Le mansioni superiori nel pubblico impiego

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E’ previsto svolgere mansioni superiori nel pubblico impiego contrattualizzato senza vedersi riconoscere l’automatica attribuzione del livello superiore, ma l’adeguato compenso economico.

Commento a Corte di Cassazione – Sezione L – ordinanza n. 25848 del 01-09-2022

Corte di Cassazione – Sezione L – ordinanza n. 25848 del 01-09-2022

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Indice

1. La vicenda


La Corte di Appello di Lecce, sent. n. 855/2015, pubblicata il 12.05.2015 aveva accolto la richiesta del dipendente pubblico, in riforma del primo grado di giudizio, al fine di vedersi riconoscere il diverso e più favorevole trattamento stipendiale per le mansioni superiori svolte. Nello specifico si trattava di capire se l’appellante avrebbe avuto diritto alle maggiori differenze stipendiali rientranti nella categoria C, posizione 1, rispetto al suo inquadramento contrattuale ricoperto nella categoria B.
L’Ente Comunale, datore di lavoro, ricorre per Cassazione censurando l’impugnata sentenza con due motivi di ricorso e rivendicando la legittimità del proprio operato deducendo la violazione e falsa applicazione, tra gli altri, dell’art. 52 del D. Lgs. 165/2001 qui in commento, colonna portante (ad oggi) della regolamentazione giuridica in materia di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione.
Il Comune, richiamando una giurisprudenza amministrativa – Consiglio di Stato, sez. II, 18/02/2021, n.1473 – priva di effetto nel caso di specie, si duole del fatto che il dipendente, controricorrente nel giudizio avanti la Suprema Corte, non ha svolto mansioni per un posto esistente e disponibile nella pianta organica dell’Ente tanto è vero che non era stato bandito alcun concorso di reclutamento per quella figura interna e non ha avuto un provvedimento di incarico a svolgere la più qualificante mansione. Tali requisiti, che qui difettano, sarebbero indispensabili per parte ricorrente al fine di richiedere una maggiorazione retributiva.

2. L’evoluzione normativa e giurisdizione


Con l’emanazione di due Regi Decreti, il n. 2395 ed il n. 2960 del 1923 si completava l’ordinamento gerarchico delle amministrazioni e si disponeva in merito allo stato giuridico degli impiegati civili dello stato, basato peraltro su una forte subordinazione gerarchica. Con il successivo D.P.R. n. 3 del 1957 si cerca di invertire la rotta fino ad allora seguita, seppur con scarso successo, e si intraprende una nuova strada fino ad allora non percorribile, quella della parificazione tra lavoro pubblico e privato che con la Legge 312/1980, proseguendo sullo stesso cammino, si introduce la qualifica funzionale basata su criteri di efficienza e praticità connessa alla prestazione data ed al grado di responsabilità ricoperto dal dipendente. Nel 1972 con il D.P.R. 748 nasce una nuova figura nell’assetto organico aziendale: il dirigente. Ad esso vengono attribuiti poteri e responsabilità di alto livello scissi comunque dalla funzione direttiva. Con il D. Lgs. 29/1993 la giustizia amministrativa si esprimeva nel senso di non riconoscere ai lavoratori né la parte economica e neanche il livello superiore, ma la costante carenza di personale nel pubblico impiego ha portato gli enti a non poter fare a meno di adibire il personale a mansioni superiori e di conseguenza l’avvio negli anni 90 di contenziosi volti al riconoscimento delle mansioni superiori ha obbligato il legislatore ad intervenire sulla materia con la modifica prodotta dall’art. 15 del D. Lgs. 387/1998 dove per la prima volta si riconoscono le differenze retributive ai lavoratori della pubblica amministrazione che hanno svolto mansioni di livello superiore affidando peraltro i contenziosi alla giurisdizione ordinaria in funzione di giudice del lavoro, passaggio sancito poi nel 2001 nelle norme generali sull’ordinamento del lavoro.


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3. I presupposti


Oggi la materia è regolata dall’art. 52 del D. Lgs. 165/2001, il c.d. Testo Unico del Pubblico Impiego, il quale al comma II disciplina i requisiti dai quali non si può prescindere per adibire il prestatore di lavoro alle mansioni proprie della qualifica immediatamente superiore, per poi proseguire al successivo comma V affermando che al di fuori di quanto previsto dal comma 2 l’assegnazione al lavoratore della mansione superiore è nulla ma gli deve essere riconosciuta la differenza di trattamento economico per il lavoro prestato. Tutto questo deve essere in linea con i dettami costituzionali degli artt. 36 e 97 nel senso di seguito precisato.
In punto di diritto la questione deve essere esaminata con specifico riferimento all’art. 36 della Costituzione dal quale si evince che al lavoratore deve sempre essere garantita la retribuzione in rapporto alla qualità e quantità delle mansioni che svolge. La decisione della Suprema Corte, quindi, non può che appoggiarsi sull’assunto dall’art. 52, comma V, D. Lgs. 165/2001 che attribuisce al lavoratore il trattamento economico adeguato alla qualifica superiore ricoperta ed alle mansioni di fatto svolte, imbattendosi nell’unico limite nel caso in cui l’ente sia stato tenuto all’oscuro e quindi l’assegnazione delle mansioni sia stata attribuita all’insaputa o contro la volontà dell’ente oppure allorquando sia il frutto della fraudolenta collusione tra dipendente e dirigente (in questo senso, Cassazione Civile, Sez. III, ordinanza n. 8784 del 10 aprile 2018). Qui viene in sostegno l’ultimo periodo del comma 5 scaricando sul dirigente la responsabilità erariale per il pagamento del maggior onere nel caso in cui abbia agito con dolo o colpa grave. La nullità dell’attribuzione della mansione, seppur fraudolenta, non ostacola il lavoratore a vedersi riconosciuto il maggior trattamento stipendiale.
Diversamente argomentando si finirebbe per andare contro le intenzioni del legislatore, condizionando il riconoscimento alle previsioni nei contratti collettivi o peggio ancora a dei presupposti arbitrari e soggettivi come il rilascio di un provvedimento che legittima la diversa mansione o l’esistenza di un posto vacante.
Nei rapporti di impiego pubblico il riconoscimento stipendiale non trova la sua naturale attribuzione nella qualifica superiore in ossequio all’art. 97 comma IV della Costituzione, il quale stabilisce che nella pubblica amministrazione si accede tramite concorso. Il lavoratore che per un periodo di tempo è stato adibito a mansioni superiori non può pretendere di essere inquadrato nella categoria corrispondente.

4. La decisione della Corte


I giudizi di Piazza Cavour ritengono inammissibile il ricorso allineandosi così ad un orientamento costante per ciò che concerne la materia del diritto pubblico contrattualizzato in materia di mansioni superiori (in questo senso, Cass. 1496/2022; Cass. 33135/2019; Cass. SS.UU. 25837/2007).
Il motivo del ricorso qui esaminato, non solo non tiene conto dei principi di una costante giurisprudenza di legittimità ma, ritengono gli ermellini, che non si confronti con le risultanze fattuali compiute dai giudice dell’appello in merito alla sostanza del lavoro svolto.
Per completezza preme segnalare che comunque è stato ritenuto inammissibile anche il secondo motivo di ricorso. Qui viene richiamata l’attenzione dei giudici della Suprema Corte da parte dell’Ente Comunale, chiedendo di esprimersi sull’omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 comma 1, n. 5 cod. proc. civ., ritenendo che la Corte di Appello di Lecce abbia fondato il proprio convincimento non prendendo in considerazione le risultanze di prove testimoniali che avrebbero condotto ad una diversa decisione. 
La Corte di Cassazione non ha dubbi ritendo che il ricorrente sia andato oltre a quelli che sono i confini già regolamentati dalle SS.UU. nelle sentenze gemelle 8053 e 8054 del 2014, richiamando un fatto non utile ai fini della decisione e nello specifico chiedendo di valutare elementi istruttori come le prove e non un vero e proprio “fatto”, agli effetti della norma in parola, inteso in senso storico-normativo, da allegare in modo indissolubile alla circostanza dell’accadimento, come già precisato anche da altra giurisprudenza, Cass., SS.UU., n. 5745 del 2015.

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