Le procedure di controllo di violazione di copyright interne ai social network

Redazione 28/05/19
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Accanto alle forme di tutela previste dalla legge, è possibile riscontrare che in diversi casi gli operatori stessi della Rete, in particolare i gestori di social network e piattaforme on line per la condivisione di contenuti, adottano sistemi di controllo interni e autonomi volti a verificare eventuali violazioni di copyright da parte dei propri utenti. Prevedono cioè la possibilità che l’autore che individua una propria opera pubblicata illegittimamente possa presentare una segnalazione ai gestori della piattaforma, normalmente attraverso una modulistica preimpostata che avvia una procedura del tutto interna, ma formalizzata.

Il presente contributo è tratto dal Capitolo III sulla violazione del copyright in rete

Il copyright su internet

Quest’opera è molto utile per un professionista che si trovi, per ragioni di lavoro, a tutelare i propri clienti, creatori o utilizzatori di opere originali, dall’uso indebito su Internet del proprio lavoro, all’interno di siti, blog o social network.Il volume offre spunti e conoscenze utilissime per non confondere i piani di protezione e utilizzo della proprietà intellettuale, aiuta a comprendere come si è arrivati a inventare forme di sfruttamento e diritti nuovi, per evitare di interrompere il continuo processo creativo di Internet, che si alimenta prevalentemente grazie alla condivisione delle idee.L’Autore intende pertanto fornire al professionista gli strumenti utili per realizzare il bilanciamento tra i diversi interessi che la rete coinvolge, riconoscendone i vantaggi ma anche i pericoli.Daniele Marongiu, insegna informatica giuridica all’Università di Cagliari, dove è ricercatore in Diritto Amministrativo nel Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali. Collabora con le Università di Castilla La Mancha (Toledo) e di Santiago de Compostela. Si occupa, sia in ambito accademico che extra-accademico, di ricerca, didattica e formazione sulle tematiche del diritto di Internet, dell’amministrazione digitale, della trasparenza istituzionale e dei profili giuridici connessi all’innovazione tecnologica. Su questi temi ha partecipato come relatore a numerosi convegni nazionali e internazionali. Ha al suo attivo più di trenta pubblicazioni, fra cui i libri “L’attività amministrativa automatizzata” (2005), “Il governo dell’informatica pubblica” (2007), “Organizzazione e diritto di Internet” (2013).

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Le forme di autotutela dei privati

Tali procedure, chiamate in termini tecnici “Notice and take down”, chiaramente, non si sostituiscono alle misure di tutela amministrativa, civile e penale previste dalla legge, bensì rappresentano forme di “autotutela” dei gestori privati che possono assumere una importante funzione di filtro rispetto alle soluzioni di ordine amministrativo e giurisdizionale. La ragione della loro esistenza è però anche insita nel fatto che negli Stati Uniti, dove le società dei maggiori social network hanno sede, sussiste una norma del “Digital Millennium Copyright Act” del 1998 che li obbliga ad attivare tale sistema di tutela interna e a rendere possibile il reclamo. Di conseguenza, nella maggior parte dei casi, i medesimi social network hanno reso attivabile la procedura anche nell’Unione europea e in particolare in Italia, pur in assenza di un obbligo di legge. Oggi tale prescrizione è stata introdotta dall’articolo 17 della direttiva europea del 2019 sul diritto d’autore nel mercato unico digitale.

Violazione del copyright

Come vedremo, dunque, tale atto concretamente rende necessario un adempimento che già corrisponde alla prassi in europa. Per esempio, nel social network Facebook è integrata la possibilità di contestazione della violazione del copyright, che ha luogo attraverso la compilazione di un modulo on line articolato per schermate successive. Deve opportunamente apparire chiaro che tale procedura interna riguarda contestazioni relative alla prima pubblicazione in Facebook di contenuti (quindi, per esempio, all’inserimento di testi ex novo o all’upload di fotografie), e non alla “condivisione” di contenuti all’interno del medesimo social network, cioè all’ipotesi in cui un utente integri nel proprio profilo, attraverso l’apposita funzione, un contenuto individuato presso il profilo di un altro utente. Quest’ultima operazione, come abbiamo già avuto modo di osservare, è in se stessa pienamente legittima a prescindere dalla fonte dei materiali condivisi, in quanto è integrata nella piattaforma e connessa alle preferenze di condivisione dell’utente che per primo li ha caricati. Dunque, all’interno di Facebook (come nella generalità dei social network) ogni eventuale responsabilità per violazione di diritto d’autore può essere individuata solo in capo a chi, per primo ha immesso un contenuto. L’istanza può essere inviata solo dal legittimo titolare dei diritti (quindi non può essere inoltrata se si ravvisa la violazione del copyright di terze persone) e non è anonima, per cui colui che ha pubblicato il contenuto contestato viene a conoscenza dell’identità del soggetto che si qualifica come legittimo titolare del copyright. La modulistica di attivazione della procedura prevede l’inserimento di dati e informazioni volti a dimostrare la sussistenza del diritto (in particolare, nel caso in cui l’opera fosse già stata pubblicata in Rete da parte del legittimo titolare, il link alla pagina web presso la quale essa si trova). La procedura non è automatizzata, in quanto prevede un vaglio “manuale” da parte dello staff di Facebook, che può richiedere eventualmente informazioni aggiuntive a chi ha inviato la segnalazione. Nel caso in cui tale istruttoria confermi la violazione di copyright, ha luogo la rimozione del contenuto contestato da parte del gestore del social network, congiuntamente all’invio di una notifica all’utente che lo aveva pubblicato nel social.

