Le sanzioni per il mancato rispetto delle norme di contingentamento Covid-19 manifestamente illegittime: abuso d’ufficio e possibili scenari

Andrea Siena 11/05/20
  1. Premessa – 2. Abuso d’ufficio – 3. Possibili scenari

 

  1. Premessa

L’emergenza sanitaria determinata dal virus Covid-19 ha spinto il legislatore all’introduzione di una normativa sofferta. Le evidenze scientifiche e i postulati derivanti hanno obbligato il Legislatore, di fatti, al sacrificio di beni costituzionalmente garantiti. La tutela del diritto collettivo della salute ha portato ad immolare sull’altare sacrificale le libertà individuali dei singoli: la libertà di circolare liberamente, il diritto di riunirsi, il diritto di iniziativa economica, sono solo alcuni dei beni costituzionali che oggi sono essenzialmente sospesi. Senonché, le normative concernenti le privazioni di libertà costituzionali (ancorché necessarie) spingono da sempre l’interrogativo circa la loro legittimità.

In tal senso, dubbi circa la normativa emergenziale (sia di carattere formale che sostanziale), sono stati sollevati da più di un commentatore e, probabilmente, proprio tali doglianze, hanno spinto il Legislatore a “correggere il tiro”. I reati posti a presidio del rispetto delle “norme anti covid” hanno ceduto il passo a mere sanzioni amministrative; è stata decisa preventivamente la sorte delle oltre 20.000 denunce medio tempore disposte, trasformandole de plano, in illeciti amministrativi; è stato vietato ai sindaci di disporre ordinanze contingibili e urgenti in contrasto con la normativa nazionale; il presupposto legale fondante le precedenti disposizioni ha trovato in un nuovo decreto-legge la base normativa.

Tuttavia, se l’introduzione della sanzione amministrativa da un lato ha sicuramente colmato un vulnus costituzionale denunciato da più parti della dottrina penalistica, dall’altro, non ha sciolti i nodi circa l’esatta portata del lecito e/o illecito demandando spesso alle forze dell’ordine un ruolo d’interpretazione autentica assolutamente illegittimo.

Assistiamo così al becero spettacolo della criminalizzazione del runner-terrorista, alla nascita del Sindaco sceriffo, all’approvazione, come sacrificio necessario, della sanzione illegittima, per arrivare, infine, all’imbarbarimento della società e al sacrificio non proporzionato. Ma proprio in questo ginepraio di informazioni fallaci, figlie soprattutto di una pessima tecnica legislativa, deve farsi più forte la salvaguardia dello stato di diritto; perché se è vero, come lo è, che tutti siamo chiamati ad un alto senso di responsabilità civica, dall’altra parte non può consentirsi un uso abusivo e distonico dell’autorità da parte dei pubblici ufficiali.

Come anticipato, il nuovo decreto-legge n. 19 del 25 marzo 2020, conferma le prescrizioni di contingentamento limitando la libertà di circolazione del singolo individuo. Tali limitazioni sono mitigate dall’attività (pur sempre lecita) determinata da “spostamenti individuali limitati nel tempo e nello spazio o motivati da esigenze lavorative, da situazioni di necessità o urgenza, da motivi di salute o da altre specifiche ragioni”.

Ebbene, le eccezioni normative al contingentamento forzato rendono lecito lo spostamento dell’individuo qualora sia suffragato dalle suddette esigenze. Detto in altri termini, non è sanzionabile, non solo il soggetto che si sposti per recarsi al lavoro, ma anche l’individuo che si sposti per fare la spesa, acquistare farmaci, o generi di prima necessità. Parimenti lecito è lo spostamento di quel soggetto che si rechi nella diversa abitazione di un familiare anziano non autosufficiente, o per motivi attinenti alla cura di animali. Ancora: è consentita l’attività motoria, nei pressi della propria abitazione, senza limiti spaziali determinati (eccezion fatta per quelle regioni nelle quali siano intervenute ordinanze più stringenti), lo spostamento determinato da visite mediche.

Nonostante le premesse, assistiamo quotidianamente all’irrogazione di sanzioni per comportamenti astrattamente rientranti nelle attività consentite.

Ma se il contravventore multato è passibile della sanzione amministrativa da € 400 a € 3000, impugnabile attraverso il ricorso cui la legge 689/1981, il pubblico ufficiale che irroga la sanzione eccedendo intenzionalmente dalle prescrizioni di legge rischia ben più gravi conseguenze. D’altronde, al principio ignorantia legis non excusat è soggetto anche il pubblico ufficiale a cui, per altro, si aggiunge il principio di affidamento dei singoli consociati in quest’epoca d’emergenza.

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  1. Abuso d’ufficio

Seguendo questo ragionamento, appare fondamentale soffermarsi sulla fattispecie cui l’art. 323 c.p. che punisce, con la pena da 1 a 4 anni, il pubblico ufficiale, o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto, salvo che il fatto costituisca più grave reato.

Il delitto di abuso d’ufficio, almeno nella sua accezione di arrecare un danno ingiusto, ha natura plurioffensiva. Da una parte tutela il bene giuridico rappresentato dal buon andamento della pubblica amministrazione, dalla trasparenza amministrativa, dall’altro il concorrente interesse del terzo a non essere turbato nel godimento dei suoi diritti costituzionalmente garantiti dal comportamento ingiusto del pubblico ufficiale[1].

La nozione di danno ingiusto, cui si riferisce l’art. 323 c.p., d’altronde, non può intendersi limitata solo a situazioni soggettive di carattere patrimoniale e nemmeno a diritti soggettivi perfetti, ma riguarda anche l’aggressione ingiusta alla sfera della personalità per come tutelata dalle norme costituzionali[2]. Così è stato inteso, infatti, nella fattispecie in cui un comandante della Polizia Municipale, in violazione dell’art. 55 c.p.p., aveva sottoposto indebitamente ad indagine il segretario comunale e fatto intendere ai dipendenti dell’Ente che fosse in corso un procedimento penale, incidendo così negativamente sull’immagine dello stesso. O ancora, si è ritenuto che configurasse il delitto di abuso d’ufficio la condotta del vigile urbano che, potendo procedere alla contestazione sul posto, disponesse l’accompagnamento nei propri uffici, senza che la persona intimata rifiutasse di dichiarare le proprie generalità, provocando così un danno ingiusto, consistito in un’umiliante costrizione, percepita dalla vittima come conseguente ad un atteggiamento di vessazione del tutto inutile [3].

Ai fini dell’integrazione del reato, inoltre, è necessario che sussista la c.d. doppia ingiustizia, nel senso che ingiusta deve essere la condotta, in quanto connotata da violazione di legge, ed ingiusta deve essere l’evento determinatosi. In tal senso, potrebbe definirsi tale, l’irrogazione di una sanzione per il mancato rispetto della normativa di contingentamento accompagnata da inutili vessazioni ed abuso di autorità.

In tema di elemento soggettivo, invece, il Legislatore degli anni ’90, con l’utilizzazione dell’avverbio “intenzionalmente”, ha voluto escludere la rilevanza penale non solo di condotte sorrette da un dolo eventuale, ma anche da comportamenti supportati dal c.d. dolo diretto. Nel delitto di abuso d’ufficio, quindi, la prova dell’intenzionalità del dolo esige il raggiungimento della certezza che la volontà dell’agente pubblico sia stata orientata proprio a procurare il vantaggio patrimoniale o il danno ingiusto. Detta prova può essere desunta anche da elementi sintomatici come la macroscopica illegittimità dell’atto compiuto[4], la reiterazione e gravità delle violazioni, l’intento di sanare le illegittimità con successive violazioni di legge[5], l’abuso manifestatamente illegittimo di autorità.  Il dolo analizzato, inoltre, non può essere escluso dall’ignoranza della legge del pubblico ufficiale[6] il quale è tenuto alla conoscenza delle norme inerenti al suo operato. Né potrebbe dirsi esclusa l’ipotesi delittuosa nel caso in cui il pubblico agente irroghi una sanzione illegittima sul falso presupposto di perseguire un interesse collettivo. Non può sottacersi, infatti, che, proprio in un momento così delicato, ricadano sulle forze dell’ordine gli oneri inerenti all’esatta conoscenza delle norme la cui violazione comporta l’illecito e le eccezioni, contrariamente, la liceità del comportamento.

  1. Possibili scenari

Orbene, operate queste pur brevi premesse, calate nelle fattispecie concrete che si susseguono sugli organi di stampa, il delitto de quo sembrerebbe integrato, teoricamente, in molte occasioni.

In tal senso, sempre in tema di norme di contingentamento anti covid 19, qualora il pubblico ufficiale irroghi una sanzione amministrativa manifestamente (e macroscopicamente) illegittima apparirebbe integrato il reato di abuso d’ufficio. La condotta, infatti, sarebbe idonea ad arrecare un danno ingiusto al privato (almeno nell’accezione di anticipo delle spese per l’impugnazione della sanzione). Quanto all’elemento soggettivo, invece, sarebbe necessario fornire la prova che il comportamento del pubblico ufficiale sia immediatamente riconducile alla volontà di determinare detto evento.  Ma se la conoscenza delle norme la cui violazione comporta la sanzione è obbligatoria da parte dell’agente, senza voler arrivare a forme di responsabilità oggettiva non consentite, qualificherebbe, perlomeno, un indice sintomatico di intenzione a cagionare il danno.

Ebbene, compiute tali necessarie premesse, ferma la necessarietà del rispetto del principio del “restate a casa”, sarebbe auspicabile che le forze dell’ordine, al fine di evitare astratte responsabilità penali, utilizzassero nell’esercizio delle loro funzioni, anch’esse, l’alto senso civico e il buon senso richiesto a tutti i componenti della società. D’altronde, nello scenario opposto, ovvero nella fattispecie in cui il pubblico ufficiale decida di soprassedere sull’irrogazione di una sanzione, perlomeno di dubbia legittimità, non risulterebbe integrata la fattispecie penale[7].

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Note

[1] Cass., sez. VI, 22 gennaio 2016 n. 3047

[2] Cass., sez VI, 7 luglio 2016 22 settembre 2016, n. 39452, CED 268222

[3] Cass., sez. VI, 4 febbriao 2003 n. 09970, CED 223973; CP 04, 2345

[4] Cass., sez. VI, 15 aprile 2014 – 27 agosto 2014, n. 36179; conf. Cass., sez. VI, 18 novembre 1999 – 27 gennaio 2000, n. 910

[5] Cass., sez. III, 6 aprile 2016 n. 35577

[6] “Il dolo può essere escluso solo quando ricade su norme non inerenti le funzioni del p.u.” Cass., sez. VI, 16 novembre 1978 n. 2475

[7] Cass. sent. n. 46788/17 dell’11.10.2017

Andrea Siena

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