Le nullità nelle delibere assembleari e le invalidità in diritto commerciale.

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L’invalidità delle delibere assembleari può essere determinata dalla violazione di norme che regolano il procedimento assembleare o da vizi che riguardano il contenuto della delibera.

Anche per le deliberazioni assembleari opera la tradizionale distinzione fra nullità ed annullabilità della disciplina dei contratti. Le cause di nullità o di annullabilità delle delibere e la relativa disciplina sono però delineate in modo autonomo e parzialmente diverso rispetto all’invalidità negoziale, dando vita ad un sistema speciale che la riforma del 2003 ha profondamente modificato. I motivi ispiratori di fondo dell’attuale disciplina possono tuttavia essere compresi solo facendo un passo indietro e ricordando quale era il sistema previgente.

Il codice del 1942 indubbiamente privilegiava le esigenze di certezza e stabilità delle delibere assembleari. La nullità si presentava infatti come sanzione eccezionale prevista solo per le delibere aventi oggetto impossibile o illecito. Per contro, i vizi di procedimento davano vita sempre e soltanto all’annullabilità della delibera e non alla più grave sanzione della nullità.

Perciò, decoro il breve termine di tre mesi concesso per l’impugnativa, la delibera non era più

contestabile per vizi procedimentali anche gravi, come l’omessa convocazione, il mancato rispetto delle maggioranze prescritte, l’omessa verbalizzazione, ecc. Questo era però il diritto scritto nelle pagine del codice. Ben altro era però il diritto vivente nelle aule dei tribunali.

Larga parte degli interpreti e soprattutto la giurisprudenza avevano infatti ritenuto che le scelte fatte dal legislatore erano scarsamente protettive del rispetto della legalità e/o della posizione dei soci di minoranza, assenteisti o disinteressati, esposti a colpi di mano della maggioranza.

Non potendosi però contestare che le cause di nullità erano solo quelle previste dall’art. 2379 c.c., si era aggirato l’ostacolo. E lo si era aggirato introducendo accanto alle delibere nulle ed annullabili una terza categoria del tutto ignota al codice: quella delle delibere inesistenti; ex plurimis Cassazione n°403 del 14.1.1993; Cassazione n° 2009 del 1.4.1982.

Tali erano considerate le delibere che presentavano vizi di procedimento talmente gravi da precludere la possibilità stessa di qualificare l’atto come delibera assembleare. In tal caso, si affermava, si deve parlare non già di delibera invalida, bensì e più radicalmente di delibera inesistente per mancanza dei requisiti minimi essenziali di una delibera assembleare. E per una delibera inesistente la sanzione non poteva essere che la nullità radicale.

Si arrivava così ad estendere la sanzione della nullità anche a delibere che presentavano solo vizi di procedimento. Il tipo di sanzione applicabile era però il solo punto su cui vi era concordia. Le opinioni più disparate emergevano invece quando si passava a precisare quando una delibera era da considerare inesistente e perciò nulla, e quando invece semplicemente annullabile.

E ciò per la semplice ragione che è del tutto arbitrario fare graduazioni di importanza fra l’una e l’altra fase del procedimento assembleare,  fra questa e quella norma della relativa disciplina. Il risultato era che ad un sistema legislativo ispirato alla certezza del diritto si era sostituito un sistema giurisprudenziale in cui l’incertezza regnava sovrana.

A questo stato di cose ha inteso porre fine la riforma del 2003, che introduce una disciplina, ben più complessa e articolata di quella previgente, il cui obiettivo di fondo era  però quello di porre fine alla categoria giurisprudenziale delle delibere inesistenti riconducendo nelle categorie della nullità o dell’annullabilità tutti i possibili vizi delle delibere assembleari, c.d. principio di tassatività delle cause di invalidità.

Le delibere annullabili sono disciplinate dagli art. 2377 al 2378 c.c.

L’attuale disciplina ribadisce il principio che l’annullabilità costituisce la regola per le delibere assembleari invalide. Infatti sono semplicemente annullabili tutte le deliberazioni che non sono prese in conformità della legge o dello statuto, mentre la più grave sanzione della nullità scatterà solo nei tre casi tassativamente indicati dall’art. 2379 c.c.

Nel contempo si specifica che possono dar vita solo ad annullabilità della delibera e non ad inesistenza della stessa, come talvolta si è ritenuto in passato,la partecipazione all’assemblea di persone non legittimate, come gli azionisti senza voto, ma solo se tale partecipazione sia stata determinante per la regolare costituzione dell’assemblea. Così anche in caso di invalidità dei singoli voti o il loro errato conteggio, ma solo se determinanti per il raggiungimento della maggioranza. Allo stesso modo sono annullabili le delibere per incompletezza del verbale, ma solo quando impediscono l’accertamento del contenuto, degli effetti e della validità della delibera, ai sensi dell’art. 2377, 4° co.

Per le delibere annullabili è dettata poi una disciplina specifica e profondamente diversa da quella prevista per le delibere nulle.

L’impugnativa può essere infatti proposta solo dai soggetti espressamente previsti dalla legge; soci assenti, dissenzienti od astenuti, amministratori, consiglio di sorveglianza e collegio sindacale.

La legittimazione all’impugnativa non compete quindi ai soci che abbiano votato a favore della delibera, né ai terzi qualificati come i creditori sociali. In alcuni casi, tassativamente previsti, l’impugnativa può essere invece proposta, così come specificato nelle sedi opportune, anche dalla Consob, dalla Banca d’Italia o dall’Isvap.

L’impugnativa o l’azione di risarcimento danni devono essere proposte entro un breve termine di decadenza: novanta giorni dalla data della deliberazione o se questa è soggetta o a solo deposito nel registro delle imprese, novanta giorni dall’iscrizione o dal deposito.

L’azione di annullamento è proposta davanti al tribunale del luogo dove la società ha la sede.

Vengono inoltre predisposti accorgimenti al fine di evitare che impugnative pretestuose possano danneggiare la società. Il tribunale può disporre in ogni momento che i soci opponenti prestino idonea garanzia per l’eventuale risarcimento danni. Inoltre, la proposizione dell’azione non sospende di per sé l’esecuzione della delibera.

L’annullamento ha effetto  per tutti i soci ed obbliga gli amministratori a prendere  i provvedimenti conseguenti sotto la propria responsabilità. Restano però in ogni caso salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione della delibera.

Per quanto riguarda le delibere nulle, la disciplina presenta significative novità rispetto al sistema precedente. Infatti, i casi di nullità delle delibere assembleari sono stati accresciuti rispetto alla disciplina previgente, al fine di allontanare la categoria giurisprudenziale delle delibere inesistenti e quindi con l’obiettivo ultimo di circoscrivere l’ambito di operatività di tale sanzione rispetto al previgente diritto vivente. Inoltre, è stata definita in via autonoma la relativa disciplina,con soluzioni volte a ridimensionare gli effetti di tale sanzione a privilegiare la stabilità anche di tali delibere.

La delibera è nulla solo nei tre casi tassativamente indicati dall’art. 2379 c.c.

Come per il passato, sono nulle le delibere il cui oggetto è impossibile o illecito; vale a dire contrario a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume. Ad esempio, si delibera di non redigere il bilancio di esercizio o di sopprimere il collegio sindacale. Nullità si ha tuttavia anche quando la delibera ha oggetto lecito ma contenuto illecito. Ad esempio, l’assemblea approva un bilancio falso o redatto violando i principi di chiarezza, verità e correttezza. In tal caso, caso l’oggetto della delibera è lecito se riguarda l’approvazione del bilancio, il suo contenuto è invece illecito se si tratta di bilancio falso o non chiaro.

In base all’attuale disciplina la delibera assembleare è altresì nulla, ma non più inesistente nei casi di mancata convocazione dell’assemblea e di mancanza del verbale.

Nel primo caso si precisa però che la convocazione non si considera mancante e non si ha nullità della delibera nel caso di irregolarità dell’avviso, se questo proviene da un componente dell’organo amministrativo o di controllo, essendo sufficiente pubblicare data e luogo dell’assemblea; l’azione di nullità non può essere esercitata da chi, anche successivamente, abbia dichiarato il suo assenso alo svolgimento dell’assemblea.

In caso di mancanza del verbale si precisa però che il verbale non si considera mancante se contiene la data della deliberazione e il suo oggetto ed è sottoscritto dal presidente dell’assemblea o dai sostituti previsti dall’art. 2379, 3° co., la nullità per mancanza del verbale è sanata con effetto retroattivo mediante verbalizzazione eseguita prima dell’assemblea successiva, salvi i diritti dei terzi in buona fede. Il rilievo pratico delle due nuove cause di nullità è perciò vistosamente ridimensionato.

Rilevanti novità presenta anche la disciplina degli effetti delle delibere nulle, oggi in larga parte diversa da quella valevole per i contratti nulli.

Resta fermo il principio che la nullità delle delibere assembleari può essere fatta valer da chiunque vi abbia interesse e può essere rilevata anche d’ufficio dal giudice.

A differenza dell’azione di nullità di diritto comune non soggetta a prescrizioni o a termini di decadenza , possono invece essere impugnate senza limiti di tempo solo le delibere che modificano l’oggetto sociale prevedendo attività illecite o impossibili.

Una specifica disciplina, che riduce ulteriormente l’operatività delle cause di nullità, è poi prevista per alcune delibere di particolare rilievo: aumento di capitale sociale, riduzione reale del capitale, emissione delle obbligazioni ex art. 2379-ter.

Per tali delibere l’azione di nullità è soggetta al più breve termine di decadenza di centottanta giorni, anche in caso di nullità per illiceità dell’oggetto.

Se si tratta poi di società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, anche se tali termini non sono trascorsi la nullità della delibera di aumento del capitale sociale non può essere pronunciata dopo che è stata iscritta nel registro delle imprese l’attestazione che l’aumento è stato anche parzialmente eseguito. E l’esecuzione anche parziale preclude la pronuncia di nullità delle deliberazioni di riduzione reale del capitale sociale e di emissione di obbligazioni.

Da quanto sinora esposto emerge che il sistema attuale non risulta semplificato rispetto a quello previgente ma è stato un adeguamento necessario ai fini delle esigenze di certezza del sistema giuridico.

L’invalidità delle delibere assembleari è regolata, come finora evidenziato, da un insieme di norme speciali, che si discostano dalla disciplina generale  sull’invalidità dei contratti rendendo complesso comprendere in quali casi alle delibere assembleari si applichino, direttamente o per analogia anche gli artt. 1418- 1446 c.c. Si discute in giurisprudenza ed in dottrina se gli artt. 2377 e ss. possano trovare applicazione anche alle delibere di organi collegiali di società di persone o di enti non societari, come risulta dalle sentenze della Cassazione n° 8276 del 2002, in senso negativo e per la positiva Cassazione n° 7754 del 1987.

Ciò che emerge evidente dal disegno del legislatore è che a differenza che nella disciplina dei contratti, l’annullabilità è la specie di invalidità di carattere generale, mentre la nullità opera soltanto nei casi espressamente previsti dalla legge. Tutto quanto precede, unitamente al carattere restrittivo delle previsioni contenute negli artt. 2377-2379 ter, limita la possibilità di caducare le delibere e conferisce, come già accennato stabilità e certezza all’attività sociale, a beneficio dei terzi e della stessa società.

Dopo la riforma societaria di cui al d.lgs. 6/ 2003, la distanza fra nullità e annullabilità si è peraltro ridotta.

Al riguardo si nota che l’art. 2379 c.c., nella parte in cui assoggetta l’azione ivi prevista ha un termine di decadenza triennale e rinvia al 7° e 8° co. dell’art.2377 c.c., seppur nei limiti di compatibilità, per disciplinare gli effetti della pronuncia di nullità e la sostituzione delle delibere nulle. Al contempo, si è accentuata la specialità del microsistema di cui agli artt. 2377-2379 ter c.c. rispetto alla disciplina dell’invalidità dei contratti. Ciò ha condotto a ritenere che le lacune riscontrabili negli artt. 2377-2379 ter del c.c. debbano venire colmate attingendo innanzitutto ai principi generali desumibili dalle suddette disposizioni e, solo in seconda battuta e nei limiti di compatibilità coi predetti principi alle norme dettate in materia di invalidità contrattuali. Rimane dubbio, tuttavia, se il suddetto quadro normativo debba essere integrato facendo applicazione di istituti regolati, almeno parzialmente, dalla disciplina della nullità dei contratti, quali l’inesistenza e l’inefficacia o individuando casi

Di delibere assembleari nulle escluse dall’ambito di applicazione dell’art.2379 c.c. e regolate dagli artt. 1418 e ss. del c.c.

L’ambito di applicazione dell’art. 2377 è più o meno ampio a seconda della tesi che si accolga circa l’interpretazione dell’art. 2379, nella parte in cui è sancita la nullità delle del. assembleari ad oggetto impossibile o illecito: da tale questione, infatti dipende la possibilità di ritenere che l’annulllabilità regolata dall’art.2377 c.c. si estende anche ai vizi di contenuto. Certamente rientrano nelle ipotesi di non conformità alla legge o allo statuto le delibere affette da vizi di procedimento, salvi i casi di mancata convocazione dell’assemblea e di mancata verbalizzazione della del. che l’art. 2379 assoggetta alla disciplina della nullità. Sono inoltre non conformi alla legge o allo statuto le del. affette da vizi del procedimento, salvi i casi di mancata convocazione della del. che l’art. 2379 c.c. assoggetta alla disciplina della nullità. Sono inoltre non conformi alla legge, per espressa previsione dell’art. 2373 le del. adottate col voto determinante del socio in conflitto di interessi e, per consolidato orientamento della giurisprudenza, le delibere viziate da eccesso o abuso di potere, adottate dalla maggioranza al fine di recare pregiudizio ai soci di minoranza, in violazione dei principi di buona fede come evidenziato nelle sentenze della Cassazione n° 27385 del 2005 e n°11151 del 1995.

Secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza sono inesistenti, e non semplicemente annullabili le delibere assembleari che, nonostante il “nomen juris”, non sono neppure ascrivibili al genus delibera assembleare, difettando di almeno uno degli elementi essenziali per l’identificazione della fattispecie.

In tal caso, non si può nemmeno porsi un problema di validità della delibera, che in realtà manca, e l’azione di accertamento dell’inesistenza, essendo sottratta alla disciplina dell’art. 2377, può essere esperita in ogni tempo, da chiunque vi abbia interesse ( cassaz. n° 835 del 1995).

In particolare, prima dell’entrata in vigore della riforma societaria, sono state giudicate inesistenti le delibere assembleari adottate in mancanza di convocazione dell’assemblea o col voto determinante di soggetti privi della c.d. legittimazione primaria al voto in base alle sentenze della Cassazione n°9364 del 2003 e Cassazione n°1186 del 2001.

La dottrina, al riguardo, si è sempre divisa fra quanti negano che l’esistenza abbia diritto di cittadinanza nel nostro ordinamento e quanti, per contro, la ritengono configurabile( Tribunale di Milano 11.12.2003).

Mediante il d.lgs. 6/ 2003 molte ipotesi che in precedenza la giurisprudenza aveva ricondotto alla categoria dell’inesistenza sono state espressamente sottoposte alla disciplina della nullità o addirittura a quella dell’annullabilità. Ciò risponde alla volontà del legislatore storico, esplicitata nella Relazione al d.lgs. 6/2003, di eliminarne la categoria dell’inesistenza, mantenendo unicamente la dicotomia annullabilità-nullità prevista dalla legge. E’ discusso, tuttavia, se dopo la riforma non sia più possibile configurare delibere inesistenti o se l’istituto, seppur in misura ridotta, possa trovare applicazione ex Cassazione n°7693 del 2006.

Pur rimanendo dibattuta la possibilità di configurare deliberazioni inefficaci di cui sia possibile accertare l’esistenza anche oltre i imiti posti dall’art. 2377 c.c.; mediante un’azione giudiziaria esercitatile, senza vincoli di tempo, da chiunque vi abbia interesse.

Certo sono inefficaci e non invalide, le delibere sottoposte a termine o a condizione volontaria o legale ( cassaz. n°12795 del 1991 e Tribunale di Bologna del 22.3.2000); salvi i dubbi circa l’iscrivibilità nel registro delle imprese di del. ad efficacia sospesa o differita.

Ipotesi tipiche di inefficacia e non di invalidità sono ravvisabili poi, nelle del. modificative dello statuto non iscritte nel registro delle imprese, in quelle che, pur pregiudicando i diritti  di una categoria di azionisti, non sono state approvate dall’assemblea speciale nelle del. di revoca dei sindaci senza l’approvazione del tribunale o di nomina di organi la cui designazione è riservata a un ente pubblico e, ma il punto è controverso, nelle del. di trasformazione regressiva che non abbiano ottenuto il consenso dei soci destinati ad assumere responsabilità illimitata.

Prima del d.lgs. 6/2003 era inoltre sostenuta l’inefficacia delle del. che comprimono diritti dei soci o terzi indisponibili senza il loro consenso: del. che, altrimenti, dovevano probabilmente essere ritenute invalide ( Cassaz. n° 8370 del 1993).

Dopo la riforma societaria, stante l’introduzione di un termine di decadenza triennale per l’azione di nullità, si è rilevato che tale ricostruzione, di cui già era lecito dubitare, condurrebbe, in modo poco convincente, a ritenere caducabili senza limite di tempo le del. lesive di diritti relativamente indisponibili, sia pure adottate senza il consenso del loro titolare, e unicamente entro tre anni le delibere lesive di diritti assolutamente indisponibili. L’art. 2388 c.c. sembra suggerire, inoltre, che le del. lesive di diritti dei soci, per poter venire neutralizzate, debbono di regola essere impugnate entro i termini previsti per le azioni di invalidità.

Le delibere assembleari non conformi alla legge o allo statuto sono, di regola, annullabili, come finora abbiamo visto. Ai sensi dell’art. 2379 c.c., tuttavia sono nulle le del. aventi oggetto impossibile o illecito, quelle adottate in mancanza di convocazione dell’assemblea o di verbalizzazione e quelle che modificano l’oggetto sociale mediante la previsione di attività illecite o comunque impossibili: previsione quest’ultima che pare configurare una specifica ipotesi di impossibilità o illiceità dell’oggetto, e che contempla l’unico caso in cui l’azione di nullità è rimasta imprescrittibile. Rispetto al sistema previgente il d.lgs. 6/2003 ha accentuato la specialità della disciplina dettata dall’art. 2379 rispetto al sistema della disciplina dettata dall’art. 2379 c.c., rispetto al sistema delle invalidità contrattuali, per assolvere a esigenze di certezza e stabilità dell’attività sociale. Le fattispecie previste dall’art. 2379 costituiscono un elenco tassativo e, rappresentano le uniche ipotesi di nullità delle del. ass. Si deve dunque escludere che si possano configurare delibere assembleari nulle, ricadenti nell’ambito di applicazione degli artt. 1418 e ss. ( Cassaz. n°157212 del 2005).

Un consolidato orientamento della giurisprudenza ritiene che l’oggetto della delibera  debba essere fatto coincidere con il contenuto concreto della manifestazione di volontà adottata dall’assemblea e che abbiano oggetto illecito o impossibile tutte le del. il cui contenuto risulti contrario a norme di legge poste a tutela di interessi trascendenti quelli del singolo socio, o la cui violazione determini una deviazione dallo scopo economico- pratico del contratto di società ( Cassaz. n°928 del 2003).

Anche in dottrina, tuttavia, si è sostenuto che l’oggetto della del. è l’argomento su cui i soci sono chiamati a deliberare  e che il contenuto è costituito dalla specifica manifestazione di volontà espressa, sul punto dall’assemblea.

Di recente si è sottolineato che, dal punto di vista astratto, oggetto e contenuto della del. rappresentano concetti distinti, tanto cge gli artt. 237, 5° e 2379, 3° co. c.c., sulla base di tale distinzione, disciplinano diversamente i vizi di verbalizzazione della delibera.

Al contempo, tuttavia, pone che l’art. 2379 c.c. attribuisca rilievo all’oggetto concreto della delibera, e che quando il contenuto di quest’ultima sia illecito o impossibile sembrerebbero dover essere considerate nulle. Saranno invece annullabili le del. affette da vizi di contenuto che non si traducano in casi di impossibilità o illiceità, ma si risolvano, sempre che ciò sia possibile, in ipotesi di mera non conformità alla legge.

Rimane dubbio, tra gli interpreti e gli autori, se il termine impossibilità utilizzato dall’art. 2379 c.c. si riferisca alla sola impossibilità materiale o anche, come generalmente si ritiene, alla c.d. impossibilità giuridica.

Si è evidenziato che, anche accedendo a quest’ultima tesi, l’espressione impossibilità giuridica va comunque riferita a un insieme più ristretto di quello rappresentato dalla non conformità alla legge di cui al’art. 2377. In particolare, paiono avere oggetto giuridicamente impossibile le del. adottate su materie che esulano dalle competenze dell’assemblea.

D’altra parte, in conformità con le regole generali del sistema civilistico l’oggetto delle del. deve essere considerato illecito quando sia contrario all’ordine pubblico, al buon costume, o alle norme imperative poste a presidio dei principi fondamentali dell’ordinamento giuridico, e in particolare dell’ordinamento societario( Cassaz. n°15580 del 2002).

Dovendosi, invece ricondurre all’art. 2377 c. c. la violazione di tutte le altre norme che, pur non essendo derogabili sono dettate a tutela di interessi di rango meno elevato.

Il dibattito più recente ( Tribunale di Roma, n° 4233 del 23.2.2015) riguardo le delibere assembleari di associazioni o di altre associazioni riconosciute, ha convinto i giudici a stabilire che la competenza a decidere spetta al collegio ex art. 50-bis, comma 1, n°1 del c.p.c., e sussiste la legittimazione all’impugnazione anche in capo al pubblico ministero in base al combinato disposto degli artt. 50-bis, 69 e 70, co.1, n°1 del c.p.c.

Pertanto, anche la deliberazione nulla costituisce un atto giuridico, comunque esistente, che eventualmente verrà rimosso dall’autorità giurisdizionale sulla base di un’istanza promossa, per le associazioni, dall’interessato con il procedimento previsto dall’art. 23 del c.c.

In conclusione l’evoluzione giurisprudenziale intervenuta a seguito della riforma del diritto societario del 2004, ha inizialmente manifestato l’intenzione di eliminare la categoria di creazione giurisprudenziale dell’inesistenza dell’atto, ma poi ha evidenziato il carattere tassativo dei vizi sanzionatori con la nullità stessa, riducendola ad ipotesi eccezionali con i conseguenti effetti in tema di interpretazione ed applicazione ancora in fase di elaborazione.

Caruso Vincenzo

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