L’iter non prevede una contro-procedura di appello nell’ipotesi in cui l’utente destinatario della contestazione ritenga che quest’ultima sia infondata (essa sussiste solo negli Stati Uniti, dove è stata resa obbligatoria per legge); le istruzioni fornite da Facebook prevedono che in tal caso si debba procedere a “rispondere direttamente alla persona in questione per tentare di risolvere il problema”, rimettendo dunque la soluzione della controversia al rapporto diretto tra utenti, che, laddove non andasse a buon fine in forma conciliatoria, troverebbe approdo presso l’autorità giudiziaria. Gli altri social network seguono di regola procedure analoghe; per esempio, Twitter contiene una simile modulistica per la segnalazione di violazione di copyright, a seguito della quale può avere luogo la cancellazione dei contenuti e, nel contempo, la notifica all’interessato, con l’invito a prendere contatti diretti con il detentore dei diritti per comporre in modo conciliatorio la questione.

Differente e, sotto vari aspetti, di maggiore interesse, è la regolamentazione interna adoperata nella piattaforma youtube in relazione alle violazioni di copyright. In questo caso, infatti, si ha un iter totalmente automatizzato sulla base di un algoritmo, attraverso cui è vagliato il materiale del quale è effettuato l’upload per riscontrare eventuali violazioni di copyright. Tale sistema, denominato “Content-id”, raffronta automaticamente ogni video caricato dagli utenti con il contenuto di una banca-dati di materiali protetti da copyright (la cui dimensione è nell’ordine di grandezza dei milioni di file), al fine di verificare la sussistenza di gradi di sovrapposizione tali da configurare violazioni del diritto d’autore. Il raffronto è basato su reti neurali artificiali: ciò consente il riconoscimento anche in caso di non piena identità fra l’opera protetta e quella presente nel video contestato (per esempio, nel caso in cui il video caricato contenga un’esecuzione dal vivo del brano originario, o qualora vi siano rumori di fondo che coprono parzialmente la musica). L’adesione al sistema “Content-id” ha luogo su istanza: ciò significa che sono i titolari dei diritti a richiedere che le loro opere audio-video (già pubblicate su youtube o presenti in altre sedi sul web) siano inserite nella banca-dati sulla base della quale si attivano le verifiche automatiche. L’istanza di adesione è inviata attraverso un modulo standard disponibile all’indirizzo https://support. google.com/youtube/contact/content_id_application.

La peculiarità del sistema Content-id risiede, oltre che nell’automatismo dei controlli, anche (e soprattutto) nelle conseguenze della violazione. Infatti, il titolare dei diritti, nel momento in cui chiede l’adesione al sistema, può optare fra due conseguenze da applicare (automaticamente) nel caso in cui si rilevino violazioni: la prima è la rimozione del video che riproduce l’opera protetta (o il suo silenziamento, se l’opera è solo sonora); la seconda opzione consiste invece nella scelta di “monetizzare” la violazione di copyright: in tale caso il video contestato permane nella piattaforma, ma viene inserito in apertura uno spazio pubblicitario, i cui proventi sono accreditati al titolare dei diritti. Quest’ultima formula, evidentemente molto particolare, consente pertanto di “sanare” l’irregolarità del caricamento di un contenuto protetto da copyright e di individuare un equilibrio che consente di soddisfare l’interesse dell’autore alla tutela del proprio diritto (in questo caso in forma economica) mantenendo i materiali fruibili all’utenza.

Nell’ipotesi in cui invece l’autore richieda la rimozione del video (o dell’audio), nel momento in cui ciò avviene, colui che ha effettuato l’upload in violazione del copyright può presentare un reclamo attraverso una procedura interna strutturata, che si avvia mediante la compilazione di un modulo on line. Destinatario della contestazione non è il gestore della piattaforma, ma, direttamente, il titolare dei diritti, il quale deve decidere entro trenta giorni se accogliere o rigettare tale appello. Se il detentore del copyright respinge l’appello e conferma la volontà di cancellare il video, l’utente che lo ha caricato può presentare una contro notifica, sempre attraverso la modulistica di youtube, che rappresenta in verità il primo passaggio del trasferimento della controversia in sede giurisdizionale, in quanto il permanere dell’impasse e l’assenza di una soluzione condivisa può trovare una ricomposizione solo attraverso una causa presso il giudice ordinario, riconducendo quindi l’intera questione ai canoni e alle norme previsti dalla legge.

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