei trasporti e costituiscono lo strumento per la loro realizzazione. 
In particolare nel primo Libro bianco sui trasporti elaborato dalla Commissione nel 1992[6] i concetti di liberalizzazione e di creazione del mercato comune ne rappresentarono i principi ispiratori. In questo documento addirittura si anticipavano quelli che sarebbero potuti essere gli effetti del processo di liberalizzazione e quindi dell’ingresso di nuovi operatori sul mercato dei trasporti: “gli operatori più dinamici tenteranno verosimilmente di realizzare economie di scala sia per difendere la posizione già detenuta sul mercato che per sfruttare le nuove opportunità che si presentano man mano; cercheranno anche di incrementare la produttività mediante interventi di modernizzazione tecnologica”.
Ma tali concetti hanno ispirato anche il recente Libro Bianco sui Trasporti del 2001[7]una decina d’anni, dal 1992 al 2001, con la sola eccezione di tale settore, l’obiettivo della creazione del mercato comune, come vedremo nel presente lavoro, è stato praticamente raggiunto. Il "cabotaggio stradale" può infatti dirsi oramai una realtà: nessun camion è oggi più obbligato, dopo aver compiuto un trasporto internazionale, a compiere il viaggio di ritorno a vuoto; esso può perfino caricare e trasportare merci in uno Stato diverso dal suo Paese di immatricolazione. Stesso discorso può farsi per il traffico aereo, oggi definitivamente aperto alla concorrenza, pur mantenendo livelli di sicurezza fra i più elevati al mondo. seppur con esclusivo riferimento al trasporto ferroviario. In tale documento si auspica infatti una effettiva apertura del mercato alla concorrenza, liberalizzandosi l’accesso da parte di tutti gli operatori comunitari ai servizi di cabotaggio per il trasporto di merci ed a quelli internazionali per il trasporto di passeggeri, con l’ingresso in tempi brevi di nuovi operatori, diversi dai tradizionali monopolisti nazionali[8]. Questo esplicito richiamo all’apertura del mercato nel settore ferroviario si deve al fatto che in
Il legislatore comunitario non si è limitato a disciplinare e ad adattare nell’ambito dei trasporti terrestri i principi comunitari in materia di concorrenza, ma si è spinto anche nella regolamentazione di alcuni aspetti specifici che hanno contribuito alla creazione del mercato comune.
L’intervento del legislatore comunitario nel settore del trasporto ferroviario ha comportato l’introduzione di elementi di regolamentazione finalizzati a renderlo maggiormente competitivo rispetto agli altri modi di trasporto e a migliorarne l’efficienza complessiva.
Un primo intervento è costituito dal Regolamento 69/1192/CEE relativo alle norme comuni per la normalizzazione dei conti delle aziende ferroviarie. Pur con un intervento limitato alle sei aziende ferroviarie nazionali degli Stati membri all’epoca facenti parte della Comunità, il legislatore ha riconosciuto la penalizzazione sofferta dalle imprese ferroviarie nel gioco competitivo con le altre imprese di trasporto dovuta ai costi di produzione superiori e alle esternalità positive ambientali non godute. A tal fine è stato previsto un meccanismo di normalizzazione dei conti al fine di individuare quelle compensazioni economiche (eliminazione delle voci di costo, compensazione con eventuali vantaggi goduti) che rendano possibile la parità di trattamento tra i diversi modi di trasporto.
Altri interventi normativi sono invece volti a migliorare l’efficienza del settore dei trasporti ferroviari sempre nell’ottica della concorrenza con le altre modalità di trasporto. Un provvedimento fondamentale in tal senso è la Direttiva 91/440/CEE che aveva l’obiettivo di predisporre strumenti per arrestare il declino dei sistemi nazionali, reso evidente sia dalla continua riduzione delle quote di mercato del trasporto ferroviario, sia dal crescente ricorso a trasferimenti pubblici per coprire i disavanzi delle imprese di trasporto. Il punto di arrivo di tale processo viene proprio identificato nella creazione di un sistema europeo di mercati liberalizzati nei quali possa operare un numero aperto di aziende, regolato dalle leggi di mercato e dalla concorrenza[9].
La Direttiva 91/440/CEE intende promuovere l’adeguamento delle ferrovie comunitarie attraverso l’incentivazione dell’autonomia gestionale, da conseguirsi attraverso la separazione della gestione dell’infrastruttura dalla gestione dei servizi di trasporto. Tale processo è obbligatorio sul piano contabile mentre rimane facoltativo sul piano organizzativo[10]. Gli Stati membri sono pertanto chiamati ad adottare “tutte le misure necessarie affinché le imprese ferroviarie dispongano, in materia di direzione, gestione, amministrazione e controllo amministrativo, economico e contabile interno, di uno status di indipendenza secondo la quale esse dispongono, in particolare, di un patrimonio, di un bilancio e d’una contabilità separati da quelli degli Stati”.
Nella direttiva è inoltre stabilita la necessità di un intervento di ogni singolo Stato membro per operare un risanamento finanziario delle imprese ferroviarie nazionali, nonché la libertà di accesso all’infrastruttura ferroviaria per le associazioni ferroviarie internazionali.
A integrazione della direttiva n. 440, negli anni successivi l’Unione Europea ha emanato due nuovi regolamenti in tema di trasporto su rotaia, la Direttiva 95/18/CE relativa al rilascio delle licenze per le imprese ferroviarie e la Direttiva 95/19/CE, relativa alla ripartizione delle capacità di infrastruttura ferroviaria e alla riscossione dei diritti per l’uso della stessa.  Tali provvedimenti sono importanti perché introducono il principio della regolamentazione del pagamento per l’accesso alla rete ed enunciano i seguenti principi in tema di regolazione e assegnazione dei diritti di accesso stesso:
·         gli Stati membri devono disciplinare il rilascio, la proroga e la modifica delle licenze destinate alle imprese ferroviarie;
·         gli Stati membri devono individuare un soggetto o un’autorità istituita ad hoc che si occupi della ripartizione della capacità ferroviaria attraverso l’assegnazione delle tracce orarie secondo principi di equità, non discriminazione, efficacia ed efficienza;
·         vengono identificati i requisiti necessari per configurare determinate aziende come imprese ferroviarie e le modalità da utilizzare per l’assegnazione delle tracce da parte del gestore della rete.
Uno degli elementi di maggiore innovazione è costituito senza dubbio dall’introduzione nei sistemi ferroviari europei del regime dei canoni di accesso alla rete. E’ proprio tale regime a dover permettere infatti un’ampia liberalizzazione, consentendo l’utilizzo delle reti da parte di una molteplicità di operatori, nazionali e stranieri, in concorrenza tra loro[11]. In realtà, tale sistema deve essere in grado di rispondere a una molteplicità di obiettivi, tra i quali quello di assicurare un adeguato sviluppo della concorrenza senza discriminazioni tra gli operatori, di garantire l’efficienza all’interno del sistema ferroviario e condizioni profittevoli a diversi soggetti.
Un ulteriore obiettivo dovrebbe essere anche quello di permettere al gestore della rete ferroviaria di coprire almeno una parte dei costi di gestione, dando la possibilità agli Stati di diminuire significativamente l’ammontare dei sussidi stanziati ogni anno a favore della stessa.
La normativa esaminata pur avendo rappresentato un importante punto di svolta nel settore ferroviario europeo non è riuscita tuttavia a raggiungere tutti gli obiettivi che si prefissava. E ciò si deve ricollegare, per alcuni[12], ai seguenti motivi:  
ü      ritardi nel recepimento delle direttive o recepimento minimali presso i singoli Stati membri;
ü      limiti intrinseci alla normativa tra cui “l’eccessiva ampiezza concessa a talune forbici di opzione (vi è una differenza fondamentale, per esempio, tra la separazione contabile e quella organizzativa per quanto riguarda gestione della rete ed esercizio del trasporto) e l’eccessiva prudenza in relazione a scelte fondamentali (concedere, per esempio il diritto di accesso alle sole associazioni internazionali di imprese e a chi esercita il trasporto combinato internazionale)”.
Come detto il Libro Bianco sui Trasporti del 2001, con esplicito riferimento al trasporto ferroviario, ha posto l’accento sulla necessità di una effettiva apertura del mercato alla concorrenza nei servizi di cabotaggio per il trasporto di merci ed a quelli internazionali per il trasporto di passeggeri, con l’ingresso in tempi brevi di nuovi operatori, diversi dai tradizionali monopolisti nazionali. Inoltre fa un espresso riferimento alla necessità di una separazione effettiva e non (come è avvenuto fino ad allora nella maggioranza degli Stati membri) meramente formale, tra la gestione dell’infrastruttura ferroviaria e la gestione dei servizi di trasporto ferroviario.
 
Il primo pacchetto ferroviario
La normativa appena esaminata è stata oggetto di un puntuale intervento legislativo che ha visto l’emanazione delle tre Direttive n. 2001/12/CE, 2001/13/CE e 2001/14/CE (note come “primo pacchetto ferroviario”), che hanno dato ulteriore impulso al processo di liberalizzazione del trasporto ferroviario incidendo sulla precedente disciplina dettata dalle Direttive n. 91/440/CEE, n. 95/18/CEE e n. 95/19/CEE.
L’obiettivo è stato quello di agevolare ulteriormente l’accesso delle imprese all’infrastruttura ferroviaria, nonché di soddisfare le richieste di tutti i tipi di utenti e di traffico, consentendo al gestore dell’infrastruttura di immettere sul mercato la capacità di infrastruttura disponibile al fine di utilizzarla in modo ottimale, migliorando il livello di affidabilità del servizio e, al tempo stesso, riducendo i costi che gravano sulla collettività[13].
Le tre direttive hanno pertanto riformato gli elementi fondamentali del processo di liberalizzazione del trasporto ferroviario introducendo alcune novità destinate a produrre effetti di rilievo sugli assetti istituzionali ed economici nazionali connessi a tale modalità di trasporto. Ai fini del presente lavoro è utile evidenziare, tra le altre, le seguenti novità:
ü      la liberalizzazione del traffico ferroviario internazionale di merci, entro marzo 2003 sulla c.d. “Rete TERFN (Trans European Rail Freight Network: 50.000 Km di rete europea) ed entro marzo 2008 dell’intero settore merci (internazionale e nazionale);
ü      la limitazione della liberalizzazione del traffico ferroviario internazionale di persone fino al 2010 al solo segmento realizzato da associazioni internazionali di imprese;
ü      la necessaria separazione fra attività di infrastruttura e attività di trasporto, attraverso assetti organizzativi delle aziende nazionali pubbliche che garantiscano bilanci di esercizio finanziario distinti;
ü      il divieto per il soggetto incaricato del rilascio delle licenze, dell’assegnazione delle tracce e dell’imposizione dei pedaggi di esercitare attività di trasporto e suo obbligo di indipendenza dalle imprese ferroviarie sul piano giuridico, organizzativo e decisionale;
ü      la necessità di istituire un organismo per la regolazione della concorrenza nel settore dei servizi ferroviari.
A pochi anni dalla loro entrata in vigore la Commissione Europea ha evidenziato in una comunicazione[14] che, “finora le direttive 2001/12/CE, 2001/13/CE e 2001/14/CE («primo pacchetto ferroviario») sono state recepite da circa la metà degli Stati membri, benché il termine ultimo fosse stato fissato al 15 marzo 2003. La Commissione ha promosso una serie di ricorsi per inadempimento presso la Corte di Giustizia nei confronti degli Stati membri che non hanno ancora notificato misure di recepimento. […] Nel complesso, la Commissione spera che queste direttive possano essere effettivamente applicate nell’Unione europea allargata nel 2004. Esse hanno una funzione essenziale ai fini della riforma del settore ferroviario europeo in quanto aprono alla concorrenza i servizi di trasporto ferroviario internazionale di merci, stabiliscono un quadro preciso e trasparente per la ripartizione della capacità di infrastruttura e l’imposizione dei diritti per il suo utilizzo e chiedono l’istituzione di un organismo di controllo in ciascuno Stato membro”.
 
Il secondo pacchetto ferroviario
Per completare il quadro sopra delineato, su proposta della Commissione è stato varato il c.d. “secondo pacchetto ferroviario”, composto da un insieme completo di misure annunciate nel Libro bianco sulla politica dei trasporti[15], quali il Regolamento 2004/881/CE, istitutivo dell’Agenzia ferroviaria europea e le direttive 2004/49/CE, 2004/50/CE e 2004/51/CE, che riguardano rispettivamente la sicurezza delle ferrovie, l’interoperabilità del sistema ferroviario transeuropeo convenzionale ed un ulteriore apertura del mercato dei trasporti ferroviario delle merci.
Tali direttive, una volta compiutamente implementate, favoriranno l’integrazione ulteriore e l’eliminazione degli ostacoli ancora esistenti alla prestazione dei servizi di trasporto ferroviario in Europa.
In questa sede assume rilevanza la direttiva 2004/51/CE che modifica la direttiva 91/440/CEE stabilendo, tra l’altro, l’estensione dei diritti di accesso alla rete a tutti i tipi di servizi di trasporto ferroviario di merci, a decorrere dal 1º gennaio 2007. Questa  liberalizzazione, conformemente al principio della libera prestazione dei servizi, migliora l’efficienza del trasporto ferroviario rispetto agli altri modi di trasporto e contribuisce inoltre ad un sistema di trasporti sostenibili tra gli Stati membri e al loro interno, stimolando la concorrenza e attirando nuovi capitali e nuove imprese.
Dai resoconti dei negoziati per l’approvazione della direttiva 2004/51/CE emerge che, per quanto concerne il trasporto ferroviario passeggeri, il Parlamento ha accettato il rifiuto del Consiglio di regolare la liberalizzazione dei servizi ferroviari passeggeri nell’ambito della presente direttiva. Il Consiglio ha tuttavia recepito un considerando in cui, per quanto concerne l’apertura del mercato dei servizi internazionali di trasporto ferroviario di passeggeri, la data del 2010 deve essere considerata «alla stregua di un mezzo atto a consentire a tutti gli operatori di prepararsi in modo appropriato»[16].
 
Il terzo pacchetto ferroviario
Dopo l’adozione nel febbraio del 2001 del “primo pacchetto ferroviario” e nell’aprile 2004 del “secondo pacchetto ferroviario”, la Commissione, perseguendo sempre l’obiettivo di migliorare qualità e sicurezza della rete ferroviaria comunitaria, ha lanciato il “Terzo pacchetto ferroviario”[17], che è in fase avanzata di definizione, secondo la procedura di codecisione esercitata congiuntamente dal Consiglio dell’Unione Europea e dal Parlamento europeo.
Trattasi delle direttive concernenti rispettivamente l‘apertura del mercato passeggeri e la licenza comunitaria dei macchinisti e del regolamento che disciplina i diritti dei passeggeri nel trasporto ferroviario internazionale. Una quarta proposta relativa alla qualità dei servizi merci è stata respinta dal Parlamento Europeo e non ha trovato accoglimento favorevole nemmeno al Consiglio.
La prima direttiva  si propone la liberalizzazione dei servizi internazionali dei passeggeri a decorrere dal 2010: a partire dunque dal 1 gennaio di tale anno le imprese ferroviarie titolari di licenza e di certificato di sicurezza potranno operare servizi di trasporto passeggeri internazionali all’interno del territorio comunitario. Il Parlamento Europeo, in prima lettura, aveva proposto l’anticipo della data al 2008 e l’inclusione nel campo di applicazione anche dei servizi nazionali a partire dal 2012, tema che sarà motivo di discussione nei futuri rapporti tra Consiglio e Parlamento Europeo.
La seconda direttiva stabilisce le condizioni e le procedure per la certificazione dei macchinisti. Lo scopo è quello di dare vita ad un meccanismo armonizzato a livello europeo di certificazione delle competenze e delle responsabilità in materia di formazione, valutazione e di riconoscimento delle qualifiche dei macchinisti e del personale di scorta ai treni.
Infine il regolamento prevede una serie di norme a tutela dei diritti dei passeggeri sui viaggi internazionali forniti da un’impresa ferroviaria in possesso di licenza. Il campo di applicazione è però limitato ai soli viaggi internazionali su servizi internazionali per quanto concerne le disposizioni relative ai ritardi ed agli standard di qualità.  Ci sono poi le disposizioni dirette ad assicurare l’assistenza alle persone a mobilità ridotta con una serie di prescrizioni a imprese ferroviarie, gestori delle infrastrutture e gestori della stazioni.
Una volta adottato il terzo pacchetto, si potrà considerare completato il quadro regolamentare europeo per il settore ferroviario, fatti salvi eventuali ulteriori miglioramenti.
 
 
 
