Le preclusioni probatorie e la sentenza giusta. il diritto delle parti di chiedere le prove e di produrre i documenti.

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Le preclusioni probatorie scandiscono l’attività istruttoria del processo, perché attraverso l’assunzione delle prove il giudice addiviene all’accertamento dei fatti controversi, nonché funzionali alla definizione della questione controversa. L’esigenza dell’accertamento della verità si deve coniugare, poi, con l’esigenza di un processo celere, ovvero, con un disegno processuale ispirato al principio della concentrazione. Ecco quindi che, le attività di ciascuna delle parti in giudizio sono circoscritte da un rigido impianto di preclusioni, che prevede l’esercizio delle dette attività concentrate, proprio, nella fase iniziale del processo di primo grado. Fermo restando i principi di esigenza e celerità, è chiaro che nella realizzazione di un sistema processuale il legislatore debba tenere conto del principio del giusto processo, codificato nell’art. 111 della nostra carta costituzionale.

Quindi, se è vero che il processo deve essere immediato e concentrato, non meno vero è, che essendo il luogo giuridico dell’accertamento della questione controversa, questa debba essere definita coerentemente alla realtà sostanziale della stessa, di modo che si abbia una sentenza giusta. Pertanto «l’accertamento della verità cui è finalizzata l’attività istruttoria, postula il rispetto delle garanzie minime essenziali per la realizzazione di un processo giusto (o, forse si dovrebbe dire, di un processo idoneo a produrre sentenze giuste).

Ne deriva, che la verità storica è circoscritta nei confini del principio del contraddittorio, della parità delle armi tra le parti, della terzietà e imparzialità del giudice e della ragionevole durata»1.

Nel 2005 il legislatore è intervenuto a più riprese, prima con la l. 80/2005, poi con la l. 263/2005, sull’udienza fissata per l’assunzione delle prove, art. 184 c.p.c., proprio in sintonia con il novellato art. 183 c.p.c. . Con il nuovo assetto, la fase iniziale del processo è caratterizzata dall’unica udienza di comparizione-trattazione, a chiusura della quale viene fissato il thema decidendum e il thema probandum, di modo che, nell’udienza immediatamente successiva si possa procedere con l’assunzione delle prove.

Prima dell’intervento del riformatore del 2005, il giudice doveva pronunciarsi sull’ammissibilità delle deduzioni probatorie, delle rispettive parti, in una udienza ad hoc, ovvero nella terza udienza successiva a quella di comparizione e di trattazione. Quindi, il giudice a chiusura dell’udienza di trattazione, fissava con ordinanza la successiva udienza; le parti, poi, avevano ancora il diritto di chiedere il differimento dei termini per l’ammissione delle prove ad una successiva ed ulteriore udienza. La giurisprudenza, invece, riteneva che «nel procedimento ordinario di cognizione, le udienze per le deduzioni istruttorie non costituivano un momento indefettibile, ineliminabile del procedimento stesso. Fermo restando che vi è decadenza dal potere di formulare istanze istruttorie, non solo per la parte che ottenuto il termine perentorio non lo rispetti, ma anche per la parte che al termine della prima udienza di trattazione, senza chiedere l’ulteriore termine perentorio non abbia formulato alcuna istanza e non abbia chiesto il termine di cui all’art. 184 c.p.c.»2.

Mentre invece il legislatore riteneva, a difesa del sistema delineato, che la descritta scansione garantiva alle parti la possibilità di modificare le rispettive deduzioni di merito, unitamente al giudice era data la possibilità di chiedere, alle parti, dei chiarimenti in merito alle nuove deduzioni, prima di pronunciarsi sull’ammissibilità delle prove; ferma restando l’eventualità che, l’accoglimento delle richieste istruttorie avvenisse nella prima udienza, perché evidentemente le parti avevano già indicato i mezzi di prova negli atti introduttivi, o perché chiedevano al giudice, previo accordo, che i termini per l’indicazione dei nuovi mezzi istruttori fossero concessi in quella stessa udienza3.

Con la riforma del 2005 diventa, oggi, inevitabile il coordinamento tra gli artt. 183, 6° comma, e 184 c.p.c. . Con l’ordinanza con cui il giudice, originariamente fissava la vecchia udienza ai sensi dell’art. 184 c.p.c., oggi, fissa i termini dell’art. 183, 6° comma, sempre che non ricorrano i presupposti della immediata rimessione della causa in decisione; in realtà la dottrina4 non ha interpretato questa ordinanza attribuendole un significato nuovo, seppure concordino sul fatto che, sia lo strumento attraverso il quale le parti possono eccepire le nuove deduzioni di merito. La prima memoria dell’art. 183 c.p.c. è stata pensata per il deposito, entro il termine perentorio di trenta giorni dall’udienza, delle memorie limitatamente alle sole precisazioni o modificazioni delle domande, delle eccezioni, e delle conclusioni già proposte. Il diritto delle parti di chiedere le prove e produrre i documenti scatta con la seconda memoria; facoltà che vanno esperite nel termine di trenta gironi, a decorrenza dalla scadenza del primo. Il termine è ispirato al principio di libertà, questo perché le parti possono liberamente esperire le attività processuali previste, senza che la mancata produzione dei documenti o la richiesta delle prove, nei momenti anteriori, sia dipesa da causa imputabile alle stesse5.

Quindi, la produzione dei nuovi documenti e l’articolazione dei mezzi di prova nuovi o non proposti negli atti introduttivi attraverso la seconda memoria è rafforzata, dal fatto che, il legislatore non prevede alcuna decadenza all’eventualità che, le parti negli atti introduttivi non indichino, oppure, indichino in modo incompleto i mezzi di prova di cui intendono avvalersi, così come per i documenti che danno in comunicazione. Ecco che il giudice deve concedere il detto termine perentorio alle parti, nondimeno se a fare richiesta sia stata solo una parte, di modo che possano avvalersi dell’appendice scritta per la definizione del thema decidendum6. Mentre nei successivi venti giorni, ovvero nell’ultima memoria, possono solo indicare la prova contraria; nondimeno le parti possono rinunciare ad una delle memorie, perché evidentemente inutile rispetto alla successiva istruzione della causa7. Coerentemente se le parti rinunciano ai termini dell’art. 183, 6° comma, c.p.c., premesso che le preclusioni istruttorie scattano nella prima udienza, il provvedimento sull’ammissibilità delle prove verrà pronunciato nella stessa udienza, oppure, fuori udienza con la fissazione dell’udienza di assunzione delle prove.

Una questione che ha sollevato non pochi dubbi di legittimità costituzionale è stata la lettera dell’art. 183, 6° comma, c.p.c., relativamente all’ultima memoria, nella quale il legislatore riserva alle parti l’ulteriore termine di venti giorni per la sola indicazione della prova contraria. Stando alla lettera della norma, le preclusioni relative alle attività assertive sono collegate alla seconda memoria, dal momento che, l’ultima memoria è il luogo giuridico dell’indicazione della prova contraria, in replica a quella dedotta anteriormente; stando così le cose verrebbe leso il diritto di difesa, proprio per l’impossibilità di disporre con l’ultima memoria delle nuove deduzione istruttorie, in risposta a quelle prodotte con la seconda memoria8. In realtà la norma va interpretata conformemente all’art. 24 della nostra costituzionale, dal momento che, per prova contraria debba intendersi non solo la produzione dei mezzi di prova diretti a contrastare le deduzioni dell’avversario, ma anche le prove nuove, costituende e costituite, conseguenti alle allegazioni formulate dalla controparte nella seconda memoria. La interpretazione della disposizione normativa in sintonia con la nostra carta costituzionale è, sicuramente, quella da considerarsi; sia a tutela del diritto di difesa, che del principio del contraddittorio e della parità delle armi tra le parti in giudizio9.

Stando così le cose, i difensori si concentrano sulle attività assertive scandite nella udienza di trattazione, dal momento che questa udienza costituisce una sorta di anticipazione dell’eventuale svolgimento dialettico, per appendice scritta, in luogo della concessione dei termini del 6° comma dell’art. 183 c.p.c. .

A detta della giurisprudenza e della dottrina le preclusioni istruttorie sono collegate all’esperimento di nuove attività assertive, le istanze istruttorie sono prodotte nello stesso momento in cui, per l’avversario, è possibile produrre fatti nuovi e procedere alla contestazione dei fatti, sino a quel momento non contestati10.

1 Reali, L’istruzione probatoria nel processo ordinario e in quello del lavoro, in Riv. trim, 2011, 396.

2 Cass. 21 febbraio 2002, n. 2504, in Foro it., Mass. 2002, 2432.

3 Consolo in Cosolo-Luiso-Sassani, Commentario alla riforma civile, a cura di Satta, Milano 1996, 166 ss. Consolo, inoltre, ribadiva che seppure le parti indicassero nella stessa udienza i mezzi di prova, comunque il giudice avrebbe dovuto fissare l’udienza successiva, ai fini dell’ammissibilità degli stessi.

4 Capponi riteneva che questa ordinanza aveva ad oggetto l’ulteriore trattazione, perché attraverso la concessione dei termini alle parti era garantito lo scambio di memorie e di repliche, mentre il giudice poteva riservarsi ogni provvedimenti istruttorio. V. Capponi, Passato e Presente dell’art. 183 del c.p.c. (in punta di penna sulla l. 80/2005), in Giur. it, 2006, 436 ss. Di tutt’altro avviso era Mandrioli, l’Autore affermava che, conseguentemente alla concessione dei termini il giudice avrebbe dovuto fissare anche una nuova udienza di trattazione, nel corso della quale avrebbe dovuto discutere le questioni istruttorie emerse con le memorie scritte, e definire le stesse con una pronuncia o immediata, o nei successivi cinque giorni alla stessa udienza. Cfr. Mandrioli, Diritto processuale civile, II: Il processo ordinario di cognizione, a cura di Carratta, Milano, 2011, 96.

5 Reali, L’istruzione probatoria, cit., 400.

6 Taruffo in Taruffo-Colesanti–Carpi, Commentario breve al codice di procedura civile6, Milano, 2009, p. 675 ss.

7 Taruffo, op. loc. cit., 680. L’Autore sostiene, che il legislatore del 2005 nel disegnare le preclusioni istruttorie si era ispirato alla giurisprudenza di legittimità; nel senso che si limitava ad indicare nel 1° comma dell’art. 184 c.p.c., i provvedimenti che il giudice poteva adottare, dal momento che aveva circoscritto il momento preclusivo per la produzione dei documenti e la richiesta dei mezzi di prova, nei termini dell’art. 183, 5° e 6° comma nn. 1 e 2, c.p.c. ( In funzione del 5° comma la udienza di trattazione, a seguito del deposito delle nuove memorie nei termini, prosegue e in chiusura il giudice pronuncia il provvedimento istruttorio). V. Cass., 25 novembre 2002, n. 16571, in Foro it., Mass 2003, 466.

8 Reali, L’istruzione probatoria, cit., 402 ss.

9 Reali, op. loc. cit., 404.

10 De Cristofaro, Il processo competitivo secondo la l. 80/2005, in Riv. trim, 2006, 177; Cass., sez. un., 23 gennaio 2002, n. 761, in Corr. Giur., 2003, 1335.

Pica Giuseppina

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