Le indagini preliminari nell’evoluzione del procedimento penale: dal sistema inquisitorio al sistema accusatorio

Sgueo Gianluca 25/01/07
Scarica PDF Stampa
1. Cenni introduttivi. L’importanza di un’indagine di raffronto tra indagini preliminari ed indagini difensive – 2.1 Le trasformazioni subite dal rito penale nell’ultimo decennio: il ruolo delle indagini preliminari nel sistema inquisitorio – 2.2 Il sistema accusatorio e le rilevanti modifiche introdotte alle indagini – 3.1.1 La ricerca delle prove: il pubblico ministero nel costrutto tradizionale – 3.1.2 Segue. Il ruolo marginale del difensore nel sistema tradizionale: l’art. 38 delle disposizioni di attuazione del codice – 3.2.1 Le successive modifiche giurisprudenziali e legislative sulle indagini difensive: la legge n. 332 del 1995 – 3.2.2 Segue. La legge “Carotti” n. 479 del 1999 e le modifiche all’articolo 415 bis del codice di procedura penale – 3.2.3.1 Segue. La nuova disciplina delle indagini difensive: la legge n. 397 del 2000 – le influenze del nuovo articolo 111 della Costituzione – 3.2.3.2 Segue. I presupposti operativi della legge n. 397 del 2000 – 4. Conclusioni
 
1. Cenni introduttivi. L’importanza di un’indagine di raffronto tra indagini preliminari ed indagini difensive
Questa breve ricerca ragiona in ordine ad una duplice problematica. Anzitutto, sul ruolo che le indagini preliminari hanno nel sistema delineato dal codice di procedura penale. In secondo luogo, ed in stretta connessione con il primo ambito di ricerca, sulla collocazione che all’interno di quelle, le indagini preliminari, rivestono le indagini difensive.
Si tratta, come appare evidente, di due aspetti tra loro strettamente interdipendenti. È possibile anzi affermare che non potrebbe offrirsi un’adeguata spiegazione dell’evoluzione che ha subìto il processo penale nella fase delle indagini ove non si conoscessero i connotati delle indagini difensive. Al tempo stesso, chi volesse descrivere con proprietà di conoscenze le indagini difensive non potrebbe prescindere dalla conoscenza delle indagini preliminari. Ecco spiegato il perché il discorso sulle prime si svolge in stretta connessione con quello sulle seconde.
Ciò premesso, è bene avere un quadro sistematico della trattazione. Si indagherà dapprima sulle trasformazioni subite dalla disciplina delle indagini preliminari (e, più in generale, dall’intero rito penale) nell’ultimo decennio. Il punto focale sarà costituito dal passaggio da un sistema di stampo inquisitorio ad uno di stampo accusatorio. Senza anticipare nel merito le riflessioni che dovranno svolgersi con maggiore compiutezza nelle pagine che seguono, è senz’altro condivisibile l’opinione di chi discende da quella modifica una vera e propria rivoluzione nel modo di amministrare il procedimento penale.
Delle indagini preliminari si offrirà una disamina, per così dire, evolutiva. Ovvero se ne darà menzione alla luce delle modifiche legislative poc’anzi esposte e, inoltre, delle due principali figure che in questa tesi interessa avere a mente: il pubblico ministero ed il difensore. Le ragioni di questa scelta sono evidenti. L’uno e l’altro costituiscono i veri protagonisti della fase delle indagini. Entrambi hanno il compito di raccogliere elementi di prova da utilizzare, rispettivamente, a carico o discarico dell’imputato nelle fasi successive. Entrambi, dunque, rivestono un ruolo assolutamente preponderante alla funzione che successivamente dovrà esercitare il giudice: quella cioè di giudicare.
Al tempo stesso però, l’uno e l’altro agiscono secondo percorsi ben diversi. Il primo, il pubblico ministero, persegue l’interesse della legge, e quindi della giustizia. Egli raccoglie le prove affinché l’imputato possa essere dal giudice assolto o condannato, certo. Ma in realtà garantisce la correttezza del successivo giudizio, quindi avvalora con il suo operato l’attività del giudice.
Diverso è invece il ruolo dell’avvocato. Quest’ultimo anche raccoglie le prove, ma lo fa con un preciso intento: quello di difendere il proprio cliente, che a lui s’è rivolto perché l’accusa che gli vien mossa venga ritenuta priva di fondamento. Benché dunque il legislatore della riforma attribuisca al difensore (anche, ma non solo) il ruolo di indagante, quest’ultimo resta pur sempre un soggetto che non esercita una funzione imparziale, ma, semmai, l’esatto contrario.
Avendo ragionato in ordine ai rapporti intercorrenti tra questi due organi, in seno alle indagini preliminari, la ricerca affronterà un successivo e penetrante passaggio: quello riguardante le indagini difensive. Si badi, ad interessare non sarà una pedissequa trattazione di cosa sono tali indagini e quale struttura hanno. Delle funzioni e della struttura si parlerà, ma in stretta connessione con quanto detto in apertura: ovvero in ragione della comparazione con le indagini preliminari. Ebbene, ciò che sarà vieppiù significativo sarà l’evidenziare anzitutto il nuovo ruolo del difensore penale, da cui discende l’intera normativa. Salvo poi soffermarsi sulle due principali tipologie di indagine – personale e reale – e sulle principali modalità di utilizzazione delle prove.
La certezza, in conclusione, sarà quella di aver offerto una migliore panoramica su una disciplina complessa ma affascinante. Anche, e non meno importante, di aver cercato di comprendere le ragioni che sottendono all’evoluzione del procedimento penale e, ove possibile, le possibili evoluzioni che questo incontrerà negli anni a venire.
 
2.1 Le trasformazioni subite dal rito penale nell’ultimo decennio: il ruolo delle indagini preliminari nel sistema inquisitorio
Quali sono state le trasformazioni subite dal sistema processuale penale nel corso degli anni? Quali influenze hanno esercitato sulla struttura delle indagini preliminari? Questi due quesiti costituiscono il punto di inizio di questa ricerca. Ebbene, per rispondere alla prima domanda, e da questa risposta far discendere la soluzione al secondo quesito, è bene delineare la differenza tra sistema inquisitorio e sistema accusatorio.
Il primo, di matrice tradizionale, il secondo, invece, connotante l’attuale sistema. Si badi però che si tratta di distinzioni che, nella loro accezione pura, costituiscono più casi di scuola che vere e proprie ipotesi applicative. Come chiarisce infatti la migliore dottrina[1], pur nella diversità di fisionomia, strutture e significati che vengono disvelate dall’esperienza processuale nel corso degli anni, è possibile cogliere linee comuni nei tratti essenziali dei diversi sistemi che si sono succeduti nel tempo. Da queste si giungono ad enucleare dei principi comuni che assumono la valenza di regole generali.
Sarà cura dello studioso verificare in quale e quanta forma l’un sistema, piuttosto che l’altro, abbiano trovato applicazione concreta in ciascun periodo e da quella ricerca desumere le conclusioni pertinenti allo studio svolto. Nel presente caso, ovviamente, quelle che fanno capo alla configurazione delle indagini preliminari.
Dunque, il sistema inquisitorio[2] si basa su un assunto di massima: il giudice, colui il quale emetterà la sentenza conclusiva, è al tempo stesso organo accusatorio e, appunto, giudicante. La principale conseguenza è che egli difetta completamente del requisito della terzietà. Non solo, la segretezza degli atti processuali costituisce un valore di massima rilevanza all’interno del procedimento. Questi sono preclusi non solamente ai soggetti estranei al procedimento (circostanza che è prevista, al presentarsi di determinate circostanze, anche nel sistema accusatorio) ma anche allo stesso imputato ed al suo difensore. Dal che discende la mancanza di parità tra l’organo giudicante e quello giudicato ed una serie di conseguenze piuttosto gravose in capo a quest’ultimo. In particolare, la possibilità di predisporre da parte del giudice la carcerazione preventiva, pur in assenza di un rischio concreto di fuga e di prove su cui fondarla. Nonché, e soprattutto, la possibilità per il giudice di ricercare le prove senza che all’imputato si riconosca contestualmente alcun diritto in ordine all’assunzione delle stesse[3].
Dunque, riassumendo, il sistema inquisitorio si caratterizza per quattro principali caratteristiche: vi è, anzitutto, l’attivazione di un organo pubblico per la rilevazione dell’illecito. La conseguenza è che si immedesimano nello stesso soggetto le funzioni di accusatore e quelle di giudice.
Si impongono poi penetranti vincoli e limitazioni alla difesa. Ciò a causa della mancata contrapposizione tra le due parti fondamentali, l’accusatore e l’accusato.
Ancora, il processo è segreto, anche per lo stesso inquisito. Manca pertanto qualsiasi forma di controllo pubblico e le forme in cui è redatto sono quelle scritte.
Infine, Si adotta la carcerazione preventiva come conseguenza dell’attribuzione al magistrato di poteri molto ampi nella ricerca delle prove, che comprendono anche il ricorso a mezzi di coercizione della libertà personale del prevenuto.
Appare dunque evidente che la concezione sociale del processo di natura inquisitoria richiama la concezione di “Leviatano” riportata dalla filosofia pragmatica inglese. Il vero obiettivo è quello di fare giustizia, vista in funzione di risultato utile, il che ammette – ed, anzi, legittima – il sostanziale disinteresse per le posizioni degli individui.
Questa osservazione permette inoltre di chiarire il ruolo delle indagini preliminari all’interno di un tale sistema. In vigenza del codice Rocco, che adottava un sistema “misto”, ovvero ispirato in parte a regole inquisitorie, era infatti proprio la fase preliminare delle indagini a distinguersi per la presenza di regole di natura inquisitoria[4]. La fase della c.d. istruzione infatti (articolata nei due momenti dell’istruzione sommaria affidata al pubblico ministero e dell’istruzione formale affidata al giudice istruttore) era destinata all’attività di investigazione e formazione delle prove attraverso la libera iniziativa del giudice. Era condotta secondo canoni di segretezza e, di conseguenza, relegava l’imputato ed il suo difensore ad una posizione di assoluta inferiorità. Basti pensare che erano addirittura esclusi, in determinate circostanze, dalla partecipazione a fondamentali attività di rilevanza probatoria, come gli esami testimoniali o i confronti[5].
 
2.2 Il sistema accusatorio e le rilevanti modifiche introdotte alle indagini
Ben diverso nei presupposti (e nelle conseguenti ricadute sulla struttura delle indagini preliminari) è il sistema di stampo accusatorio[6]. Se nel primo caso mancava completamente la dialettica tra la parte accusatrice e quella accusata, essa diviene qui un valore di grande importanza. A decidere della controversia non c’è più un giudice accusatore, ma si fa una netta distinzione tra il pubblico ministero ed il giudice che dovrà emettere la sentenza. Al primo spetta il compito di raccogliere le prove, presumibilmente a carico dell’imputato, per fondare, se sussistente, l’accusa. Al secondo spetta il ruolo di valutare, in posizione di assoluta terzietà, quelle prove (l’accusa) e la confutazione di esse (la difesa). Ancora, il processo da scritto e segreto diventa pubblico ed orale, contraddistinto dalla libertà personale della persona accusata sino al momento della irrevocabilità della sentenza di condanna.
Quattro, dunque, sono le caratteristiche che fondano il sistema accusatorio, e che è bene aver presenti nella loro piena configurazione[7]: l’accertamento dell’illecito è lasciato alla libera iniziativa delle parti contrapposte. Di conseguenza, vi è un accusatore che ha pari diritti rispetto all’accusato perché si ritiene che la tesi e l’antitesi debbano successivamente trovare un componimento nella decisione emessa dal giudice in posizione di assoluta terzietà.
In secondo luogo, il giudice non ha alcun potere d’iniziativa in ordine all’acquisizione delle prove. Conseguentemente l’onere probatorio è a carico dell’accusato.
La pubblicità ed oralità sono le forme in cui si struttura il processo, avendo la funzione di garantire un controllo dell’opinione pubblica sullo stesso
Da ultimo, l’accusato si presume innocente sino alla condanna. Ciò comporta lo stato di libertà in capo ad esso durante l’intera durata del processo (e salvo specifiche eccezioni).
Il sistema che oggi è in vigore nel nostro sistema, così come delineato dal codice entrato in vigore il 24 ottobre 1989, in ragione dei princìpi e dei criteri dettati dalla legge delega 16 febbraio 1987, n. 81, è sicuramente di tipo accusatorio.
L’obiettivo principale del legislatore fu cioè quello di sorpassare le “infelici combinazioni” che operava il sistema misto, finendo per privilegiare gli schemi inquisitori “delle lunghe istruzioni e degli inconsistenti dibattimenti”[8]. Introducendo, invece, un meccanismo più attuale alle istanze provenienti dagli altri settori dell’ordinamento. Istanze che, tutte, propendevano ad una nuova e più ampia valutazione dell’individuo.
Tale obiettivo è perseguito, dal punto di vista pratico, attraverso la fondamentale partizione tra un procedimento per le indagini preliminari ed un vero e proprio processo, intesa a differenziare i ruoli e gli spazi di intervento del magistrato del pubblico ministero dalla funzione del giudice. Ciò attraverso la negazione del valore di prova agli elementi che il magistrato del pubblico ministero raccoglie nel corso delle indagini e il conferimento di questo compito esclusivamente al giudice, nel corso del processo.
Né, è bene specificare in via conclusiva, sarebbe possibile un ritorno al sistema inquisitorio, come talune opinioni emerse in seno alla magistratura hanno, con preoccupante ricorrenza, sostenuto. L’impianto accusatorio introdotto dal nuovo codice di rito infatti non può essere posto in discussione perché i principi di cui consta sono stati incorporati dalla Costituzione. In ragione dell’articolo 111 di questa, infatti, sono stati recepiti due principi essenziali. Quello dell’imparzialità del giudice nel procedimento probatorio ed il diritto al controesame nella assunzione della prova dichiarativa a carico. Altri, come si vedrà, sono stati confermati dalla giurisprudenza costituzionale[9].
 
3.1.1 La ricerca delle prove: il pubblico ministero nel costrutto tradizionale
Una risposta al primo quesito, giunti a questo punto della trattazione, può considerarsi data. Il sistema penale degli ultimi anni ha visto contrapporsi due diverse ideologie di fondo che, talora sovrapponendosi, tal’altra procedendo secondo indirizzi divergenti, hanno segnato due fasi distinte del processo medesimo: quella inquisitoria e quella accusatoria.
Si è data, seppur solamente accennandovi, anche una risposta al secondo quesito, quello che riguarda cioè la funzione delle indagini preliminari nel primo e nel secondo dei sistemi analizzati[10].
Non si tornerà dunque su questo argomento ma ci si soffermerà, piuttosto, su un aspetto che non si è approfondito adeguatamente e che costituisce, invece, un punto importante per la prosecuzione di questa indagine: il ruolo del pubblico ministero. A maggior ragione in virtù del fatto che, all’interno delle indagini preliminari, si lega la figura del difensore..
Ebbene, alla figura del pubblico ministero si lega la rinnovazione del ruolo delle indagini preliminari che, nel sistema tradizionale, assumevano un ruolo centrale a discapito della successiva fase del contraddittorio. Come ha sottolineato la dottrina[11], nel sistema tradizionale le prove venivano raccolte soprattutto nella fase delle indagini preliminari, ad opera della polizia giudiziaria, sotto il coordinamento del G.I.P. (o del pubblico ministero nel rito abbreviato)[12].
Pertanto, esse subentravano nella successiva fase trasformandola profondamente: da contraddittorio sulla formazione della prova a contraddittorio sulla prova già formata. Tale situazione, com’è ovvio immaginare, produceva un evidente contrasto con la circostanza che le prove fossero assunte dall’organo cui si demanda l’esercizio dell’azione accusatoria: appunto, il pubblico ministero[13].
 
3.1.2 Segue. Il ruolo marginale del difensore nel sistema tradizionale: l’art. 38 delle disposizioni di attuazione del codice
La comprensione del ruolo del difensore nel sistema tradizionale passa attraverso l’esplicazione, appena svolta, del ruolo del pubblico ministero. Poiché cioè nel sistema tradizionale la fase indagatoria era completamente sbilanciata a favore del soggetto indagante, secondo le modalità di cui s’è dato conto, ovvio dedurre che la posizione del difensore fosse poco più che marginale. Alcuni hanno sostenuto, non a torto, che fosse talmente poco rilevante da risultare anche comoda[14].
Altri, con altrettanta significanza, hanno legato invece la ridotta funzionalità del difensore all’interno delle indagini preliminari alla valenza probatoria degli atti assunta nel sistema tradizionale. Ovvero, in ragione della posizione critica affidata dal legislatore al difensore nei confronti degli atti istruttori dell’indagante, limitata perché ad essere limitata era la valenza probatoria degli stessi atti[15].
Ebbene, la materia della ricerca della prova ad opera della difesa, nel sistema tradizionale, trovava la sua disciplina all’interno dell’art. 38 delle disposizioni di attuazione del codice. In essa si stabiliva che il difensore potesse ricercare la prova e raccogliere dichiarazioni testimoniali attraverso due modalità. Direttamente, oppure per il tramite dell’avvalimento di investigatori privati. Ipotesi quest’ultima piuttosto generica e di scarsa applicazione pratica[16], in ragione (anche) delle perplessità poste da parte dello stesso legislatore.
Basti pensare a tale proposito che la legge istitutiva del patrocinio a spese dello Stato non conteneva alcuna previsione in merito alla circostanza che l’operato di questi soggetti potesse aversi anche per il soggetto non abbiente. Per non tacere poi della difficile praticabilità di queste disposizioni, in virtù di due considerazioni. Le difficoltà operative che questi avrebbero incontrato nell’esercizio della propria attività e, non meno importante, l’utilizzabilità del risultato delle loro indagini da parte del difensore all’interno del processo.
Qual’era, allora, l’estrema conseguenza di questo sistema? Molto semplicemente, esso era teso a ricondurre, ancora una volta, alla figura del pubblico ministero il ruolo di protagonista nell’acquisizione delle prove. Qualora cioè il difensore avesse voluto acquisire una certa determinazione probante, ritenuta pertinente alla posizione del proprio assistito, difficilmente, per le ragioni appena evidenziate, avrebbe potuto contare sulla figura degli investigatori privati.
Al contrario, e paradossalmente, avrebbe dovuto rivolgersi al pubblico ministero, sollecitandolo all’assunzione dell’elemento di prova in virtù della natura di parte pubblica da questo rivestita. Tuttavia, al tempo medesimo, vanificando nella sostanza la contrapposizione dialettica tra accusa e difesa e, con essa, un principio ineluttabile della procedura.
 
3.2.1 Le successive modifiche giurisprudenziali e legislative sulle indagini difensive: la legge n. 332 del 1995
Quanto si è appena specificato ed affermato, il ruolo rivestito e le funzioni attribuite ai due organi, quello accusatorio e quello difensivo, diviene oggetto di rivisitazione da parte del legislatore della riforma. In linea di premessa va detto che le continue manipolazioni cui è stato sottoposto il rito penale da parte della giurisprudenza e del legislatore ne hanno modificato i tratti ma hanno creato anche notevoli divergenze interpretative. Dunque, non è sempre agevole identificare e tracciare con chiarezza il percorso evolutivo intrapreso[17].
Poche, le certezze: tra queste, il permanere di un ruolo centrale del pubblico ministero. La funzione dell’esercizio di tali indagini da parte di quest’ultimo infatti, mantiene inalterata la prerogativa di consentire il successivo esercizio dell’azione penale[18]. Tuttavia, il codice penale del 1988 ha inteso eliminare la gravissima incoerenza di cui s’è detto (la prevalenza cioè della fase delle indagini rispetto a quella del contraddittorio, con il predominio del ruolo del pubblico ministero, organo deputato all’accusa) “accentuando le connotazioni di parzialità del pubblico ministero inibendogli l’assunzione di prove e riservando tale assunzione al giudice del dibattimento in modo da rendere così effettivo e reale il contraddittorio in sede di formazione della prova”[19].
Alla luce di queste considerazioni, e sempre in tema di pubblico ministero, rilevano in particolare tre disposizioni normative procedurali: Anzitutto, il disposto dell’articolo 359 c.p.p. In virtù di questa disposizione, qualora egli proceda ad accertamenti, rilievi segnaletici, descrittivi o fotografici, o, comunque, a qualunque operazione necessitante specifiche competenze tecniche, può nominare ed avvalersi di consulenti.
In secondo luogo, il pubblico ministero può procedere all’individuazione di persone, di cose o quant’altro possa risultare utile all’acquisizione di informazioni utili e pertinenti all’oggetto dell’indagine.
Infine, e soprattutto, al pubblico ministero si da facoltà di interrogare la persona assoggettata alle indagini. Può inoltre compiere ispezioni, confronti, perquisizioni e sequestri: tutte le attività che possono cioè risultare utili per l’esercizio dell’azione penale.
Proprio in riferimento a questo ultimo aspetto assume una nuova connotazione la figura del difensore, passando da figura prevalentemente passiva a soggetto attivamente incaricato di far valere la posizione e gli interessi del proprio cliente.
L’articolo 38 delle norme di attuazione è stato infatti modificato significativamente dalla legge 8 agosto 1995, n. 332 con l’aggiunta di due nuovi commi: il 2 bis ed il 2 ter. Grazie ad essi, pur non avendosi ancora un autonomo potere difensivo nell’acquisizione della prova, al difensore spettava ora una nuova, e significativa facoltà. Quella cioè di presentare direttamente al giudice gli elementi probatori ritenuti rilevanti ed ottenere, in conseguenza, l’inserimento della documentazione nel fascicolo delle indagini preliminari.
 
3.2.2 Segue. La legge “Carotti” n. 479 del 1999 e le modifiche all’articolo 415 bis del codice di procedura penale
Successivamente, ed in conseguenza del dibattito giurisprudenziale intervenuto nel contempo, nuove e significative modifiche sarebbero state introdotte ad opera della legge n. 479 del 1999. Una legge che, in ossequio a quanto premesso, ha operato un significativo passo in avanti a favore del riconoscimento delle indagini difensive e del mutamento del rapporto tra difensore e pubblico ministero.
Va detto che, in realtà, tale provvedimento si inserisce in un iter che ne fonda la premessa ed al quale segue, l’anno successivo, un’ulteriore serie di modifiche[20]. È bene dunque avere a riguardo sia questo presupposto, sia, di rimando, le varie modifiche che sono state apportate al codice di procedura penale. Le principali sono la possibilità concessa alla persona sottoposta alle indagini ed alla parte offesa di rilevare l’incompetenza territoriale del p.m. durante le indagini preliminari[21]. Cioè, l’importante riconoscimento per entrambe, qualora abbiano notizia della pendenza del procedimento, della facoltà di interloquire, personalmente o a mezzo di difensore, con il pubblico ministero che sta conducendo le indagini in ordine all’eventuale carenza di legittimazione di quest’ultimo, determinata dall’incompetenza, per i fatti per cui si procede, del giudice presso cui il predetto ufficio dell’accusa è costituito.
L’obbligo, poi, per il pubblico ministero di far notificare l’avviso della conclusione delle indagini preliminari prima della scadenza del termine. Ciò allo scopo precipuo di evitare che le indagini possano concludersi il giorno stesso in cui scade il termine o nel periodo tra l’emissione dell’avviso e la sua notifica ai destinatari[22]discovery[23]degli atti alla conclusione delle indagini preliminari e prima dell’esercizio dell’azione penale.. Dunque, al fine di consentire la cd.
Ebbene, lette le due modifiche riportate[24], appare chiaro l’intento legislativo di favorire una serie di significative modifiche ai rapporti tra difesa e pubblica accusa. In altri termini, anche la sede delle indagini preliminari, fino a quel momento scarsamente interessata da modifiche sostanziali, si prepara ad essere conformata ai presupposti del rito accusatorio. Dunque, a perdere i propri connotati originari di luogo nel quale fosse assoluta la premazia del pubblico ministero.
In particolare, è la seconda delle modifiche ricordate ad espletare una evidente funzione garantista. Consente cioè alla persona sottoposta alle indagini di conoscere – prima dell’esercizio dell’azione penale nei suoi confronti – le fonti di prova a suo carico. Quindi, di poter agire lungo tre principali direttive: suggerire il compimento di atti di indagine a suo favore anzitutto. Inoltre, produrre documentazione necessaria alla propria difesa. Infine, richiedere il proprio interrogatorio[25].
In buona sostanza, la legge del 1999 prepara il terreno all’introduzione delle indagini difensive perché ridimensiona il ruolo del p.m. rispetto al difensore. L’aspetto che colpisce in modo più immediato è infatti l’allargamento degli spazi riservati alla difesa, appunto in virtù dell’ispirazione garantista propensa ad equilibrare la posizione egemonica del pubblico ministero[26].
 
3.2.3.1 Segue. La nuova disciplina delle indagini difensive: la legge n. 397 del 2000 – le influenze del nuovo articolo 111 della Costituzione
Il provvedimento auspicato non tarda ad arrivare. Finalmente, con la legge n. 397 del 2000, si abroga l’articolo 38 delle disposizioni di attuazione e si disciplina in modo completamente innovativo la figura delle indagini difensive, superando le mancanze della precedente disciplina[27].
In realtà la riforma del 2000 discende solo in parte dalle modifiche introdotte al codice di rito nel 1999. Per altra parte è la diretta conseguenza di urgenti modifiche che si richiedevano al medesimo codice in ragione delle modifiche che la legge costituzionale n. 2 del 1999 aveva apportato all’art. 111 della Costituzione[28]. Quest’ultima disposizione stabiliva anzitutto che ogni processo dovesse svolgersi nel contraddittorio tra le parti ed in condizioni di parità. Poi, che nella formazione della prova, vigesse, all’interno del processo penale, il principio del contraddittorio. Conseguentemente quest’ultimo non avrebbe potuto essere attuato se anche la difesa – al pari dell’accusa – non avesse avuto il potere di ricercare, individuare ed assicurare gli elementi di prova a suo favore[29].
Appare chiaro, in definitiva, che i due nuovi commi dell’articolo della Costituzione rendevano ancora più angusti i limiti posti dal legislatore alla disciplina delle indagini difensive[30].
 
3.2.3.2 Segue. I presupposti operativi della legge n. 397 del 2000
In sostanza, lo scopo della legge – titolante “disposizioni in materia di indagini difensive” – è stato soprattutto quello di introdurre nuovi contenuti al titolo VI bis del libro quinto del codice di procedura penale (dedicato, appunto, alle indagini e all’udienza preliminare).
In particolare, rileva l’introduzione dell’art. 327 bis, per il tramite del quale si dispone che il difensore ha piena facoltà di svolgere investigazioni sin dal momento in cui assume l’incarico difensivo. Tali investigazioni sono mirate alla ricerca di eventuali elementi di prova a favore del proprio assistito e pongono pertanto in capo all’organo difensivo un’importante responsabilità. Quella cioè di adoperarsi attivamente al fine di procurare al processo, recte: all’organo giudicante, gli strumenti idonei per una valutazione favorevole all’assistito.
Quali, allora, le considerazioni che debbono essere svolte? Principalmente ve ne sono due. In primo luogo, le ragioni della scelta del legislatore. Con un buon grado di sintesi, fatte salve tutte le considerazioni di merito già svolte, può dirsi che queste risiedano principalmente nell’esigenza di un’ulteriore rivalutazione dei principi dell’oralità e dell’immediatezza, favorendo un ampio contraddittorio nella formazione della prova nelle indagini preliminari e realizzando dunque una sorta di “contrappasso del valore probatorio assunto dagli atti del pubblico ministero con concessioni dello stesso tipo per le indagini della difesa”[31].
In secondo luogo, conta la nuova posizione del difensore all’interno delle indagini preliminari. La nuova disciplina sulle indagini difensive ne ha notevolmente ampliato le facoltà, creando, nella dinamica del processo penale, un netto parallelismo tra la sua posizione rispetto a quella riconosciuta al p.m.
Ciò, si badi, non vuol dire che il ruolo e le funzioni del difensore abbiano acquisito un ruolo di parità completa rispetto a quelle del pubblico ministero. Diventa semmai più opportuno parlare di “pari dignità”, in quanto il legislatore ha riconosciuto ai risultati delle investigazioni difensive una uguale valenza dimostrativa rispetto a quelli delle indagini compiute dal rappresentante della pubblica accusa e della polizia giudiziaria
[32].
Ciò è accaduto in un sistema processuale tendenzialmente riequilibrato, nel quale la centralità della formazione della prova è stata restituita alla fase dibattimentale, riaffermando il valore limitato degli atti formati, durante la fase delle indagini, in maniera unilaterale da ciascuna delle parti (fatte salve la diversa disponibilità dell’imputato a consentirne una più ampia utilizzazione).
 
4. Conclusioni
Lunghe sarebbero, ancora, le riflessioni da fare sullo sviluppo di un nuovo ruolo del difensore all’interno del sistema processualpenalistico italiano. Riflessioni che ragioni di spazio rendono impossibile approfondire nel corso di questa ricerca. Tuttavia, una conclusione, pur sommaria, è stata raggiunta. Si è mostrato, come ci si era proposti in premessa, la riconfigurazione integrale del sistema processualpenalistico nella sua fase più importante: quella d’indagine.
Si è offerta una disamina, sintetica, delle funzioni che la legge attribuisce al difensore e della conseguente rivisitazione del ruolo del pubblico ministero. Non più figura principe della fase delle indagini preliminari, ma, dal 2000, in “condominio” con un difensore forte di prerogative nuove. Esse stesse, frutto di un più ampio progetto di revisione del rito penale, nel passaggio dal modello inquisitorio a quello accusatorio.
Sebbene gli aspetti controversi restino molti, e di spessore, la certezza è quella di uno strumento a disposizione del processo e, per il tramite di questo, della giustizia. Attraverso il delicato gioco di equilibri, rapporti formali ed informali, poteri e funzioni, il rito penale si affaccia al nuovo millennio. La sfida è quella, affascinante, alla quale un sistema giuridico moderno non può, né deve, sottrarsi: il massimo garantismo, la massima civiltà.
 
 
 
 


[1] In merito, si rimanda alle interessanti riflessioni svolte da Siracusano D., Galati A., Tranchina G., Zappalà E., Diritto processuale penale, I, Milano, 2000, pag. 38: “Va avvertito, comunque, che nel parlare di questi due riti ci si riferisce, sostanzialmente, ad una tipologia processuale astrattizzata a scopo sistematico e didattico e che gli odierni schemi processuali non si modulano esclusivamente sull’uno e sull’altro, in quanto le svariate esigenze della giustizia della società moderna non lo consentono; ma, in ogni caso, rendersi conto di cosa significhi processo accusatorio o processo inquisitorio può tornare utile per intendere certi criteri di politica legislativa in un momento in cui il fenomeno processuale penale si trova al centro di non poche discussioni, di accese polemiche, di critiche talora spietate”.
A conferma di questo assunto stanno le riflessioni svolte da Amodio E., La procedura penale dal rito inquisitorio al giusto processo, in Cassazione penale, 2003, IV, pag. 1420, il quale, in ordine alle future, probabili, prospettive evolutive del sistema processuale penale, si richiama a: “…l’alternativa tra la praticabilità di una riconferma dell’accusatorio e la necessità di elaborare invece un diverso modello, più o meno allineato al vecchio schema inquisitorio”.
[2] Vasta, ovviamente, la produzione dottrinaria in ordine alla distinzione tra le due figure. Basti qui ricordare le parole di Lozzi G., Lezioni di procedura penale, VI, Torino, 2004, pag. 5: “…sistema inquisitorio, nel quale il giudice è contemporaneamente organo accusatorio e difetta, quindi, completamente di terzietà. Il processo è scritto e caratterizzato da una segretezza esterna ed interna nel senso che gli atti processuali debbono rimanere segreti non solo per i soggetti estranei al processo ma anche per lo stesso imputato, vi è una totale disparità di poteri fra il giudice accusatore e l’imputato, è prevista una carcerazione preventiva di quest’ultimo ed infine il giudice d’ufficio ricerca le prove senza che venga riconosciuto all’imputato alcun diritto in ordine all’assunzione delle stesse”.
Per una disamina storica si osservino anche le riflessioni svolte da Dalia A.A., Ferraioli M., Manuale di diritto processuale penale, Padova, 2000, pag. 20: “La storia del processo penale è stata caratterizzata dalla propensione della disciplina ora verso modelli di stampo inquisitorio ora verso moduli di impronta accusatoria. Nella prevalenza dell’uno o dell’altro schema si è, di volta in volta, manifestato il modo di intendere il rapporto Stato-individuo nella gestione del bene della libertà della persona sottoposta a procedimento penale. Nella logica dei regimi autoritari il procedimento è sempre strumento di mera repressione dei reati, prevalendo, sui diritti individuali, l’interesse dello Stato alla sollecita ricostruzione dell’ordine giuridico violato dalla trasgressione del precetto”.
Non può poi tacersi dell’indagine di uno dei padri delle scienze penalistiche nel nostro paese, Cordero F., Procedura penale, Milano, 2004, pag. 21: “L’azione penale privata, a oggetto disponibile, sviluppa una tutela intermittente degli interessi lesi, inadeguata alle istituzioni accentrate: fin dal tardo sesto secolo nel mondo franco risultano casi in cui all’imputato, perseguito ex officio, sono inibite le consuete purgationes, essendo risolta la quaestio facti secondo quanto dicono i testimoni. Nella prima metà del 13° secolo sopravviene organicamente la rivoluzione inquisitoria, annunciata dal Quarto Concilio Laterano. Da spettatore impassibile, quale era, il giudice diventa campione del sistema, estirpi eresie o scovi delitti. Mutano le tecniche: non esiste contraddittorio, avviene tutto segretamente; al centro sta, passivo, l’inquisito; colpevole o no, sa qualcosa ed è obbligato a dirlo; la tortura stimola flussi verbali coatti. (…) De facto è un sistema legalmente amorfo: il segreto, quel metodo introspettivo e l’impegno ideologico degli operatori escludono vincoli, forme, termini: conta l’esito. Fiorisce una retorica apologetica i cui argomenti risuonano, tali e quali, in luoghi e tempi diversi”.
Ancora, sul merito si sofferma Pisauro G., Il processo penale e le indagini preliminari, in Sidoti F. (a cura di), L’investigazione come scienza, L’Aquila, 2004, pag. 185: “Questa tipologia processuale individua alcune caratteristiche particolari, sempre ricorrenti: distinzione netta e radicale fra la fase istruttoria, caratterizzata dalla segretezza e dall’uso della scrittura quale forma specifica di formazione degli atti e di acquisizione probatoria, e fase del giudizio, finalizzata alla verifica, orale, pubblica ed in contraddittorio, del materiale probatorio formato nel corso della fase istruttoria. Il dato centrale di questo modello è che la prova non viene formata nel contraddittorio pubblico delle parti e secondo il principio dell’oralità, ma si forma nel segreto della fase istruttoria, e il giudizio è delibazione e verifica di quel materiale, ma non finalizzato alla formazione della prova”.
[3] Cfr. Pisauro G., Il processo penale e le indagini preliminari, in Sidoti F. (a cura di), L’investigazione come scienza, L’Aquila, 2004, pag. 185: “La fase istruttoria è demandata ad un organo, il giudice istruttore, che non è terzo fra l’accusa e la difesa, ma è organo di giustizia che organizza e dirige la formazione della prova secondo un proprio insindacabile criterio, promuove autonomamente l’azione penale, adotta i provvedimenti cautelari, anche quelli limitativi della libertà personale, ed infine dispone dell’esito dell’istruttoria, archiviando la notizia di reato o ordinando il rinvio a giudizio”.
[4] Si veda, sul sistema misto, in particolare Dalia A.A., Ferraioli M., Manuale di diritto processuale penale, Padova, 2000, pag. 22: “Più che la supremazia dell’un sistema sull’altro, la storia del procedimento penale ha fatto registrare – quale risultato di plurime combinazioni di caratteri dell’un modello con quelli dell’altro – il ricorso ad un sistema c.d. misto, prescelto, a volte, come mezzo di valorizzazione delle regole dell’inquisitorietà”.
[5] Il medesimo sistema, rilevano Siracusano D., Galati A., Tranchina G., Zappalà E., Diritto processuale penale, I, Milano, 2000, pagg. 43 ss., conteneva anche una serie di regole di natura accusatoria. Queste erano concentrate però nella fase dibattimentale, imperniata sulla fase della pubblicità e dell’oralità. Ciò nonostante, rilevano gli autori, “rimaneva sempre fortemente condizionato dalle risultanze probatorie acquisite in istruzione secondo i metodi di natura inquisitoria, finendo con l’adempiere unicamente ad una funzione di mero riscontro degli elementi raccolti precedentemente”.
[6] Soccorrono, anche in questa circostanza, le riflessioni svolte da Lozzi G., Lezioni di procedura penale, VI, Torino, 2004, pag. 5: “…è caratterizzato da una dialettica processuale tra due parti contrapposte (accusatore ed accusato), la cui controversia è risolta da un organo al di sopra delle parti. Nel processo accusatorio si ha, pertanto, un organo accusatorio nettamente distinto dal giudice, il quale ha una connotazione di terzietà. Il processo è pubblico ed orale nonché contraddistinto dalla parità delle armi (vale a dire da una parità di diritti e poteri fra organo accusatorio ed imputato), da una libertà personale della persona accusata sino alla irrevocabilità della sentenza di condanna e dal fatto che le prove debbono essere prodotte rispettivamente (a seconda che siano a carico o a discarico) dall’organo accusatorio e dall’imputato).
Si sofferma sull’argomento anche Pisauro G., Il processo penale e le indagini preliminari, in Sidoti F. (a cura di), L’investigazione come scienza, L’Aquila, 2004, pag. 186: “Concettualmente il processo penale di tipo accusatorio appare specularmente opposto al modello inquisitorio. Se questo ha la forma del leviatano, organismo che non si cura dell’individuo (né reo, né offeso), teso soltanto a fare giustizia in vista di una irraggiungibile perfezione, artefice di costruzioni astratte funzionali a purificare e modellare il mondo; quello trae ispirazione da un forte sentimento per l’individuo, e da un concreto senso della realtà, la fenomenologia del processo è quindi rapportabile ad una contesa, il cui ambito è ben definito da un caso concreto che deve essere risolto, fra parti poste su un piano di uguaglianza, che sarà decisa da un soggetto del tutto indipendente dai contendenti”.
[7] Di queste offre una lettura approfondita Siracusano D., Galati A., Tranchina G., Zappalà E., Diritto processuale penale, I, Milano, 2000, pagg. 39 ss. In particolare rileva una riflessione significativa svolta dagli autori, che indaga sulle origini del sistema accusatorio. Essi sostengono che esso nasca e trovi giustificazione in una valutazione di tipo prevalentemente privatistico del comportamento illecito, perché gli interessi che questo compirebbe sarebbero totalmente individuali. La dimostrazione sarebbe nel fatto che, in origine, erano i congiunti e non la persona offesa ad esercitare l’accusa. In un secondo momento però, venendosi a delineare una netta distinzione tra delicta privata e delicta pubblica, la loro perseguibilità viene affidata dapprima all’iniziativa di un qualsiasi cittadino come componente della societas offesa, e solo più tardi all’iniziativa di determinati soggetti come titolari di un ufficio pubblico. Ebbene, ecco lo spunto riflessivo significativo: nel momento in cui si affida ad una figura pubblicistica la persecuzione di un reato, diventa inevitabile la conseguente alterazione della fisionomia del rito. Si rompe, in altre parole, l’equilibrio che era stato determinato dalla parità delle posizioni e dei diritti delle due parti contrapposte che agivano come soggetti privati. Il fatto che, invece, l’interesse pubblico sovrasti quello individuale, implica il soddisfacimento di tale interesse anche al di là di quanto possa pretendere l’organo dell’accusa, lasciando, magari, all’organo della decisione la possibilità di assumere iniziative sussidiarie. La conseguenza ultima è che i ruoli finiscono per sovrapporsi ed il giudice e l’accusatore tornano ad essere pericolosamente vicini, come accade nel sistema inquisitorio.
[8] Seconda una nota definizione offerta da Siracusano
Contra, in senso critico nei confronti degli effetti positivi della riforma, si pone Stefani E., Avvocatura e investigazione, in Sidoti F. (a cura di), L’investigazione come scienza, L’Aquila, 2004, pag. 237: “Il processo penale, pur modificato dal punto di vista normativo, è stato vissuto dagli addetti ai lavori come se nulla fosse cambiato e quindi si è perpetuata la precedente cultura. Il difensore, abituato a difendere l’assistito tecnicamente, sulla base delle sole carte processuali da altri individuate e raccolte, si trova oggi nella necessità si svolgere egli stesso quegli accertamenti che, fino al 24 ottobre 1989, erano di esclusiva competenza del pubblico ministero nella istruzione sommaria o del giudice istruttore nella istruzione formale”.
Sulla portata della riforma, di cui si parlerà in modo pi approfondito nelle pagine che seguono, seppur limitatamente alla figura e funzione del pubblico ministero e del difensore, si rimanda agli spunti riflessivi operai da . Lozzi G., Lezioni di procedura penale, VI, Torino, 2004, pag. 333 ss. L’autore traccia un quadro completo della materia, partendo appunto dalle modifiche che si sono introdotte al rito penale ed analizzando, di conseguenza, i vari aspetti salienti. Chiarisce soprattutto, la finalità si cui si preoccupano, dopo la riforma, dette indagini: “La finalità delle indagini preliminari è delineata nell’art. 326 c.p.p., per cui il pubblico ministero e la polizia giudiziaria svolgono, nell’ambito delle rispettive attribuzioni, le indagini necessarie per le determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale. Di conseguenza, le indagini preliminari sono finalizzate unicamente ad acquisire elementi di prova al fine di mettere in condizioni il pubblico ministero di decidere se esercitare o no l’azione penale”.
Si vedano poi le osservazioni svolte da Cordero F., Procedura penale, Milano, 2004, pag. 805: “L’epoca post-inquisitoria, o del processo misto, in Italia dura fino all’ottobre 1989. Da allora non esiste più l’istruttore. Era una figura dominante e fino alla l. 18 giugno 1955 n. 517 aveva lavorato in segreto; gli spiragli aperti nei sette lustri seguenti non toccavano le testimonianze. Nel nuovo sistema quel lavorio occulto diventa dibattimento ossia contesa sulla scena pubblica: i contendenti adducono prove; l’escussione avviene hinc inde; persa la voce dominante che gli competeva, il presidente ascolta e interloquisce occasionalmente”.
[9] In senso critico, Amodio E., La procedura penale dal rito inquisitorio al giusto processo, in Cassazione penale, 2003, IV, pag. 1425: “Il modello accusatorio riscoperto dalle recenti riforme richiede peraltro una rivisitazione. La prassi ha dimostrato che la libertà concessa al p.m. nella fase delle indagini è degenerata a svantaggio degli spazi difensivi e della effettività del controllo da parte del g.i.p. Bisogna riconoscere che il codice del 1988 ha confidato troppo nel self-restraint dell’organo dell’accusa, nell’efficacia degli interventi moderatori del g.i.p. e nei vincoli di inutilizzabilità degli atti in sede dibattimentale. Per diversi motivi nessuno di questi contrappesi è stato invece effettivamente capace di limitare la sovranità assoluta del p.m. che connota oggi la prassi della fase anteriore al dibattimento”.
[10] Per ulteriori riflessioni sulle indagini preliminari in generale che, per ragioni di spazio, vengono omesse nel testo principale, si suggerisce la lettura di Pisauro G., Il processo penale e le indagini preliminari, in Sidoti F. (a cura di), L’investigazione come scienza, L’Aquila, 2004, pag. 194: “L’indagine preliminare è una delle più rilevanti novità del codice di procedura penale del 1989. Novità non limitata alla struttura normativa, ma riguardante uno dei motivi ispiratori di una visione processuale congeniale al modello accusatorio. (…) La fase delle indagini preliminari è un vero spartiacque, una linea di confine tra la fase procedimentale e la fase processuale (…). A questa morfologia di base va aggiunto che i protagonisti della fase sono: il p.m., la polizia giudiziaria, il difensore dell’imputato (quest’ultimo, solo recentemente). Inoltre è da dire che il controllo giurisdizionale è esercitato, in questa fase procedimentale, dal G.I.P. (giudice per le indagini preliminari) che è deputato a provvedere sulle richieste del p.m., delle parti private e della persona offesa dal reato, e comunque ha funzione di garanzia e di controllo sull’attività d’indagine e sul rispetto dei termini temporali in cui le attività d’indagine debbono svolgersi”.
[11] In particolare si veda Lozzi G., Lezioni di procedura penale, VI, Torino, 2004, pagg. 343 ss.
Ma anche, sulla questione, Cordero F., Procedura penale, Milano, 2004, pag. 806: “Il processo era una serie a due segmenti: all’istruzione, condotta dall’omonimo giudice o (istituto aberrante) dal pubblico ministero nel rito sommario, seguiva il dibattimento, qualora l’imputato non fosse stato prosciolto rebus sic stantibus, con un sèguito se fossero emerse prove a carico; all’imputazione bastavano ipotesi non visibilmente false; poi l’istruttore le vagliava”.
Si sofferma sul problema in modo estremamente approfondito Amodio E., La procedura penale dal rito inquisitorio al giusto processo, in Cassazione penale, 2003, IV, pag. 1419: “L’intreccio tra passato e presente è così fitto nella giustizia penale italiana da apparire, a prima vista, quasi inestricabile. Sembra infatti appartenere ad una visuale ormai archiviata, in quanto figlia di un regime autoritario, l’idea di un pubblico ministero incontrastato dominus delle indagini preliminari, così come quella di un giudice dibattimentale signore della prova. Eppure, benché dal 1989 sia in vigore un codice di stampo accusatorio costruito per ridare spazio e robustezza alle garanzie difensive, l’organo dell’accusa continua a mantenere ben saldo il suo predominio nella fase anteriore al dibattimento, nel corso della quale si affaccia solo occasionalmente il g.i.p.”.
[12] Per una approfondita disamina sulle tipologie acquisitive di indagine da parte del p.m. e dei suoi collaboratori, si rimanda alla lettura di Inzerillo G., L’attività integrativa d’indagine del Pubblico Ministero: evoluzione giurisprudenziale e modifiche normative, in Cassazione penale, 2000, XII, pagg. 3521 ss., l’autore dà infatti conto del costrutto evolutivo che si è venuto a svolgere in virtù delle modifiche addotte dall’interpretazione dottrinaria prima, da quella giurisprudenziale e legislativa, poi. Chiarisce, in particolare, qual è il concetto di indagine integrativa del p.m. e quali, anche, i limiti che a questo erano e sono posti.
[13] Cfr. Cordero F., Procedura penale, Milano, 2004, pag. 808: “L’argomento invita a escursioni diacroniche. Consideriamo i successivi assetti normativi. Nella vecchia prassi, sub cod. 1930, la polizia preistruisce: confluiti nel rapporto, gli esiti alimentano l’alambicco decisorio; sono un arnese tanto comodo le summulae preistrutorie (…). Il nuovo codice (fino all’8 giugno 1992) postula un pubblico ministero padrone del caso ab ovo: l’organo poliziesco, recettore o percipiente, gli comunica la notizia nelle 48 ore; in attesa delle direttive, raccoglie materiali; esegue i suoi ordini; adempie eventuali deleghe”
[14] V. Stefani E., Avvocatura e investigazione, inSidoti F. (a cura di), L’investigazione come scienza, L’Aquila, 2004, pag. 237: “Si può dire che il ruolo del difensore, spettatore passivo dell’indagine, sotto alcuni profili, era molto più comodo. Comportava minori responsabilità, perché il monopolio investigativo del pubblico ministero e del giudice istruttore impediva l’assunzione di compiti investigativi e, quindi, il difensore, ignaro il più delle volte della verità dei fatti, non era chiamato a scelte processuali nell’interesse del proprio assistito. Il nuovo codice di procedura penale, alla luce delle recenti riforme legislative, pone al centro del processo il difensore sottolineando il suo ruolo attivo”.
[15] In merito, Lozzi G., Lezioni di procedura penale, VI, Torino, 2004, pag. 356: “Si è visto che il diritto di difesa nel corso delle indagini preliminari – inteso tradizionalmente nel senso di partecipazione critica della difesa agli atti istruttori dell’indagante – abbia un’attuazione limitata in ragione e in corrispondenza della limitata valenza probatoria di tali atti e, si è notato, come sia maggiore il pregiudizio che subisce la difesa, quanto più ampia è l’utilizzazione probatoria che degli atti in questione è consentita dal sistema processuale”.
[16] Svolge una serrata critica in tal senso . Lozzi G., Lezioni di procedura penale, VI, Torino, 2004, pag. 357: “…già lasciava perplessi, come si è detto, il fatto che una materia di importanza così centrale fosse stata disciplinata mediante una sola norma estremamente generica e per di più neppure contenuta nel corpus delle norme codicistiche. A ciò si aggiunga che lo stesso legislatore mostrava di non fidarsi dell’effettiva utilità del ricorso agli investigatori, posto che la legge istitutiva del patrocinio a spese dello Stato non prevedeva che al non abbiente fosse garantita l’opera di tali soggetti. Ma, soprattutto, veniva da chiedersi quali poteri in concreto avessero questi investigatori privati: era facile immaginare, ad esempio, che essi avrebbero trovato in coloro che erano in possesso di informazioni rilevanti per le indagini preliminari un atteggiamento di ben maggiore reticenza di quanto non accadesse agli ufficiali di polizia giudiziaria o allo stesso pubblico ministero (…)”.
[17] Cfr. De Caro A., Percorsi legislativi e poteri delle parti nel processo penale: dal codice Rocco alla riforma delle indagini difensive, in Cassazione penale, 2001, X, pag. 2951: “Le continue manipolazioni cui è stato sottoposto in questi anni il processo penale – manipolazioni legislative e giurisprudenziali (soprattutto ad opera della Corte costituzionale) – hanno modificato sensibilmente i suoi tratti influendo pure sull’effettiva realizzazione del contraddittorio. Anche se si ha la netta impressione che ad imporsi è un modello di rito penale non in completa sintonia con i principi che hanno fondato il processo penale del 1988 non è semplicissimo individuare le coordinate essenziali del percorso intrapreso dal legislatore: con sicurezza assoluta si può solo constatare la oggettiva mutazione genetica del sistema rispetto alle intenzioni esplicitate col (e nel) modello originario”.
[18] Cfr. Lozzi G., Lezioni di procedura penale, VI, Torino, 2004, pag. 342: “Le indagini preliminari del pubblico ministero costituiscono la parte essenziale della fase del procedimento penale e, come si è detto, sono finalizzate all’esercizio dell’azione penale, finalità che non contrasta con il fatto che il pubblico ministero debba indagare su fatti e circostanze a favore della persona assoggettata alle indagini posto che, come si è già sottolineato, tali indagini sono indispensabili al fine di formulare correttamente il giudizio prognostico di responsabilità sotteso all’esercizio dell’azione penale. LE indagini sui fatti e circostanze a favore della persona assoggettata alle indagini non contrastano con la natura di parte del pubblico ministero sia perché una parte pubblica può non avere esigenze di giustizia sia perché la formulazione di un corretto giudizio prognostico di responsabilità corrisponde alle funzioni della parte cui è demandato di sostenere l’accusa”.
Anche, Cordero F., Procedura penale, Milano, 2004, pag. 808: “L’attuale assetto nasce dal d.l. 8 giugno 1992, n. 306. Nell’art 347 spariscono le 48 ore entro cui doveva comunicare la notizia (ancora richieste dal comma 2-bis quando risultino compiuti atti a cui debba o possa assistere il difensore): basta comunicarla senza ritardo; e già questa formula sottintende mosse autonome (…). Assai più ampia la sfera dei suoi interventi”.
[19] V. . Lozzi G., Lezioni di procedura penale, VI, Torino, 2004, pagg. 343 ss. Lo stesso autore aggiunge, significativamente, che: “la prova è quella che si assume in contraddittorio delle parti e, pertanto, nelle indagini preliminari si acquisiscono unicamente elementi di prova che non dovrebbero mai assumere in sede dibattimentale, tramite la lettura, valore probatorio se non in casi del tutto eccezionali così da non scalfire la portata del principio generale sopra enunciato”.
[20] V. Mannucci M., Brevi considerazioni sulle modifiche apportate al procedimento penale dalla l. 16 dicembre 1999, n. 479, in Cassazione penale, 2000, V, pag. 1500: “La legge 16 dicembre 1999, n. 479, nella parte in cui costituisce novella del c.p.p., innestandosi in un sistema normativo assai tormentato da reiterati interventi legislativi e da numerose censure di illegittimità costituzionale, continua ad alimentare difficoltà ermeneutiche nelle quali si dibatte ogni operatore nella pratica quotidiana”.
Ma, in senso generale sull’importanza del ruolo del p.m., si osservi anche quanto sostenuto da Di Bitonto, M.L., Il pubblico ministero nelle indagini preliminari dopo la legge 16 dicembre 1999, n. 479, in Cassazione penale, 2000, X, pag. 2844: “L’intero fenomeno processuale è condizionato dal concreto atteggiarsi dell’organo dell’accusa nella fase destinata a procedere l’instaurazione del processo vero e proprio. Per questo, lo studio delle indagini del pubblico ministero rappresenta una prospettiva privilegiata per mettere a fuoco alcuni dei tratti caratteristici dell’ordinamento processuale. Può quindi tornare utile porsi in questo angolo di visuale e verificare che cosa è cambiato in materia di indagini preliminari relativamente alla figura del pubblico ministero a seguito delle modifiche introdotte dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479”.
Non è da meno Inzerillo G., L’attività integrativa d’indagine del Pubblico Ministero: evoluzione giurisprudenziale e modifiche normative, in Cassazione penale, 2000, XII, pag. 3521: “Il nuovo impianto processuale costituito dalla legge Carotti (l. 16 dicembre 1999, n. 479) autorizza l’interprete ad azzardare una previsione di morte dell’attività integrativa dell’indagine o, in maniera meno giornalistica, del probabile esaurirsi dei problemi relativi all’attività integrativa d’indagine”.
[21] In senso critico si pone però Mannucci M., Brevi considerazioni sulle modifiche apportate al procedimento penale dalla l. 16 dicembre 1999, n. 479, in Cassazione penale, 2000, V, pag. 1500 ss., ove si sostiene che: “A tale proposito innanzi tutto non appare chiaro il motivo per il quale la persona offesa che abbia conoscenza del procedimento ex art. 334 c.p.p. non sia abilitata a chiedere la trasmissione degli atti ad un diverso p.m., qualora ritenga incompetente per territorio quello che sta conducendo le indagini”.
[22] Cfr. Mannucci M., Brevi considerazioni sulle modifiche apportate al procedimento penale dalla l. 16 dicembre 1999, n. 479, in Cassazione penale, 2000, V, pag. 1501: “In altre parole se il p.m. termina le indagini alla scadenza del termine ovvero in prossimità della stessa, si trova di fatto nell’impossibilità di notificare l’avviso della conclusione delle medesime prima della scadenza di detto termine. La conseguenza sarebbe che il termine di legge a disposizione del p.m. viene decurtato del termine necessario ad effettuare la notifica, periodo che peraltro varia da caso a caso e talvolta può diventare anche apprezzabile”.
Al riguardo anche Di Bitonto, M.L., Il pubblico ministero nelle indagini preliminari dopo la legge 16 dicembre 1999, n. 479, in Cassazione penale, 2000, X, pag. 2845: “…anticipa ad un momento anteriore all’esercizio dell’azione penale la cosiddetta discovery degli elementi raccolti, consentendo nel segmento conclusivo della fase preliminare un più incisivo intervento del difensore e della persona cui è attribuito il reato, ai quali entro la scadenza del termine di durata delle indagini viene notificato l’avviso della loro conclusione da parte del pubblico ministero che non debba formulare richiesta di archiviazione”.
[23] Per un approfondimento sul concetto di discovery si veda Nappi A., Guida al codice di procedura penale, Milano, 1996, pag. 294: “Dal punto di vista funzionale, l’udienza preliminare ha innanzitutto lo scopo di consentire all’imputato la piena conoscenza degli atti compiuti dal pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari, provocando quella che nel linguaggio anglo-americano viene detta discovery. (…) l’integrità della discovery che si realizza con l’udienza preliminare, è strettamente connessa alla tradizione processuale continentale e differenzia nettamente questa udienza dal modello nordamericano, rendendola più simile a quella discovery nostrana che si realizzava con il deposito degli atti dell’istruzione formale (…). E tuttavia c’è una differenza importantissima tra la discovery prevista dal codice abrogato e quella cui dà luogo l’udienza preliminare del codice vigente. Questa, infatti, consentirà alla difesa di conoscere non solo gli atti del pubblico ministero, così come saranno stimolate dal contraddittorio orale dinanzi il giudice; mentre il pubblico ministero potrà saggiare la tenuta della propria ipotesi di accusa di fronte ad un primo vaglio dialettico. Si realizzerà così, una informazione critica del giudice e delle parti, che saranno poste nelle condizioni più idonee per compiere le importanti scelte che, appunto nell’udienza preliminare, sono loro richieste”
[24] La legge introduce altre modifiche che qui non rilevano, e che sono state pertanto omesse.
