L’istituto dell’usucapione: definizione e caratteri

Redazione 15/01/20
Scarica PDF Stampa
L’usucapione costituisce un modo di acquisto a titolo originario della proprietà e dei diritti reali di godimento, fondato sull’inerzia del loro titolare e sul contemporaneo possesso del bene da parte di un altro soggetto.

Il protrarsi della relazione possessoria per il tempo richiesto dalla legge determina, infatti, l’automatica acquisizione al patrimonio dell’usucapente del diritto corrispondente alla situazione di fatto esercitata (art. 1158 c.c.).

Mentre nella prescrizione l’inerzia del titolare comporta la sola estinzione del diritto, nell’usucapione essa determina l’ulteriore conseguenza dell’acquisto di tale diritto da parte di altro soggetto. Tale istituto, infatti, non risponde solo ad un’esigenza di certezza circa l’attribuzione delle situazioni giuridiche soggettive, ma ha anche lo scopo di favorire chi, dimostrando interesse rispetto al bene, lo renda produttivo, facendo cosa utile non solo per sé ma anche per tutta la collettività. Ne deriva che la proprietà, diritto imprescrittibile per eccellenza, può essere perduta a causa dell’inerzia del titolare e dell’usucapione contestualmente maturata a favore di un terzo.

Il possesso

Elemento essenziale della fattispecie dell’usucapione è il possesso, non importa se di buona o di mala fede. Tali stati soggettivi rilevano infatti unicamente ai fini della determinazione del tempus ad usucapionem stabilito dalla legge per l’acquisto del diritto: vent’anni, nel caso di mala fede (art. 1158 c.c.); dieci anni, nel caso di possesso di buona fede supportato da un titolo astrattamente idoneo al trasferimento della proprietà e debitamente trascritto (art. 1159 c.c.).

La signoria di fatto sul bene deve poi protrarsi, in modo continuativo ed ininterrotto, per il tempo richiesto dalla legge.

La non interruzione

Quanto al requisito della non interruzione, si distingue tra interruzione naturale, che si verifica in caso di perdita del possesso del bene, e interruzione civile. Quest’ultima, in particolare, si ha quando nei confronti del soggetto, che pure mantiene la materiale disponibilità del bene, venga proposta un’azione giudiziale (ad esempio, di rivendicazione, di spoglio o di manutenzione) volta a privarlo di esso. All’usucapione si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni in materia di interruzione della prescrizione: ne deriva che, per il combinato disposto degli artt. 1165 e 2944 c.c., un’ulteriore ipotesi di interruzione civile può essere data dal riconoscimento, da parte dell’usucapente, del diritto del titolare.

La giurisprudenza sull’usucapione abbreviata nella donazione di cosa altrui

Le Sezioni Unite, con sentenza del 15 marzo 2016 n. 5068, ha risolto un accesso dibattito.

Occorre considerare che l’art. 769 c.c., il quale prevede due forme di donazione, l’una dispositiva e l’altra obbligatoria.

La donazione obbligatoria potrebbe allora consistere nell’assunzione da parte del donante dell’obbligo di procurare al donatario il bene altrui, essendo il primo mosso da spirito di liberalità nei confronti del secondo. In tal modo, la donazione di cosa altrui avrebbe immediata efficacia obbligatoria (e non, invece, effetti reali posticipati).

La donazione di cosa altrui può dunque essere considerata valida ove espressamente qualificata dal donante come una donazione obbligatoria, essendo quindi posta in essere con nella piena consapevolezza dell’altruità del bene donato.

In tal modo le Sezioni Unite affermano, ai fini della validità della donazione di cosa altrui, la necessità di una expressio causae (obbligatoria, essendo altrimenti la donazione dispositiva di cosa altrui da considerarsi nulla). Dalla necessità di esprimere chiaramente la natura obbligatoria della donazione si trae, al contempo, la sussistenza di una presunzione del carattere dispositivo della donazione (giacché la donazione si presume dispositiva, salvo che le parti non l’abbiano prevista come obbligatoria).

Viceversa, la donazione dispositiva di cosa altrui va ritenuta nulla per mancanza di causa (essendo così la donazione affetta da una causa di nullità strutturale e non virtuale). Affermano le Sezioni Unite che “l’esistenza nel patrimonio del donante del bene che questi intende donare rappresenti elemento costitutivo del contratto […] La non ricorrenza di tale situazione […] comporta la non riconducibilità della donazione di cosa altrui allo schema negoziale della donazione, di cui all’art. 769 c.c.. In altri termini, prima ancora che per la possibile riconducibilità del bene altrui nella categoria dei beni futuri, di cui all’art. 771 c.c., comma 1, la altruità del bene incide sulla possibilità stessa di ricondurre il trasferimento di un bene non appartenente al donante nello schema della donazione dispositiva e quindi sulla possibilità di realizzare la causa del contratto (incremento del patrimonio altrui, con depauperamento del proprio)”.

In sintesi, come affermato dalle Sezioni Unite, “se il bene si trova nel patrimonio del donante al momento della stipula del contratto, la donazione, in quanto dispositiva, è valida ed efficace; se, invece, la cosa non appartiene al donante, questi deve assumere espressamente e formalmente nell’atto l’obbligazione di procurare l’acquisto dal terzo al donatario. La donazione di bene altrui vale, pertanto, come donazione obbligatoria di dare, purché l’altruità sia conosciuta dal donante, e tale consapevolezza risulti da un’apposita espressa affermazione nell’atto pubblico ( art. 782 c.c.). Se, invece, l’altruità del bene donato non risulti dal titolo e non sia nota alle parti, il contratto non potrà produrre effetti obbligatori, né potrà applicarsi la disciplina della vendita di cosa altrui”.

Volume consigliato

Redazione

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento