Le intese restrittive della concorrenza nella giurisprudenza comunitaria

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L’articolo 81, paragrafo 1 del Trattato CE vieta tutti gli accordi tra imprese e le pratiche concordate “che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune”. Si definisce “intesa” un accordo fra imprese volto a limitare o ad eliminare la concorrenza fra le imprese concorrenti, al fine di aumentare i prezzi e i profitti senza produrre vantaggi compensativi oggettivi.
Il gioco della concorrenza è “impedito” in caso di eliminazione totale della concorrenza tra imprese, che si tratti di parti, di terzi o di una parte nei suoi rapporti coi terzi. Si ha “restrizione” quando la concorrenza fra imprese, che si tratti di parti, di terzi o di una parte nei suoi rapporti con i terzi, non è affatto eliminata interamente, ma lo è solo relativamente a certi modi di azione concorrenziale, oppure essa è limitata quantitativamente. Infine, il gioco della concorrenza è “falsato” quando, come conseguenza dell’accordo o della pratica, imprese concorrenti, che si tratti di parti, di terzi o di una parte nei suoi rapporti con i terzi, sono poste in condizioni diseguali di concorrenza.
Nella pratica, tali accordi hanno generalmente per oggetto la fissazione di prezzi, le condizioni di vendita, servizi dopo la vendita, la limitazione della produzione, la ripartizione di mercati, clienti o territori, la manipolazione di gare d’appalto o un’azione combinata di questi obiettivi. L’articolo 81 riporta poi un elenco – non esaustivo – delle componenti di danno che le intese da vietare contengono:
– la determinazione, diretta o indiretta, dei prezzi di acquisto o di vendita, o di altre condizioni di transazione (rientrano in questa categoria i cartelli, che si configurano come accordi sui prezzi);
– la limitazione o il controllo della produzione, degli sbocchi sul mercato, dello sviluppo tecnico, degli investimenti;
– la ripartizione dei mercati o delle fonti di approvvigionamento;
– la discriminazione nei confronti dei propri concorrenti, in modo da causare loro uno svantaggio;
– l’obbligo di subordinare la conclusione dei contratti all’accettazione di prestazioni supplementari, non collegate all’oggetto dei contratti stessi.
L’art. 81.1 vieta non solamente le intese mediante le quali le imprese concorrenti in uno stesso mercato limitano la loro concorrenza reciproca (intese orizzontali, quali gli accordi comuni per la fissazione del prezzo, la spartizione dei mercati, la limitazione della produzione, ecc.) ma anche quelle c.d. verticali, mediante le quali le imprese che si trovano a stadi diversi della produzione o della distribuzione di un prodotto restringono la concorrenza fra una di esse ed i terzi (ad esempio gli accordi di approvvigionamento esclusivo, di distribuzione esclusiva, di distribuzione selettiva, di prezzo di rivendita imposto, di gemellaggio, di franchising, ecc.).
Le intese verticali sono molto diffuse, ma appare molto più complicato da un punto di vista antitrust determinare se tali intese abbiano un effetto o un oggetto anticoncorrenziale. Prendiamo ad esempio il caso della distribuzione di un prodotto alimentare, un’intesa orizzontale tra produttori è probabilmente anticoncorrenziale, poiché modifica i parametri economici della produzione e ciò possiede un effetto negativo sui consumatori (minori quantità prodotte, maggiori prezzi). Un’intesa verticale può essere data da un accordo di distribuzione esclusiva, tra un produttore e un grande distributore organizzato (catena di ipermercati): è possibile che il produttore faccia un buon prezzo al venditore se questo offre solo i suoi prodotti.
