Le maggiori potenzialità economiche del genitore affidatario concorrono a garantire al minore un migliore soddisfacimento delle sue esigenze di vita, ma non comportano una proporzionale diminuzione del contributo posto a carico dell’altro coniuge

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(Corte di Cassazione – prima sez. civile – sentenza del 02 agosto 2013 n. 18538 )

Così la Suprema Corte, con sentenza n. 18538 del 02 agosto 2013, in relazione al principio di proporzionalità della contribuzione, di cui all’art. 155, quarto comma, cod. civ., nella ripartizione dell’onere del mantenimento della prole tra i genitori, ribadisce quanto già fortemente sostenuto con sentenza n. 1607 del 2007, dichiarando che la terminazione del contributo che per legge grava su ciascun coniuge per il mantenimento, l’educazione e l’istruzione della prole non si fonda, a differenza di quanto avviene nella determinazione dell’assegno spettante al coniuge separato o divorziato, su una rigida comparazione della situazione patrimoniale di ciascun coniuge. Pertanto, le maggiori potenzialità economiche del genitore affidatario concorrono a garantire al minore un migliore soddisfacimento delle sue esigenze di vita, ma non comportano una proporzionale diminuzione del contributo posto a carico dell’altro genitore, anche in presenza di una notevole disparità reddituale.

Ciò posto, al fine di soddisfare i bisogni primari della prole, affidata mediante affido condiviso ad entrambi i genitori, con collocazione presso il padre, in ossequio alle indicazioni di cui alla legge n. 54/2006, questa Corte pone a carico del padre, in una misura rispettosa della proporzione del divario economico tra i coniugi, quale correttamente rilevato dalle risultanze della c.t.u., gli oneri economici relativi al mantenimento delle figlie, e cioè nella misura di due terzi a carico del padre e di un terzo a carico della madre, non gravando, in tal modo, il genitore con reddito inferiore in una percentuale molto più elevata rispetto a quella gravante sul reddito più alto, nonostante la ricorrente risulti costretta ad un tenore di vita inferiore rispetto a quello goduto in costanza di matrimonio.

Ciò perché, l’obbligo di mantenimento ed il relativo assegno perequativo grava su entrambi i coniugi anche in caso di separazione e di divorzio (artt. 155, 1 novellato dalla legge n. 54/2006, 156, 4° comma, artt. 6 e 8 L. n. 898/1970), ripartendo l’onere considerando i seguenti parametri: 1) le attuali esigenze del figlio; 2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori; 3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore; 4) le risorse economiche di entrambi i genitori; 5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore, in proporzione alle rispettive sostanze e capacità di lavoro, cessando solo ove il genitore obbligato provi la raggiunta indipendenza economica del figlio divenuto maggiorenne, percependo un reddito corrispondente alla professionalità acquisita in relazione alle normali condizioni di mercato; ovvero che esso volontariamente si sottragga allo svolgimento di un’attività lavorativa adeguata.

Inoltre, in ordine al quantum dell’assegno in favore della ex coniuge, ritenuto esiguo dalla donna, Piazza Cavour, a seguito di un minuzioso esame delle complessive risorse economiche dei genitori, del tenore di vita goduto dalla famiglia in costanza di matrimonio e delle crescenti esigenze di formazione e socializzazione delle minori, osserva che è irrilevante che la donna abbia intrapreso una relazione con un altro uomo, scegliendo liberamente e consapevolmente un nuovo stile di vita, improntato a sobrietà e semplicità, perché le opzioni culturali e spirituali del richiedente l’assegno di mantenimento non possono costituire legittima ragione di discriminazione dello stesso, attraverso la negazione del suo diritto a conseguirlo, in presenza dei prescritti requisiti.

Zecca Maria Grazia

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