L’evoluzione del sistema penale della sicurezza sul lavoro in quattro tropi diacronici. Considerazioni di metodo ed introduttive

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Abstract: L’indagine sul sistema penale della sicurezza sui luoghi di lavoro viene condotta mediante il duplice ausilio della semantica – quale scienza del significato concettuale proprio della linguistica – e della prospettiva diacronica per meglio coglierne l’evoluzione normativa. Ecco che i tropi divengono luoghi o, se si preferisce, tappe – ne vengono individuate quattro – del percorso evolutivo connotante la materia penale del lavoro.

Sommario: 1. Il doppio binario della produzione di ricchezza e della produzione dei rischi – 2. Linee evolutive della normativa in materia di sicurezza sul lavoro – 3. La sicurezza nei luoghi di lavoro nei capisaldi normativi vigenti – 3.1    L’ art. 2087 c.c. – 3.2 I D.P.R. degli anni cinquanta: 574/1955, 164/1956, 302/1956, 303/1956. – 3.3 Le normative degli anni novanta. – 3.4 La legislazione del terzo millennio. – 3.5 Il testo unico 81/2008. – 4. Note conclusive; i fondamenti del sistema vigente; 5. Volume

  1. Il doppio binario della produzione di ricchezza e della produzione dei rischi

L’epoca – o, se si preferisce, l’era –  della post modernità, nella quale viviamo, per gli storici dell’età industriale è segnata dal passaggio dalla “società industriale classica” alla “società industriale del rischio”([1]).

Avendo riguardo al sistema della produzione industriale, il passaggio epocale è segnato dalla concettualizzazione binaria della produzione di ricchezza e di quella del rischio.

Se il primo tipo di società era dominato dalla logica della produzione della ricchezza a tutti i costi, nel secondo tipo di società, quella attuale, si assiste alla crescente incidenza dei rischi conseguenti a quella stessa produzione. Pertanto, se prima la coscienza collettiva era accecata dall’onda dell’incremento produttivo, oggi gli effetti collaterali da esso derivanti hanno generato e poi consolidato una consapevolezza dei rischi che ha aumentato la domanda sociale di prevenzione dei rischi stessi. Domanda della quale devono farsi inevitabilmente carico le autorità, politiche e tecniche, preposte alla tutela della sicurezza([2]).

Il concetto di rischio è, di per sé, un fenomeno immateriale la cui comprensione è possibile solo all’esito di un procedimento che unisce l’analisi delle esperienze passate alle capacità predittive di eventi futuri([3]).

L’aumento della domanda di sicurezza, dettato dalla diminuzione del livello di sicurezza percepita, ha orientato l’odierno dibattito sociale, politico e scientifico verso la risoluzione di un duplice ordine di problemi: definire con precisione l’altrimenti vago concetto di sicurezza ed individuarne i più idonei strumenti e livelli di tutela, penali ed extra-penali.

Sotto il primo aspetto, un concetto lato di sicurezza rinvia a quel complesso di condizioni che garantiscono a determinati beni giuridici di essere preservati da danni, pericoli e rischi. La portata di tale concetto muta al mutare delle contingenze storiche e nella fase attuale si assiste ad un allargamento della nozione di sicurezza.

Dinanzi a tali pressanti esigenze di sicurezza, il diritto penale ha colto ed accolto l’esigenza di adattarsi ai mutati scenari e, piuttosto che optare per una visione esclusivamente sanzionatoria del diritto, sembra orientarsi verso lo sviluppo di un diritto della prevenzione e della responsabilizzazione del privato, in una logica di anticipazione della tutela dai pericoli alla prevenzione dei rischi([4]).

  1. Linee evolutive della normativa in materia di sicurezza sul lavoro

Per “sicurezza sul lavoro” s’intende quel complesso di misure di prevenzione e protezione tecniche, organizzative e procedurali, che devono essere adottate dal datore di lavoro, dai suoi collaboratori e dai lavoratori stessi([5]).

Mirando all’assetto normativo che interessa l’ambito della tutela della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro è possibile rilevare quanto segue.  A fronte di un’assenza di disciplina sostanzialmente protrattasi fino alla metà del novecento, si è successivamente assistito ad una produzione legislativa «a singhiozzo» che ha i suoi momenti di massimo vigore nella metà degli anni cinquanta e negli ultimi tre lustri fino a all’ultimo impianto normativo di cui al D.LGS. 81/2008 meglio noto come Testo Unico delle norme a tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori.

La prospettiva diacronica getta luce metodologica sulle acquisizioni contemporanee.

Quando la legge n. 80 del 1898 introdusse il principio dell’obbligatorietà dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, conferì anche, al Ministero dell’agricoltura, industria e commercio, il compito di formulare i primi regolamenti «per la protezione della vita e dell’incolumità degli operai». In virtù della delega venne emanato il r.d. 230/1899, cioè un Regolamento generale per la prevenzione degli infortuni, al quale seguirono regolamenti specifici destinati ai settori ed alle tipologie di attività ritenute più pericolose. Di seguito fu necessario attendere fino agli anni cinquanta per avere un sostanziale e poderoso contributo alla costruzione di un sistema legislativo volto a proteggere il lavoratore dagli infortuni e dalle malattie; vide così la luce un regolamento generale, il D.P.R. 547/1955, seguito da altri regolamenti per settori specifici. Analogamente, negli anni più recenti, anche in adempimento dell’obbligo di recepimento di direttive comunitarie, si è assistito alla formulazione legislativa di un regolamento generale, il D.LGS. 626/1994, affiancato da normative di settore. A quest’ultimo è poi stato operato un riassetto confluito nel TU 81/2008 e nei relativi allegati([6]).

La normativa penale contemporanea si avvale di uno strumentario laburistico dalla portata olistica così riuscendo – extra penalmente – ad adeguare nozioni, concetti e fattispecie alle reali esigenze sottese alla tutela e salvaguardia dei lavoratori sui luoghi di lavoro([7]).  In questi sensi parliamo di tropi([8]) e per il tramite di essi individuiamo quattro ipostasi normative profilanti l’evoluzione del sistema.

  1. La sicurezza nei luoghi di lavoro nei capisaldi normativi vigenti

Dal codice civile del ’42 – vigente nel nostro paese – alle strutturate riforme degl’anni ’50, per il tramite della legislazione degl’anni ’90 si approda al T.U. in materia nel terzo millennio. Il complesso di tale normativa costituisce – assieme alle fattispecie storiche in materia di lavoro([9]) –  il substrato essenziale per comprendere il sistema del diritto penale del lavoro vigente nel nostro paese.

  • L’ art. 2087 c.c.

Se i D.P.R. degli anni ’50 ed il D.LGS. 626/1994, supportati dalla disciplina di derivazione comunitaria, hanno fornito, fino all’entrata in vigore del testo unico  81/2008, un reticolato di norme a garanzia dei lavoratori sostanzialmente esaustivo, in passato un ruolo fondamentale è stato svolto dall’art. 2087 del codice civile in base al quale l’imprenditore  è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare la integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.

Trattasi, a tutta prima, di una norma che, da un lato, contiene un principio generale, di cui la legislazione in materia di prevenzione e di assicurazione degli infortuni sul lavoro costituisce applicazione specifica, dall’altro ha valore integrativo rispetto a tale legislazione e costituisce norma di chiusura del sistema antinfortunistico. La sua costante vigenza consente di evitare il rischio che l’inidoneità della formulazione normativa, o semplicemente l’emergere di nuove situazioni di rischio, porti ad una mancanza di tutela per il lavoratore([10]).

Con tale norma si è voluto imporre un onere preciso al datore di lavoro: tenersi aggiornato, acquisire le esperienze aziendali simili, individuare, caso per caso e secondo le particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, le misure da adottare in concreto. In tal senso, quindi, ancora oggi l’art. 2087 c.c. costituisce un importante punto di riferimento nella disciplina di settore e ad esso fa costante riferimento la giurisprudenza; la mancata inclusione nel tu non incide sulla perdurante vigenza([11]). Può dirsi, quindi, che per configurare la responsabilità del datore per infortuni sul lavoro (o malattie professionali) non occorre che sia necessariamente integrata la violazione di specifiche norme dettate per prevenirli, essendo sufficiente che l’evento dannoso si sia verificato a causa dell’omessa adozione di quelle misure e di quegli accorgimenti che sono imposti all’imprenditore dall’art. 2087 c.c.([12]).

La valenza interpretativa dell’art. 2087 c.c. si spiega pertanto con il carattere aperto di numerosi precetti comportamentali rivolti dal legislatore al datore di lavoro per finalità prevenzionistiche: il riferimento è a tutte quelle norme che impongono l’adozione di «mezzi idonei», «strumenti adeguati», «comportamenti efficaci» ed altre espressioni similari. Si tratta, all’evidenza, di precetti solo apparentemente determinati, che richiedono in realtà la messa a fuoco di un parametro di valutazione alla luce del quale prima il datore di lavoro e poi l’interprete siano in grado di verificare l’idoneità, l’adeguatezza o l’efficacia dello strumento cautelare da adottare.

Ebbene in questo contesto l’art. 2087 c.c. riesce ancora ad esprimere la propria carica teleologica([13]).

  • I D.P.R. degli anni cinquanta: 574/1955, 164/1956, 302/1956, 303/1956.

A partire dagli anni cinquanta il legislatore dota il nostro Paese di un complesso di norme che intervengono a disciplinare, in modo estremamente minuzioso, tutta la materia di settore cercando, nei limiti del possibile, di non lasciare spazi privi di copertura. Si tratta dei c.d. D.P.R. degli anni cinquanta, che posero, va ricordato, il nostro Paese all’avanguardia in questa materia([14]).

Si distinguono, nella progressione cronologica con la quale hanno visto la luce, nell’ordine:

  • Il regolamento generale, D.P.R. 547/1955, Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro; esso individua i rischi connessi agli ambienti ed ai posti di lavoro, alle macchine, ai mezzi di trasporto, ai prodotti pericolosi ecc. individuando i necessari presidi per operare in sicurezza;
  • Il D.P.R. 164/1956, Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro nelle costruzioni;

esso affronta, nello specifico, le situazioni presenti nei cantieri edili, come scavi e fondazioni, ponteggi ed impalcature, trasporto materiali ecc., disciplinandone le caratteristiche strutturali di sicurezza;

  • Il D.P.R. 302/1956, Norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro integrative di quelle generali emanate con il D.P.R. 547/1955; esso, segnatamente, disciplina la produzione e l’impiego degli esplosivi;
  • Il D.P.R. 303/1956, Norme generali per l’igiene sul lavoro; esso affronta gli aspetti ambientali dei luoghi di lavoro da cui possono sorgere danni per la salute; condizioni di microclima, di illuminazione, agenti fisici e chimici, servizi igienici, ecc.

Forti, in tutti questi decreti, sono la vocazione sanzionatoria e il ricorso alla sanzione penale.

Le principali caratteristiche del modello prevenzionale scaturito da tali decreti sono riassumibili in:

  • una coesistenza bilanciata di previsioni di contenuto molto specifico e di precetti, per converso, molto ampi e quindi tali da essere applicabili anche in situazioni ed in riferimento a pericoli non individuati o non individuabili all’epoca della loro formulazione;
  • il ricorso indiscriminato alla sanzione penale;
  • l’imposizione di obblighi prevenzionale volti all’ottenimento del massimo grado di sicurezza tecnologicamente raggiungibile, in modo da ridurre al minimo le fonti di pericolo e di rischio;
  • la preferenza per le forme di protezione oggettiva primaria, tese ad assicurare una sufficiente tutela non solo dai rischi dipendenti dall’uso normale e corretto delle macchine, delle attrezzature e degli impianti ma anche da quelli derivanti da sempre possibili impieghi anomali, atipici o addirittura scorretti di essi da parte dei lavoratori, con il solo limite della concreta realizzabilità tecnica di tali interventi protettivi.

Dopo l’ingresso e l’adozione legislativa dei decreti in questione l’orizzonte normativo italiano viene ad essere sostanzialmente modificato([15]).

Anche il D.LGS. nr.626/1994 ed il D.LGS. nr.494/1996 – entrambi rappresentativi di un modello totalmente nuovo di affrontare i temi della sicurezza sul lavoro – rinviano, per la disciplina specifica, ai D.P.R. degli anni cinquanta.

Analogamente il tu 81/2008 è debitore dei contenuti tecnici presenti nei decreti in questione; peraltro con l’art. 306 del testo unico, le disposizioni del D.P.R. 302/1956 sono entrate a far parte integrante del medesimo testo unico senza essere abrogate. Il quadro normativo, dopo gli anni cinquanta, si è poi arricchito con la legge n. 300/1970 meglio nota come “statuto dei lavoratori”; rispetto al tema della prevenzione dagli infortuni tale legge evidenzia l’importanza di una partecipazione dei lavoratori nell’esame di questa problematica.

  • Le normative degli anni novanta

A partire dagli anni ottanta inizia una silenziosa rivoluzione dovuta al recepimento, nel nostro ordinamento, di una serie di specifiche direttive comunitarie emanate al fine di promuovere la sicurezza e la salute sui luoghi di lavoro e ridurre al minimo gli infortuni e le malattie professionali che, secondo i paesi membri, colpivano ancora in misura troppo elevata i lavoratori. Trattasi, però, di direttive introdotte in modo acritico, senza un coordinamento effettivo con la legislazione esistente. È solo dai primi anni novanta che la produzione normativa di settore si caratterizza per la sempre crescente omogeneizzazione delle sue linee ispiratrici; ci si avvia verso una specie di corpus normativo omogeneo continuamente arricchito dal recepimento di norme comunitarie e che va ad innestarsi con quasi tutte le norme previgenti([16]).

Nel giugno 1989 la Comunità Europea vara la direttiva 89/391, punto di riferimento nel campo prevenzionistico e polo di attrazione per successive direttive a tutela della salute dei lavoratori. Il recepimento di questa direttiva avviene, seppur tardivamente, con il D.LGS. 626/1994; tale decreto è stato più volte modificato e costantemente integrato in relazione ai nuovi indirizzi comunitari. Si è introdotto, nel nostro ordinamento, un sistema prevenzionale omogeneo ed innovativo non solo per la quantità o qualità degli obblighi in esso previsti, ma anche per quella che è stata indicata come la «proceduralizzazione delle attività di prevenzione e protezione».

Il generale obbligo di sicurezza posto in capo al datore di lavoro dall’art. 2087 del codice civile trova, nel D.LGS. 626/1994, una puntuale specificazione con una dettagliata indicazione dei suoi elementi essenziali, tra i quali l’eliminazione dei rischi alla fonte, l’aggiornamento continuo delle misure prevenzionali alla luce delle nuove conoscenze tecnologiche, la tutela della personalità fisica e morale del lavoratore. Fra le novità introdotte dal decreto campeggia innanzitutto l’obbligo, per il datore di lavoro, di procedere alla “valutazione dei rischi”: il datore di lavoro è chiamato ad una valutazione globale di tutti i rischi – per la salute e la sicurezza dei lavoratori presenti nell’ambito dell’organizzazione in cui essi prestano la propria attività. Oggetto della valutazione, quindi, è la situazione di fatto in cui i lavoratori operano; le misure di prevenzione e protezione da adottare vanno individuate alla stregua di criteri normativi posti dall’ordinamento giuridico. Questo complesso di attività deve essere formalizzata in un apposito documento il “documento di valutazione dei rischi” detto anche “piano di sicurezza”([17]).

Altra importante novità del decreto è stata quella di aver affiancato al datore di lavoro una vera e propria struttura di consulenza ovvero il SPP, servizio di prevenzione e protezione, la cui funzione principale è quella di promuovere, sul posto di lavoro, condizioni che garantiscano il più alto grado di qualità nella vita lavorativa. È tramite il servizio di prevenzione e protezione che il datore di lavoro elabora il documento di valutazione dei rischi ed attua i programmi.

Infine, il D.LGS. 626/1994 ha rivalutato e responsabilizzato la figura del medico competente ed ha dato dignità formale e poteri operativi al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza.

Numerosa la normativa di settore che vede la luce negli anni ’90 improntata agli stessi criteri ispiratori del D.LGS. 626/1994:

  • Il LGS. 277/1991 in materia di protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da esposizioni ad agenti chimici, fisici e biologici durante il lavoro; tale decreto ha di fatto anticipato il regolamento generale (il D.LGS. 626/1994) stante l’impellenza esigenza di intervenire in un ambito, come quello dell’esposizione all’amianto, la cui estrema pericolosità veniva pienamente apprezzata in solo in quegli anni;
  • Il P.R. 459/1996 recepisce le direttive CEE n.n. 89/392, 91/368, 93/44 e 93/68 concernenti il riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alle macchine;
  • Il LGS. 493/1996 disciplina la materia attinente alla segnaletica di sicurezza in attuazione della direttiva 92/58/ CEE concernente le prescrizioni minime per la segnaletica di sicurezza e/o di salute sul luogo di lavoro;

solo per citare gl’interventi più significativi.

Tuttavia, il forte impatto mediatico del crescente fenomeno delle c.d. morti bianche sui luoghi di lavoro ha condotto il legislatore ad una completa rivisitazione della materia in avvio del terzo millennio.

  • La legislazione del terzo millennio.

La legge delega n. 123/2007 ha conferito al Governo il mandato di riformare il D.LGS. 626 introducendo:

  • un’armonizzazione delle leggi vigenti;
  • l’estensione della l. 626 a tutti i settori e tipologie di rischio;
  • un adeguato sistema sanzionatorio;
  • l’obbligo di indossare tesserini di riconoscimento indicanti dati del lavoratore e del datore di lavoro, all’interno dei cantieri e altri luoghi di lavoro, a pena di un’ammenda;
  • un rafforzamento degli organici degli ispettori del lavoro.

La valutazione dei rischi e del connesso programma di interventi s’inseriscono nei compiti del servizio di prevenzione e protezione, che ogni datore di lavoro deve organizzare all’interno dell’impresa, o delegare a persone o strutture esterne all’azienda([18]).

Si assiste quindi al passaggio dalla riparazione del danno, attraverso una logica risarcitoria, a quella della sua prevenzione.

Il quadro delle innovazioni che hanno trasformato il diritto penale del lavoro si completa con il meccanismo estintivo delle contravvenzioni in materia di sicurezza e di igiene del lavoro introdotto dagli artt- 19 e ss. D.LGS. 758/1994.

In questo caso, l’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose è determinata dall’adempimento della prescrizione impartita dall’organo di vigilanza al contravventore, allo scopo di eliminare la contravvenzione accertata. L’effetto estintivo si produce col pagamento di una somma pari al quarto del massimo dell’ammenda comminata.

La logica dell’istituto ruota intorno alla reintegrazione dell’offesa, attraverso un ravvedimento operoso, nel quale, se difetta la spontaneità, difetta anche la gratuità dell’effetto che il contravventore può raggiungere soltanto sopportando i costi dell’adempimento tardivo.

Perno del meccanismo è la prescrizione impartita all’organo di vigilanza che ha accertato la contravvenzione e al quale la notizia di reato è trasmessa da altre autorità. Essa si basa su poteri di polizia giudiziaria. Nell’ipotesi che la prescrizione risulti adempiuta, il contravventore è ammesso al pagamento oblativo. In caso di inadempimento, la comunicazione effettuata dall’organo di vigilanza del P.M. consente di procedere nei confronti del contravventore.

Punto d’approdo di tale profonda riflessione di politica legislativa è costituito dal compendio normativo del T.U. n.81/2008([19]).

  • Il testo unico 81/2008

Il D.LGS. 81/08 costituisce il testo unico delle norme in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro emanato a seguito della legge delega 123/2007 che ha riformato, riunito e armonizzato, abrogandole, le disposizioni dettate da normative precedenti in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro succedutesi negli ultimi sessanta anni([20]).

La nuova normativa([21]), in buona sostanza, si articola lungo un percorso pentapartito che vede i suoi snodi nei seguenti punti chiave:

  • introduce sanzioni penali per i trasgressori. In base ai criteri indicati dalla legge 123/07 è stata prevista la pena dell’arresto per il datore di lavoro che non effettua la valutazione dei rischi. Per favorire l’adeguamento alle disposizioni indicate dal decreto, al datore di lavoro che si mette in regola non è applicata la sanzione penale ma una pecuniaria;
  • istituisce i rappresentanti per la sicurezza, eletti dai lavoratori, con poteri di ispezionare impianti e prendere visione dei documenti aziendali;
  • obbliga i datori di lavoro a pubblicare una documentazione di valutazione complessiva del rischio e a formare, informare e addestrare i lavoratori;
  • amplia il campo d’applicazione delle disposizioni in materia di salute e sicurezza, ora riferite a tutti i lavoratori che s’inseriscono in un ambiente di lavoro, senza alcuna differenziazione di tipo formale;
  • rivisita e coordina le attività di vigilanza in un’ottica di ottimizzazione delle risorse, elimina le sovrapposizioni e migliora l’efficienza degli interventi. Viene creato inoltre un sistema informativo per la condivisione e la circolazione di notizie sugli infortuni, sulle ispezioni e sulle attività in materia di salute e sicurezza sul lavoro([22]).
  1. Note conclusive; i fondamenti del sistema vigente

In tema di individuazione delle responsabilità, il sistema normativo ci impone, su tutto, di considerare la linea portante dell’intero asse normativo. Essa è rappresentata dalla centralità del datore di lavoro. Questo concetto non è del tutto nuovo. Anche nella legislazione precedente si poteva parlare di centralità del datore di lavoro ma il suo significato era tutto nel rilievo secondo cui, nella gerarchia dei soggetti tenuti per legge ad attuare le norme di sicurezza, il datore di lavoro occupava il primo posto([23]).

È noto, infatti, che il decreto legislativo 626/94, riprendendo l’assetto risalente ai DPR degli anni ’50, aveva confermato la tradizionale triade di soggetti titolari delle posizioni di garanzia della salute dei lavoratori e cioè datore di lavoro, dirigenti e preposti. Inoltre, per la prima volta nel nostro ordinamento, aveva fornito la definizione di datore di lavoro, distinguendo il datore di lavoro pubblico dal datore di lavoro privato. E, soprattutto, aveva offerto una consacrazione normativa al criterio giurisprudenziale che considera preminente, rispetto al dato formale della qualifica assunta nell’organizzazione aziendale, l’effettivo svolgimento delle funzioni in materia di sicurezza. Questa impostazione è integralmente accolta dal TU n. 81/08: secondo la definizione contenuta nell’art. 2, lett. b) del decreto, il datore di lavoro è non solo il titolare del rapporto di lavoro (criterio formale), ma comunque “il soggetto che secondo il tipo e l’organizzazione dell’impresa, ha la responsabilità dell’impresa stessa ovvero dell’unità produttiva, in quanto titolare dei poteri decisionali e di spesa” (criterio funzionale o sostanziale).

Il decreto non si è limitato a confermare la definizione normativa della figura del datore di lavoro, i cui contorni in passato erano affidati all’elaborazione giurisprudenziale, ma ha introdotto nuovi attori protagonisti della prevenzione in azienda. Fin dai DPR degli anni ’50 gli attori in campo erano di due tipo: da un lato la tradizionale triade del datore di lavoro, dirigenti e preposti e, dall’altro, i lavoratori. Lo spazio intermedio tra le due categorie di soggetti era uno spazio vuoto. Ebbene il d. 626, prima, e il d. 81, dopo, lo hanno riempito con altre tre figure: due del tutto nuove, il servizio di prevenzione e protezione ambientale e il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza e uno, il medico competente, che già era stato introdotto dal d. 277/91 in materia di rischi da piombo, amianto e rumore, ma che il d. 626 profondamente ha ridefinito nelle sue funzioni e nelle sue responsabilità([24]).

Per il legislatore del d. lg 81/08 la sicurezza sui luoghi di lavoro è la risultante della collaborazione che deve esistere tra i vari soggetti della prevenzione.

Quanto sopra affermato postula, pertanto, come nell’ambito di una valutazione giudiziaria in ordine alla corretta applicazione delle norme in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro, sia assolutamente fondamentale la precisa individuazione dei soggetti titolari degli obblighi normativamente codificati. Il giudizio va condotto alla stregua dei seguenti passaggi logici:

  • individuare i soggetti ai quali l’ordinamento attribuisce una posizione di garanzia per la sicurezza dei lavoratori e dei terzi;
  • operare un vaglio secondo il principio c.d. “di effettività” andando ad individuare il soggetto che, in concreto, esercita le funzioni cui il legislatore ricollega la posizione di garanzia;
  • definire con precisione l’ambito delle responsabilità e dei compiti che competono al soggetto così individuato;
  • verificare se tali responsabilità e tali compiti siano o meno rilevanti rispetto alla specifica vicenda oggetto di valutazione giudiziaria.

Trattasi di un’analisi di particolare rilievo in quanto l’individuazione del titolare (o dei titolari) degli obblighi imposti dalla disciplina di settore coincide con l’individuazione dei soggetti potenzialmente esposti alla sanzione penale per l’inosservanza degli obblighi medesimi. Avendo il nostro ordinamento costruito il sistema della titolarità degli obblighi prevenzionali – a presidio della cui osservanza ha posto un articolato sistema di sanzioni – attraverso l’indicazione di “figure” organizzative individuate in via generale (es. il datore di lavoro, il dirigente, il preposto ecc.), è evidente che l’individuazione in concreto del soggetto o dei soggetti titolari delle relative funzioni nei vari luoghi di lavoro passa necessariamente attraverso lo studio dell’organizzazione stessa del luogo di lavoro di volta in volta oggetto di accertamento([25]).

La figura centrale è sempre stata – e rimane tuttora – quella del datore di lavoro il quale non è più chiamato ad attuare singole norme di prevenzione cui è obbligato, ma deve anche dotarsi di una rete organizzativa e gestionale i cui requisiti sono rigidamente predeterminati dal legislatore.  Il datore di lavoro, cioè, non ha piena discrezionalità di gestire la sicurezza sul lavoro secondo i moduli che più gli aggradano, al contrario, gli artt. 28 e 29 del decreto gli impongono di procedere preventivamente alla individuazione e valutazione di tutti i rischi aziendali, operazione che è la premessa necessaria per la redazione di un documento (il documento di valutazione, appunto) in cui sono descritte le misure di prevenzione che devono adottarsi sulla scorta della valutazione effettuata. Non solo. Gli artt. 36 e 37 del decreto impongono ancora di fornire ai lavoratori una preventiva e adeguata formazione ed informazione su tutti i rischi per la salute e la sicurezza sul lavoro connessi all’attività dell’impresa([26]).

Occorre cogliere lo strettissimo nesso che c’è nel nostro ordinamento fra i poteri riconosciuti al datore di lavoro nell’ambito dell’organizzazione produttiva e i limiti che a quei poteri sono fissati a tutela della salute dei lavoratori che operano nell’ambito di quell’organizzazione. Le responsabilità che derivano per il datore di lavoro dall’avere violato questi dettami sono la prova evidente di quanto quel nesso sia inscindibile. Occorre pertanto collegare i doveri della prevenzione allo specifico contesto aziendale e all’esercizio dei poteri di direzione e di organizzazione dell’imprenditore. Solo così avremo una corretta applicazione del principio costituzionale della personalità della responsabilità penale([27]).

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([1]) Sull’evoluzione sociale dell’età industriale in ottica giuridica, vedi, per tutti, S. Cassese, Trattato di diritto amministrativo, 2003, 2 edizione, in sette volumi

([2]) Interessante la disamina che ne fa Santaniello, Trattato di diritto amministrativo, Padova, Cedam, 1988

([3]) Sul rischio normativamente inteso, vedi per tutti, in un’ottica strettamente penalistica, G. Fiandaca ed E. Musco, Diritto Penale, Parte Generale, Zanichelli Bologna, 2010

([4]) L’idea di responsabilizzazione del privato campeggia da sempre nella manualistica civile; per tutti, vedi il trattato di Diritto Privato diretto da P. Rescigno.

([5]) Su tali nozioni vedi, per tutti, Tullio Padovani, Diritto Penale Del Lavoro, Cedam, Padova, 2010

([6]) Gl’indicati assetti sono altresì indagati dalla scienza amministrativistica per le pubbliche amministrazioni; vedi per tutti, F. Caringella, Corso di diritto amministrativo, 2005 2 vol.

([7]) Sulla portata effettuale della normativa extra penale a fini integrativi, vedi per tutti, ancora G. Fiandaca ed E. Musco, Diritto Penale cit.

([8]) Figura semantica o di significato per cui una espressione dal suo contenuto originario viene ‘diretta’ o ‘deviata’ a rivestire un altro contenuto

([9]) Ad es. gl’articoli 589 e 590 c.p, che testualmente recitano

  • 589 c.p. Omicidio colposo. Chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni. Se il fatto è commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della reclusione da due a sette anni. Se il fatto è commesso nell’esercizio abusivo di una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato o di un’arte sanitaria, la pena è della reclusione da tre a dieci anni. [Si applica la pena della reclusione da tre a dieci anni se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale da: 1) soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell’articolo 186, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni; 2) soggetto sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope.] Nel caso di morte di più persone, ovvero di morte di una o più persone e di lesioni di una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni quindici.
  • 590 c.p. Lesioni personali colpose. Chiunque cagiona ad altri per colpa una lesione personale è punito con la reclusione fino a tre mesi o con la multa fino a euro 309. Se la lesione è grave la pena è della reclusione da uno a sei mesi o della multa da euro 123 a euro 619, se è gravissima, della reclusione da tre mesi a due anni o della multa da euro 309 a euro 1.239. Se i fatti di cui al secondo comma sono commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena per le lesioni gravi è della reclusione da tre mesi a un anno o della multa da euro 500 a euro 2.000 e la pena per le lesioni gravissime è della reclusione da uno a tre anni. Se i fatti di cui al secondo comma sono commessi nell’esercizio abusivo di una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato o di un’arte sanitaria, la pena per lesioni gravi è della reclusione da sei mesi a due anni e la pena per lesioni gravissime è della reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni. Nel caso di lesioni di più persone si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse, aumentata fino al triplo; ma la pena della reclusione non può superare gli anni cinque. Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo nei casi previsti nel primo e secondo capoverso, limitatamente ai fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all’igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia professionale.

([10]) Sull’applicabilità piena della fattispecie in questione indifferentemente nel pubblico e nel privato, vedi, in prospettiva storica, L. Mannori – B. Sordi,  Storia del diritto, Roma – Bari, 2001, Laterza

([11]) Giurisprudenza pacifica e dottrina unanime sul punto; vedi, per tutti, T. Padovani cit.

([12]) Nelle parole del Supremo consesso <<Tale articolo funziona come strumento di integrazione delle eventuali lacune e di adeguamento della normativa al caso concreto così che l’adozione delle misure previste dalla normativa di settore non esaurisce gli obblighi del datore di lavoro, restando a suo carico l’obbligo di attenersi (anche) a quelle regole di comune prudenza, diligenza e accortezza che sono immanenti all’esercizio di ogni attività che rechi, in sé, un ampio margine di pericolo>>.

([13]) Ciò che è, peraltro, ampiamente comprovato dal tasso di consolidamento ricevuto da tale opzione ermeneutica nelle aule di giustizia

([14]) Utili ragguagli si rinvengono in F. Merusi, Le leggi del mercato, Bologna, 2002, Il mulino

([15]) si tratta di un fascio di provvedimenti legislativi unanimemente ritenuti d’avanguardia

([16]) Negli anni 90 del secolo scorso si è sviluppa un’imponente produzione legislativa in ogni branca dell’ordinamento giuridico. Ne offre conto esaustivo V. Caputi – Jambrenghi, La gestione patrimoniale, Torino, 2003

([17]) Il tema della sicurezza irrompe sul proscenio giuridico in tutta la sua pienezza.  Il passaggio dall’ottica formale a quella sostanziale è indagato nel volume di storia giuridica di G. Melis del 2006 edito presso il mulino di Bologna

([18]) La legislazione del terzo millennio è fortemente eterodiretta dal sistema giuridico europeo; ne offre conto, da par suo, S. Cassese nel volume sulle basi costituzionali nell’ambito del Trattato da lui diretto e cit. in precedenza

([19]) Punto d’approdo in senso ideale; difatti il provvedimento normativo in testo viene progressivamente periodicamente integrato e corretto dalle disposizioni UE emanate in materia

([20]) Sul testo unico quale strumento di tecnica legislativa in chiave redazionale per un’adeguata normazione di settore, vedi per tutti, l’introduzione giuridica di G. Rossi del 2005. Qualsiasi manuale di diritto poi spiega la dicotomia, in seno al testo unico, tra testo ricognitivo e testo innovativo

([21]) Connotata giusta la dicotomia rapportata nella nota che precede, da una valenza fortemente innovativa

([22]) Sul testo unico in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro, come sulla salvaguardia del lavoratore nel nostro sistema giuridico, la letteratura è pressoché sterminata; in aggiunta ai lavori citati nel testo possono utilmente consultarsi i commentari di dottrina e giurisprudenza alle discipline laburistiche.

([23]) Il tema della centralità datoriale è noto anche agli studiosi del diritto pubblico. si vedano, all’uopo’, i manuali del Benvenuti e del Berti degli anni 90 editi, rispettivamente, per i tipi della Cedam e della Giuffrè

([24]) Sulla relazione funzioneresponsabilità gli studi sono pressoché sterminati. Per tutti può citarsi P. Virga del 2002 in tema di diritto pubblico generale

([25]) L’organizzazione lavorativa non soffre eccezioni nel campo del diritto pubblico. Vedi, per tutti, A. Cerri, la costituzionalizzazione della P.A., Roma, 2002

([26]) Nel sistema del decreto, informazione e formazione, per così dire, stanno e cadono insieme. Sul punto nitida si rivela l’influenza del diritto comunitario come rammenta, per tutti, G. Falcon in Trattato europeo per i tipi milanesi della Giuffrè del 2007

([27]) Sul quale principio e sulle ricadute dello stesso vedi, per tutti, G. Fiandaca ed E. Musco cit. vedi, altresì, Corte Costituzionale 24 marzo, 1988, n. 364

Prof. Sergio Ricchitelli

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