Legittimazione ad agire in contraffazione del licenziatario e dell’intermediario

Luca Giannini 24/03/21
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Art. 20, 122 bis e 124 D. Lgs. 10 febbraio 2005 n. 30 ;

Art. 2598 c.c., art 2599 c.c.

La pronuncia in esame prende le mosse da un lungo iter processuale che ha visto protagoniste alcune parti, a vario titolo coinvolte, avente ad oggetto la commercializzazione della Birra americana recante il noto marchio “BUDWEISER”.

Fra i vari capi della sentenza che si annota si scorge un passaggio in diritto (16.4 n.d.r.) circa la legittimazione da gire in giudizio per contraffazione da parte dei soggetti “vicini” ai licenziatari ma non in possesso di tale qualifica e cioè tutto il complesso mondo dei c.d. “intermediari” (distributori ecc.).

La sentenza appare oltremodo interessante in quanto, in primis si pone in antitesi con un precedente orientamento della medesima Corte, ed in secundis esce a poche settimane da una pronuncia di merito emessa dal Tribunale di Roma di segno contrario ed opposto[1]  In quest’ultimo caso la ricorrente (Licenziataria del marchio “SAUCONY”) si rivolgeva al Tribunale capitolino al fine di chiedere ed ottenere, previo accertamento della violazione dei diritti di proprietà industriale da parte della convenuta, la condanna degli illeciti atti di contraffazione e di concorrenza sleale nonché l’inibitoria alla commercializzazione dei prodotti oltre ad una serie di provvedimenti consequenziali. In particolare veniva richiesta l’inibitoria alla prosecuzione degli atti illeciti e di concorrenza sleale, il ritiro dal commercio delle calzature contraffatte, l’assegnazione in proprietà all’attrice di tutte le calzature oggetto del giudizio nonché le scatole, brochures, materiale informativo e quant’altro collegato con autorizzazione alla distruzione, pubblicazione della sentenza su alcuni quotidiani oltre al risarcimento dei danni subiti.

Il tratto comune alle pronunce citate attiene, come detto, alla legittimazione ad agire in giudizio da parte del Licenziatario o del distributore dei prodotti oggetto del contendere. La portata di tale pronuncia si dipana dunque nella possibilità giuridica concessa a soggetti non titolari dei diritti di privativa di reagire autonomamente in giudizio di fronte ad atti illeciti di terzi senza attendere le determinazioni del licenziante.

Occorre prendere le mosse dall’evoluzione della materia che nel corso degli anni ha subito una radicale cambiamento anche ad opera della Novella[2] che ha introdotto l’articolo 122 bis del Codice della Proprietà Intellettuale[3] di cui in seguito.

Lo stato della giurisprudenza  ante riforma

In tema di legittimazione ad agire da parte del soggetto licenziante titolare diretto dei diritti di privativa[4] nulla quaestio.

Questi in qualità di titolare diretto dei diritti di privativa industriale è riconosciuto dalla normativa quale soggetto avente la legittimazione processuale all’azione volta alla difesa della medesima da azioni di contraffazione.

Il punto è dunque dato dalla legittimazione di soggetti diversi dal titolare del deposito e cioè i licenziatari, coloro che agiscono in virtù di un rapporto contrattuale e dispongono seppur in via temporanea ed anche non esclusiva, dei diritti di diffusione ed utilizzo.

Come correttamente osservato[5]prima dell’introduzione di questa norma (l’art 122 bis n.d.r.) il C.P.I. non conteneva una disciplina particolare riguardo alla legittimazione del licenziatario per le azioni a tutela dei diritti di proprietà industriale e la questione è stata oggetto di lunghi dibattiti in dottrina e giurisprudenza”  

Il punto giurisprudenziale ante riforma, si era assestato nel senso di legittimare il licenziatario (di un marchio, di un brevetto o altro titolo di privativa) in via esclusiva alla proposizione dell’azione in via autonoma a fronte della propria posizione di vantaggio concorrenziale[6]  Anche in tempi recenti la legittimazione del licenziatario in via esclusiva non era posta in discussione [7]

Diversa la circostanza per il licenziatario che agiva non in esclusiva e più problematica appariva anche la circostanza in relazione a coloro che vantavano diritti “diversi” da quelli tipici del contratto di licenza.

Una apertura si era ottenuta  con la  sentenza della Suprema Corte del 2014 la quale testualmente recita “…del resto va rammentato che l’art 4 della direttiva 2004/48 in tema di rispetto dei diritti di proprietà intellettuale prevede che la legittimazione ad agire in giudizio a tutela dei diritti di proprietà intellettuale spetta ai titolari dei diritti ed anche ”a tutti gli altri soggetti autorizzati a disporre di questi diritti in particolare ai titolari delle licenze se consentito dalle disposizioni delle legislazione applicabile e conformemente alle medesime”[8]  La sentenza in oggetto, emanata in applicazione della Direttiva Enforcement[9] faceva leva sulla lettera C dell’articolo 4 che espressamente contemplava la capacità di agire anche per soggetti “….autorizzati a disporre di questi diritti, in particolare ai titolari di licenze, se consentito dalle disposizioni della legislazione applicabile e conformemente alle medesime.”

In seguito alla citata pronuncia si era formata una Giurisprudenza di merito molto aperta e permissiva che consentiva anche ai licenziatari non esclusivi ed alle figure ad essi assimilate la protezione del marchio o dell’invenzione

La riforma del 2019

Con il D.Lgs. 20 febbraio 2019 n.15 (entrato in vigore il 23 marzo 2019) è stata data attuazione alla Direttiva UE 2015/2436 in materia di marchi di impresa. La disposizione in oggetto è dunque applicabile solo ai contratti di licenza di marchio.

Lo scopo della novella è stato quello di rendere omogenee le diverse discipline nazionali in tema di marchi di impresa con la disciplina dettata per il marchio U.E dal regolamento.

Il procedimento a favore del soggetto leso è, per quanto afferisce, il licenziatario solo eventuale. La legittimazione spetta al titolare del diritto di privativa che si assume violato.  La negoziazione fra titolare e licenziatario in tema di azione è la sede principale in cui regolare i diritti ed i limiti di intervento

Nel silenzio del contratto il licenziatario potrà agire in giudizio qualora il titolare del marchio non avvii esso stesso un’azione entro un termine consono. Questi dovrà inviare a una formale messa in mora al titolare del marchio invitandolo ad azionarsi per la protezione dei diritti concessi in licenza e solo nell’inerzia di questi “la palla” passa al licenziatario che a propria cura e spese potrà agire in giudizio.

La sentenza in oggetto

La Suprema Corte modificando ed in parte correggendo il proprio pensiero nega la legittimazione passiva possa essere riconosciuta a intermediari commerciali che agiscono in veste di meri distributori del prodotto.

Discostandosi dal precedente orientamento (seppur in materia di invenzioni industriali) la Corte ha precisato che l’azione di contraffazione può essere promossa solamente dal titolare del marchio o dal licenziatario da questi autorizzato ed in particolare ha affermato che il mero intermediario commerciale non abbia alcuna legittimazione specifica.

Il “cuore “della vicenda risiede nella affermazione secondo la quale “l’attribuzione della azione di contraffazione a un soggetto diverso dal titolare del marchio o dal licenziatario da lui autorizzato ed in particolare a un intermediario commerciale che si limita a distribuire i suoi prodotti sul mercato in forza di un rapporto personale ed obbligatorio non ha fondamento normativo e contrasta con le esigenze di accentramento dei poteri giudiziali a tutela del marchio……. La nozione di contratto di distribuzione è essenzialmente economica…”

Ancora: “… In conseguenza nel nostro ordinamento è stata introdotto l’art 122 bis cod. propr. ind. ad opera del D.lgs. 20 febbraio 2019, n.15 art 15, comma 1, dedicato espressamente al tema della legittimazione all’azione di contraffazione in capo al licenziatario del marchio “

In tal guisa, secondo l’orientamento che si commenta, la normativa in vigore regolando e disciplinando espressamente la possibilità di azione da parte del licenziatario avrebbe introdotto anche le modalità di esercizio concreto (previa messa in mora n.d.r.).

La Suprema Corte ha tratto argomentazioni da due fattori principali: a) la legittimazione del distributore a differenza di quella del licenziatario risiederebbe nel contratto e non nella legge; b) la circostanza in virtù della quale la nuova formulazione dell’art 122 bis abbia espressamente previsto la figura del licenziatario e non figure “a questa assimilabili” porta ad escludere una interpretazione estensiva della medesima.  La nozione di contratto di distribuzione è infatti essenzialmente di natura economica palesandosi in concreto attraverso una serie di istituti contrattuali (compravendita, somministrazione, contratto estimatorio, agenzia) anche combinati tra loro, senza però attribuire all’intermediario che colloca, vende o distribuisce i prodotti di un imprenditore alcun diritto sui segni distintivi.

Come è stato correttamente osservato [10] la normativa, oggi regolata dall’articolo 122 bis CPI, prevede “…che fatte salve le clausole del contratto di licenza che possono quindi regolare in modo difforme la materia: vuoi limitando o escludendo il diritto, vuoi ampliandolo con il riconoscimento generalizzato della possibilità di agire in giudizio) il licenziatario possa avviare un’azione di contraffazione di un marchio soltanto con il consenso del titolare del medesimo “

Il cambio di rotta rispetto alla sentenza del 2014 (ante novella) è, ovviamente, notevole e, a parere di chi scrive, mette un punto fermo sulla legittimazione (negandola) per coloro che commercialmente agiscono per la diffusione e per la distribuzione (anche in esclusiva) di un prodotto in un determinato territorio.

Per l’invero sotto l’egida della precedente normativa la giurisprudenza aveva ampliato il campo dei soggetti legittimati ad agire in giudizio ma in modo inequivoco ad oggi tale possibilità pare preclusa.

Il tema (per i licenziatari) è rimesso alle determinazioni da operare in sede di stipula del contratto di licenza, unica fonte regolatrice della materia fra Licenziate e licenziatario. Tali limiti possono estendersi fino alla previsione di un’azione del licenziatario completa senza alcun preavviso al titolare dei diritti di privativa. Un volta promossa l’azione da parte del licenziatario il Licenziante potrà intervenire e far valer i danni da questi subiti in via diretta  per effetto della contraffazione in oggetto.

In modo sia pur incidentale, la Sentenza affronta il tema della differenza fra interesse e legittimazione ad agire, ossia delle due condizioni che devono sussistere in capo a chi invoca tutela giurisdizionale sub specie di azione di accertamento, costitutiva o di condanna.

Gli ermellini osservano invero come il distributore sia portatore soltanto di un “interesse di fatto ed economico” ad agire.

L’interesse ad agire è, tuttavia, solo una delle due condizioni dell’azione insieme alla legittimazione ad agire. Solo se ricorrono questi due requisiti può considerarsi esistente l’azione e sorge per il giudice la necessità di provvedere sulla domanda per accoglierla o respingerla. La dottrina ha sottolineato che, poiché il requisito dell’interesse serve ad evitare che si proceda all’esame del merito quando l’accoglimento della domanda non importerebbe alcun mutamento, e, dunque, ad evitare attività processuali inutili, esso va considerato manifestazione del principio di economia processuale[11]. In effetti, in altri termini, l’art. 100 assolve all’essenziale funzione di bloccare l’esercitabilità dell’azione astrattamente deputata alla tutela dell’interesse, quando emerga che dalla sentenza di accoglimento non conseguirebbe alcun vantaggio obiettivo per la parte[12]

Nel dirimere il contrasto giurisprudenziale e fare chiarezza sui due istituti, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con sentenza n. 2951 del 16 febbraio 2016 pubblicata in Foro It., 2016, 10, 1, 3212, ebbero a precisare come la legittimazione ad agire si iscrivesse “nella cornice del diritto all’azione” e cioè nel diritto di agire in giudizio. Il nostro ordinamento, come noto, riconosce, e pone a suo fondamento, il diritto all’azione che viene affermato sia nel codice civile che nella Costituzione.  L’art 2097 c.c. stabilisce che: “alla tutela giurisdizionale dei diritti provvede l’autorità giudiziaria su domanda della parte” e, parimenti, l’art 24 Cost. dichiara: “tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi”.  La legittimazione ad agire serve, quindi, ad individuare la titolarità del diritto ad agire in giudizio e, di conseguenza, ragionando ex art. 81 c.p.c., a norma del quale “fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui”, tale titolarità spetta unicamente a chi faccia valere nel processo un diritto assumendo di esserne titolare.

Coerentemente a questi principi, la Cassazione, con la sentenza in rassegna, evidenzia come, seppur portatore di un interesse ad agire di natura economica e fattuale, difetti della titolarità diretta o mediata del diritto di privativa che viceversa sussistono, rispettivamente, in capo al titolare ed al licenziatario del marchio, alla cui protezione e tutela sono specificamente rivolte le azioni previste dal C.P.I.

Muovendo da questi principi parrebbe invece potersi sostenere che al distributore spettino sia la legittimazione che l’interesse a proporre l’azione di concorrenza sleale di cui all’art. 2598 c.c. la quale mira a proteggere non già un diritto di proprietà industriale scaturente da una registrazione, bensì quello assai più generico al leale svolgimento dei rapporti fra imprenditori concorrenti.

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Note

[1] Tribunale di Roma, sez. XVII 23 novembre 2020, n. 16508

[2] D. Lgs. 20 Febbraio 2019, n 15 attuativo della Direttiva UE 2015/2436.

[3] Art. 122 bis C.P.I. “Fatte salve le clausole del contratto di licenza, il licenziatario può avviare un’azione per contraffazione di un marchio d’impresa soltanto con il consenso del titolare del medesimo. Il titolare di una licenza esclusiva può tuttavia avviare una siffatta azione se il titolare del marchio, previa messa in mora, non avvia un’azione per contraffazione entro termini appropriati.

  1. Il licenziatario può intervenire nell’azione per contraffazione avviata dal titolare del marchio per ottenere il risarcimento del danno da lui subito.
  2. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2, si applicano ai soggetti abilitati all’uso di marchi collettivi, di cui all’articolo 11”.

 

[4] Art 20 C.P.I.:

I diritti del titolare del marchio d’impresa registrato consistono nella facoltà di fare uso esclusivo del marchio. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nell’attività economica:

a) un segno identico al marchio per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato;

b) un segno identico o simile al marchio registrato, per prodotti o servizi identici o affini, se a causa dell’identità o somiglianza fra i segni e dell’identità o affinità fra i prodotti o servizi, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni;

c) un segno identico o simile al marchio registrato per prodotti o servizi anche non affini, se il marchio registrato goda nello stato di rinomanza e se l’uso del segno, anche a fini diversi da quello di contraddistinguere i prodotti e servizi, senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi .

Nei casi menzionati al comma 1 il titolare del marchio può in particolare vietare ai terzi di apporre il segno sui prodotti o sulle loro confezioni o sugli imballaggi; di offrire i prodotti, di immetterli in commercio o di detenerli a tali fini, oppure di offrire o fornire i servizi contraddistinti dal segno; di importare o esportare prodotti contraddistinti dal segno stesso; di utilizzare il segno nella corrispondenza commerciale e nella pubblicità; di apporre il segno su confezioni, imballaggi, etichette, cartellini, dispositivi di sicurezza o autenticazione o componenti degli stessi o su altri mezzi su cui il marchio puo’ essere apposto ovvero di offrire, immettere in commercio, detenere a tali fini, importare o esportare tali mezzi recanti il marchio, quando vi sia il rischio che gli stessi possano essere usati in attivita’ costituenti violazione del diritto del titolare .

2-bis. Il titolare del marchio puo’ inoltre vietare ai terzi di introdurre in Italia, in ambito commerciale, prodotti che non siano stati immessi in libera pratica, quando detti prodotti oppure il relativo imballaggio provengono da Paesi terzi rispetto all’Unione europea e recano senza autorizzazione un segno identico al marchio o che non puo’ essere distinto nei suoi aspetti essenziali da detto marchio, qualora i prodotti in questione rientrino nell’ambito di protezione del marchio, a meno che durante il procedimento per determinare l’eventuale violazione del marchio, instaurato conformemente al regolamento (UE) 608/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 giugno 2013, il dichiarante o il detentore dei prodotti fornisca la prova del fatto che il titolare del marchio non ha il diritto di vietare l’immissione in commercio dei prodotti nel Paese di destinazione finale .

Il commerciante può apporre il proprio marchio alle merci che mette in vendita, ma non può sopprimere il marchio del produttore o del commerciante da cui abbia ricevuto i prodotti o le merci.

3-bis. Se la riproduzione di un marchio in un dizionario, in un’enciclopedia o in un’analoga opera di consultazione in formato cartaceo o elettronico da’ l’impressione che esso costituisca il nome generico dei prodotti o dei servizi per i quali il marchio e’ registrato, su richiesta del titolare del marchio d’impresa l’editore dell’opera provvede affinche’ la riproduzione del marchio sia, tempestivamente e al piu’ tardi nell’edizione successiva in caso di opere in formato cartaceo, corredata dell’indicazione che si tratta di un marchio registrato”.

[5] Per una compiuta disamina della fattispecie con ampi riferimenti bibliografici e giurisprudenziali sia ante che post riforma vedasi: Adriano Sponzili, in www.Diritto.it,  “Brevi note sulla legittimazione attiva dei licenziatari dei diritti di proprietà intellettuale a seguito della riforma della disciplina dei marchi di impresa in attuazione della direttiva (UE) 2015/2436”  

[6] Si veda per tutti: M.S. Spolidoro, La legittimazione attiva dei licenziatari dei diritti di proprietà intellettuale in AIDA, 2006, I, pag.213 .

[7] Ex multiis: Tribunale Milano 28/03/2013, Tribunale Milano 11 marzo 2010, Tribunale Torino 11 giugno 2010,.

[8] Corte di Cassazione Sez.I, 04 luglio 2014 n. 15350 , in Giurisprudenza annotata di diritto industriale, 2016, I, 28;

[9] Direttiva 2004/48/CE del 29 aprile 2004

[10] Pallavicini , 12 gennaio 2021,  Pallavicinilegal.com/2021/01/12

[11] Luiso, Appunti di diritto processuale civile, Parte generale, Pisa, 1989, 164

[12] LOMBARDI, Interesse ad agire, 740, Diritto processuale civile, in EG, XVII, Roma, 1989; SASSANI, Interesse ad agire, 2; Id., Note sul concetto di interesse ad agire, Rimini, 1983.

Sentenza collegata

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