Le azioni possessorie, disciplina giuridica e caratteri

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Sotto il profilo della tutela, le particolarità del possesso emergono nella loro interezza grazie alle azioni poste a garanzia del potere di fatto del possessore, a prescindere dalle indagini sulla sua legittimazione.

Le azioni a protezione dello ius possessionis, definite “strettamente possessorie”, si basano sul fatto stesso del possesso, anche se illegittimo, abusivo o di mala fede purché abbia i caratteri esteriori della proprietà o di altro diritto reale sulla cosa e il potere di fatto non sia esercitato per semplice tolleranza dell’avente diritto, ponendosi come rimedi meno complicati, in contrapposizione agli altri tipi di azione, come quelle petitorie, esperibili a tutela dei diritti reali, le quali presuppongono la prova della titolarità del diritto.

I rimedi strettamente possessori delineati dal legislatore (azioni posessorie), in base al tipo di lesione lamentata sono:

l’azione di reintegrazione della quale all’art. 1168 del codice civile, esperibile in presenza di uno spoglio violento e clandestino.

L’azione di manutenzione della quale all’art. 1170 del codice civile, nella duplice tipologia finalizzata ad eliminare la presenza di molestie e turbative (ex art. 1170 comma 1 c.c.) e a recuperare il possesso in caso di spoglio non violento o clandestino (c.d. “spoglio semplice”) (ex art. 1170, commi 2 e 3 c.c.).

Ai sensi dell’articolo 1168 comma 1 del codice civile

“Chi è stato violentemente od occultamente spogliato del possesso, può, entro l’anno dal sofferto spoglio, chiedere contro l’autore di esso la reintegrazione del possesso medesimo“.

L’azione di reintegrazione o di spoglio è pertanto esperibile se si sia stati privati del possesso. L’azione ha “funzione recuperatoria” essendo diretta al ripristino della preesistente situazione di fatto, con la conseguenza che non può essere proposta e dà luogo a risarcimento del danno nell’ipotesi di distruzione totale del bene in oggetto.

Ai fini della configurabilità dell’azione, lo spoglio deve essere attuato con violenza o clandestinità.

Sul requisito della violenza, la giurisprudenza consolidata sostiene che se lo spoglio sia avvenuto con la violenza fisica, le armi o simili, è sufficiente che sia avvenuto contro (o senza) la volontà effettiva, anche presunta, del possessore.

Sul requisito della clandestinità, si considera clandestino lo spoglio commesso all’insaputa del possessore o del detentore, che ne venga a conoscenza in un momento successivo, purchè l’inconsapevolezza non sia stata determinata dalla negligenza dello spogliato o di persone che lo rappresentino.

Oltre a implicare la sottrazione o la privazione del possesso, lo spoglio implica la restrizione o riduzione delle facoltà inerenti al potere della vittima o una turbativa tale da rendere più disagevole il godimento della res, oppure un mutamento di destinazione economica del bene in oggetto.

Per la configurabilità dello spoglio non è necessario che la privazione del possesso abbia carattere permanente o irreversibile, purché sia attuale e duratura, ovvero che non si riveli quale impedimento di natura provvisoria o transitoria, ma diretto a permanere per una durata apprezzabile di tempo.

Oltre all’elemento oggettivo, tradizionalmente ai fini dell’esperibilità dei rimedi possessori è richiesto l’elemento soggettivo dello spoglio, vale a dire l’animus spogliandi o turbandi, consistente nella consapevolezza di sostituirsi nella detenzione o nel godimento del bene contro la volontà dello spogliato, insito nel fatto stesso di privare del godimento della cosa il possessore o il detentore contro la loro stessa volontà espressa o tacita. In presenza di un ragionevole convincimento su un “consenso” anche implicito alla privazione del possesso, può escludersi la ricorrenza dello spoglio.

In merito alla legittimazione attiva, è subito da precisare che, a differenza di quanto previsto per l’azione di manutenzione, l’azione di spoglio compete sia al possessore che al detentore, purché non si tratti di detenzione per ragioni di servizio o di ospitalità, nell’interesse proprio.

