Le modifiche alla Costituzione

Gualdini Maria 22/06/06
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Alla fine di giugno saremo tutti chiamati ad esprimere il nostro consenso sulla apprestanda riforma costituzionale approvata in data 16.11.2005 con la sola maggioranza di una parte del vecchio Parlamento. La Carta Costituzionale rappresenta l’identità ideologica del cittadino italiano (una sorta di casa degli italiani), e non dovrebbe pertanto essere prerogativa di nessuna forza politica sia essa di destra o sinistra. La modifica attiene alla parte II della Costituzione, i cui punti più salienti riguardano la composizione del Parlamento, la potestà legislativa, il premierato, il Presidente della Repubblica e la Corte Costituzionale.
Il Parlamento sarebbe suddiviso in due Camere costituite dalla Camera dei Deputati e dal Senato Federale; vi sarebbe altresì una sensibile riduzione dei parlamentari che si assesterebbero dagli attuali 940 agli 770; tale riduzione non potrebbe che essere accolta favorevolmente se non fosse per il semplice fatto che, accanto ai parlamentari, è prevista la presenza di rappresentanti locali con funzione consultiva la cui partecipazione sarà sicuramente indennizzata dallo Stato con buona pace dell’obiettivo iniziale di ridimensionamento economico del sistema parlamentare. Addentrandosi meglio nella disamina degli articoli ci si avvede subito che il Senato di Federale ha solo il nome visto che non entrano a farne parte, come accade in altre costituzioni europee, quale quella tedesca, i rappresentanti delle regioni e delle autonomie locali, potendo assurgere alla carica di senatori coloro che, oltre ad essere residenti nella regione interessata, hanno ricoperto cariche elettive regionali. Il meccanismo di elezione dei senatori parrebbe alquanto oscuro; l’articolo art. 60 statuisce che “ i senatori eletti in ciascuna regione o provincia autonoma rimangono in carica fino alla data della proclamazione dei nuovi senatori della medesima regione o provincia autonoma”: tale dizione farebbe propendere l’elezione dei senatori in coincidenza con l’elezione dei rispettivi consigli regionali, e richiamerebbe l’art. 51 della Legge Fondamentale per la Repubblica Federale di Germania che recita testualmente “ il bundesrat è composto da membri di governi dei Lander che li nominano e revocano. Essi possono farsi rappresentare da altri membri dei rispettivi governi” e quindi verso un Senato Federale permanente con una rotazione periodica dei rispettivi senatori, anche se ciò contrasta con la locuzione italiana della proclamazione che intenderebbe una sorta di elezione popolare e non una nomina operata dai governatori delle regioni.
Per quanto concerne l’iter legislativo il novellato art. 70 prevede che alla Camera dei Deputati sia devoluta la legislazione esclusiva di cui all’art.117, 2 comma, Cost. ed al Senato Federale quella contenuta nell’art.117, 3 comma, Cost. Dalla lettura di tali materie risulta evidente che alle Regioni non è stato assegnato nulla di più che queste non avessero già, in quanto trattasi di materie concorrenti trasferite alle medesime con la riforma costituzionale del 2001. Alla fine quindi si tratterebbe per lo più della traslazione di una funzione meramente amministrativa, ad eccezione del conferimento alle Regioni delle materie riguardanti appunto l’assistenza ed organizzazione sanitaria, organizzazione scolastica con la definizione dei programmi scolastici e formativi, polizia amministrativa regionale e locale. Tale devoluzione comporterà inevitabilmente soprattutto nell’ambito della sanità e della formazione scolastica, stante l’assenza di una norma di raccordo improntata al principio di sussidiarietà tra Stato e Regioni e fra quest’ultime, una forte sperequazione tra le regioni, a discapito di quelle meno abbienti che non potranno eguagliare quelle più ricche in competenza sanitaria, scientifica e scolastica, creando quindi una disparità tra gli stessi cittadini con una suddivisione in cittadini di serie A e di serie B,   in violazione del principio di uguaglianza sancito nell’art. 3 della Costituzione. Non  si entra per carità di patria nel farraginoso meccanismo di legiferazione il cui senso logico sfugge anche al costituzionalista più afferrato.
Bisogna infine ricordare, al fine di fugare ogni dubbio sul falso federalismo, che qualora il Senato Federale legiferasse in contrasto con la linea politica del governo, il Premier, ai sensi art. 70, commi quattro e quinto, potrebbe opporsi mediante un inedito escamotage che vedrebbe il Presidente della Repubblica rivestire i panni di una sorta di giudice costituzionale, legittimato a verificare i presupposti di legittimità costituzionale di un eventuale intervento del Premier al Senato finalizzato ad ottenere la modifica della legge contestata; in caso di autorizzazione da parte del Presidente della Repubblica all’audizione del Premier, qualora il Senato non si adeguasse alle modifiche governative, il testo di legge passerebbe alla Camera dei deputati per la definitiva votazione. Questo passaggio è opportuno unirlo ai nuovi poteri conferiti dalla apprestanda riforma costituzionale al capo del governo che non è più definito Presidente del Consiglio bensì Premier, il quale : 1) dirige, determina e garantisce l’unità di indirizzo politico; 2) pone la questione di fiducia, chiedendo che la Camera dei deputati si esprima con priorità su ogni altra proposta, con voto conforme alle proposte del Governo; 3) può chiedere al Presidente della Repubblica, lo scioglimento della Camera dei Deputati ogni qual volta lo ritenga opportuno con sua esclusiva responsabilità; parimenti tale istanza può essere presentata dalla compagine governativa in caso di morte e di impedimento permanente del premier; in tutte queste circostanze il presidente della Repubblica funge da mero ratificatore, privo di ogni potere discrezionale. In nessuna delle carte costituzionali europee il parlamento si regge grazie alla fiducia del governo; chi   perora “il comitato per il si” obietta che un’analoga previsione è sancita nella costituzione francese, americana ed inglese senonchè l’art. 12 della Costituzione Francese recita che “ il Presidente della Repubblica può, sentito il primo ministro ed i presidenti delle assemblee, sciogliere l’assemblea nazionale”; nel modello americano il Congresso è totalmente indipendente dal presidente e parimenti nessuna delle due istituzioni può reciprocamente sfiduciarsi; la costituzione inglese è l’unica tra quelle europee a non essere fondata su un diritto scritto e ad ogni modo se corrisponde a verità che in passato il premier inglese aveva il potere di “dissolution” ( ossia di scioglimento delle camere) questo è caduto in desuetudine surclassato da una sorta di parlamentarismo avanzato. Ogni tentativo pertanto di ricondurre la figura del premierato italiano ad un’altra analoga europea e/o internazionale, per avvalorarne il grado di democraticità, è miseramente fallito. Una trattazione a parte merita la questione di fiducia costruttiva: il novellato art. 88 sancisce che il Presidente della Repubblica non procede a decretare lo scioglimento delle Camere a seguito di mera richiesta, dimissioni, morte e/o impedimento del Premier, qualora alla Camera dei Deputati nei venti giorni successivi   sia votata per appello nominale dai deputati appartenenti alla maggioranza espressa dalle elezioni una mozione di fiducia con la designazione di un nuovo Premier. Altra norma astrusa, rigettata la possibilità di scioglimento delle Camere ad esclusiva richiesta del Premier, non si capisce perché tale mozione non possa essere avvallata da una maggioranza superiore a quella espressa dal dato elettorale di maggioranza e non possa inferire, trattandosi della fiducia al governo, ad entrambe le Camere. L’istituto della mozione di fiducia con il cambio del Premier in capo alla stessa compagine governativa di maggioranza è praticato nel sistema di common law inglese. La verità è che la previsione di un premierato siffatto qualora non assurgesse ad una persona saggia e virtuosa, costituirebbe l’antecedente necessario per l’instaurazione di un regime dittatoriale.
L’istituzione per eccellenza del Presidente della Repubblica esce notevolmente ridimensionata , in quanto spogliata del potere di autorizzazione alla presentazione della Camera dei disegni di legge di iniziativa del governo, della nomina dei cinque giudici presidenziali della Corte Costituzionale, della facoltà di sciogliere le Camere, sentiti i presidenti. A nulla serve opporre, a mò di bilanciamento, il conferimento di nuovi poteri prestigiosi quali la nomina dei presidenti delle autorità indipendenti, del Vice-presidente del CSM, e della già citata autorizzazione audizione del Premier al Senato, se questi determinano un pericolosa interferenza con altri poteri istituzionali, compromettendone la rispettiva indipendenza. La nomina presidenziale del vice-presidente del Csm, a titolo esemplificativo, lederebbe irreparabilmente il vulnus dell’imparzialità ed autonomia della magistratura. Il legislatore costituente del 47, proprio per evitare commistioni politiche deleterie, aveva previsto che la nomina dei componenti il Consiglio Superiore della Magistratura dovesse ricercarsi per i due terzi nei gradi diversi della stessa magistratura ed un terzo a chiamata parlamentare fra professori ordinari di università in materia giuridiche ed avvocati dopo 15 anni di esercizio, ovvero persone dotate, per i requisiti richiesti, di elevata e comprovata professionalità giuridica. Ora nella nuova accezione la nomina dei membri laici del CSM potrebbe investire persone politiche scevre di competenza di giuridica, minando gravemente l’autorevolezza del Consiglio Superiore della Magistratura.
La Corte Costituzionale se pur confermata nella sua compagine numerica costituita da quindici giudici, non lo è nei suoi equilibri interni. Nella previsione attuale la nomina dei giudici costituzionale proviene per un terzo dal Presidente della Repubblica, per un terzo dal parlamento in seduta comune e per un terzo dalle supreme magistrature (ordinaria ed amministrativa); nel novellato testo costituzionale viene ridotta di un’unità la nomina presidenziale, così come quella proveniente dalle magistrature, ed aumentata di due unità da cinque a sette quella parlamentare, con il rischio deleterio di avere una Corte Costituzionale politicizzata. Se si pensa al ruolo garantista che da sempre ha svolto la nostra Corte Costituzionale fungendo spesso da precursore dei tempi con sentenze illuminanti come quelle in tema di parità dei coniugi da cui è derivata la riforma del diritto di famiglia del 1975 sino ad arrivare alle recenti sentenze in tema di equiparazione di trattamento tra figli legittimi e figli nati fuori dal matrimonio, nonché l’ultima sentenza del  16.02.2006 che, pur confermando l’inammissibilità delle eccezioni proposte, dichiarava come l’attribuzione ai figli del cognome paterno fosse retaggio di una mentalità patriarcale avulsa dal contesto moderno incitando il legislatore ad modificare il testo legislativo, ci si avvede quanto sia importante salvaguardarne la peculiare autonomia. Occorre infine spendere due parole sulla modalità di entrata in vigore a scaglioni della nuova riforma: infatti le norme concernenti la devolution entrerebbero in vigore subito unitamente a quelle relative alla Corte Costituzionale, mentre altre riguardanti la forma di governo e di stato, specialmente quella afferente alla riduzione del numero dei parlamentari, entrerebbero in vigore fra dieci anni ossia nel 2016 ( fatta salva ovviamente una durata minore di questa o dell’altra legislatura a venire); ugualmente l’individuazione delle risorse economiche con cui attuare l’indipendenza finanziaria delle regioni ed autonomie locali è demandata ad uno slittamento di tre anni dalla entrata in vigore della suddetta riforma da cui decorre l’altro termine di cinque anni  per il trasferimento delle risorse testè indicate.
 
 
Avv. Maria Gualdini
Vice-Presidentessa Nazionale – Vicario
A.N.P.A. – Giovani Legali Italiani
 
 

Gualdini Maria

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