Le Sezioni Unite hanno affermato che l’aggravante speciale prevista dall’art. 416 bis. co.1 c.p. ha natura soggettiva

Redazione 10/03/20
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La sezione II della Cassazione penale riteneva necessario rimettere alle Sezioni unite la seguente questione «se l’aggravante speciale già prevista dall’art. 7 d.l. n. 152 del 1991 ed oggi inserita nell’art. 416 bis.1 cod. pen. che prevede l’aumento di pena quando la condotta tipica sia consumata “al fine di” agevolare l’attività delle associazioni mafiose abbia natura “oggettiva” concernendo le modalità dell’azione, ovvero abbia natura “soggettiva” concernendo la direzione della volontà».

Ciò posto, si osservava in via preliminare come, nel caso di specie, la questione assumesse rilievo decisivo dato che (a) la Corte territoriale aveva ritenuto la natura soggettiva dell’aggravante, modificando sul punto la valutazione del primo giudice, che invece l’aveva ritenuta di natura oggettiva e (b) le censure del ricorrente si appuntavano proprio sulla motivazione relativa al riconoscimento della circostanza che sarebbe stata idonea a dimostrarne l’esistenza solo laddove se ne ritenga la natura oggettiva ma non quando si assuma che la stessa richieda la prova del dolo specifico.

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Gli orientamenti

Orbene, una volta fatta questa premessa, gli ermellini rilevavano come su tale questione fossero rinvenibili tre orientamenti, due antagonisti ed uno intermedio.

Secondo un primo filone interpretativo la contestazione dell’aggravante in questione «si giustifica tutte le volte in cui possa trarsi dalla situazione concreta conferma della finalizzazione dell’azione al finanziamento di un’associazione avente le caratteristiche mafiose […] Se la consapevolezza di tale scopo dell’azione risulta essenziale alla configurazione dell’aggravante» (Sez. 6, n. 24025 del 30/05/2012; nello stesso senso: Sez. 6, n. 19802 del 22/01/2009; Sez. 5, n. 10966 del 08/11/2012; Sez. 2, n. 51424 del 05/12/2013; Sez. 2, n. 13707 del 11/03/2016; Sez. 5, n. 10966 del 08/11/2012; Sez. 2, n. 52025 del 24/11/2016; Sez. 2, n. 24046 del 17/01/2017) fermo restando che, nell’ambito di tale orientamento, si distingue quello che “scompone” la natura dell’elemento soggettivo in capo ai concorrenti del reato aggravato e che afferma che, «se la consapevolezza di tale scopo dell’azione risulta essenziale alla configurazione dell’aggravante […] (Sez. 6, Sentenza n. 11008 del 07/02/2001), tuttavia non è richiesto che tale consapevolezza sia condivisa da parte di tutti i concorrenti, poiché in proposito trova applicazione il disposto dell’art. 59 c.p., comma 2 che impone di valutare le circostanze a carico dell’agente, anche quando le abbia ignorate per sua colpa» (testualmente: Sez. 6, n. 24025 del 30/05/2012; nello stesso senso: Sez. 6, n. 19802 del 22/01/2009).

Invece, secondo un opposto orientamento (emerso con chiarezza dal 2017), l’aggravante in esame ha natura soggettiva in quanto «le decisioni che aderiscono a questo indirizzo, muovendo dalla premessa della necessità di accertare una univoca e cosciente finalizzazione agevolatrice della condotta antigiuridica del soggetto agente, hanno escluso la configurabilità dell’aggravante in questione nei confronti di uno dei concorrenti, ritenendola invece nei confronti di altri partecipi e, nel senso della natura soggettiva dell’aggravante cd. Agevolativa, si sono espresse le due decisioni delle sezioni unite [sebbene in obiter dicta, ovvero su questioni non devolute come oggetto del contrasto] che si sono occupate di questioni concernenti l’applicazione dell’art. 7 d.l. n. 152 del 1991, e precisamente Sez. U, n. 10 del 28/03/2001, Cinalli, nonché Sez. U, n. 337 del 18/12/2008, dep. 2009, Antonucci.

In particolare, secondo Sez. U, Cinalli, «l’aggravante si articola […] in due differenti forme, pur logicamente connesse: l’una a carattere oggettivo, costituita dall’impiego del metodo mafioso nella commissione di singoli reati, l’altra di tipo soggettivo, che si sostanzia nella volontà specifica di favorire ovvero di facilitare, con il delitto posto in essere, l’attività del gruppo» e, in termini pressoché identici, si è pronunciata Sez. U, Antonucci la, quale, nel citare specificamente Sez. U, Cinalli, ha osservato che la circostanza di cui all’art. 7 d.l. n. 152 del 1991 «si atteggia in due forme alternative, l’una a carattere oggettivo, consistente nell’impiego del metodo mafioso nella commissione del singolo reato, e l’altra, di natura soggettiva, costituita dallo scopo di agevolare con il delitto posto in essere, l’attività dell’associazione di tipo mafioso» (testualmente Sez. 6, n. 25510 del 19/04/2017; nello stesso senso Sez. 5, n.4037 del 22/11/2013; Sez.6, n.44698 del 22/09/2015; Sez. 6, n. 35677 del 02/05/2017; Sez. 6, n. 31874 del 09/05/2017; Sez. 1, n. 19818 del 23/05/2017; Sez. 6, n. 43890 del 21/06/2017; Sez. 6, n. 11356 del 08/11/2017; Sez. 1, n. 54085 del 15/11/2017; Sez. 2, n. 6021 del 29/11/2017; Sez. 1, n. 52505 del 20/12/2017; Sez. 6, n. 8891 del 19/12/2017; Sez. 2, n. 53142 del 18/10/2018).

I giudizi di piazza Cavour evidenziavano altresì che, nell’ambito di tale orientamento, si distinguono le sentenze che, pur ribadendo la natura soggettiva dell’aggravante, hanno evidenziato la necessità che il dolo specifico si accompagni alla emersione di una condotta criminosa funzionale all’agevolazione delle associazioni mafiose e, sul punto, si è infatti affermato che la circostanza aggravante in esame ha natura soggettiva in quanto incentrata su una particolare motivazione a delinquere desumibile anche dalle modalità dell’azione rilevanti quali parametri rivelatori del substrato psicologico di detta aggravante ma che, tuttavia, ai fini della sua configurabilità, occorre valutare l’oggettiva idoneità del delitto ad agevolare, non necessariamente il consolidamento o il rafforzamento del sodalizio, ma l’attività dell’associazione stessa, ovvero una delle manifestazioni esterne della vita della medesima; le modalità dell’azione rilevano infatti quali indicatori ovvero quali parametri rivelatori del substrato psicologico (morale) dell’aggravante (Sez. 6, n. 28212 del 12/10/2017; sez. 6, n. 53691 del 17/10/2018; Sez. 3, n. 9142 del 13/01/2016; Sez. 3, n. 36364 del 2015; Sez. 6, n. 31405 del 07/06, 2017).

Secondo ulteriore ed intermedio orientamento si è ritenuto che al «contrasto fra le due citate qualificazioni dell’aggravante (soggettiva od oggettiva), come pure al regime della estensibilità dell’aggravante ai concorrenti, non possa darsi una soluzione univoca, perché tale conseguenza dipende da come l’aggravante si atteggia in concreto e dal reato in relazione al quale viene contestata. Infatti, per quanto specificamente concerne il reato associativo, la finalità di agevolare un’associazione mafiosa, più che denotare una specifica attitudine delittuosa del singolo concorrente, risulta direttamente connessa alla concreta struttura organizzativa dell’associazione. Se tale struttura si pone in una situazione di prossimità alla associazione mafiosa (vuoi perché la seconda le garantisce, come nelle fattispecie, spazi di operatività nei territori controllati, oppure avallo e protezione in cambio dello svolgimento a suo vantaggio di parte della propria attività, vuoi perché la prima “foraggia” la seconda o ne reimpiega i profitti, o contribuisce a formare una “cassa comune”, o comunque la agevola con altre modalità), ecco allora che il collegamento della associazione per la vendita degli stupefacenti con la associazione mafiosa si traduce anche in finalità agevolativa e rappresenta un dato oggettivo e strutturale, che travalica la condotta del singolo associato, perché riguarda il modo di essere della associazione e dunque le modalità di commissione del fatto di reato. In questa prospettiva, risulta corretto attribuire natura oggettiva alla aggravante in questione, trattandosi di circostanza che facilita la commissione del reato da parte dei concorrenti; circostanza che, di conseguenza, può anche essere attribuita ai concorrenti sia in caso di dolo, sia ex art. 59, comma 2, cod. pen., purché (come è risultato essere nel caso in esame) conoscibile a tutti» (Sez. 2, Sentenza n. 22153 del 2019; Sez. 6, n. 53646 del 04/10/2017).

Una volta terminato questo excursus giurisprudenziale – dopo avere fatto presente che, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, anche l’orientamento che ritiene che l’aggravante in parola si risolva nella identificazione di un dolo specifico non ritiene che la direzione della volontà debba avere come obiettivo esclusivo quello di agevolare la mafia di riferimento essendo stato affermato che l’aggravante è configurabile anche nel caso in cui l’agente persegua l’ulteriore scopo di trarre un vantaggio proprio dal fatto criminoso, purché ad esso si accompagni la consapevolezza di favorire l’interesse della cosca beneficiata (Sez. 5, n. 11101 del 04/02/2015; Sez. 1, n. 49086 del 24/05/2012) – gli ermellini osservavano come i tre orientamenti descritti fossero stati generati dalla polivalenza interpretativa della lettera della legge che prescrive l’aggravamento del reato quando lo stesso sia commesso “al fine di” agevolare l’attività delle associazioni previste dall’art. 416 bis cod. pen. atteso che la locuzione “al fine di“, ad avviso della Corte, si presta ad essere interpretata (a) sia come indicativa della “funzionalità oggettiva” della condotta criminosa contestata ad agevolare l’associazione mafiosa, (b) sia come indicativa della necessità che la condotta sia sorretta dal “dolo specifico” ovvero dalla precisa volontà di funzionalizzare l’azione criminosa a vantaggio dell’associazione.

Orbene, sempre ad avviso del Supremo Consesso, tale inquadramento ha effetti decisivi sugli oneri probatori e motivazionali correlati al riconoscimento dell’aggravante in quanto, se si ritiene che la circostanza sia oggettiva la stessa può essere ritenuta anche sulla base dell’emersione di un profilo soggettivo colposo, come richiesto in via generale dall’art. 59 cod. pen. per tutti gli eventi circostanziali mentre, se si considera che la stessa punisca in modo aggravato le condotte sorrette da dolo specifico, diventa indispensabile lo scrutinio della direzione agevolatrice della volontà del singolo partecipe all’azione criminosa dato che l’orientamento, il quale afferma che l’aggravante è di natura oggettiva, si limita a ritenere necessaria la prova della funzionalizzazione oggettiva (anche parziale) dell’attività criminosa a vantaggio dell’associazione mafiosa ed a ritenere sufficiente quanto al profilo soggettivo l’emersione di un atteggiamento riconducibile alla ignoranza colposa; di contro l’orientamento, che sostiene l’inquadramento della circostanza tra quelle soggettive, richiede lo scrutino della direzione della volontà dell’agente.

Orbene, nel rimettere la questione indicata alle Sezioni unite, il Supremo Consesso rilevava alcuni profili problematici correlati all’emersione del contrasto del quale si invoca la composizione.

In primo luogo si metteva in risalto il fatto come il contrasto in questione avesse un perimetro circoscritto alla controversa necessità della prova del dolo specifico in capo ad ogni concorrente essendo invece incontestato che occorra l’emersione della “oggettiva funzionalità agevolatrice” della condotta criminosa che si ritiene aggravata dal momento che tale oggettiva funzionalità era stata ribadita anche dalle sentenze che aderivano all’inquadramento dell’aggravante come soggettiva essendo stato affermato che è necessario valutare l’”oggettiva idoneità” del delitto ad agevolare, non necessariamente il consolidamento o il rafforzamento del sodalizio, ma l’attività dell’associazione stessa, ovvero una delle manifestazioni esterne della vita della medesima; le modalità dell’azione rilevano infatti quali indicatori ovvero quali parametri rivelatori del substrato psicologico (morale) dell’aggravante (tra le altre Sez. 6, n. 28212 del 12/10/2017; sez. 6, n. 53691 del 17/10/2018; sez. 6, n. 53691 del 17/10/2018).

Di contro, tra le sentenze che riconoscono la natura oggettiva della circostanza, si faceva presente come fossero rinvenibili talune pronunce che ritengono necessaria la prova del dolo specifico in capo ad “almeno uno” dei correi mentre, per gli eventuali concorrenti, il criterio di imputazione soggettivo dell’elemento circostanziale sarebbe la “ignoranza colpevole” ovvero quello previsto in via generale per tutti gli elementi non costitutivi del reato dall’art. 59 cod. pen. (Sez. 6, n. 24025 del 30/05/2012; Sez. 6, n. 19802 del 22/01/2009).

Ebbene, ad avviso della Corte, tale ultima opzione ermeneutica appariva essere di critica condivisibilità dato che la mutazione del criterio di imputazione soggettiva in capo ai concorrenti nel medesimo reato non sembra trovare alcuna legittimazione normativa dato che, se l’art. 110 cod. pen. consente di sanzionare condotte “atipiche” rispetto a quella tipica cristallizzata nella fattispecie normativa, nessuna diversificazione è prevista in ordine all’elemento soggettivo che deve essere omogeneo per tutti i concorrenti oltre che corrispondente a quello individuato dalla fattispecie-tipo (in materia di associazione mafiosa e concorso esterno: Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005; in materia di intestazione fittizia: Sez. 6, n. 34667 del 05/05/2016; in materia di sequestro di persona a scopo di estorsione: Sez. 5, n. 8352 del 13/01/2016).

Ciò posto, a questo punto della disamina, la Cassazione escludeva che i termini del contrasto summenzionato riguardassero il fatto che la circostanza di avere consumato il reato “al fine di” agevolare l’associazione mafiosa possa essere riconosciuta solo in presenza di un evento materiale ed “oggettivo“, ovvero l’emersione della concreta funzionalizzazione dell’attività criminosa contestata all’agevolazione di una associazione mafiosa, il che consentiva di escludere che la “finalità agevolatrice” potesse essere inquadrata nell’area dei “motivi” a delinquere essendo la stessa sempre correlata, anche da chi la riconduce nell’area della volizione, ad un evento materiale ed obiettivo.

Il contrasto, invece, secondo la Corte, riguarda la copertura volitiva di tale elemento materiale dato che, secondo alcuni, è sufficiente che il nesso funzionale tra reato contestato ed associazione mafiosa sia sorretto da una “volizione attenuata“, cioè l’ignoranza colposa, mentre, secondo altri, è necessaria la “volizione piena e specifica” ovvero la piena consapevolezza della finalità agevolatrice.

Diventa allora essenziale, sempre secondo la Cassazione, dipanare il dubbio in ordine alla possibilità che un elemento strutturale del reato, quale è il “dolo“, nella sua connotazione generica piuttosto che specifica, possa essere previsto da una circostanza, ovvero da un elemento accidentale, accessorio ed eventuale, rispetto all’archetipo normativo del reato contestato, e ciò perché tale dubbio è alimentato dal fatto che il legislatore, in diversi casi, ha scelto di prevedere reati che, pur omogenei sotto il profilo oggettivo, si distinguono solo per l’elemento soggettivo così evidenziando la funzione strutturale della natura specifica del dolo rispetto alla fattispecie-tipo: si pensi al caso del sequestro di persona “semplice” rispetto a quello a scopo di “estorsione“, di “terrorismo e di eversione” o di “coazione” (art. 605 cod. pen., 630 cod. pen., 289 bis, 289 ter cod. pen.) ed a tutti i reati aggravati dall’ essere stati commessi con finalità di terrorismo (art. 270 quater, 270 quater.1, 270 quinquies, 270 quinquies.1, 280 cod. pen.) tenuto conto altresì del fatto che il dubbio sulla legittimità della possibile giustapposizione del “dolo specifico” per via circostanziale è accresciuto anche dalle prescrizioni contenute nell’art. 70 cod. pen. che cataloga come soggettive solo le circostanze che incidono sulla “intensità” del dolo (e sul grado della colpa), senza fare alcun riferimento alla “natura”, generica o specifica del dolo.

A fronte di tale quesito, inoltre, la Cassazione affermava di non ignorare, consapevole della valenza sistematica della questione, che se si ritenesse illegittima l’imposizione del dolo specifico per via circostanziale sarebbe critico anche l’inquadramento dell’aggravante teleologica prevista dall’art. 62 n. 1) cod. pen. che, contrariamente a quanto ritenuto dalla giurisprudenza prevalente, dovrebbe essere anch’essa ricondotta all’oggettivo collegamento tra le condotte contestate e non all’orientamento della volontà (per l’inquadramento come aggravante di natura soggettiva: Sez. 5, n. 11497 del 26/09/2000; Sez. 6, n. 5797 del 17/03/1995) posto che, se si ritenesse che il dolo specifico possa essere previsto solo dalla fattispecie-tipo e non da elementi esterni all’archetipo che descrive il reato, l’area delle aggravanti soggettive resterebbe limitata a quelle inerenti la persona del colpevole (esemplare la recidiva) ed a quelle che registrano una diversa l’intensità del dolo (come l’aggravante delle premeditazione o quella dei motivi abietti e futili) mentre se si ritenesse invece che il dolo specifico, correlato all’aggravante in esame, non incida sulla struttura del reato modificandone in via accidentale l’elemento soggettivo ma che la prova della “volizione specifica“, e dunque la consapevolezza della finalità agevolatrice, si riferisca solo all’elemento materiale della circostanza ovvero alla concreta funzionalizzazione del reato all’agevolazione dell’associazione mafiosa, si legittimerebbe una eccezione alla regola generale prevista dall’art. 59 cod. pen. che, nel contribuire a tracciare lo statuto codicistico delle circostanze, stabilisce che gli eventi circostanziali, per essere riconosciuti, richiedono una copertura soggettiva “attenuata“, identificata nell’ignoranza colposa, ma non il dolo.

A fronte di tale problematica giuridica, gli ermellini, una volta rilevato come tale profilo problematico fosse stato colto da quella giurisprudenza che ha ritenuto che la disciplina prevista dall’art. 118 cod. pen., relativa al concorso di persone nel reato ha carattere “speciale” rispetto a quella generale prevista dall’art. 59 cod. pen. (Sez. 1, n. 52505 del 20/12/2017; Sez. 6, n. 8891 del 19/12/2017), osservavano che l’art.118 cod. pen. indica i criteri di valutazione delle circostanze caso di “concorso di persone” prescrivendo che in tal caso le circostanze “soggettive” devono essere valutate singolarmente in relazione ad ogni concorrente, senza per questo modificare il criterio di imputazione soggettiva degli eventi accidentali che aggravano il reato, che è previsto in via generale dall’art. 59 cod. pen. atteso che le circostanze pacificamente soggettive, ovvero quelle che ineriscono la persona del colpevole (recidiva), i rapporti tra colpevole ed offeso (aggravante della parentela), i motivi a delinquere (ragioni abiette o futili), l’intensità del dolo (premeditazione) sono ontologicamente coperte dalla volontà della persona cui sono attribuite sicché non si può neanche riconoscere una vera eccezione alla regola della imputabilità soggettiva colposa degli eventi accidentali che aggravano il reato mentre tale regola dovrebbe trovare applicazione con riguardo alla imputazione soggettiva delle circostanze caratterizzate da una base materiale che può essere ignorata colposamente dall’agente ovvero nei casi in cui vi sia la possibilità che il profilo oggettivo dell’aggravante (in questo caso la funzionalità agevolatrice del reato) possa non essere conosciuto e voluto da tutti i concorrenti.

Il Supremo Consesso, di conseguenza, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, ribadita la rilevanza per la decisione del caso di specie della seguente questione: «se l’aggravante speciale già prevista dall’art. 7 D.I. n. 152 del 1991 ed oggi inserita nell’art. 416 bis.1 cod. pen. che prevede l’aumento di pena quando la condotta tipica sia consumata “al fine di” agevolare l’attività delle associazioni mafiose abbia natura “oggettiva” concernendo le modalità dell’azione, ovvero abbia natura “soggettiva” concernendo la direzione della volontà», rimetteva la stessa al superiore scrutinio delle Sezioni Unite.

Le Sezioni Unite ha così stabilito

Le Sezioni Unite hanno affermato che l’aggravante agevolatrice dell’attività mafiosa, prevista dall’art. 416-bis, comma primo, cod. pen., ha natura soggettiva, inerendo ai motivi a delinquere, ed è caratterizzata da dolo intenzionale; nel reato concorsuale, è estensibile al concorrente che non sia animato da tale scopo a condizione che egli risulti consapevole dell’altrui finalità agevolatrice, secondo la disciplina generale dettata dall’art. 59, comma secondo, cod. pen., che attribuisce all’autore del reato gli effetti delle circostanze aggravanti da lui conosciute.

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