A questo proposito, la Suprema Corte ha ribadito la legittimazione in questo senso del conduttore (o locatario), nella veste di detentore qualificato, del convivente more uxorio e dell’erede.

Legittimato passivo è sia l’esecutore materiale sia quello morale dello spoglio, perché un soggetto si possa considerare autore morale dello spoglio, anche se  non sia il mandante o colui che l’ha autorizzato, è necessario, ai fini della legittimazione passiva, che egli sia stato consapevole di trarre un vantaggio  da una situazione posta in essere dall’autore materiale.

L’azione di reintegrazione deve essere esercitata entro un anno dallo spoglio. Il termine annuale di decadenza non decorre dal giorno dell’effettiva scoperta del fatto lesivo, ma da quello nel quale lo stesso avrebbe potuto essere scoperto con l’ordinaria diligenza, per il computo dovrà farsi riferimento al primo atto effettivamente lesivo, quando i successivi siano stati posti in essere con le medesime modalità.

Ai sensi dell’articolo 1170 comma 1 del codice civile

“Chi è stato molestato nel possesso di un immobile, di un diritto reale sopra un immobile o di una universalità di mobili può, entro l’anno dalla turbativa, chiedere la manutenzione del possesso medesimo”.

L’azione di manutenzione presenta presupposti diversi rispetto a quella di reintegrazione.

Il possessore (e non anche il detentore, salvo che risulti intervenuta l’interversio possessionis (ex art. 1141 c.c.) di un bene immobile, di un diritto reale su un immobile o di un’universalità di mobili (e non di un bene mobile: altra nota differenziale rispetto all’azione di spoglio) è legittimato ad esperirla se subisca un disturbo “d’intensità apprezzabile“, al fine di ottenere una pronuncia giurisprudenziale che ordini al molestatore di cessare subito l’attività denunciata.

Un presupposto del tutto peculiare dell’azione è che il possesso dell’attore deve essere “continuo, ininterrotto e pacifico” e perdurare da almeno un anno, così come è di un anno, peraltro, il termine di decadenza stabilito per l’esercizio di tale strumento processuale.

Se il possesso sia stato acquistato in modo violento o clandestino, l’azione può nondimeno esercitarsi, decorso un anno dal giorno in cui la violenza o la clandestinità è cessata.

Stando all’articolo 1170, comma 3 del codice civile. l’azione di manutenzione è esperibile anche  con finalità recuperatorie in caso di spoglio non violento o clandestino.

Ai fini della configurabilità dell’azione, occorre che vi sia una “molestia” in atto al momento della proposizione della domanda, la quale si sostanzia, a differenza dello spoglio, non in una privazione del godimento del bene, ma in una turbativa dell’esercizio del possesso, purché le circostanze univoche e concorrenti escludano la volontà del possessore di far valere la propria posizione.

L’azione è esperibile sia nelle ipotesi di molestia di fatto che di diritto.

Le prime consistono in qualsiasi limitazione o turbativa della sfera del possesso altrui, le seconde in atti che modifichino o tendano a modificare il possesso o lo stato del possesso.

La giurisprudenza ha affermato che la molestia possessoria si può realizzare anche senza tradursi in attività materiali, attraverso manifestazioni di volontà che devono esprimere la ferma intenzione del dichiarante di tradurre in atto il suo proposito, mettendo in pericolo l’altrui possesso.

L’azione di manutenzione non richiede che il lavoro dal quale nasce la turbativa del possesso sia completato, essendo sufficiente l’obiettiva percezione della lesione del possesso da essa causata.

La riduzione in pristino, alla quale l’azione è diretta, può consistere non esclusivamente nella semplice riproduzione della situazione dei luoghi alterata o modificata, ma anche in un quid novi, laddove il rifacimento puro e semplice non sia idoneo a realizzare il ripristino stesso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dott.ssa Concas Alessandra

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