LE CLAUSOLE RELATIVE AL PREZZO NEI “CONTRATTI DEL CONSUMATORE”.

Redazione 27/08/00
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di Antonio Lordi

SOMMARIO: 1. La ratio delle clausole n. 12 e 13 dell’art. 1469 bis comma 3. – 2. La presunzione di vessatorietà. – 3. La clausola n. 12 e la indeterminatezza del prezzo. – 4. Il controllo sull’attività e il controllo sull’atto. – 5. Conclusioni.

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1. L’art. 1469 bis comma 3 n. 12 e n. 13 stabilisce: ‘si presumono vessatorie fino a prova contraria le clausole che hanno per oggetto o per effetto di: 12) stabilire che il prezzo dei beni o dei servizi sia determinato al momento della consegna o della prestazione; 13) consentire al professionista di aumentare il prezzo del bene o del servizio senza che il consumatore possa recedere se il prezzo finale è eccessivamente elevato rispetto a quello originariamente convenuto’’.

Le clausole in esame[1] sono generalmente utilizzate quando l’esecuzione del contratto ha luogo in un tempo successivo al momento in cui è stato concluso (contratti di durata, ad esecuzione differita, a consegne ripartite, preliminari con stipulazione differita del definitivo, ecc.).

In questi contratti viene in rilievo l’esigenza di salvaguardia del costo iniziale della prestazione sicché nel codice civile, sia nella disciplina del contratto in generale quanto in quella delle singole fattispecie tipiche, ci si preoccupa di tutelare tale esigenza[2].

In realtà l’interprete si trova a dover contemperare due opposti principi: il principio della invariabilità del prezzo convenuto (che trova la sua fonte a sua volta nel principio pacta sunt servanda e in quello nominalistico) e quello delle cd. sopravvenienze contrattuali, da intendere genericamente come quei fattori che verificatisi dopo la stipula del contratto influiscono sull’equilibrio economico del contratto.

Gli strumenti convenzionali diretti ad evitare questi squilibri economici talvolta si sostanziano in clausole disciplinanti in vario modo il prezzo contrattuale.

In particolare vengono in rilievo le clausole di adeguamento del prezzo alle mutate condizioni di mercato, le clausole con le quali si stabilisce che il prezzo sarà quello risultante dal listino prezzi in vigore al momento della consegna del bene, le clausole di indicizzazione ecc.

L’obbiettivo al quale mira il predisponente di clausole di questo tipo è di neutralizzare il contratto dai rischi derivanti da svalutazione, deprezzamento monetario e da variazioni di mercato assicurandosi che il prezzo che verrà corrisposto per il bene o per il servizio prestato sia corrispondente all’effettivo valore che quel bene o quel servizio esprime nel mercato al momento della esecuzione della prestazione.

Queste clausole prima dell’entrata in vigore della legge del ’96, che ha introdotto gli articoli 1469 bis e ss. c.c., non venivano considerate vessatorie[3], ossia rientranti nella portata dell’articolo 1341 comma 2 c.c., sebbene la dottrina ne avesse individuato la loro problematicità in ordine a possibili abusi da parte dell’imprenditore[4].

Inoltre bisogna osservare come la tematica del prezzo contrattuale, se esaminata nella sua globalità, richiederebbe i necessari raccordi con la disciplina antitrust e quindi con quella del mercato che non è possibile trattare in questa sede [5].

Da quanto detto ne deriva che la trattazione delle clausole relative al prezzo può essere inquadrata in termini generali nell’ambito del divisamento dei rischi contrattuali predisposto da un contraente dotato di maggiore forza contrattuale nei confronti di un soggetto dotato di minore forza contrattuale.

2. Il legislatore del ’96 disciplina tale tipo di clausole presupponendone la loro vessatorietà salva da parte del professionista la prova della cd. trattativa individuale.

Mentre con la clausola n. 12 il professionista si riserva di determinare il prezzo del bene o del servizio al momento della esecuzione della prestazione, con la clausola n. 13 si riserva la facoltà di aumentare il prezzo.

Tuttavia la disciplina delle due clausole appare differente. Infatti mentre la presunzione di vessatorietà della clausola n. 12 può essere vinta solo con la prova della trattativa individuale, la presunzione di vessatorietà della clausola n. 13 trova un duplice limite sia nella trattativa individuale, che nella facoltà di recedere eventualmente concessa al consumatore di recedere se il prezzo finale è eccessivamente elevato rispetto a quello originariamente convenuto.

Circa la nozione di trattativa individuale riteniamo che sia possibile distinguere tra un concetto formale e uno sostanziale.

Se infatti si accede ad una nozione formale il requisito della trattativa individuale può ritenersi soddisfatto quando il professionista abbia assolto tutti gli oneri informativi a suo carico, indicando con chiarezza e trasparenza tutte le modalità determinative e di variazione del prezzo.

Se viceversa si accede ad una nozione sostanziale il requisito della trattativa individuale consisterà nella effettiva contrattazione tra le parti della clausola relativa al prezzo. In quest’ultimo caso tuttavia non si sarebbe più in presenza di un contratto ‘predisposto’ in quanto verrebbe a mancare il carattere della predisposizione unilaterale e quindi della generalità della clausola.

In ordine ai problemi inerenti alla facoltà di recesso si rinvia al § 4 del presente lavoro.

3. Un problema centrale per l’interpretazione della disposizione riguardante la clausola n. 12 è quello del suo rapporto con il requisito della determinatezza dell’oggetto del contratto.

E’ stato sostenuto[6] infatti che la clausola ‘prezzo in vigore al momento della consegna’ comporterebbe una sostanziale indeterminabilità del prezzo e quindi la nullità dell’intero contratto.

A nostro parere tale posizione ermeneutica non è condivisibile.

In primo luogo si può osservare che la sanzione della nullità per il suo carattere dell’assolutezza mal si concilia con l’esigenza di tutelare il consumatore, contraente debole, al quale dovrebbe essere lasciata la facoltà di scegliere tra il rifiuto della prestazione e l’onere di pagarne il prezzo.

In secondo luogo va osservato che, in linea con quanto affermato da risalente quanto autorevole dottrina[7], il requisito della determinabilità del prezzo può considerarsi soddisfatto tutte le volte in cui la determinazione della prestazione non sia rimessa al mero arbitrio di una delle parti[8].

Infine se accettassimo la tesi secondo cui la clausola ‘prezzo in vigore al momento della consegna’ comporta la nullità dell’intero contratto per indeterminatezza dell’oggetto dovremmo concludere la nostra indagine affermando che l’art. 1469 bis comma 3 n. 12 non ha alcuna autonomia operativa essendo assorbito in toto dall’art. 1418 comma 2 c.c.

Infatti se anche la clausola superasse il vaglio di vessatorietà, in quanto oggetto di trattativa individuale, ricadrebbe poi nella portata dell’art. 1418 comma 2 c.c.

In realtà il legislatore del ’96 si è voluto riferire a quelle clausole con cui il professionista, anziché mantenere il prezzo ‘bloccato’ per un certo periodo di tempo, rinvia la sua determinazione, effettuata sulla base di parametri d’impresa non arbitrari, al momento in cui la prestazione avrà esecuzione.

Questa prassi lascia il consumatore in una situazione di incertezza in ordine ai costi da sostenere, sicché la legge ha imposto al professionista l’obbligo di calcolare gli eventuali aumenti che avverranno tra il momento della stipula e quello dell’esecuzione del contratto.

Tale calcolo deve essere effettuato dal professionista prima di entrare in rapporti contrattuali con i consumatori, in modo da offrire a questi ultimi ‘prezzi bloccati’[9] almeno per un certo periodo di tempo, salvo poi alla scadenza aumentarli con corrispondente diritto di recesso per il consumatore lì dove l’aumento risulti eccessivo.

In altri termini il problema che pone la clausola n. 12 non attiene alla struttura dell’atto, ma agli obblighi informativi che incombono sul professionista al fine di ridurre al minimo la posizione di asimmetrica informazione del consumatore.

Il trend legislativo in materia di tutela del contraente debole conferma il nostro assunto.

Vengono in rilievo le seguenti fattispecie: l’ art. 4 della legge 18 giugno 1998 n. 192 disciplina della subfornitura delle attività produttive con la quale si stabilisce che ‘il prezzo dei beni o servizi del contratto deve essere determinato o determinabile in modo chiaro e comprensibile’; il Dlgs. 17 marzo 1995 n. 111 concernente i viaggi, le vacanze ed i circuiti tutto compreso (artt. 6 e 7 lett. c) secondo il quale ‘il contratto…è redatto in forma scritta in termini chiari e precisi’ e deve contenere il prezzo; il Dlgs. 9 novembre 1998 n. 427 concernente la tutela dell’acquirente per taluni aspetti dei contratti relativi all’acquisizione di un diritto di godimento a tempo parziale di beni immobili (art. 2 1° comma lett. h) dove il venditore ha l’obbligo di redigere un documento informativo nel quale sia indicato con precisione il prezzo; il Dlgs. 185/1999, Riguardante la protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza, dove all’art. 3 lett. c (Informazioni per il consumatore) viene stabilito che ‘in tempo utile, prima della conclusione di qualsiasi contratto a distanza, il consumatore deve ricevere’ l’informazione riguardante il prezzo del bene o del servizio comprese tutte le tasse o imposte; l’art. 124 del D.lgs. n. 385/1993 che al 3° comma stabilisce ‘i contratti di credito al consumo che abbiano ad oggetto l’acquisto di determinati beni o servizi contengono a pena di nullità, il prezzo di acquisto in contanti, il prezzo stabilito dal contratto e l’ammontare dell’eventuale acconto’; l’art. 4 della legge 154/92 che stabilisce: ‘i contratti devono indicare il tasso di interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati, inclusi, per i contratti di credito, gli eventuali maggiori oneri in caso di mora 2. L’eventuale possibilità di variare in senso sfavorevole al cliente il tasso di interesse e ogni altro prezzo e condizione deve essere espressamente indicata nel contratto con una clausola approvata specificamente dal cliente. 3. Le clausole contrattuali di rinvio agli usi sono nulle e si considerano non apposte. 4. Le clausole che prevedono tassi, prezzi e condizioni più sfavorevoli per i clienti di quelli resi pubblici sono nulle’; l’art. 23 comma 2 del Dlgs. 58/98 il quale stabilisce ‘è nulla ogni pattuizione di rinvio agli usi per la determinazione del corrispettivo dovuto…’.

Così anche una corretta informazione in ordine al prezzo contrattuale viene imposta dal Dlgs n. 74/1992 in materia di pubblicità ingannevole, laddove tra gli elementi di valutazione della ingannevolezza della pubblicità viene indicato dall’art. 3 lett. b) ‘il prezzo o al modo in cui questo viene calcolato’.

4. Circa la tutela vengono in rilievo gli articoli 1469 quinquies e sexies c.c. Con tali azioni è possibile eliminare dai contratti standard le clausole individuate ai nn. 12 e 13.

Riguardo alla clausola n. 12 il professionista sarà spinto ad adottare condizioni generali in cui sia stabilito il cd. ‘prezzo bloccato’ fino al termine indicato per la consegna. Circa la clausola n. 13 l’aumento del prezzo realizzato dal professionista comporterà, in capo al consumatore, la facoltà di recedere.

In quest’ottica le clausole n 12 e 13 vanno lette congiuntamente (infatti nella dir. 93/13/CEE le ritroviamo entrambe alla lettera ‘l’).

Possiamo peraltro evidenziare due possibili inconvenienti. In primo luogo potrebbe accadere che la facoltà di recesso concessa al consumatore venga eccessivamente irrigidita stabilendosi nel contratto che possa essere esercitata solo nel caso in cui il prezzo superi una certa percentuale, vanificando così in concreto la tutela prevista.

Sotto tale aspetto appare a nostro parere preferibile ritenere che la facoltà di recesso debba essere ‘elastica’, nel senso che, il consumatore potrà esercitare il recesso tutte le volte in cui il prezzo finale risulti eccessivamente elevato rispetto a quello originario.

In secondo luogo bisogna segnalare come lì dove vi sia la declaratoria di inefficacia della clausola relativa al prezzo si viene a porre il problema del se il giudice possa intervenire ad integrare l’elemento mancante.

In effetti in tema di vendita la dottrina[10] avvisava come i criteri legislativi dell’art. 1474 c.c. non possono essere applicati se, pur avendo le parti indicato il prezzo o gli elementi per determinarlo la relativa clausola sia nulla o non arriva a funzionare. In tali casi il contratto sarebbe nullo, se nulla era la clausola, o si risolve per impossibilità sopravvenuta, se il criterio contrattuale non arriva a funzionare.

Tuttavia riteniamo che tale problema sia superabile se si considera che l’intervento integrativo che il giudice sarebbe chiamato ad effettuare nei contratti del consumatore non sarebbe di natura propriamente discrezionale in quanto si tratta di contratti di mercato in cui il prezzo riflette le forze impersonali della domanda e dell’offerta. In tal modo il prezzo che il giudice andrebbe a stabilire sarebbe non il frutto di un suo personale sentimento equitativo, ma la conclusione di una valutazione tecnico-economica, affidata se del caso ad una specifica c.t.u., in ordine agli effettivi costi del bene o del servizio in contratto. Infine va tenuto presente come tali tipi di valutazione non siano estranei al sistema del diritto del mercato rientrando negli specifici compiti del Garante della concorrenza e del mercato quando giudica della concorrenzialità o meno di un determinato prezzo.

5. Le riflessioni si qui effettuate ci consentono di affermare quanto segue.

Le clausole n. 12 e 13 vanno lette congiuntamente, offrendo entrambe al professionista la possibilità di mantenere inalterato il proprio margine di profitto lì dove vengano stipulati contratti che comportino un differimento della esecuzione della prestazione nel tempo.

Il giudizio di vessatorietà trova la sua ratio nell’asimmetrica posizione informativa in cui si trova il consumatore e che può essere rimediata con una apposita trattativa individuale avente ad oggetto le clausole in esame. Tuttavia mentre lo squilibrio inerente alla mancata determinazione del prezzo nel contratto può essere bilanciato solo attraverso la trattativa individuale, lo squilibrio in ordine allo ius variandi del prezzo fissato nel contratto può essere bilanciato anche da uno ius poenitendi concesso al consumatore.

Il rapporto tra la tematica della determinabilità del prezzo e quello della vessatorietà della clausola n. 12 va risolto in chiave di indipendenza e di autonomia. Avremo indeterminatezza del prezzo, e quindi nullità dell’intero contratto, se la determinazione del prezzo è rimessa al mero arbitrio del professionista, avremo invece determinabilità del prezzo, ma vessatorietà della clausola, quando la determinazione del prezzo risulta da oneri di calcolo per ciò solo non accollabili al professionista.

Infine si è visto come sia da considerare ammissibile l’intervento del giudice al fine di stabilire l’entità del prezzo lì dove la clausola venga giudicata vessatoria e quindi dichiarata inefficace, in quanto il suo intervento, lungi dal porsi in contrasto con il principio dell’autonomia privata, si esprime in un giudizio tecnico-economico in linea con la moderna legislazione del mercato.

Antonio Lordi

[1] Sul punto solo per citarne alcuni si veda A. DIURNI, sub art. 1469 bis 3° comma nn. 12 e 13, in Le clausole vessatorie nei contratti con i consumatori, Tomo I G. Alpa, S. Patti (a cura di) Milano 1997 p. 328; O.R. BARONE, sub art. 1469-bis, comma 3, n. 12, in Clausole vessatorie e contratto del consumatore (artt. 1469-bis e ss.) (a cura di) E. Cesàro, Padova, 1998, p. 304; G. CIAN, Il nuovo capo XIV-bis (Titolo II, Libro IV9 del Codice civile sulla disciplina dei contratti con i consumatori, in Studium iuris, 1996, p. 411.

[2] Negli artt. 1467 e ss. viene disciplinata la risoluzione per eccessiva onerosità, nella disciplina dei singoli contratti vengono individuate diverse ipotesi in cui al variare dei costi iniziali, o si prevede una facoltà di recesso (art. 1660 comma 2 c.c.) oppure la facoltà di richiedere la revisione del prezzo (art. 1664 c.c., 1623, 1584).

[3] La Cass. Con sentenza 8 luglio 1976, n. 2584 (inedita) affermò che la clausola di una vendita a consegne ripartite con cui il compratore si obbliga per le consegne future ad assoggettarsi ad eventuali aumenti di prezzo in relazione al variare della situazione di mercato non è vessatoria.

[4] In tal senso E. ROPPO, Contratti standard, autonomia e controlli nella disciplina delle attività negoziali di impresa, Milano 1989; E. QUADRI, Le clausole monetarie, autonomia e controllo nella disciplina dei rapporti monetari, Milano 1981.

[5] Ci sia consentito di rinviare a A. LORDI, Il prezzo nel contratto di scambio, in corso di pubblicazione, ID., Finanziamento finalizzato allo scambio e rischio per inadempimento del fornitore, in Foro nap., 1998, p. 181

[6] L. GUGLIELMUCCI, La clausola “prezzo in vigore al momento della consegna”, in Giur.it, 1973, IV, p. 225.

[7] L. BARASSI, Teoria generale delle obbligazioni. La struttura, Milano 1948, p. 166.

[8] D. RUBINO, La compravendita, Milano 1971, p. 194 n.12 ci segnala una lontana sentenza della Cassazione con la quale venne ritenuta valida la clausola con cui la Fiat accettando le prenotazioni e stabilendo un dato prezzo, si riservava il diritto di modificarlo ove poi, al momento della consegna, risultasse cambiato il prezzo generale di quel tipo di automobile. La validità di una clausola del genere veniva giustificata per lo stesso Rubino dal fatto che il venditore altro non fa che riferirsi a quello che sarà il prezzo corrente nel giorno della consegna.

[9] In Germania la normativa si esprimeva in tal senso sin dal 1976 infatti il Gesetz zur Regeung des Rechts der Allegmeinen Geschäftsbedingungen del 9 dicembre 1976 § 11.1 stabilisce l’inefficacia della clausola che prevede aumenti di prezzo per beni o prestazioni da consegnare o eseguire entro quattro mesi dalla conclusione del contratto. sul punto ULMER, BRANDNER, AGB – Gesets, Köln, 1977. Per il diritto tedesco si veda M. DALBOSCO, La “tagespreisklausel” nell’esperienza giuridica tedesca, in Riv.dir.civ., 1986, p. 102.

[10] D. RUBINO, op.cit., p. 197

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