Le principali differenze giuridiche tra le pubblicazioni di carattere scientifico (art. 33 comma I della Costituzione) e quelle strettamente attinenti all’espressione del libero pensiero (art. 21 comma I della Costituzione).

Palma Giuseppe 11/06/13
Scarica PDF Stampa

Quando la pubblicazione di un libro o di un articolo deve essere considerata di carattere scientifico – e quindi rientrante nella totale insindacabilità sancita dall’art. 33 co. I della Costituzione –, e quando invece deve essere considerata il mero frutto dell’espressione del proprio libero pensiero – e quindi rientrante nella cornice delineata dall’art. 21 co. I della Costituzione e soggiacente al limite di dover “dire la verità” – ?

Il problema si pone spesso nell’ambito di quelle pubblicazioni il cui contenuto è suscettibile di aspre critiche o contestazioni – soprattutto sulla base dell’argomento trattato -, per cui il contenuto stesso potrebbe ledere i diritti altrui ovvero potrebbe non essere accettato dalla comunità scientifica di riferimento, la cosiddetta “cultura ufficiale”, sempre che di “cultura ufficiale” si possa parlare quando si vive in uno Stato libero e democratico.

Mi sono posto il problema principalmente dal punto di vista di quelle pubblicazioni – libri, articoli o qualsivoglia altra forma di pubblicazione – aventi ad oggetto argomenti particolarmente “spinosi” per i quali – ed è una realtà sotto gli occhi di tutti – la “massa” non è disponibile ad accettare le tesi difformi da quelle considerate “ufficiali” dalla comunità scientifica di riferimento.

Premesso che uno dei principi fondamentali su cui si fonda il nostro ordinamento giuridico è quello della libertà di pensiero e di espressione dello stesso (art. 21 co. I della Costituzione), vi sono taluni aspetti – tutt’altro che secondari – che meritano di essere affrontati. Innanzi tutto è opportuno rispondere alla seguente domanda: l’Autore di un libro o di un articolo può essere tradotto dinanzi all’Autorità Giudiziaria (sia essa penale o civile) per rispondere del contenuto di quello che ha scritto? La risposta è senza dubbio affermativa (e di esempi ce ne sono tanti). Considerato quindi che ciò è possibile, su quali elementi l’Autorità Giudiziaria deve decidere? Può un giudice entrare nel merito dell’espressione del libero pensiero dell’Autore?

L’Autorità Giudiziaria deve innanzi tutto stabilire se il testo del libro o dell’articolo presenti i connotati formali di scientificità. Il giudice, pertanto, “ha il solo compito di stabilire la natura scientifica dell’opera, nella sua rigorosa formalità, per il metodo, lo stile ed il contenuto: dato, quest’ultimo, da recepire nella sua formale rappresentazione, senza pretesa di verifica alcuna dell’ipotesi scientifica, non consentita nella sede giudiziaria” (Cass., Sez. V, 24 febbraio 1994, Guarducci).

Ma come fa il giudice a stabilire, da un punto di vista prettamente formale, se un’opera sia o meno scientifica? Una risposta esaustiva è stata fornita dalla Suprema Corte di Cassazione, la quale ha affermato (Cit. Cass., Sez. V, 24 febbraio 1994, Guarducci) che “in tema di diffamazione a mezzo stampa, per l’attività di scienza opera il principio di libertà fissato dall’art. 33 della Costituzione, senza lo specifico condizionamento della verità del fatto riconosciuto dalla giurisprudenza per la manifestazione del pensiero […]”. Premesso pertanto che l’attività scientifica non può subire limiti, in tema ad esempio di opera storiografica il Tribunale di Rimini (Sentenza del 15 luglio 1998 emessa a seguito del procedimento penale nei confronti dello scrittore Gianfranco Stella1) ha tracciato alcuni punti fermi in grado di individuare alcuni requisiti al fine di stabilire, da un punto di vista prettamente formale, se l’opera è da considerarsi o meno di tipo scientifico sulla base dei criteri fissati dalla Corte di legittimità, vale a dire il metodo, lo stile e il contenuto. Il giudice, pertanto, deve innanzi tutto tener conto della qualità personale dell’Autore (competenze, titoli di studio, esperienze lavorative o professionali, eventuali precedenti pubblicazioni etc…), poi della natura della materia trattata (elemento fondamentale perché ogni tematica può avere risvolti diversi da altre), dello stile utilizzato nello scrivere il testo (dove per uno stile formalmente corretto si intende l’uso di un linguaggio pacato quale è quello proprio della critica, attività dello spirito specificatamente intellettuale) e del contenuto vero e proprio del testo, in ordine al quale tuttavia il giudice non può mai entrare nel merito dell’ipotesi scientifica avanzata dall’Autore. Il merito dell’ipotesi scientifica, infatti, non è materia che può essere soggetta ad un controllo da parte dell’Autorità Giudiziaria, la quale, se lo facesse, minerebbe i fondamenti stessi dello Stato democratico. Per quanto riguarda il contenuto, quindi, il giudice può solo individuare – prendiamo ad esempio un libro o un articolo di storia – l’oggettività con la quale l’Autore presenta il contenuto stesso del testo e se all’interno del medesimo siano state indicate le fonti sulle quali si basa il contenuto stesso del testo, siano esse di carattere bibliografico, documentale o testimoniale. A parere dello scrivente, tuttavia, l’indicazione delle fonti non è di per sé un elemento fondamentale per definire o meno un’opera o un articolo di carattere scientifico nell’ambito di quelle pubblicazioni che, per via delle tematiche trattate, non necessitano di alcun suffragio.

Se la pubblicazione ha in se queste caratteristiche, è pertanto da considerarsi di carattere scientifico, quindi rientrante nella sfera senza limiti solennemente tracciata dall’art. 33 co. I della Costituzione (“L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”) e non soggetta ad alcun tipo di controllo in sede giudiziaria, con la conseguenza che all’Autore – in tal caso – non è mai ascrivibile alcuna tipologia di contestazione da parte degli organi di giustizia. Sarà semmai la comunità scientifica di riferimento o eventualmente altri autori, se lo riterranno opportuno, a confutarne l’ipotesi scientifica con un lavoro di segno anche parzialmente opposto.

Per di più, a proposito del significato della disposizione di cui all’art. 33 co. I della Costituzione, è ormai pacificamente condiviso – sia in dottrina che in giurisprudenza – che le locuzioni “arte” e scienza” debbono godere della più ampia interpretazione ed estensione applicativa.

Diversamente, invece, qualora l’opera (sia essa un libro, un articolo o qualsiasi altra forma espressiva) non presenti i caratteri della scientificità, è sicuramente esposta a valutazioni di merito anche in sede giudiziaria in quanto, benché non debba mai essere messo in discussione il principio cardine sancito dall’art. 21 co. I della Costituzione (“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”), il testo dovrà avere un contenuto che rappresenti la verità dei fatti (ovviamente nei casi in cui ciò è possibile) perché non protetta, secondo le argomentazioni sopra esposte, dalla corazza infrangibile dell’art. 33 co. I della Costituzione, fatta ovviamente eccezione per quelle parti del testo riguardanti la libera e civile espressione di opinioni o di osservazioni di carattere personale dell’Autore che incontrano, a mio parere, solo i limiti della decenza espressiva, dell’ingiuria e della diffamazione.

La linea di demarcazione così come sopra delineata non è tuttavia sottoposta ad alcuna rigidità di interpretazione soprattutto per quel che concerne l’ambito applicativo dell’art. 21 co. I Cost., tant’è che, nell’ottica della necessità e del dovere della Repubblica di dover maggiormente estendere ed incentivare forme di libertà espressive, l’Autorità Giudiziaria dovrà sicuramente decidere seguendo sempre – e in ogni caso – quell’unico comune denominatore su cui si fondano gli ordinamenti giuridici del mondo civile: la libertà per ciascun essere umano di poter pensare, dire e scrivere – attraverso qualsiasi mezzo di diffusione – il frutto del proprio libero pensiero!

1 La Sentenza del 15 luglio 1998 emessa dal Tribunale di Rimini (Presidente Dott. Pierleone Fochessati, Giudici Dott. Concezio Arcadi e Dott. Maurizio Di Palma) mandò assolto lo scrittore Dott. Gianfranco Stella dai reati contestatigli di cui al capo a] art. 290 c.p. (per aver vilipeso il movimento Partigiani facente parte delle Forze Armate della liberazione, scrivendo e facendo pubblicare il libro “1945 Ravennati contro – La strage di Codevigo”, nel quale ha rivolto accuse di strage, omicidi e violenze gratuite ai partigiani in genere e a quelli facenti parte della 28^ Brigata Garibaldi in modo specifico) e al capo b] art. 595, I, II e III comma c.p. (per avere, con la pubblicazione del libro “1945 Ravennati contro – La strage di Codevigo”, offeso la reputazione dei singoli partigiani facenti parte della 28^ Brigata Garibaldi, attribuendo loro la commissione di stragi, omicidi e violenze gratuite specificatamente indicate e descritte. Con l’aggravante di cui all’art. 13 L. n. 47/48 per aver attribuito loro fatti determinanti […]”. Il Tribunale, applicando quindi l’esimente dell’opera scientifica, decise di assolvere il Dott. Gianfranco Stella perché il fatto non sussiste in merito all’imputazione di cui al capo a], e perché il fatto non costituisce reato in merito all’imputazione di cui al capo b]; assoluzione successivamente confermata anche in grado di Appello.

Ciò dimostra come, anche a parere dello scrivente, il testo che presenta i connotati formali dell’opera scientifica non può essere in alcun modo oggetto – in sede giudiziaria – di una verifica nel merito dell’ipotesi scientifica avanzata dall’Autore.

Palma Giuseppe

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento