Le vecchie e le nuove forme di criminalità in Occidente

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Introduzione

 

La maggior parte delle Statistiche criminologiche è inficiata da notevoli imprecisioni e da pregiudizi populistici. Tali lacune sono state parzialmente superate grazie alla nascita degli elaboratori elettronici. Nell’Ottocento, in Francia, Dottrinari come Quételet, Guerry e Ferri esaltavano i propri Censimenti criminologici, ma, verso gli anni Sessanta del Novecento, gli entusiasmi iniziali sono stati placati da dubbi e da nuovi strumenti interpretativi. Come notato da NORMANDEAU & RICO (1985), esiste una criminalità reale, una percezione sociale della criminalità ed una criminalità << giuridica >>, consistente nelle Sentenze materialmente pronunciate dall’Autorità Giudiziaria. Entro tale ottica, risulta sempre pericoloso e fuorviante prestare fiducia alle interpretazioni criminologiche costruite sulla base dei malumori della popolazione, strumentalizzati e distorti per finalità politiche e pre-elettorali. In addenda, si calcoli pure che esiste sempre una << cifra oscura >> constante nei reati non denunziati, nel senso che << i delitti noti alla polizia sono interpretati alla fine di una cascata di operazioni di orientamento e di selezione e, alla fine dei conti, l’immagine del crimine offerta dalle cifre ufficiali è grandemente distaccata dalla realtà vera >> (ROBERT 1977) Il medesimo Autore, otto anni più tardi, giustamente notava che << il concetto stesso di crimine va considerato come una pura costruzione socio-giuridica. Il crimine non esiste in quanto tale, bensì esistono atti sui quali il potere costituito mette un’etichetta. Le statistiche criminali, che sarebbe meglio chiamare statistiche penali, sono una continua attività di etichettamento. Per conseguenza, le statistiche non sono delle misurazioni della criminalità, ma degli indicatori dell’attività repressiva dello Stato >> (ROBERT 1985). Nel Novecento, sono nati altri metodi per interpretare il tasso di delittuosità, che non è una sommatoria matematica di querele e di condanne giudiziarie. Nella seconda metà del XX Secolo, hanno cominciato ad essere utilizzati questionari riservati, interviste, auto-confessioni anonime, auto-biografie e, soprattutto, sondaggi vittimologici. Negli Anni Sessanta, Settanta e Ottanta del Secolo scorso, le Statistiche criminologiche si sono metodologicamente trasformate. Attualmente, nessun Dottrinario serio si limita a computare la somma algebrica dei dati provenienti dalla Polizia Giudiziaria e dalla Magistratura.

Per evitare errori invalidanti un’intera Statistica criminologica, necessita anzitutto la consumazione o il tentativo di consumare un reato, la denuncia della Parte Lesa, lo svolgimento di un Procedimento Penale e l’interpretazione minuziosa e corretta degli Atti Giudiziari. Consumare o tentare di consumare un’infrazione giuridica significa anche capire se esiste o meno una << reazione sociale >> nei confronti di una devianza che potrebbe essere collettivamente tollerata o addirittura condivisa (GASSIN 1983). Altrettanto imprevedibile è pure la reazione della Parte Lesa, la quale può decidere per una soluzione stragiudiziale della controversia senza alcuna querela e senza alcuna formalità. In terzo luogo, la Polizia Giudiziaria tende a non rimettere notitia criminis al Magistrato nel caso di reati bagatellari o frutto di un’evidente mitomania. Infine, la Sentenza di condanna passata in giudicato non è il risultato di un’operazione di calcolo, ovverosia il Criminologo è tenuto ad esaminare ogni singola componente contenuta nelle Motivazioni, che non sono né automatiche né ontologicamente oggettive.

I Censimenti penali non sono una fotografia positivistica della criminalità reale esistente in un determinato contesto sociale. Acutamente, HOUGH & MAYHEW (1985) notavano che << i cittadini non riferiscono alla polizia un delitto se esso è giudicato poco importante, se si pensa che non esisterebbe comunque una soluzione, oppure se l’incidente viene considerato come un affare personale … invece le ragioni per le quali si decide di riferire una vittimizzazione alla polizia sono diverse, per esempio si considera la questione seria, si agisce per dovere, si pretende un risarcimento, si intende recuperare un oggetto rubato, oppure si ha bisogno di aiuto o di protezione >>.

Le Statistiche criminologiche non sono assolutamente e totalmente affidabili soprattutto perché, come rilevato da GOTTFREDSON & GOTTFREDSON (1980), la Polizia Giudiziaria, in quasi tutti gli Ordinamenti, arresta, perquisisce, identifica ed indaga soltanto nell’ambito dei reati non bagatellari e fortemente anti-sociali. In maniera analoga, le risorse investigative sono o, viceversa, non sono risparmiate a seconda dell’etnia dei responsabili, della loro classe sociale, della loro età, dei loro precedenti o delle loro eventuali parentele con la Parte Lesa. Del resto, durante congiunture macro-economiche caratterizzate da scarsità di denaro e di finanziamenti, ogni Magistratura requirente decide essa stessa di abbandonare o di non coltivare Procedimenti Penali afferenti ad illeciti minori e senz’altro trascurabili. Pure MIETHE (1982), nella Criminologia common lawyer, affermava che << la gravità [ del reato ] può essere misurata in base ad un insieme di elementi oggettivi: la vastità delle ferite fisiche, la durata dell’ospedalizzazione, l’utilizzo di un’arma da fuoco, le minacce di morte o il valore monetario del bene rubato >>. Del resto, sarebbe risibile, anche in epoca odierna, immaginare una Polizia ed un’Autorità Giudiziaria eccessivamente impegnate nella repressione delle ingiurie, degli oltraggi e delle lesioni al decoro ed all’onore. Tutto ciò premesso, la conseguenza è la non attendibilità di un Censimento penale che tenga troppo in conto le infrazioni minori non registrate nemmeno in sede di esercizio dell’azione penale. In buona sostanza, << il processo al termine del quale un delitto viene ad essere catalogato in una Statistica assomiglia quasi ad una distillazione. Gli avvenimenti sospetti attraversano filtri successivi che tendono a condensare la materia criminale eliminando le questioni insignificanti >> (GOVE & HUGUES & GEERKEN 1985). Questa scarsa rilevanza delle infrazioni non gravi è alla base della fondamentale e, anzi, fisiologica ed ineludibile distinzione tra << criminalità conosciuta >> e << criminalità non conosciuta >> ancorché reale (QUETELET 1835). E’intuitivo e facilmente comprensibile che una rapina od un omicidio volontario compariranno in una Statistica più frequentemente di una banale rissa tra ragazzi o di un modico spaccio di una sostanza stupefacente per uso esclusivamente personale. Anche lo white collar crime, benché devastante, non viene quasi mai percepito né a livello sociale né a livello scientifico, con tutte le conseguenze immaginabili dal punto di vista della credibilità dei vari Studi criminologici.

Nella Criminologia statunitense, GOVE & HUGUES & GEERKEN (ibidem) osservavano che le Analisi pseudo-scientifiche dell’FBI, almeno negli Anni Ottanta del Novecento, erano ossessivamente concentrate sul trinomio << omicidio-rapina-furto >>, mentre altri illeciti venivano trascurati, in tanto in quanto soltanto la devianza violenta << fa paura, perché causa danni indiscutibili e perché essa contribuisce fortemente a riempire gli stabilimenti carcerari >>. Basti pensare che, nel 1979, oltre il 63 % dei detenuti statunitensi era stato condannato per omicidio volontario, rapina e furto in alloggi privati o su automobili. La conseguenza era una serie di Statistiche, negli USA, che trascurava e non menzionava reati altrettanto degni di attenzione, come gli stupri, le truffe, la pornografia minorile o il narcotraffico di eroina e cocaina (GOVE & HUGUES & GEERKEN, ibidem).

Esistono centinaia di falsi miti criminologici. P.e., meriterebbe di essere approfondito il motivo o i motivi della quasi totale assenza, nelle Statistiche, della criminalità femminile. Oppure ancora, QUETELET (ibidem) nutriva seri dubbi circa la presunta maggiore incidenza delle condotte anti-giuridiche in età giovanile. In effetti, in Stati come il Belgio, Il Regno Unito e l’attuale Germania unificata esistevano ed esistono tassi elevati di delinquenza anche presso i soggetti maschi maggiori degli anni 35 / 40 d’età. A parere di REISS (1983), qualsivoglia Censimento penale autenticamente degno di rispetto dovrebbe sempre contenere << sondaggi di Vittimologia >>, che sono assai più completi e credibili delle cifre altalenanti e contraddittorie riferite dalla P.G. e dalle Cancellerie dell’A.G. P.e., nelle enormi metropoli nord-americane, la Vittimologia risulta oggi imprescindibile, poiché << i quartieri urbani con una forte criminalità sono caratterizzati da un eccesso di famiglie monoparentali e da molta povertà e da ineguaglianze economiche >> (REISS, ibidem). I sondaggi vittimologici, inoltre, hanno aiutato, dal Novecento sino ad oggi, a comprendere meglio la realtà dei quartieri malfamati occupati da afro-americani ed ispanici. Si consideri pure che il reo minorenne in età scolare è una preziosa fonte di informazioni, sin da quando WEST & FARRINGTON (1973) hanno inaugurato l’entusiasmante metodo conoscitivo dei questionari anonimi distribuiti nella Scuola dell’obbligo. Le modalità d’analisi scelte sono fondamentali ai fini della successiva attendibilità finale di una Statistica criminologica. P.e., negli Anni Sessanta e Settanta del Novecento, negli USA, gli Autori fornivano cifre tra di loro contraddittorie, giacché mancava una corretta epistemologia del crimine, allorquando, viceversa, i Censimenti svolti, nel medesimo periodo storico, in Canada, in Francia e nelle due Germanie erano maggiormente lineari e razionalizzati, grazie ad una Criminologia ragionante anziché limitata a calcolare i numeri delle Sentenze di condanna e dei brogliacci dei Presidi di Polizia.

 

Le Teorie dell’<< occasione per delinquere >>

 

Nel senso comune, ma anche nelle Scienze criminologiche, è diffusa l’idea secondo cui l’essere umano è portato a delinquere maggiormente quando ne ha l’occasione pratica. LEAUTE (1972) è stato uno dei primi a sistematizzare la << Teoria dell’opportunità >>, che ha preso spunto dalla storia del furto di automobili nell’opulenta America del Nord degli Anni Settanta del Novecento. Anche COHEN & FELSON (1979), nell’ambito della Common Law, utilizzavano espressioni come << crime as opportunity >> nonché << legittimate opportunities >>. LEAUTE (ibidem) definisce l’opportunità come << la concomitanza, in un dato luogo ed in un dato momento, delle circostanze materiali favorevoli alla riuscita di un delitto … l’opportunità è uno dei tre elementi della situazione pre-criminale, gli altri due sono l’organizzazione sociale del crimine e la congiuntura dei prezzi >>. Quando il summenzionato Dottrinario parla di << organizzazione sociale del crimine >>, intende alludere a fattori acutamente criminogeni, come la complicità, la raccolta di informazioni, l’istigazione e le risorse. Il terzo elemento, appellato << congiuntura dei prezzi >> indica il controvalore in nero degli oggetti rubati, il costo delle droghe da acquistare dopo il furto e le cc.dd. <<tariffe penali >>, ovverosia il costo patrimoniale e morale delle sanzioni da espiare nel caso di un intervento punitivo della PG e dell’AG. Secondo BENNETT & WRIGHT (1984), è utile, in aggiunta, distinguere tra un’occasione per delinquere inaspettata e, viceversa, un delitto premeditato, in cui tutto è stato prima pianificato sin nei minimi dettagli, ovverosia << a volte si può parlare di un’occasione “ pura “, nel senso di una possibilità di realizzare un guadagno facile con poco rischio senza che tale possibilità sia stata cercata. In tal caso, si applica il proverbio “ l’occasione fa l’uomo ladro “. Altre volte, invece, il malvivente ha cercato attivamente un’opportunità, ha sorvegliato la propria vittima, si è munito di arnesi, ha fatto tutto un lavoro di pianificazione; egli stesso ha creato l’occasione >>. Tuttavia, la Teoria dell’opportunità si può applicare anche ai reati contro la persona, come lo stupro, il quale è preferibilmente consumato nei mesi estivi o primaverili, quando i contatti sociali ed il vestimento sono maggiormente disinibiti ed aumentano variabili criminogene importanti come la facilità empirica, la prossimità fisica e la vulnerabilità.

La vicinanza fisico-abitativa risulta fondamentale, in tanto in quanto << la maggior parte dei crimini esige la compresenza spazio-temporale di un delinquente potenziale, di un bersaglio interessante e dell’assenza di meccanismi di sorveglianza >> (COHEN & FELSON 1979). P.e., non è raro che i furti con scasso siano commessi da insospettabili vicini di casa ben informati, oppure è altrettanto frequente che il reo e la Parte Lesa abbiano in comune un medesimo luogo di lavoro od un medesimo luogo di residenza o di frequentazione (case, condomini, parchi pubblici, quartieri). Le forme di vicinanza e di confidenza aumentano il rischio di violenze carnali, percosse e rapine, specialmente durante le ore serali o notturne. Come intuitivo e normale, uscire spesso di casa per divertirsi, frequentare bar, birrerie o discoteche, rientrare tardi sono tutti fattori negativi nel contesto della Teoria delle opportunità (KILLIAS 1989). Esistono centinaia di variabili che aumentano il rischio di approccio per fini illeciti e di vittimizzazione, come l’essere donna, l’avere problemi legati alla terza età, l’essere una giovane nubile non accompagnata, il guidare taxi per professione o il lavorare come commessa o cameriera di notte (KILLIAS, ibidem). Molti Autori, tra cui SZABO (1986) hanno tentato di catalogare criminologicamente le cause << della vulnerabilità e della debolezza del sistema difensivo di un bersaglio >>. Basti pensare all’assenza, o, viceversa, alla presenza di Istituti di Vigilanza privati, allarmi automatici, cani da guardia, vicinanza della dimora a caserme di Polizia, porte rinforzate, inferriate, griglie, serrature. In buona sostanza, << il valore degli oggetti, la prossimità e la vulnerabilità della Parte Lesa influenzano le scelte del potenziale reo, anche se a volte non si può escludere che la possibilità di questa influenza sia limitata alla scelta di una determinata vittima … alcuni devianti sono portati a delinquere non per una pulsione irresistibile, ma per la ricerca del piacere immediato e per l’assenza di inibizioni >> (SZABO, ibidem). Negli Anni Sessanta e Settanta del Novecento, negli USA, l’utilizzo offensivo di armi da fuoco durante le rapine spesso non era premeditato, ma certamente, in un contesto di fragilità e di debolezza degli interlocutori rapinati, tendono ad aumentare i deliri di onnipotenza del colpevole già di per sé caratterialmente aggressivo

Forse sarebbe stato opportuno accostare, a seconda delle varie epoche storiche, la Teoria dell’<<opportunità >> ad una Teoria della << necessità >>. Nel Regno Unito, GATRELL (1980) analizza che, sino al 1850, i numerosi disoccupati inglesi praticavano << furti di necessità >> per nutrire se stessi e la propria famiglia. Similmente, in Australia, MUKHERJEE (1986) nota che, dal 1925 al 1935/1940, il ladro senza lavoro era quasi obbligato a sottrarre alimenti dalle residenze dei concittadini meno disagiati. Altrettanto utile è l’esempio della Francia, attentamente studiato da GURR (1980), il quale distingueva tra la <<necessità >> di rubare generi alimentari prima del 1945 e, viceversa, l’<< opportunità >> di mettere indebitamente le mani su oggetti di lusso o comunque non di primaria importanza dal 1945 al 1975. Oppure ancora, si pensi al caso dell’Italia dal 2010 in poi, quando la diffusa crisi micro-economica familiare ha recato ad un ritorno di furti di formaggi, insaccati e carne. In tutti questi esempi, la Criminologia si trova chiamata a distinguere tra le necessità fisiologiche del cibo e l’opportunità di oggetti secondari come le automobili, le autoradio, le bevande super-alcooliche e le sostanze illegali stupefacenti, psicotrope e psicoattive. Un contesto sociale opulento, come accadeva nell’Europa degli Anni Ottanta del Novecento, eliminava pressoché totalmente i furti di generi di prima necessità. Un maggiore lusso, in Occidente, ha recato, almeno sino a pochi decenni fa, ad una diminuzione del crimine c.d. << necessario >>. In Francia, nel 1962, il 25 % delle famiglie possedeva un televisore. Nel 1976, la televisione era ospitata nell’86 % delle case. Sempre in Francia, se nel 1950 le automobili di proprietà erano 600.000, nel 1976 tale cifra ammontava a ben 10.000.000. Anche in Canada, tra il 1960 ed il 1978, la macchina si era ormai stabilmente diffusa nel 50 % dei nuclei familiari. Inoltre, oggi, a livello meta-geografico, fare vacanze lontano da casa è la norma, i luoghi per il tempo libero sono miriadi e non mancano ambienti come pizzerie, cinema, centri commerciali e discoteche. In tale contesto, è normale sottolineare che la << devianza di necessità >> ha lasciato il posto ad una più superflua << delinquenza di opportunità >>, incentrata sul lusso o, comunque, sull’eccedenza. Dunque, risulta normale, come asserito da FELSON & COHEN (1980), che << i crimini in generale ed i furti con scasso in particolare si sono evoluti, dal 1947 al 1974, a causa della maggior frequenza delle attività extra-familiari. Molti appartamenti sono abitati da un adulto solo (famiglie monoparentali … celibi… donne sole… divorziati). Gli alloggi abitati dai singles (uomo o donna) hanno molte probabilità di rimanere inoccupati durante i giorni liberi, lasciando campo libero agli scassinatori. Tra il 1950 ed il 1975, la vulnerabilità delle abitazioni è aumentata perché esse sono inoccupate per molte ore al giorno >>. Si calcoli pure che, in Europa ed in Nord-America, non esiste ormai una sola cittadina senza banche, negozi, supermercati, grandi magazzini; le case ordinarie sono munite di radio, video-registratori, computers sofisticati, telefoni cellulari all’ultima moda, apparecchi elettronici, sicché << in un periodo di abbondanza l’imprudenza cresce e le vittime diventano più vulnerabili >> (FELSON & COHEN 1980). Soltanto dopo la crisi macro-economica planetaria del 2010-2011, si registra un ritorno inaspettato al furto di generi alimentari, pane, frutta, vino da tavola, latticini, indumenti indispensabili, il che, invece, costituiva una ridicola bizzarria tra il 1975 ed il 1985 circa.

Di fronte a siffatta recrudescenza del furto o della rapina << per necessità >> anziché << per opportunità>> sono sempre più diffuse le misure di auto-protezione per tutelare i beni materiali, come dimostra l’incremento odierno delle video-camere e dei sistemi anti-furto nelle case o sulle automobili. In particolar modo, << le persone giuridiche (centri commerciali, industrie, corporazioni) sono abbastanza attive in fatto di sicurezza, perché i loro tassi di vittimizzazione sono più elevati rispetto a quelli delle persone fisiche e le loro perdite sono maggiori >> (REISS 1983). Altre ulteriori forme di auto-protezione, intuibili e normali, consistono nel portarsi appresso pochi contanti, utilizzare preferibilmente carte di credito ed assegni, uscire di casa con cautela, evitare luoghi criminogeni o isolati durante le ore serali e notturne ed impiegare abbondantemente catenacci, catene e serrature rinforzate.

L’auto-protezione reca un costo elevato, sia sotto il profilo economico, sia sotto il profilo morale, fermo restando che qualunque soggetto non può barricarsi in casa nel timore costante di subire delitti contro il patrimonio. EHRLICH (1982) non nasconde la sussistenza di potenziali e sregolate fobie sociali, giacché << si tratta di proporzionare il proprio livello di protezione rispetto al proprio livello di rischio. La quantità ottimale di protezione privata è direttamente connessa ai rischi percepiti di vittimizzazione. Più si ha paura del crimine, più si è motivati a prendere i provvedimenti per prevenirlo >>. Dunque, l’autentico problema di fondo consiste nel saper bilanciare adeguatamente l’angoscia auto-protettiva e, specularmente, l’insicurezza sociale interiorizzata e, probabilmente, amplificata in maniera eccessiva e non ragionevole. E’bene prendere atto che alcune situazioni ed alcuni luoghi sono criminogeni, tuttavia non mancano le dis-percezioni create dal populismo e da un giustizialismo ebbro di morbosa cronaca nera. Negli USA, i ghetti afro-americani ed ispanici sono quelli in cui i residenti ed i negozianti fanno un uso esasperato di allarmi anti-furto, serrature speciali e persino armi da fuoco (KAKALIK & WILDHORN 1977). Altrettanto abbondanti sono le ronde delle Vigilanze private e l’impiego dei cani da guardia nei quartieri statunitensi malfamati, ma è opportuno chiedersi, sotto il profilo criminologico, quale sia o quale debba essere la linea di demarcazione tra << criminalità reale >> e << criminalità percepita >>, soprattutto in un contesto dominato dalle televisioni e dalla demagogia. Persino nella relativamente tranquilla Svizzera, l’uso di anti-furto è molto elevato ed esistono vie e piazze in cui il cittadino medio non entra neppure durante le ore diurne (KILLIAS 1989). Molte ansie auto-protettive tangono, nella Confederazione, gli anziani e le donne sole, ma spesso << la paura del crimine è un fenomeno irrazionale senza un concreto rapporto con la realtà>> (KILLIAS, ibidem). Nei sobborghi degradati delle città nord-americane di Newark e di Houston, SKOGAN (1987) ha dettagliatamente analizzato un campione-prova di 1.738 residenti. Da tale Censimento, è emersa una fobia scientificamente qualificata come << irrazionale >> e tendente a sopravvalutare episodi bagatellari di furti con scasso, vandalismo e aggressione non aggravata. Il timore della popolazione non è equilibrato ed i mezzi di informazione forniscono ulteriori immagini non conformi al vero, giacché il tasso di delittuosità oggettivo rilevato da SKOGAN (ibidem) non deve o non dovrebbe giustificare l’insicurezza e le auto-suggestioni dei 1.738 residenti intervistati. Gli USA sono il Paese con la percentuale più alta in assoluto di auto-protezione, ma anche la Francia presenta cifre oltremodo elevate. Infatti, in Francia, tra il 1977 ed il 1979, la spesa privata per sistemi anti-furto è aumentata del 50 %. Nel 1985, il mercato degli allarmi elettronici ha registrato introiti per 27.000.000.000 di Franchi francesi, il 68 % dei quali unito a polizze assicurative. Egualmente sproporzionata risulta la spesa, sempre in Francia, per le guardie del corpo ed il trasporto blindato del denaro. Tra il 1976 ed il 1982, quindi nel corso di soli 7 anni, i dispositivi automatici di protezione si sono quintuplicati, per un totale di decine di Miliardi di Franchi dell’epoca in esame. ROBERT (1985) ha censito una vera e propria esplosione nei settori dei sistemi di sicurezza, delle compagnie assicurative e degli agenti privati di sicurezza. Assai diffuse sono pure le Associazioni delle vittime, con il conseguente rischio, come accaduto nella Common Law, di un’ipertrofia di liti processuali inutili, costose e decisamente neo-retribuzioniste. Gli individui maggiormente << fobici >> sono stati e sono le donne sole e gli ultra-60enni. Secondo REPPETTO (1976), l’auto-protezione ossessiva non reca ad una diminuzione del tasso di criminalità reale, perché << il delinquente reagisce ad una misura di protezione commettendo il delitto in un altro momento o adottando un altro modo di agire, oppure cambiando vittima. Questo ci dà l’idea dei quattro tipi di adattamento [ del reo ]: l’adattamento geografico, quello temporale, quello tattico e quello vittimologico >> Anche la Germania Ovest, la Gran Bretagna, il Galles e la Svezia, negli Anni Sessanta e Settanta del Novecento, hanno investito molte risorse negli anti-furto elettronici e meccanici, ma tale ossessione securitaria, anziché eliminare la criminalità, ha soltanto prodotto un cambiamento delle strategie e delle astuzie negli ambienti della devianza di strada e di quartiere. Lombroso parlava, già molti decenni fa, di una grande versatilità e di una notevole mutabilità nella maniera e nelle abitudini di delinquere.

 

I fattori criminogeni connessi all’età. Verità e preconcetti

 

L’individuo in età adolescenziale ed i giovani adulti tendono a ribellarsi con più frequenza e con più violenza contro le Norme giuridiche poste o imposte dalle Autorità costituite, come lo Stato, la Famiglia e la Scuola dell’obbligo. Un secondo fattore degno di attenta analisi criminologica è il << baby boom >> verificatori, in Europa e nelle Americhe, tra il 1947 ed il 1962, quando la Macro-economia globale sembrava definitivamente uscita dalla profonda crisi connessa alle pregresse due guerre mondiali. A parere di WILSON & HERRNSTEIN (1985), l’incremento demografico post-bellico avrebbe favorito un aumento tra il 10 % ed il 50 % circa degli infrattori di età maggiore degli anni 14 e minore degli anni 25. Bisognerà (rectius. bisognerebbe) attendere il quinquennio 1980-1984 per registrare un discreto invecchiamento della popolazione congiunto ad un decremento di circa il 15 % nella delinquenza minorile nonché giovanile. Ammesso e non concesso che una società più giovane sia anche più criminogena, gli adolescenti ed i post-adolescenti statunitensi, prima degli Anni Ottanta del Novecento, erano dediti soprattutto ai furti di automobili ed ai delitti contro la persona. Anche la Francia, tra il 1946 ed il 1973, ha conosciuto un notevole aumento delle nascite, ma, anche in questo caso, manca la prova scientifica, peraltro bizzarra e pure eccentrica, che gli ultra-15enni e gli infra-24enni tendono o tenderebbero a delinquere in misura maggiore rispetto ai consociati non più in età evolutiva. A parere di chi scrive, risulta ripugnante ipotizzare che una collettività invecchiata sia meno criminogena, come dimostra lo white collar crime, abitualmente e, anzi, necessariamente, agito da ultra-40enni. La folle immagine dell’adulto o del vecchio quieto ed onesto è stata proposta anche da Dottrinari della Criminologia canadese e britannica, ma, provvidenzialmente, il Giappone e la Svizzera aiutano ad infrangere la falsa mitologia del giovane sempre e comunque ribelle e violento. Infatti, il baby boom nipponico e quello elvetico non ha cagionato alcun peggioramento statistico nei tassi di devianza anti-giuridica ed anti-sociale presso i nati tra il 1947 ed il quadriennio 1962-1965. Del resto, anche negli Anni Duemila, l’età è soltanto uno dei molteplici fattori che agevolano o, comunque influenzano il crimine in un determinato periodo ed in un determinato contesto geografico. Il controllo della fertilità è del tutto ininfluente sotto il profilo criminologico ed i pareri contrari, ad avviso di chi redige, sono stati e sono volgari incentivi economici pervertiti e pervertitori, appositamente studiati per l’arricchimento di barbarici e disumani mezzi di contraccezione. Persino l’accurato Studio statunitense di HOLINGER (1987) dimostra la perfetta eguaglianza della delittuosità giovanile, negli USA; dal lontano 1933 sino al più recente 1982. E’indubitabile che sono aumentati gli episodi di omicidio volontario agiti da minorenni, ma si tratta di un’eccezione che conferma la regola, in tanto in quanto << i tassi globali di criminalità non variano solamente a causa del semplice aumento matematico del numero degli individui >> (HOLINGER, ibidem).

Nel XX Secolo, i seguaci di Durkheim hanno dimostrato, nella << Teoria del controllo sociale >>, che l’omicidio volontario, la delinquenza giovanile e le violenze ad eziologia tossicomanica aumentano non per motivi anagrafici, bensì perché oggi il ragazzo non possiede più i valori della Religione, della Famiglia e della Politica. Giustamente, JUNGER-TAS (1988) nota che i primi problemi nascono in Famiglia, giacché << i giovani delinquenti sono raramente in buono rapporti con i loro genitori … i giovani delinquenti dichiarano che [ i loro genitori ] non li apprezzano e comunicano poco … Manca la vigilanza e la sorveglianza. I genitori dei giovani delinquenti non sanno neppure che cosa fanno i loro figli, dove vanno e chi frequentano. I genitori sono poco presenti >>. Sono altrettanto preziose e forse profetiche le parole di WILSON & HERRNSTEIN (1985): << noi siamo in presenza di adulti deboli, passivi, che lasciano correre tutta una serie di accadimenti seri, finché, in definitiva, i figli si abbandonano alla brutalità >>. I problemi pedagogici aumentano (rectius: aumenterebbero) nelle famiglie monoparentali, ove la Madre deve lavorare molte ore fuori di casa, non ha sostegni nella parentela, non ha un marito nel senso tradizionale e vive in una situazione di precarietà economica, sicché, a livello statistico, << i figli allevati in una famiglia monoparentale potrebbero [ ? ] avere un più elevato rischio di commettere reati >> (REISS 1983). Tuttavia, come prevedibile, quanto testé asserito non vale perennemente ed ovunque come se si trattasse di una formula matematica infallibile, giacché abbondano esempi concreti di segno completamente opposto.

Meriterebbe di essere approfondito << il ruolo criminogeno del cumulo degli handicaps familiari >> teorizzato da RUTTER & GILLER (1983). Sono << handicaps >> fattori come l’assenza di un padre, le nevrosi della Madre, la mancanza di vigilanza, oppure ancora la precarietà economica cronica. Ciononostante, di nuovo chi scrive si dissocia dall’ipostatizzazione sia di questo sia di altri approcci epistemologici. Le dinamiche familiari sono numerose e pressoché imprevedibili. Il cumulo degli handicaps familiari risulta senz’altro negativo ancorché non assolutizzante, poiché, a livello fattuale, le eccezioni non sono né poche né rare.

Il giovane deviante manifesta, durante l’età scolare, un forte disadattamento, che si concretizza in ritardi dell’apprendimento, assenze ingiustificate, mancanza di disciplina e disturbo durante le lezioni. Senz’altro, la responsabilità di certe condotte è legata ai Docenti, che valutano il profitto scolastico sulla base di criteri arbitrari, non proporzionati e superficiali, ovverosia tali da etichettare lo scolaro come svogliato e ribelle, anche quando tale qualifica non è del tutto meritata. In breve, molto dipende dal <<clima >> culturale creato dagli educatori. Dopotutto, il voto è o, viceversa, non è una ricompensa equa per il lavoro culturale svolto dallo studente e spesso la ribellione nasce da un sistema di voti non giusto e non imparziale. Secondo alcuni Dottrinari anglofoni, paradossalmente, conviene non insistere troppo nell’inserimento scolastico e lasciare spazio piuttosto, ad un tranquillo ed ordinario inserimento del ragazzo problematico nel mondo del lavoro, qualora l’apprendimento culturale si riveli inutile, eccezion fatta per le nozioni basilari ed indispensabili. La cultura non dev’essere idolatrata in rapporto al valore, altrettanto rispettabile, del lavoro manuale. Esiste, nel ragazzo, una moralità che prescinde dalla più o meno intensa scolarizzazione. Oggi, nella vita sociale, la preparazione teorica è sovrastimata a discapito dell’etica, della famiglia e della vera affettività pre- / post- scolastica.

 

 

 

B   I   B   L   I   O   G   R   A   F   I   A

 

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Dott. Andrea Baiguera Altieri

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