La dottrina antitrust deve valutare se tale intesa è restrittiva e danneggia la concorrenza, ed anche se un eventuale danno non viene bilanciato dall’aumento del benessere per i consumatori: questo aspetto di indagine è spesso piuttosto complicato e difficile da svolgere. In passato si era talvolta contestato che le intese verticali ricadessero nell’ambito di applicazione dell’art. 81.1, ogni dubbio è oggi superato dopo che la Corte di giustizia si è pronunciata con fermezza in tal senso nel caso Italia/Consiglio e Commissione del 13 luglio 1966 asserendo che: “né il tenore dell’art. 85 (oggi art. 81), né quello dell’art. 86 (oggi art. 82) giustificano…(la) distinzione tra operatori concorrenti allo stesso stadio e operatori non concorrenti che agiscono in fasi diverse. Non si devono introdurre distinzioni non previste dal Trattato. Inoltre non si potrebbe contestare l’applicabilità dell’art. 85 a un contratto di concessione esclusiva sostenendo che concedente e concessionario non sono in concorrenza fra loro. La concorrenza di cui parla l’art. 85.1 non è infatti solo quella che potrebbero farsi i contraenti dell’accordo, ma anche quella che si può svolgere fra uno di essi e i terzi. Ciò risulta dal fatto che, con un accordo del genere, le parti potrebbero mirare, ostacolando o limitando la concorrenza fatta da terzi al prodotto, a creare o garantire a proprio profitto un vantaggio ingiustificato, a danno del consumatore o dell’utente, contrario agli obiettivi generali dell’art. 85”.
La giurisprudenza comunitaria ha affermato che qualora una intesa non soddisfi tutte le condizioni prescritte da un regolamento di esenzione e che non sia stata concessa (o chiesta) l’esenzione individuale, le parti della stessa possono comunque dimostrare che l’accordo di cui trattasi non è per altri motivi incompatibile col divieto di cui all’art. 81 paragrafo 1[1]. In effetti, per verificare la sussistenza di una infrazione antitrust è necessario accertare che le intese abbiano per oggetto o per effetto l’impedimento, la restrizione o il falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato rilevante.
L’inapplicabilità di un regolamento di esenzione costituisce certamente un indice rilevante a tal fine, ma deve comunque essere verificata la violazione del divieto previsto dalle disposizioni sulle intese restrittive della libertà di concorrenza. Al par. 3 dell’art. 81 esiste un’altra eccezione che rende esenti dal divieto gli accordi che, sebbene contrari al paragrafo 1 della stessa norma, creano dei vantaggi per il mercato, quali miglioramenti nella produzione o distribuzione dei prodotti o promozione del progresso tecnico o economico, sempre che non venga eliminata la concorrenza per quei medesimi prodotti. E’ necessario un nesso che renda indispensabile l’infrazione del par. 1 per raggiungere i risultati utili al mercato e che l’infrazione stessa non travalichi tale valore di indispensabilità.
Naturalmente, ogni intesa presa in disaccordo con l’art. 81 par. 1 che non ricade nella scriminante ex par. 3 o in quella della c.d. “importanza minore” sarà punita con la nullità, così come avviene, in ogni caso, laddove sia verificata una pratica concordata. Va notata una differenza redazionale tra l’art. 81 Trattato CE e l’art. 65 CECA.: laddove il primo vieta le intese “che abbiano per oggetto o effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune”, il secondo vieta quelle che “tendono, sul mercato comune, direttamente o indirettamente, a impedire, restringere o falsare il gioco normale della concorrenza”. Nel primo caso sono perseguibili, prima che producano i loro effetti negativi sulla concorrenza, i soli accordi a carattere consortile “che hanno ad oggetto la restrizione della concorrenza”, mentre gli altri sono perseguibili solo dopo la verifica degli effetti. Nel secondo caso il verbo “tendere” permette di perseguire in anticipo anche gli accordi non caratterizzati da una causa consortile, sempre che venga dimostrato il loro fine illecito.
Gli accordi in violazione dell’art. 81 Trattato CE possono essere distinti in verticali ed orizzontali, a seconda che vengano posti in essere da imprese operanti in fasi diverse del processo produttivo e distributivo[2], oppure al medesimo livello dello stesso[3]. Esempi del primo tipo sono gli accordi di distribuzione esclusiva di un prodotto in una determinata area geografica e gli speculari accordi di acquisto esclusivo, che impegnano un contraente ad approvvigionarsi da un unico produttore. Sono, inoltre, accordi verticali gli accordi relativi alla distribuzione selettiva, che danno la possibilità al fabbricante di vendere solo tramite determinati canali distributivi, sempre che la selezione non si basi su criteri qualitativi obiettivi, nel qual caso sono ammessi[4]. Un modello assimilabile alla distribuzione selettiva, ma lecito, è il contratto di franchising di servizi, fanno parte, invece, degli accordi orizzontali quelli volti a praticare dei prezzi predeterminati sul mercato, il c.d. “price fixing”, sempre illegittimi[5] o quelli relativi alle condizioni d’acquisto e di vendita. Inoltre, gli accordi che impongono determinati quantitativi di produzione o di investimenti aziendali nonché quelli sulla ripartizione dei mercati[6] oppure gli accordi c.d. di specializzazione che impegnano a produrre solo particolari beni o servizi appartenenti ad un preciso settore, lasciando alle controparti la produzione esclusiva di altri beni o servizi specifici, così da settorializzarsi ed eliminare vicendevolmente la concorrenza nei singoli campi delimitati.
Altro esempio tipico di accordo orizzontale è quello che impone a chi voglia usufruire di una determinata prestazione, di richiederne anche altre come condizione per ottenere quella desiderata. Le intese tra imprese, quindi, sono restrittive della concorrenza quando sono volte a consentire agli operatori di fissare di concerto le decisioni in merito a variabili strategiche quali il prezzo, le quantità prodotte o le caratteristiche qualitative dei beni e servizi offerti.
Quando l’accordo è così ampio da predefinire con esattezza i livelli di prezzo o le quantità di prodotto assegnate a ciascun operatore, si realizza nel mercato un ambiente fortemente collusivo nel quale è praticamente eliminata ogni possibile forma di concorrenza. Analoghi effetti possono derivare da accordi di spartizione dei mercati o della clientela, più facilmente realizzabili dalle imprese in quanto richiedono, all’interno del cartello, un più semplice monitoraggio dei comportamenti delle stesse imprese, ma ugualmente difficili da scoprire da parte di un’autorità antitrust. Tali accordi sono vietati all’interno dell’Unione europea perché falsano la concorrenza e danneggiano chi opera a vario titolo sul mercato.
Gli accordi tra imprese volti alla fissazione dei prezzi di vendita o alla ripartizione dei mercati rappresentano le violazioni più gravi della normativa antitrust. Questi accordi non hanno alcuna giustificazione di efficienza: si tratta, infatti, di accordi che danno luogo ad aumenti dei prezzi di mercato, cosicché gli acquirenti non possono più avvantaggiarsi della concorrenza tra fornitori diversi e beneficiare di prezzi competitivi e che determinano, pertanto, una diminuzione complessiva del benessere sociale. Altri tipi di accordi hanno per oggetto od effetto la fissazione di altre condizioni inerenti al funzionamento dei mercati, quali ad esempio: la fissazione di contingenti di produzione o la ripartizione del mercato tra imprese.
Le difficoltà connesse all’individuazione di tali intese discendono soprattutto dalla circostanza che a esse spesso partecipano tutti, o quasi tutti, i possibili concorrenti. I clienti delle imprese e, più in generale, i consumatori non sempre sono in grado di avvertire che le condizioni di offerta delle imprese partecipanti sono l’effetto di una concertazione, soprattutto se la relazione economica è occasionale.
Il risultato è che queste violazioni gravi della normativa antitrust solo raramente sono oggetto di denuncia alle autorità di concorrenza. Di qui la difficoltà dell’acquisizione di sufficienti elementi probatori, soprattutto quelli di natura documentale, generalmente decisivi nell’ambito di un procedimento istruttorio. Al fine di facilitare l’individuazione degli accordi di cartello, la Commissione Europea e alcuni Paesi della UE, come la Francia, la Germania, il Regno Unito e l’Olanda, hanno introdotto programmi di clemenza per quelle imprese che cooperano con le autorità di concorrenza per fornire le prove dell’esistenza di un cartello, in cambio dell’immunità, totale o parziale, dalle sanzioni che, altrimenti, sarebbero state irrogate in ragione dell’illecito commesso. I programmi di clemenza riducono così la stabilità di un accordo collusivo, incentivando i partecipanti al cartello a deviare dagli impegni reciprocamente presi e a cooperare con l’autorità antitrust. La normativa italiana ancora non consente pienamente l’utilizzo di questi strumenti, con la conseguenza che i procedimenti nei confronti degli accordi e delle pratiche di cartello si basano prevalentemente su evidenze spesso difficili da ottenere.
L’Autorità italiana guarda con interesse all’applicazione di programmi di clemenza, tant’è vero che ha contribuito attivamente all’elaborazione di linee guida per la loro applicazione, frutto di una iniziativa congiunta delle autorità antitrust degli Stati membri dell’Unione e della Commissione Europea. Il panorama delle intese restrittive della concorrenza è molto ampio e si è peraltro arricchito, negli ultimi anni, di nuove e più sofisticate forme di collusione.
Oltre a fissare congiuntamente i prezzi o a ripartirsi i mercati, infatti, le imprese talvolta concertano condotte che facilitano il mantenimento o il raggiungimento di equilibri collusivi. Tali pratiche facilitanti coinvolgono la maggioranza degli operatori in un mercato e sono funzionali alla collusione, in quanto consentono di eliminare o, comunque, di ridurre significativamente le difficoltà associate al coordinamento tra concorrenti. In tali circostanze, il divieto della condotta facilitante tende a eliminare i presupposti stessi su cui si fonda il meccanismo collusivo.
Si ha violazione della normativa della concorrenza anche attraverso intese che hanno come contenuto pratiche facilitanti. Si tratta, in particolare, di un intenso scambio di informazioni sensibili tra numerose imprese assicurative concorrenti e del controllo dei prezzi di beni e servizi diffusi.
La Corte di giustizia si è più volte pronunciata con riguardo al caso delle assicurazioni RC auto. Si tratta di una decisione importante soprattutto perché conferma l’idoneità restrittiva di intese orizzontali concretatesi non tanto in espressi accordi tra imprese concorrenti, né in chiari e inequivocabili allineamenti dei prezzi finali, bensì in pratiche che facilitano la collusione tra le imprese. Nel caso di specie, uno scambio di informazioni su variabili strategiche di natura altamente disaggregata e continuativa è stato ritenuto idoneo a consentire alle imprese di coordinarsi rapidamente, con costi informativi condivisi e, pertanto, notevolmente ridotti. Si tratta di uno scambio di informazioni strategiche talmente sensibili che le stesse imprese hanno adottato una sofisticata tecnica di criptaggio, di cui ovviamente conoscevano il sistema di decodifica, al solo fine, dunque, di non incorrere in censure antitrust.
La decisione sulle assicurazioni, in ciò pienamente confermata dalla Corte di giustizia, ha peraltro il merito di aver evidenziato che lo scambio di informazioni strategiche non è censurabile soltanto nei mercati oligopolistici ma anche nei mercati con molti operatori, ove, anzi, lo scambio d’informazioni può assumere una portata anticompetitiva ancor più rilevante in quanto diretto a vanificare un equilibrio concorrenziale molto consistente, che è tipico dei mercati più aperti. In definitiva, la giurisprudenza sulle assicurazioni, dell’Autorità e del giudice amministrativo, coglie al giusto il fenomeno di nuove e più sofisticate forme di collusione.
Non sempre un’intesa, sia pure intercorrente tra operatori attivi in un mercato altamente concentrato, merita dunque radicale censura.
Anche in mercati caratterizzati da tecnologia innovativa in rapida evoluzione, la cooperazione è suscettibile di contribuire allo sviluppo, conferendo innovazione ed efficienza.
 
Dott. Domenico Annunziato Modaffari
 
 


[1] Sentenza del 18 dicembre 1986 VAG France SA/Établissements Magne SA
[2] Sentenza Corte giust. Tipp-Ex del 8 febbraio 1990
[3] Sentenza Corte giust. Brasserie de Haecht del 12 dicembre 1967 e DE Norre/Concordia del 1 febbraio 1977
[4] Sentenza Corte giust. Vichy del 17 febbraio 1992
[5] Sentenza Corte giust Industria europea dello zucchero del 16 dicembre 1975
[6] Sentenza Corte giust. Consten/Grundig del 13 luglio 1966 e Parke Davis del 29 febbraio 1968

Modaffari Domenico Annunziato

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