La liberalizzazione dei trasporti  ferroviari in Italia
Sotto la spinta delle indicazioni comunitarie, di vincoli di bilancio pubblico sempre più stringenti e delle innovazioni tecnologiche, anche in Italia, come nel resto d’Europa, sono state messe in discussione le tradizionali politiche di gestione dei cosiddetti servizi pubblici, ivi inclusi i settori di trasporto.  
Il processo di riforma, peraltro ancora in corso, mira a disegnare nuovi mercati concorrenziali dove una molteplicità di soggetti si confrontano nell’offerta di quei servizi tradizionalmente gestiti da imprese pubbliche in regime di monopolio legale. In quest’ottica vanno lette le numerose e importanti privatizzazioni, avvenute in Italia durante gli anni novanta, che hanno aperto la strada alla liberalizzazione nell’offerta dei servizi nei campi dell’energia, delle telecomunicazioni e, appunto, dei trasporti.
In via preliminare si vuole però evidenziare come la normativa italiana in materia di trasporti in generale (non solo per quelli ferroviari) non segua uno schema ordinato gerarchicamente come quella comunitaria appena analizzata. Se a livello europeo è infatti possibile individuare i principi di fondo ai quali si ispira la politica della concorrenza e la politica comune dei trasporti, nulla di analogo è rintracciabile nella normativa nazionale che, in assenza di un disegno legislativo programmatico e di lungo termine, si compone principalmente di documenti di mero recepimento di quanto disposto in sede comunitaria e di una costellazione di interventi di natura urgente o straordinaria volti a sanare i disequilibri e le perturbazioni che di volta in volta si sono manifestate nel settore dei trasporti.
Il trasporto ferroviario italiano non è sfuggito, come gli altri settori, al generale cambio di indirizzo che ha caratterizzato le c.d. public utilities, investito fin dai primi anni novanta dalle disposizioni comunitarie. Pur tuttavia, rispetto alle altre modalità di trasporto, e, più in generale, alle altre public utilities, le ferrovie hanno scontato (ed ancora oggi sembrano scontare) notevoli ritardi nel processo di liberalizzazione. Queste difficoltà non sono proprie solo dell’Italia, che anzi negli ultimi anni si è mossa in maniera più decisa di altri paesi membri, e non possono essere solo attribuite alle peculiarità strutturali del settore, che lo rendono indubbiamente meno flessibile e meno permeabile di altri cambiamenti[18].
I recenti interventi legislativi in materia si sono rivolti principalmente alla razionalizzazione del settore e alla riorganizzazione del principale operatore pubblico costituito dalle F.S.  al fine di rispettare le prescrizioni comunitarie che imponevano di porre tutte le misure necessarie a garantire l’accesso di nuovi operatori alle infrastrutture ferroviarie. Secondo alcuni[19]i è trattato, però, di una riforma parziale, in quanto realizzata senza mettere in discussione il carattere monopolistico del mercato né le modalità del controllo pubblico sull’azienda stessa. s
Se il processo di liberalizzazione, come detto, si fa risalire agli anni novanta, il primo atto di un certo rilievo si realizza già nel 1985 quando le FS acquisiscono lo status giuridico di ente pubblico economico, rispetto a quello precedente di amministrazione autonoma dello Stato, con la conseguente acquisizione di un’autonomia gestionale dell’azienda alla stregua di una qualsiasi impresa commerciale.
La seconda tappa del processo di riorganizzazione è avvenuta nei primi anni novanta con la trasformazione delle FS in società per azioni. Pur essendosi trattato di una privatizzazione meramente formale e non sostanziale (altrimenti detta privatizzazione fredda)[20], essa ha permesso una certa autonomia dell’azienda nei confronti dello Stato sotto il profilo dell’elaborazione di nuovi progetti di risanamento aziendale.
Successivamente, con il D.P.R. 277/1998, venne recepita, seppur con enorme ritardo, la direttiva CEE n. 440 del 1991: con tale regolamento furono introdotti, tra gli altri, il principio della separazione contabile[21] tra gestione della rete ed esercizio del servizio di trasporto, ed il principio del libero accesso alla rete, anche se limitato alle sole associazioni internazionali di imprese ferroviarie specializzate nel trasporto passeggeri (a media e lunga distanza) e merci, nonché alle imprese ferroviarie che effettuano trasporti combinati internazionali di merci.
Come segnalato dall’Antitrust italiana[22]Per quanto riguardava, invece, l’aspetto relativo alla garanzia dei diritti di accesso, l’Autorità confidava che “il recepimento delle Direttive n. 95/18/CEE e n. 95/19/CEE, relative, rispettivamente, al rilascio delle licenze per lo svolgimento dell’attività di trasporto alle imprese ferroviarie e alla ripartizione della capacità infrastrutturale, avvenga in tempi brevi”,
ed, in particolare,auspicava “una rapida individuazione del soggetto competente per l’assegnazione delle tracce orarie, ribadendone il necessario carattere di terzietà, sul presupposto che “solo un organismo indipendente è in grado di garantire che l’allocazione della capacità infrastrutturale avvenga in modo equo e non discriminatorio”.
tale regolamento non introdusse alcun significativo processo di liberalizzazione, essendo anzi lacunoso per effetto del mancato recepimento delle direttive 18 e 19 del 1995. L’Autorità era infatti dell’avviso che “l’introduzione di un più elevato grado di concorrenza nel settore ferroviario richieda l’attuazione del principio di separazione tra gestione dell’infrastruttura e servizi di trasporto e la garanzia dei diritti d’accesso alla rete a favore di nuovi operatori.”. Con riferimento al primo aspetto ritenevainfatti che “il requisito obbligatorio della separazione contabile debba rappresentare solo un passaggio intermedio verso una separazione effettiva delle due attività [ed auspicava]  una rapida riorganizzazione del sistema ferroviario, attuata separando, sia sotto il profilo giuridico che proprietario, l’attività di gestione della rete da quella di erogazione dei servizi.
A breve distanza temporale da questa segnalazione dell’Antitrust venne emanato il   D.P.R. 146/19990 che, nel recepire le Direttive CE n. 18 e 19 del 1995, ha introdotto i principi per regolamentare il rilascio delle licenze e l’assegnazione delle tracce disponibili, con contestuale determinazione dei canoni di accesso all’infrastruttura.
La regolamentazione relativa ai canoni di accesso per l’utilizzo dell’infrastruttura è stata effettuata dall’allora Ministro dei Trasporti e della Navigazione che, previo parere favorevole del CIPE espresso con la delibera n. 180 del 5 novembre 1999, ha emanato il Decreto Ministeriale del 21 marzo 2000 n. 43/T, che ha stabilito i criteri e le modalità di determinazione del canone di pedaggio di accesso alla rete infrastrutturale.
Una delle principali novità della normativa sopra esaminata è stato certamente il superamento dell’istituto della concessione con quello della licenza, strumento che risulta molto più funzionale alla liberalizzazione dei servizi ferroviari: la discrezionalità dell’amministrazione è limitata infatti al mero accertamento del possesso dei requisiti tecnici e finanziari dell’impresa che vuole accedere al mercato e quindi all’infrastruttura, dietro pagamento di un canone o di un pedaggio. Ben diverso è invece il regime concessorio, con il quale si trasferisce una vera e propria   potestà pubblica, a seguito di una valutazione discrezionale dell’amministrazione ben più ampia e concernente anche profili di interesse pubblico e non solo il possesso dei suddetti requisiti da parte dell’impresa[23].
L’intera materia è stata infine ridisegnata dal Dlgs n. 188/2003, che nel dare attuazione alle direttive 200/12/CE, 2001/13/CE e 2001/14/CE, costituisce oggi il testo unico della normativa vigente in materia di  trasporti ferroviari, avendo abrogato e sostituito il DPR 277/98 ed il DPR 146/99.
Tale decreto ha ribadito e rafforzato i due principi cardine della liberalizzazione: l’autonomia tra le imprese che gestiscono l’infrastruttura ferroviaria e quelle che svolgono l’attività di trasporto ed  il diritto per queste ultime di accedere all’infrastruttura ferroviaria a condizioni non discriminatorie.
I principali elementi di novità introdotti dal Dlgs 188/03 sono quelli relativi:
         all’estensione dei principi di liberalizzazione anche ai sistemi ferroviari regionali connessi alla rete ferroviaria nazionale;
         alla creazione dell’Organismo di Regolazione in seno al Ministero delle Infrastrutture e Trasporti (ora Ministero dei Trasporti);
         alla creazione di un quadro di principi e linee guida per la fornitura dei servizi alle imprese ferroviarie che, a garanzia della libera concorrenza nel mercato del trasporto ferroviario, rende indipendenti dalle stesse imprese ferroviarie i servizi di manovra;
         all’introduzione della figura del cosiddetto “richiedente autorizzato”, cui conseguirà un significativo avvicinamento dell’offerta di trasporto ferroviario alla domanda di trasporto delle merci, in quanto sarà consentita l’acquisizione di capacità infrastrutturale da parte di qualsiasi soggetto titolare di interessi economici o di pubblico servizio, che intenda movimentare merci o passeggeri per ferrovia (rimangono quindi esclusi i soggetti che effettuano solo intermediazione commerciale sull’acquisizione di capacità).
Con l’emanazione di tale decreto, l’Italia è stata tra i primi Paesi in Europa a terminare la “fase discendente” dell’acquis comunitario sulla liberalizzazione, introducendo anche norme a maggiore garanzia della libera concorrenza tra imprese ferroviarie, unitamente a norme anticipatrici della nuova normativa comunitaria attualmente in fase di preparazione[24].
A completamento della descrizione del processo di riorganizzazione interna del Gruppo Ferrovie dello Stato, occorre precisare che, in una prima fase, l’azienda è stata oggetto di una divisione interna, con la previsione appunto di quattro divisioni:
 
·         La Divisione Infrastruttura;
·         La Divisione Passeggeri;
·         La Divisione Trasporto locale e Regionale;
·         La Divisione Cargo.
Successivamente si è proceduto ad una vera e propria separazione societaria: nel corso del 2000, le tre aree di business sono state infatti convogliate in una società di nuova costituzione, Trenitalia s.p.a., che si occupa di tutte le attività direttamente inerenti il servizio di trasporti, suddiviso secondo la tradizionale distinzione in traffico passeggeri e merci, mentre nel 2001 la prima Divisione infrastruttura è confluita in un nuovo soggetto societario, Rete Ferroviaria Italiana (RFI) S.p.a. Entrambe le società sono rimaste sotto il diretto controllo del gruppo Ferrovie dello Stato, trasformato nel 2000 in una S.p.a. holding e ciò costituisce per alcuni[25] un limite alla piena realizzazione dei principi di concorrenza nel settore: si afferma infatti che dopo la separazione societaria appare irrinunciabile anche la separazione proprietaria da realizzarsi attraverso la privatizzazione  quanto meno delle aziende che realizzano i servizi di trasporto
Si tenga presente, al riguardo, una differenza formaledi non poca importanza tra il DLgs 188/2003, ai sensi del quale “il gestore dell’infrastruttura ferroviaria è soggetto autonomo ed indipendente sul piano giuridico, organizzativo o decisionale dalle imprese operanti nel settore dei trasporti”(art. 11), rispetto alla norma comunitaria da esso recepita, la Direttiva 14/CE/2001, che sottolinea in più parti “la necessità di garantire l’indipendenza sul piano giuridico, organizzativo e decisionale” del gestore dell’infrastruttura dalle imprese ferroviarie. La ratio della norma comunitaria è che il gestore dell’infrastruttura e l’impresa di trasporto ferroviario devono essere, sotto il profilo sostanziale, effettivamente separate affinché non vi sia commistione tra le rispettive attività.
Oltre ai suddetti limiti, da più parti[27] si evidenziano altri ostacoli alla piena liberalizzazione dei trasporti ferroviari in Italia, primo tra tutti la mancanza di “interoperabilità” del materiale rotabile, da intendersi come compatibilità tecnica del materiale rotabile[28] utilizzato dall’impresa ferroviaria di qualunque Stato membro sulla rete ferroviaria di pertinenza. Si tratta di una questione che non coinvolge esclusivamente l’Italia: ciascuna ferrovia nazionale ha adottato i propri standard tecnici ed amministrativi così diversificando i sistemi di segnalazione, la fornitura di elettricità, le procedure di gestione, i sistemi di sicurezza, nonché la formazione dei macchinisti e la necessaria conoscenza da parte di costoro delle tratte di percorrenza. Tutto ciò significa che, benché potenzialmente le imprese ferroviarie siano in grado di offrire i propri servizi in qualsiasi Stato membro, vedendosi riconosciuto per legge il diritto ad accedere all’infrastruttura, concretamente fino a quando le tecnologie non verranno pienamente armonizzate, il materiale rotabile dovrà essere necessariamente adeguato alle caratteristiche delle relative tratte di percorrenza, così come gli stessi macchinisti a loro volta dovranno adeguare le loro competenze e conoscenze alle tratte di competenza.
1.      limiti di interoperabilità dei diversi sistemi ferroviari nazionali (come sopra già evidenziato);
2.      elevati costi di avviamento (acquisizione di materiale rotabile, di personale specializzato e dei diritti di accesso alla rete commerciale, limitata disponibilità di terminal e depositi ecc.), uniti alla scarsità di mercati sia primari che secondari per gli assets principali (anche per le problematiche legate all’interoperabilità), la quale si traduce in un innalzamento dei costi non recuperabili; 
3.      asimmetrie informative, di natura sia tecnica che commerciale;
4.      dinamica di mercato debole e, soprattutto per le merci, estremamente sensibile alle oscillazioni congiunturali dei sistemi economici nazionali;
5.      elevato costo unitario del lavoro;
6.      elevata conflittualità che caratterizza il settore e che si riflette sulla regolarità e sulla certezza dell’esercizio dei servizi;
7.      operatori dominanti frequentemente sussidiati, anche nei segmenti commerciali, a prezzi spesso al di sotto dei costi unitari;
8.      ostilità dell’ambiente, caratterizzato quasi sempre dalla presenza di operatori dominanti di proprietà pubblica, spesso in possesso di assets strategici e di rapporti consolidati con i gestori delle reti e dei terminal;  
9.      assenza di Autorità di regolazione e/o di organismi di vigilanza indipendenti, dotati di di esperienza sufficientemente consolidata e di strutture tecniche idonee ad assicurare un’adeguata supervisione su un settore così complesso ad evitare rischi di potenziali regulatory lag e regulatory capture.
Senza entrare nel dettaglio, si può qui evidenziare che le citate barriere all’ingresso nel mercato dei trasporti europeo sono in buona parte le stesse che caratterizzano anche il mercato dei trasporti italiano.
Con riferimento ai costi di avviamento ed in particolare a quelli legati all’acquisizione di materiale rotabile, a puro titolo esemplificativo si riportano di seguito alcuni dati che si ritengono particolarmente significativi :  
         i tempi per ottenere la disponibilità di una locomotiva dal momento dell’ordine sono molto lunghi (la tempistica è all’incirca di 18-24 mesi);
         i produttori delle locomotive sono pochi (Siemens, Ansaldo-Breda, Alstom, Bombardier);
         il costo per acquistare un locomotore nuovo è assai elevato: circa 2M€ (3-3,5M€ per una locomotiva politensione);
         il leasing è molto costoso e poco disponibile (mancano società del tipo delle Roscos inglesi, di cui si parlerà a breve);
         il mercato dell’usato è limitato ai soli paesi con uguale tensione (la tensione della rete italiana è di 3000Kv, mentre in quasi tutto il resto dell’UE – Germania e Francia in particolare – la tensione è di 15000Kv).
Con riferimento invece al punto 9) si rinvia a quanto si dirà in appresso in ordine soluzione attualmente vigente in Italia e a quella prevista nel disegno di legge presentato dal Governo Prodi, che prevede l’istituzione di un’apposita Autorità, con funzioni di stimolo all’apertura dei mercati, di regolazione e coordinamento dell’intero settore dei trasporti, ivi incluso quello ferroviario .
Il processo di liberalizzazione, seppur con i limiti appena evidenziati, ha riguardato esclusivamente il profilo dell’accesso alla rete dei soggetti che esercitano attività di trasporto (persone o merci), mentre il profilo della gestione della rete resta invece confinato in un regime di monopolio, essendo la stessa affidata in via esclusiva ad un solo soggetto (RFI S.p.A.) scelto dall’amministrazione[30].
Occorre anzi evidenziare, a conferma di quanto peraltro già stabilito dal DPR 277, che il Dlgs 188/2003 affida al gestore della rete l’importante ruolo di garante tecnico della concorrenza, proprio grazie all’obbligo normativo di provvedere alla ripartizione delle capacità, quale condizione primaria per lo svolgersi della concorrenza nella fornitura delle prestazioni di trasporto. Sulla base di un atto di concessione rilasciato dal Ministero e nel rispetto degli obblighi assunti con un contratto di programma, a tale soggetto compete pertanto la ripartizione delle capacità di infrastruttura e la certificazione dei requisiti di sicurezza che consentono alle imprese di trasporto di concorrere per l’assegnazione delle capacità stesse, oltre che una serie di attività che attengono più strettamente alla gestione vera e propria della rete.
 
La regolazione del mercato italiano dei servizi di trasporto ferroviario: l’attuale Organismo di regolazione ed il progetto di istituzione di una Autorità per i Trasporti.
Nel quadro del processo di liberalizzazione dei trasporti ferroviari in Europa è stata prevista al livello comunitario la costituzione obbligatoria presso ciascuno Stato membro dell’UE di un Organismo di Regolazione del mercato dei servizi di trasporto ferroviario.
La base giuridica è costituita dall’art. 10, comma 7 della direttiva 91/440/CE e dall’art. 30 della direttiva 2001/14/CE.
L’articolo 10, comma 7 della direttiva 91/440/CE (come modificato dall’art. 1, della direttiva 2001/12/CE) prevede che: “nel rispetto della normativa comunitaria e nazionale relativa alla politica della concorrenza e delle istituzioni competenti in materia, l’organismo di regolamentazione istituito a norma dell’articolo 30 della direttiva 2001/14/CE, od ogni altro organismo che goda di uguale indipendenza, vigila sulla concorrenza nei mercati dei servizi ferroviari, compreso il mercato del trasporto ferroviario di merci”.
L’articolo 30, comma 1 della Direttiva 2001/14/CE, dispone invece che: “gli Stati membri istituiscono un Organismo di Regolamentazione. Detto Organismo, che può essere il ministero competente in materia di trasporti o qualsiasi altro organismo, è indipendente, sul piano organizzativo, giuridico, decisionale e della strategia finanziaria, dai Gestori dell’infrastruttura, dagli organismi preposti alla determinazione dei diritti, dagli organismi preposti all’assegnazione e dai richiedenti. Esso agisce in base ai principi di cui al presente articolo, che consentono l’attribuzione di funzioni di impugnazione e di regolamentazione a organismi distinti”.
L’Italia ha provveduto a recepire nell’ordinamento nazionale la direttiva 2001/14/CE con il Decreto Legislativo 8 luglio 2003, n. 188 che, all’art. 37, individua l’Organismo di Regolazione, chiamato dunque a svolgere le attività di vigilanza e monitoraggio sulla concorrenza e sul grado di contendibilità dei mercati dei servizi di trasporto ferroviario.
Tra i compiti istituzionali dell’Ufficio assume in particolare rilievo quello riguardante le decisioni da adottarsi su atti ed attività degli operatori del settore (primo tra tutti il Gestore dell’Infrastruttura ferroviaria – R.F.I. S.p.A.), che abbiano dato luogo a trattamenti ingiusti, discriminatori o comunque pregiudizievoli per altri operatori ferroviari.
L’Ufficio vigila sull’applicazione delle norme che regolamentano l’accesso al mercato di cui trattasi affinché le stesse siano rispettate da tutti gli operatori e, qualora ciò non avvenga, deve adottare, sulla base di un ricorso o eventualmente d’ufficio, le misure necessarie volte a porre rimedio a quei comportamenti ritenuti ingiusti, discriminatori o comunque pregiudizievoli per gli altri operatori.
In presenza di una norma che dia adito a differenti interpretazioni e per effetto della quale sorga una controversia tra gli operatori del settore, l’Ufficio è chiamato ad individuare, interpretare e far applicare correttamente la norma stessa.
Le competenze dell’Ufficio per la Regolazione dei servizi ferroviari appena descritte sono destinate ad esaurirsi una volta concluso con esito positivo l’iter di approvazione in sede parlamentare del disegno di legge approvato dal Consiglio dei Ministri del 2 febbraio 2007, recante “Disposizioni in materia di regolazione e vigilanza sui mercati e di funzionamento delle Autorità indipendenti preposte ai medesimi”.
L’obiettivo del DDL è, in generale, quello di rendere più efficace e funzionale la regolazione dei  mercati. Per raggiungere tale obiettivo si è ritenuto necessario riorganizzare le attività ed il funzionamento delle Autorità amministrative indipendenti di regolazione, rafforzandone il ruolo e prevedendo, al tempo stesso, un maggior disimpegno dello Stato nella gestione dei servizi di pubblica utilità.
E’ bene mettere in evidenza che il progetto di riordino non riguarda tutte le Autorities esistenti, ma solo quelle con funzioni di regolazione[31].  Per tali ragioni, un aspetto su cui si dovrà necessariamente tener conto, in sede di approvazione in legge del DDL in esame, sarà la questione dei rapporti potenzialmente conflittuali tra queste Autorità di regolazione e l’Antitrust: in ultima istanza si deve evitare l’eventualità di una discrasia fra gli obiettivi che sono stati affidati a ciascuna Autorità, la quale, a sua volta, genera altresì sovrapposizioni di competenza sulla medesima materia[32].
Il DDL tratta per la prima volta in modo unitario le Autorità amministrative indipendenti di regolazione, prevedendo, tra l’altro, un sistema comune per la nomina dei loro componenti e medesimi organigrammi: il tentativo è dunque quello di  uniformare la disciplina delle Autorità che svolgono funzioni comuni, tenuto conto che fino ad oggi le singole leggi istitutive di un’Autorità ne hanno dettato una disciplina ad hoc.
Una delle questioni fondamentali che vuole affrontare il DDL è quella relativa alle modalità di finanziamento delle Autorità, che da sempre ha rappresentato “la cartina di tornasole” per misurarne la reale “indipendenza” dal potere politico.  Tale questione viene risolta con la previsione di una sorta di “autofinanziamento” delle Autorità[33] e della possibilità di sottrarsi alle regole di contabilità nazionale[34]   Si tratta di una  soluzione per taluni criticabile perchè rischia di penalizzare eccessivamente i privati (ed in particolare le imprese) e di lasciare un eccessivo margine di discrezionalità alle Autorità stesse nella propria gestione contabile.
Altra novità del DDL è la possibilità per le Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità di adottare misure temporanee di regolazione asimmetrica, nell’ambito dei poteri conferiti dalla legge e nel rispetto dell’ordinamento comunitario (art. 2, I comma). Al fine di accelerare e rendere effettiva l’introduzione della concorrenza le Autorità possono pertanto adottare misure restrittive nei confronti delle incumbent e, al contrario, misure favorevoli per le new entrants.
Da apprezzare è poi il nuovo sistema di accountability proposto nel DDL, nel quale è previsto che le Autorità “riferiscono al Parlamento sull’attività svolta e sui risultati conseguiti presentando una relazione annuale” allaistituendaCommissione parlamentare bicamerale per le politiche della concorrenza e i rapporti con le Autorità indipendenti di regolazione (art. 20, I comma).
L’istituzione di questa Commissione bicamerale è molto importante perché, se è vero che l’indirizzo generale è quello di prevedere un graduale disimpegno del Governo o comunque della Pubblica Amministrazione dalla gestione diretta dei servizi, è altrettanto vero che le Autorità, pur nella loro indipendenza, devono comunque “rendere il conto” al Paese delle attività svolte.
Nel settore dei trasporti non vi dubbio che è attualmente assente un organismo indipendente dal potere esecutivo con funzioni di stimolo all’apertura dei mercati, di regolazione e coordinamento: tali funzioni sono state opportunamente assegnate  dall’art.  5 del DDL alla istituenda Autorità  per i servizi e l’ uso delle infrastrutture di trasporto.
L’obiettivo prioritario in tal caso è quello di arrivare ad una vera e propria stabilità regolatoria del settore, che prescinda dai mutamenti intervenuti nell’ambito del potere esecutivo. Tale esigenza trova fondamento nell’assenza, nell’attuale assetto regolatorio dei trasporti, di regole stabili, credibili e tempestive.
La norma dispone espressamente che, “nell’interesse della concorrenza e dell’utenza, e nel rispetto della normativa comunitaria, tenuto conto degli indirizzi generali di politica economica, ambientale e sociale nel settore dei trasporti, l’Autorità promuove e garantisce:
a)  lo sviluppo di condizioni concorrenziali nei vari comparti;
b)  condizioni eque e non discriminatorie di accesso alle infrastrutture da parte dei soggetti che esercitano servizi di trasporto;
c)  adeguati livelli di efficienza e di qualità dei servizi;
d) livelli tariffari equi, trasparenti e orientati ai costi di una gestione efficiente per i servizi soggetti a regolazione, diretti ad armonizzare gli interessi economico-finanziari degli operatori, tramite il riconoscimento di un’equa remunerazione del capitale investito, con gli obiettivi generali di politica economica, ambientale e sociale nel settore dei trasporti.”
La norma precisa puntualmente l’ambito oggettivo di riferimento nel quale si esplicano le funzioni dell’Autorità, vale a dire:
a)      le condizioni di accesso alle infrastrutture autostradali, aeroportuali, portuali e ferroviarie, inclusi le relative pertinenze e i servizi accessori e complementari;
b) i servizi di trasporto, limitatamente agli ambiti in cui ancora non sussistono condizioni di effettiva concorrenza, modale o intermodale, al fine di garantire la salvaguardia degli interessi degli utenti e dei consumatori.
Sono sottoposti a regolazione economica da parte dell’Autorità gli usi infrastrutturali di cui al comma 2, lettera a) e, fatto salvo quanto al precedente comma 3, i seguenti servizi di trasporto:
a)      servizi di trasporto ferroviario di passeggeri a media e lunga percorrenza, con esclusione di quelli ad alta velocità, nonché servizi di trasporto ferroviario con riguardo all’assegnazione della capacità ferroviaria e dei servizi accessori e complementari;
b)      servizi di trasporto aereo di linea operati in regime di oneri di servizio pubblico, o comunque sovvenzionati con risorse pubbliche;
c)      servizi di trasporto aereo di linea con destinazioni esterne all’Unione europea, disciplinati da accordi bilaterali di traffico;
d)      servizi di navigazione sovvenzionata di cabotaggio marittimo.
L’Autorità vigila poi sull’allocazione degli slots aeroportuali negli aeroporti coordinati o pienamente coordinati ai sensi del Reg. Ce n. 95/93 e successive modificazioni e integrazioni e, nel rispetto delle rispettive competenze dello Stato, delle Regioni e degli enti locali, formula pareri in materia di apertura al mercato dei servizi di trasporto pubblico locale.
Definito l’ambito delle competenze della nuova Autority, la norma mira a precisare che, a livello statale, restano ferme in capo al  Ministero delle Infrastrutture, al Ministero dei Trasporti e al Cipe le rispettive funzioni di indirizzo generale, di tutela sociale, di programmazione e di pianificazione, di valutazione degli investimenti pubblici, di tutela della sicurezza.
Il successivo art.  6 elenca nel dettaglio le funzioni e i poteri dell’Autorità in esame, la quale dovrà:
a)      verificare che le condizioni e le modalità di accesso alle infrastrutture e ai mercati per i soggetti esercenti i servizi rispettino i principi della concorrenza, della trasparenza e dell’orientamento al costo, anche al fine di assicurare la prestazione del servizio in condizioni di eguaglianza, nel rispetto delle esigenze degli utenti, ivi comprese quelle degli anziani e dei disabili, garantendo altresì il rispetto dell’ambiente e del paesaggio, la sicurezza e l’adozione delle misure di prevenzione a tutela della salute degli addetti;
b)     formulare ai Ministeri competenti proposte per le modalità di rilascio delle concessioni e delle autorizzazioni, nonché per l’attribuzione degli incarichi di servizio pubblico, tali da salvaguardare il ricorso a procedure aperte, basate su criteri oggettivi, trasparenti e non discriminatori;
c)      emanare direttive per assicurare la trasparenza, la disaggregazione e la separazione contabile e gestionale delle imprese regolate nella misura utile alla promozione della concorrenza e all’esercizio delle funzioni di regolazione, anche in modo da distinguere i costi e i ricavi pertinenti alle attività di servizio pubblico;
d)     garantire un livello adeguato di protezione degli utenti e dei consumatori nei confronti dei fornitori e vigilare sulla diffusione di condotte in danno degli utenti, dei consumatori e dei concorrenti, anche al fine di segnalare all’Autorità garante della concorrenza e del mercato la sussistenza di ipotesi di violazione della normativa a tutela della concorrenza;
e)      verificare periodicamente la proporzionalità della regolamentazione del settore proponendo misure meno restrittive della libertà di impresa, nonché rivedendo le misure di propria competenza;
f)       verificare l’adeguatezza della varietà delle offerte e promuovere la semplificazione degli adempimenti richiesti agli utenti e ai consumatori;
g)     assicurare che tariffe, canoni, pedaggi, diritti, comunque denominati, siano equi, trasparenti, non discriminatori e orientati ai costi, secondo criteri che incentivino l’efficienza, la qualità dei servizi e un adeguato sviluppo degli investimenti, e che considerino il grado di liberalizzazione, la struttura di mercato, l’intensità della concorrenza attuale e prospettica, le ripercussioni su eventuali mercati collegati, il confronto internazionale, l’equilibrio economico-finanziario delle imprese regolate e l’incidenza di eventuali costi sostenuti per servizi di interesse generale, tenendo separato dalla tariffa qualsiasi tributo od onere improprio; ove le tariffe di cui alla presente lettera riguardino una concessione di costruzione e gestione di lavori pubblici le misure sono adottate d’intesa con il Ministero delle infrastrutture e per quanto di competenza del Ministero dell’economia e delle finanze;
h)     promuovere la diffusione di informazioni su tariffe, canoni, pedaggi, diritti, comunque denominati, e sulle altre condizioni di offerta delle infrastrutture e dei servizi regolati, al fine di stimolare la qualità delle offerte ed ampliare le scelte a disposizione degli utenti e dei consumatori.
 
Nello svolgimento delle suddette funzioni l’Autorità esercita i seguenti poteri:
a)      esprime parere obbligatorio sulle proposte dirette a sottrarre alla concorrenza nel mercato servizi di trasporto e sulla definizione delle attività da sottoporre a obblighi e oneri di servizio pubblico, e delle attività oggetto dei contratti di programma e di servizio, nonché sui criteri di determinazione delle relative compensazioni;
b)     qualora sussistano le condizioni previste dall’ordinamento, propone all’amministrazione competente la sospensione, la decadenza o la revoca degli atti di concessione, delle convenzioni, dei contratti di servizio pubblico, dei contratti di programma e di ogni altro atto assimilabile comunque denominato;
c)      valuta i costi per gli obblighi e gli oneri di servizio pubblico, definiti secondo le procedure vigenti;
d)     determina i criteri per la formazione e l’aggiornamento di tariffe, canoni, pedaggi, diritti e prezzi sottoposti a controllo amministrativo comunque denominati, delibera sui livelli massimi applicabili, e vigila sul rispetto degli stessi, fermo restando quanto previsto dalla lettera g, del comma 1 del presente articolo, in relazione alle concessioni di costruzione e gestione di lavori pubblici;  
e)      determina i criteri per la redazione della contabilità dei costi e, ove ricorra l’opportunità, per la separazione contabile nonché per la classificazione e l’imputazione dei costi e dei ricavi pertinenti ad obblighi e oneri di servizio pubblico, e vigila sul loro rispetto;
f)       ove opportuno, nel rispetto del principio di proporzionalità e delle norme comunitarie, dispone obblighi e modalità di separazione contabile e gestionale delle imprese verticalmente integrate sottoposte alla sua competenza;
g)     disciplina le condizioni di accesso alle reti e alle infrastrutture che siano gestite sulla base di un diritto esclusivo o comunque in assenza di condizioni di effettiva concorrenza; valuta, anche d’ufficio, se le condizioni richieste dai gestori delle infrastrutture o il rifiuto di accesso alle reti e alle infrastrutture di cui alla presente lettera siano giustificati in base a criteri oggettivi, trasparenti, non discriminatori; in caso contrario, determina le condizioni da rispettare e, se del caso, irroga le sanzioni di cui al presente articolo;
h)     stabilisce standard qualitativi minimi che i soggetti sottoposti alla sua competenza sono tenuti a garantire e vigila, anche avvalendosi delle strutture di altri enti, sul loro rispetto; indica le informazioni che i soggetti regolati devono rendere pubbliche in merito al livello qualitativo e alle altre condizioni di messa a disposizione delle infrastrutture e di fornitura dei servizi; richiede ai soggetti regolati la pubblicazione di impegni sui livelli qualitativi da raggiungere in periodi pluriennali e determina, ove opportuno e non già altrimenti previsto, gli indennizzi automatici in favore degli utenti e dei consumatori in caso di inadempimento;
i)       controlla che le condizioni di messa a disposizione delle infrastrutture di rete e di prestazione dei servizi siano conformi alla legge, ai regolamenti ed agli atti di regolazione e che non vi siano discriminazioni ingiustificate;
j)        promuove la redazione di codici deontologici e norme di autoregolamentazione, e controlla che ciascun soggetto che mette a disposizione reti e infrastrutture o presta servizi regolati adotti una carta dei servizi;
k)     richiede a chi ne sia in possesso le informazioni e l’esibizione dei documenti necessari per l’esercizio delle sue funzioni, nonché raccoglie da qualunque soggetto informato dichiarazioni, da verbalizzare se rese oralmente; 
l)       qualora sussistano elementi che indicano possibili violazioni della regolazione negli ambiti di propria competenza, svolge ispezioni presso i soggetti regolati mediante accesso a impianti e mezzi di trasporto; durante l’ispezione, anche avvalendosi della collaborazione di altri organi dello Stato, può controllare i libri contabili e qualsiasi altro documento aziendale, ottenerne copia, chiedere chiarimenti e altre informazioni, apporre sigilli; delle operazioni ispettive e delle dichiarazioni rese deve essere redatto apposito verbale;
m)   svolge indagini conoscitive di natura generale, se opportuno in collaborazione con l’Autorità garante della concorrenza e del mercato e con altre amministrazioni o autorità di regolazione;
n)     ordina la cessazione delle condotte in contrasto con gli atti di regolazione economica e con gli impegni assunti dai soggetti regolati, disponendo le misure opportune di ripristino; nei casi in cui intenda adottare una decisione volta a fare cessare un’infrazione e le imprese propongano impegni idonei a rimuovere le preoccupazioni da essa manifestate, può rendere obbligatori tali impegni per le imprese e chiudere il procedimento senza accertare l’infrazione; può riaprire il procedimento se mutano le circostanze di fatto su cui sono stati assunti gli impegni o se le informazioni trasmesse dalle parti si rivelano incomplete, inesatte o fuorvianti; in circostanze straordinarie, ove ritenga che sussistano motivi di necessità e urgenza, al fine di salvaguardare la concorrenza e tutelare gli interessi degli utenti rispetto al rischio di un danno grave e irreparabile, può adottare provvedimenti temporanei di natura cautelare;
o)     valuta i reclami, le istanze e le segnalazioni presentate dagli utenti e dai consumatori, singoli o associati, in ordine al rispetto dei livelli qualitativi e tariffari da parte dei soggetti esercenti il servizio regolato, ai fini dell’esercizio delle proprie competenze;
p)     favorisce l’istituzione di procedure semplici e poco onerose per la conciliazione e la risoluzione delle controversie tra esercenti e utenti;
q)     ferme restando le sanzioni previste dalla legge, da atti amministrativi e da clausole convenzionali, irroga una sanzione amministrativa pecuniaria sino al 10 per cento del fatturato dell’impresa interessata nel caso di: inosservanza dei criteri per la formazione e l’aggiornamento di tariffe, canoni, pedaggi, diritti e prezzi sottoposti a controllo amministrativo, comunque denominati; inosservanza dei criteri per la separazione contabile, e la disaggregazione dei costi e dei ricavi pertinenti alle attività di servizio pubblico; violazione della disciplina relativa all’accesso alle reti e alle infrastrutture o delle condizioni imposte dall’Autorità; inottemperanza agli ordini e alle misure disposte;
r)       irroga una sanzione amministrativa pecuniaria sino al 5 per cento del fatturato dell’impresa interessata in caso di violazione dei provvedimenti dell’Autorità diversi da quelli di cui alla lettera precedente e alla lettera successiva;
s)      applica una sanzione amministrativa pecuniaria sino all’1 per cento del fatturato dell’impresa interessata qualora, nell’interesse o a vantaggio della medesima: i destinatari di una richiesta dell’Autorità forniscano informazioni inesatte, fuorvianti o incomplete, oppure non forniscano le informazioni nel termine stabilito; i destinatari di un’ispezione rifiutino di fornire ovvero presentino in modo incompleto i documenti aziendali, nonché rifiutino di fornire o forniscano in modo inesatto, fuorviante o incompleto i chiarimenti richiesti;
t)       applica la sanzione di cui alla lettera q) del presente comma, che può essere aumentata fino al 50%, in caso di inottemperanza agli impegni di cui alla lettera n).
Tra i poteri sopra elencati meritano di essere evidenziati in particolare quelli di natura sanzionatoria, che rappresentano di regola uno dei segni distintivi delle Autorità indipendenti. Tali poteri non competono invece all’attuale Organismo di regolazione dei servizi ferroviari di cui si è detto in precedenza, trattandosi di un soggetto posto alle dirette dipendenze del Ministro dei Trasporti e dunque in una posizione di non assoluta autonomia. E’ di tutta evidenza che la possibilità di irrogare sanzioni rende maggiormente efficace e cogente l’azione “regolatoria” dell’Autorità.
 
La situazione nelle altre realtà europee.
Il processo di liberalizzazione
Nel corso degli anni novanta, spinti dal processo di liberalizzazione attivato al livello europeo e mondiale e dalla grave situazione economica che affliggeva le compagnie ferroviarie nazionali, molti paesi dell’unione Europea, tra cui in particolare Gran Bretagna, Francia, Germania, Olanda, hanno dato il via ad ampi processi di riforma dei sistema ferroviari nazionali, che, pur seguendo percorsi tra loro differenziati, avevano come comune denominatore il raggiungimento dell’efficienza economica delle aziende del settore[35].
In Gran Bretagna si è puntato su un rapido passaggio dal vecchio monopolio nazionale a un modello altamente concorrenziale. In seguito alla privatizzazione dell’infrastruttura, le concessioni per la fornitura del servizio sono state liberalizzate e le imprese private hanno ottenuto per affidamento diretto la gestione di gruppi di linee. Per mettere su un piano di parità tutti i vettori, il materiale rotabile è stato affidato a società private, conosciute come Roscos, che stipulano con gli operatori contratti di leasing. Tuttavia gli operatori del trasporto (TOCs) una volta privatizzati hanno cercato di contenere le spese tagliando sui costi del personale e su quelli di manutenzione, ottenendo in conseguenza risultati molto controversi sul piano della qualità e della sicurezza. Ciò ha indotto ad un totale ripensamento sulle scelte fatte facendo tornare la gestione della rete in mano pubblica. Per quanto concerne invece l’accesso alla rete, questa risulta molto avanzata, come testimonia il numero elevato di imprese operanti nel settore.
La Francia ha avviato nel 1993, con un ritardo di due anni rispetto alla direttiva 440/91/CEE un programma di riforma del suo sistema ferroviario, che ha avuto come risultato principale quello di separare su un piano societario la gestione della rete (affidata a RFF – Réseau Ferré de France), dalla gestione dei servizi. In questo ultimo ambito la competizione è avvenuta tra i tre grandi gruppi presenti sul territorio nazionale (RATP, SNCF, SLTC) e in pratica è consistita in gare per il management e gli investimenti.
La Germania è stato uno dei primi paesi ad avviare già nel 1991 una radicale ristrutturazione del proprio sistema ferroviario, resa peraltro più complessa per effetto della recente unificazione con l’ex Germania orientale e la conseguente acquisizione della relativa azienda di trasporto. Tale processo ha portato nel 2002 alla definitiva separazione e privatizzazione delle tre aziende relative al trasporto passeggeri, al trasporto merci e alla gestione dell’infrastruttura. Con riferimento all’accesso alla rete, mediante procedure concorsuali si è proceduto a selezionare i 400 operatori privati che sono entrati nel settore in qualità di subappaltatori rispetto alla compagnia nazionale DB (Deutsch Bahn).
In Olanda il processo di riforma, cha ha avuto avvio nel 1992, è molto simile a quello adottato in Gran Bretagna perché punta su una graduale privatizzazione del sistema  ferroviario riducendo sensibilmente il ruolo dello Stato nel settore. L’azienda nazionale (NS) è stata così trasformata in una società holding, denominata NS Group, composta da società satellite responsabili delle diverse aree (passeggeri, merci, gestione stazioni). Nello stesso tempo è stata costituita la Railned, altra società del gruppo NS, responsabile dello sviluppo, pianificazione e manutenzione dell’infrastruttura ferroviaria. L’azienda NS è il più grande operatore, ma negli ultimi anni hanno fatto ingresso diversi operatori che si sono posti in concorrenza con la suddetta società.
Gli organismi di regolazione al livello europeo
Le direttive comunitarie sulla liberalizzazione dei trasporti sono state recepite in ogni Stato con tempistiche e modalità differenti.
Con particolare riferimento all’istituzione obbligatoria degli organismi di regolazione ai sensi dell’art. 30 della citata 2001/14/CE direttiva, emerge che gli stessi sono stati strutturati differentemente sia dal punto di vista organizzativo e delle competenze che dal punto di vista delle risorse umane e strumentali messe a loro disposizione.
Sotto il profilo organizzativo sono stati adottati dagli Stati membri tre distinti modelli.
Il modello ministeriale (adottato in Italia, Belgio, Danimarca, Estonia, Grecia, Finlandia, Francia, Irlanda, Lituania, Lussemburgo, Norvegia, Slovenia e Spagna) prevede l’incardinamento di alcune funzioni degli organismi di regolazione presso strutture ministeriali prive, tuttavia, di quei poteri decisori che sono propri di tali organismi.
Il modello dell’Autority del settore ferroviario, le c.d. Railway Authority in Svizzera, Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia, Portogallo, Svezia e Repubblica Slovacca), prevede che le funzioni di regolazione siano assegnate ad un’autorità di sorveglianza ferroviaria tradizionale che si occupa soprattutto delle licenze, della sicurezza e di altre funzioni amministrative tipiche del settore. (previste
Infine, il terzo modello è quello dellespeciali Autorità di Regolazione, le cc.dd. Special Regulatory Authority (adottate in Austria, Germania, Gran Bretagna, Olanda),indipendenti funzionalmente dall’esecutivo, con competenze specifiche in materia di regolazione dei mercati ed ampi poteri decisori. L’Autorità dei Trasporti prevista come detto nel disegno di legge attualmente all’esame delle Camere sembra rientrare più in questo ultimo modello, non essendo limitata al solo settore ferroviario e non avendo alcuna competenza in materia di sicurezza.
 
Conclusioni
L’analisi sui processi di liberalizzazione e privatizzazione attivati in Italia nel settore dei trasporti ferroviari ha evidenziato la rilevanza dei cambiamenti in atto, ma al tempo stesso le numerose difficoltà che si stanno presentando lungo il cammino della riforma.
Le caratteristiche tecnologiche di questo settore, i contenuti altamente sociali del servizio offerto e le stesse ricadute economiche sul resto dell’economia sono fattori che non consentono di introdurre un regime di libero mercato puro e richiamano anzi una forte presenza del soggetto pubblico.
Il ruolo di quest’ultimo dovrebbe essere limitato alla pianificazione dello sviluppo infrastrutturale e alla programmazione dell’offerta, esercitando contestualmente un’attività di controllo dell’operato delle imprese di trasporto presenti nel mercato. In realtà il ruolo del soggetto pubblico sta seguendo percorsi differenziati a seconda degli ambiti modali di riferimento.
Nel settore ferroviario, come abbiamo visto, lo spazio concesso all’attore pubblico riguarda principalmente i rapporti diretti con il gestore dell’infrastruttura ferroviaria, mentre la fornitura del servizio di trasporto viene svolta da aziende private in competizione tra loro. Ma tale assetto, al quale si è pervenuti a seguito di un lungo e complesso processo di trasformazione e di societarizzazione dell’attuale Gruppo FS Holding, risulta oggi attuato solo al livello normativo se è vero che sia Trenitalia s.p.a. che RFI s.p.a. sono ancora sotto il diretto controllo del gruppo stesso. Ciò rappresenta per molti un limite alla piena realizzazione dei principi di concorrenza nel settore: dopo la separazione societaria appare infatti irrinunciabile anche la separazione proprietaria da realizzarsi attraverso la privatizzazione quanto meno delle aziende che realizzano i servizi di trasporto. La stessa Antitrust ha più volte avuto modo di rilevare che “nonostante il consolidamento del principio di separazione, il Gruppo FS, per l’assetto organizzativo che lo connota, continua in realtà a configurarsi come un’unica entità economica e la società holding FS risulta ancora in grado di condizionare le politiche di impresa delle società appartenenti al medesimo gruppo, in virtù dei rapporti di controllo e degli interessi economici in comune con le imprese RFI, cui è affidata la gestione dell’infrastruttura ferroviaria, e Trenitalia”.
A ciò si aggiunga che un ulteriore ostacolo alla piena liberalizzazione del mercato ferroviario è rappresentato dalla mancanza di “interoperabilità” del materiale rotabile, questione che peraltro non riguarda esclusivamente il nostro paese: ciascun gestore della rete nazionale ha infatti adottato i propri standard tecnici ed amministrativi, diversificando i sistemi di segnalazione, la fornitura di elettricità, le procedure di gestione, i sistemi di sicurezza, nonché la formazione dei macchinisti e la necessaria conoscenza da parte di costoro delle tratte di percorrenza. Tutto ciò significa che, benché potenzialmente le imprese ferroviarie siano in grado di offrire i propri servizi in qualsiasi Stato membro, vedendosi riconosciuto per legge il diritto di accesso all’infrastruttura, concretamente fino a quando le tecnologie non verranno pienamente armonizzate, il materiale rotabile dovrà essere necessariamente adeguato alle caratteristiche delle relative tratte di percorrenza, così come gli stessi macchinisti a loro volta dovranno adeguare le loro competenze e conoscenze alle tratte di competenza.
Emerge, tuttavia, con chiarezza che la transizione procede in Italia con numerosi ostacoli e molta è ancora la strada da percorrere. Non vi è dubbio che la riforma intrapresa nel settore dei trasporti, così come del resto in altri settori (telecomunicazioni, energia ecc.), rappresenti un passaggio importante in vista della modernizzazione e della razionalizzazione del sistema economico italiano e, in un ottica più allargata, comunitario. C’è sempre il rischio tuttavia che i processi di riforma avviati restino, in certi casi, più di forma che di sostanza, soprattutto laddove vengano adottati principi “preconfezionati” anche quando non sembrano esserci possibilità di conseguire risultati in termini di efficienza.
Non si può infatti nascondere che la spinta alla liberalizzazione del nostro sistema non è nata certo da spontanee, improvvise ed altrimenti inspiegabili evoluzioni. Anzi, questa non sarebbe mai arrivata se non ci fosse stata una forte, costante ed incisiva pressione comunitaria, che ha fatto così penetrare la "cultura" della concorrenza nel nostro sistema e l’ha resa ad esso sempre più connaturataMa, come ho già sottolineato in apertura, l’incidenza del diritto comunitario non si è esaurita in tale svolta; essa ha più radicalmente conformato il nostro ordinamento, come del resto quello degli altri Stati membri, diventando per tutti l’orizzonte per così dire naturale della rispettiva esperienza giuridica.
 


[1] COMMISSIONE EUROPEA – “La politica di concorrenza in Europa e il cittadino”, 2000, in http://europa.eu.int.
[2] vesperini. g. – Napolitano g. – Op.cit. , p. 11
 
[3] zucchetti r. – ravasio m. – (a cura di) Trasporti e concorrenza, Milano, 2001, p. 28. Sulle ragioni dell’autonoma rilevanza riservata dai redattori del Trattato ai trasporti cfr. anche MUNARI F. – Il diritto comunitario del trasporti, Milano, 1996, p. 11.
 
[4] MUNARI F. – Op. cit. p. 14.
 
[5] BELLIENI N. in Trattato istitutivo della Comunità Economica Europea – Commentario, (a cura di) Quadri R., Trabucchi A., vol. I, Milano, 1965, p. 551.
 
[6] COMMISSIONE EUROPEA – LIBRO BIANCO su “Lo sviluppo futuro della politica comune dei trasporti – una strategia globale per la realizzazione di un quadro comunitario atto a garantire una mobilità sostenibile” – COM/92/494def.
 
[7] COMMISSIONE EUROPEA – LIBRO BIANCO su “La politica europea dei trasporti fino al 2010: il momento delle scelte”, COM (2001).
 
[8] ZUNARELLI S. – Il libro Bianco sui trasporti: elementi di novità e di continuità della politica dell’Unione Europea nel settore dei Trasporti, in Diritto dei Trasporti, 2002, 465.
 
[9] arrigo u. – beccarello m. – Il trasporto ferroviario: la convergenza europea nel settore pubblico, Milano, 2000, p. 11.
 
[10] L’art. 6 della direttiva 440 dispone infatti che:
1 . Gli Stati membri adottano le misure necessarie per garantire, sul piano della contabilità, la separazione delle attività relative all’esercizio dei servizi di trasporto da quelle relative alla gestione dell’infrastruttura ferroviaria. L’aiuto concesso ad una di queste due attività non può essere trasferito all’altra. I conti relativi a queste due attività sono tenuti in modo tale da riflettere tale divieto.
2. Gli Stati membri possono inoltre prevedere che detta separazione comporti sezioni organiche distinte all’interno di una stessa impresa o che la gestione dell’infrastruttura sia esercitata da un ente distinto.
Con riferimento a questo secondo comma buona parte della dottrina, come per esempio il BUSTI S.Profili innovativi nella disciplina comunitaria del trasporto ferroviario, in Diritto dei Trasporti, 2003, 27, l’art. 6, mette in risalto come tale norma introduca il principio della separazione solo contabile e non anche societaria fra le attività di gestione dell’infrastruttura e quelle di trasporto.
 
[11] arrigo u. – beccarello M. – Op. cit. p. 13.
 
[12] ARRIGO U. – BECCARELLO M. – Op. cit. p. 12.
 
[13] picciano i. – I confini interpretativi della dottrina dell’essential facility e sua applicazione al mercato del trasporto ferroviario in Italia: problemi e limiti, in Diritto comunitario e degli scambi internazionali, 2004/2, 396.
 
[14] COMMISSIONE EUROPEA – Comunicazione su “Il futuro dell’integrazione del sistema ferroviario europeo: il terzo pacchetto ferroviario”, COM(2004)140 def.
 
[15] COMMISSIONE EUROPEA, Op. cit.
 
[16] Relazione sul progetto comune, approvato dal comitato di conciliazione, di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 91/440/CEE relativa allo sviluppo delle ferrovie comunitarie in http://www2.europarl.eu.int
 
[17] COM(2004) 140 def.
 
[18] A ciò si aggiunga, come rileva SOLIMENE L. – Servizio universale, liberalizzazione dei mercati e regolamentazione dei servizi di pubblica utilità, in Economia pubblica, II/2002, p. 18, che la rete ferroviaria è in Italia una risorsa non duplicabile e come tale scarsa, a differenza, per esempio, degli Stati Uniti, dove la grande disponibilità di territorio ha reso possibile lo sviluppo di numerose reti ferroviarie (di compagnie private, soprattutto nel trasporto delle merci) in concorrenza tra loro.
 
[19] arrigo u. – beccarello m. – Op. cit. p. 21.
 
[20] Le FS s.p.a. sono infatti a totale partecipazione pubblica, essendo stato assegnato per intero il capitale della stessa al Ministero del Tesoro (ora Ministero dell’Economia e delle Finanze) che esercita tuttora i poteri di azionista di concerto con il Ministero dei Trasporti. Sull’argomento cfr. anche MASTRANDREA G. – “Il sistema dei trasporti tra organizzazione e mercato”, in AA.VV., (a cura di A. Xerri) “Trasporti e globalizzazione: materiali per una ricerca”, Cagliari, 2004, 77 e ss.
 
[21] In stretto adempimento a quanto prescritto dalla Comunità Europea con la direttiva 440, che non imponeva, come detto, una separazione societaria, ma riteneva possibile anche una mera separazione contabile. Al riguardo cfr. BRANCASI A. – Op. cit. p. 43
 
[22]“Parere/segnalazione ” del 5 giugno 1998 dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato sullo schema di regolamento di attuazione della direttiva n. 91/440/CEE relativa allo sviluppo delle ferrovie comunitarie in http://www.agcm.it
 
[23] La scelta del legislatore è stata quella di conservare tale regime concessorio per la sola gestione della rete ferroviaria, che oggi compete a RFI S.p.A., mentre l’accesso alla rete è governato dallo strumento della licenza, al quale è sottoposta l’altra società del gruppo FS, Trenitalia S.p.A. e tutte le altre imprese ferroviarie che intendono esercitare servizi di trasporto sulla rete nazionale. Come evidenzia la dottrina (cfr.   MASTRANDREA G. – “Riflessioni giuridico-economiche su liberalizzazione e privatizzazione nel settore dei trasporti”in http://www.giustizia-amministrativa.it/documentazione/studi_contributi/mastrandrea_trasporti.htm) “la circostanza stessa che l’articolazione societaria competente per il trasporto (Trenitalia spa) dell’ex ente ferroviario statale si sia dovuta dotare di licenza delinea uno scenario a non lungo termine in cui la detta società sarà chiamata a competere con altri soggetti, anche per l’esercizio del trasporti passeggeri a livello nazionale”.
 
[24] CELLI E. – PETTINARI L. – PIAZZA .R. – La liberalizzazione del trasporto ferroviario, Torino, 2006, p.45
 
[25] arrigo u. – beccarello m. – Op. cit. p. 28 e BUSTI S – Op. cit. p. 39.
 
[26] AUTORITÀ GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO – Parere/Segnalazione del 7 agosto 2003 su “Separazione tra gestione delle infrastrutture e servizi di trasporto ferroviario” in http://www.agcm.it.
 
[27] Si legga in particolare picciano i. – Op. cit. , p. 397.  
 
[28] Vale a dire i veicoli che si muovono sulla rete ferroviaria, che si distinguono a loro volta in veicoli trainanti (locomotori) e trainati (carrozze e carri).
 
[29] CELLI E. – PETTINARI L. – PIAZZA .R. – Op. cit., p.26
 
[30] Lo Stato conserva pertanto un potere di controllo diretto sul gestore, attraverso lo strumento della concessione e del contratto di programma. In virtù di tale rapporto viene costituita in capo allo stesso gestore una posizione di tipo monopolistica.
 
[31] La nozione stessa di “regolazione” spesso presenta contenuti ed obiettivi non sempre unitari, potendo perseguire vuoi la concorrenza e l’efficienza, vuoi gli obiettivi di pubblico servizio, ossia la sola tutela dell’utenza. In questo contesto viene dunque in rilievo la problematica dei rapporti tra regolazione e concorrenza, la quale ultima ha come noto quale unica finalità la tutela dell’assetto concorrenziale del mercato.
 
[32] Per tali ragioni l’art. 6 del DDL in esame prevede espressamente che l’istituenda Autorità per i servizi e l’uso delle infrastrutture di trasporto, “nel perseguire le finalità di cui al precedente articolo, fatte le salve le competenze dell’Autorità Garante della concorrenza e del mercato, svolge le seguenti funzioni”.
 
[33] Per l’Autorità per l’energia elettrica e il gas è previsto, ad esempio, che (“all’onere aggiuntivo derivante dall’estensione delle competenze dell’Autorità, si provvede mediante un contributo versato dai gestori dei servizi idrici integrati in misura non superiore all’1 per mille dei ricavi derivanti dall’esercizio delle attività svolte percepiti nell’ultimo esercizio” – art. 4, III comma). Più esplicito è l’art. 5, comma 10 che, per la nuova Autorità per i servizi e l’uso dell’infrastrutture di Trasporto, prevede che “all’onere derivante dall’istituzione e dal funzionamento dell’Autorità si provvede mediante un contributo versato dai gestori delle infrastrutture e dei servizi regolati di cui al comma 2, lettera a) e b) del presente articolo in misura non superiore all’uno per mille dei ricavi derivanti dall’esercizio delle attività svolte percepiti nell’ultimo esercizio, nel rispetto delle disposizioni di cui all’articolo 17, comma 4, della presente legge. I contributi sono versati entro il 31 luglio di ciascun anno”.
 
[34]L’art. 17, V comma dispone infatti che “Le Autorità provvedono all’autonoma gestione delle spese per il proprio funzionamento nei limiti delle risorse finanziarie assegnate, anche in deroga alla disciplina generale e speciale in materia di contabilità, ove le risorse provenienti dal finanziamento a carico degli operatori e del mercato siano prevalenti rispetto a quelle a carico del bilancio dello Stato”).
 
[35] arrigo u. – beccarello m. – Op. cit. p. 19.
 

Ristuccia Bernardo

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