[25] Va detto, ad onor di completezza, che alcuni autori avrebbero sostenuto che la funzione garantista sarebbe effettivamente esplicata solamente laddove la persona sottoposta alle indagini abbia ricevuto l’avviso quando l’attività istruttoria del p.m. sia ormai conclusa nel termine di legge ovvero prorogato. In tal senso si esprime in particolare Mannucci M., Brevi considerazioni sulle modifiche apportate al procedimento penale dalla l. 16 dicembre 1999, n. 479, in Cassazione penale, 2000, V, pag. 1502, laddove sostiene che: “…mal si concilierebbe con la possibilità, che tuttavia nessuna norma sembra escludere, da parte del p.m. di utilizzare atti di indagine compiuti nel periodo intercorrente le notificazioni dell’avviso e la scadenza del termine per le indagini preliminari”.
[26] Cfr. Di Bitonto, M.L., Il pubblico ministero nelle indagini preliminari dopo la legge 16 dicembre 1999, n. 479, in Cassazione penale, 2000, X, pag. 2846: “Senza entrare nel merito di una valutazione volta a verificare se le menzionate disposizioni siano adeguate o no a consentire una soddisfacente tutela del diritto di difesa anche nel corso delle indagini preliminari, appare evidente l’ispirazione garantista di queste nuove norme che paiono volere in qualche modo controbilanciare la crescente egemonia del pubblico ministero sperimentata nel primo decennio di codificazione repubblicana”.
Si confrontino anche le osservazioni che svolge Aprile E., Prime riflessioni sulle modifiche al codice di procedura penale introdotte dalla legge Carotti, in Giurisprudenza di merito, 2000, II, pag. 504: “Diverse sono le innovazioni riguardanti la disciplina delle indagini preliminari, aventi tutte la chiara finalità di aumentare le garanzie difensive dell’indagato. (…) In buona sostanza è stata riconosciuta all’indagato la facoltà di porre in discussione la competenza, tanto materiale e territoriale, quanto funzionale, del pubblico ministero procedente (…)”.
[27] In merito, Lozzi G., Lezioni di procedura penale, VI, Torino, 2004, pag. 359: “La legge 7 dicembre 2000 n. 397 ha abrogato l’art. 38 delle disposizioni di attuazione disciplinando ex novo le indagini difensive in modo da colmare le lacune della precedente normativa. Questa costituisce una inevitabile e doverosa conseguenza del principio dispositivo posto che, coma già si è osservato, se le prove debbono assumersi a richiesta di parte è evidente che la legge debba attribuire ai difensori un potere di ricerca della prova, disciplinare la documentazione delle indagini difensive nonché l’utilizzabilità ai fini probatori delle indagini in parola. La legge ha introdotto l’art. 327 bis, il quale dispone che il difensore, sin dal momento in cui assume l’incarico professionale (che deve risultare da atto scritto), ha facoltà di svolgere investigazioni per ricercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio assistito”.
Cfr. anche, per una ricostruzione storica che valorizzi la legge del 2000, Aprile E., Nuove prospettive nel processo penale dopo l’entrata in vigore della l. 397 del 2000 sulle indagini difensive, in Giurisprudenza di merito, 2002, II, pagg. 611: “Per lungo tempo si è creduto che la maggiore o minore efficacia della difesa non dipendesse dalla struttura del processo penale, quindi dal rapporto tra le funzioni dei vari soggetti processuali e le fasi del procedimento, bensì dalla portata delle garanzie difensive in concreto assicurate dalla disciplina codicistica (…). L’impostazione è completamente mutata con l’approvazione del nuovo codice di procedura penale del 1988 (…). Il nuovo codice è, infatti,fondato su un sistema tendenzialmente accusatorio in cui erano stati valorizzati sia il principio della separazione delle fasi (quella delle indagini, destinata alla ricerca delle fonti di prova e propedeutica alle determinazioni del pubblico ministero in ordine all’esercizio dell’azione penale, e la fase del giudizio nel quale acquisire le prove, nell’oralità e nel contraddittorio tra le parti), che il principio della pari dignità tra accusa e difesa, come concreta espressione delle potenziali spinte bilanciate nell’esercizio dialettico dell’attività di accertamento dei fatti. (…) Largamente avvertita fu, dunque, l’esigenza di novellare la disposizione contenuta nell’art. 38 disp. att. c.p.p., al dichiarato scopo di meglio definire l’ambito di operatività delle indagini difensive. Esigenza tanto più sentita dopo le novelle legislative ed in conseguenza delle ulteriori modifiche alle norme codicistiche introdotte dalle ben note sentenze pronunciate nei primi anni Novanta con le quali la Corte costituzionale aveva profondamente inciso tanto sul principio della separazione delle fasi quanto su quello della oralità del processo accusatorio, riconoscendo (in determinate situazioni) la diretta utilizzabilità nella fase dibattimentale dei risultati delle indagini compiute unilateralmente dalla pubblica accusa e, così, finendo per accentuare lo squilibrio tra la posizione del pubblico ministero e quella dell’imputato e del suo difensore”.
[28] La dottrina sull’argomento è vasta. Circoscrivendola a quegli autori che ne hanno trattato i profili in connessione alla regolazione delle indagini difensive, si vedano in particolare Cordero F., Procedura penale, Milano, 2004, pagg. 896 ss. e Spangher G., Le investigazioni difensive: considerazioni generali, in Statuta iuris, 2001, pagg. 530 ss.
Si veda anche De Caro A., Percorsi legislativi e poteri delle parti nel processo penale: dal codice Rocco alla riforma delle indagini difensive, in Cassazione penale, 2001, X, pag. 2976: “In questo nuovo ambito si inserisce anche la riforma delle investigazioni difensive. Essa può introdurre un dato di coerenza se la si collega alla riforma dell’art. 111 Cost. perché acquista, in questa prospettiva, una valenza realmente destinata ad incidere positivamente sulla parità delle parti nell’esercizio del diritto alla prova all’interno delle indagini preliminari, equiparando difensore e pubblico ministero. Se la si valuta, però, nell’ottica del continuo ampliare la trasmigrazione degli atti dalle indagini al dibattimento – in contraddizione con la prima impostazione – sarà naturale l’evoluzione verso una indagine parallela del tutto incoerente con la giusta collocazione delle indagini preliminari e col recupero passivo e pieno del contraddittorio”.
[29] Cfr. Ventura P., Le indagini difensive, in Ubertis G., Voena G.P. (a cura di), Trattato di procedura penale, XXVII, Milano, 2005, pag. 20: “La legittimazione costituzionale alle indagini difensive trova altresì il proprio fondamento nel comma 3 dell’art. 111 Cost., nella parte in cui specifica i diritti della persona accusata di un reato nel processo penale indicando: a) a disporre del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa. Ciò implica il diritto dell’accusato ad avere un contatto immediato e libero con il proprio difensore, a fruire di un congruo termine per preparare la difesa e, soprattutto, a ricercare elementi di prova a discarico; b) ad ottenere la convocazione e l’interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell’accusa e l’acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore”.
[30] Cfr. Aprile E., Nuove prospettive nel processo penale dopo l’entrata in vigore della l. 397 del 2000 sulle indagini difensive, in Giurisprudenza di merito, 2002, II, pagg. 618: “Il bisogno di superare gli steccati di una angusta disciplina codicistica, era divenuto ancora più attuale dopo le modifiche introdotte nella Carta fondamentale dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2 (…). In tale contesto normativo s’è giunti all’approvazione della l. 7 dicembre 2000, n. 397, contenente le disposizioni in tema di indagini difensive”.
[31] L’espressione è di Ferrua G., Declino del contraddittorio e garantismo reattivo: la difficile ricerca di nuovi equilibri processuali, in Questione giustizia, 1995, pagg. 436 ss.
Riprende l’argomento anche Aprile E., Nuove prospettive nel processo penale dopo l’entrata in vigore della l. 397 del 2000 sulle indagini difensive, in Giurisprudenza di merito, 2002, II, pagg. 611 ss.
[32] Cfr. Iadecola G., Le nuove indagini investigative da parte dell’avvocato, in Giurisprudenza di merito, 2001, II, pag. 549: “In un processo siffatto, le parti assumono, allora, un ruolo dinamico, che ne rende necessaria una partecipazione solerte ed attiva a tutte le fasi processuali, a cominciare da quella delle indagini preliminari – riservata alla ricerca ed alla individuazione delle fonti della prova -, ruolo che, per il vero, se già si apparteneva alla fisionomia del p.m. di vecchio rito (il quale, parte pubblica o parte imparziale, secondo la Corte costituzionale, era anzi per eccellenza investito dell’accertamento del fatto-reato, con la potestà tipicamente inquisitoria di formare direttamente prove utilizzabili dal giudice e di adottare provvedimenti restrittivi della libertà personale), era viceversa sconosciuto quanto al difensore. Questi, invero, nel precedente processo era relegato dalla stessa disciplina normativa ad un atteggiamento sostanzialmente attendista, che lo vedeva – di norma e salvo qualche raro esempio di modernismo – quale critico revisore, nella sede dibattimentale, sia sul piano processuale che del merito, del materiale probatorio raccolto nel corso della istruttoria, sommaria o formale che fosse: ruolo, certo, pur non disimpegnato, ma più comodo di quello propulsivo e partecipativo che la nuova articolazione del processo prevede per il difensore, nel segno del riconoscimento di una maggiore pienezza ed effettività del diritto di difesa costituzionalmente garantito”.

Sgueo Gianluca

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento