Le associazioni in partecipazione

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La disciplina dell’associazione in partecipazione, è contenuta nel libro V “Del lavoro” del codice civile, all’articolo 2549 e seguenti.

L’articolo 2549 del codice civile, rubricato “nozione” si compone di due commi e recita testualmente:

“Con il contratto di associazione in partecipazione l’associante attribuisce all’associato una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari verso il corrispettivo di un determinato apporto.

Qualora l’apporto dell’associato consista anche in una prestazione di lavoro, il numero degli associati impegnati in una medesima attività non può essere superiore a tre, indipendentemente dal numero degli associanti, con l’unica eccezione nel caso in cui gli associati siano legati all’associante da rapporto coniugale, di parentela entro il terzo grado o di affinità entro il secondo. In caso di violazione del divieto di cui al presente comma, il rapporto con tutti gli associati il cui apporto consiste anche in una prestazione di lavoro si considera di lavoro subordinato a tempo indeterminato.”

L’associazione in partecipazione fa parte dei contratti tipici disciplinati dal codice civile italiano.

In particolare, è il negozio giuridico con il quale una parte, che prende il nome di associante, attribuisce a un’altra parte, che prende il nome di associato, il diritto ad una partecipazione agli utili della propria impresa o, in base alla volontà delle parti contraenti, di uno o più affari determinati, dietro il corrispettivo di un apporto da parte dell’associato.

Questo apporto, secondo la giurisprudenza prevalente, può essere di natura patrimoniale ma potrà anche consistere nell’apporto di lavoro, o nell’apporto misto capitale e lavoro.

Dalla definizione civilistica si deduce siamo davanri ad un negozio giuridico sinallagmatico obbligatorio, vale a dire a prestazioni corrispettive.

La disciplina civilistica prevede una partecipazione, da parte dell’associato, al rischio della gestione dell’impresa o degli affari dedotti in contratto:

questo avviene se il risultato della gestione dell’attività dedotta in contratto, o dei singoli affari, risulti in perdita.

A fronte della partecipazione al rischio, essa prevede anche, come contrappeso, alcuni obblighi di rendicontazione periodica in capo all’associante, che formalizzano un diritto di ingerenza nella gestione in capo all’associato.

Nonostante la partecipazione agli utili e al rischio, l’associazione in partecipazione si distingue nettamente dal contratto di società, perché l’attività di impresa è esclusivamente a carico all’associante, che assume a sé i relativi diritti ed obblighi.

L’associato, come corrispettivo dell’apporto fornito, avrà diritto, alla scadenza del contratto, al capitale apportato aumentato degli eventuali utili realizzati, nella percentuale stabilita.

Se non è stato concordato in modo diverso, il contratto comporterà la partecipazione alle eventuali perdite registrate dalla gestione dell’affare, o degli affari, oggetto del contratto.

La partecipazione alle perdite non potrà, in nessun caso, superare l’ammontare dell’apporto, vale a dire del capitale o del lavoro apportato, suscettibile, anche questo, di una valutazione economica.

La giurisprudenza, ammette l’esclusione o la limitazione della partecipazione alle perdite da parte dell’associato.

A questo proposito è stata ritenuta compatibile, con lo schema contrattuale, la clausola che garantisca che all’asociato spetti un minimo garantito, anche in presenza di utili esigui o addirittura di perdite.

È possibile inoltre stabilire la corresponsione degli utili maturati, a scadenze intermedie rispetto alla vigenza temporale del contratto, e la corresponsione di anticipi sugli utili futuri, che saranno oggetto di conguaglio in sede di rendicontazione della gestione.

In questo modo, ad esempio, si potrà avere un contratto pluriennale che preveda la rendicontazione annuale degli utili, e allo stesso modo potranno essere stabiliti acconti mensili da conguagliare, in negativo o in positivo, alle scadenze annuali.

In riferimento agli obblighi delle parti, l’associato avrà diritto al controllo della gestione dell’affare o dell’attività dell’associante e, se il contratto ha durata superiore a un anno, alla relazione annuale.

I poteri di controllo dell’associato possono essere contrattualmente ampliati.

L’associante non può stipulare ulteriori contratti di associazione in partecipazione senza il consenso del precedente associato.

Il contratto di associazione in partecipazione può essere trasferito a terzi, nelle forme e con i limiti della cessione del contratto.

La tutela assicurativa e previdenziale dell’associato è prevista nel caso di apporto esclusivo di lavoro.

Costui avrà l’obbligo di iscrizione alla gestione separata dell’Inps mentre l’obbligazione contributiva grava esclusivamente sull’associante, fatta salva la facoltà di esercitare una rivalsa sull’associato per una quota parziale, stabilita per legge, della contribuzione.

Se sussiste il relativo rischio, da decidersi sulla base della tipologia lavorativa, nasce, esclusivamente in capo all’associante, l’obbligo dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro presso l’Inail.

Il contratto di associazione in partecipazione si differenzia dal contratto di lavoro subordinato.

Da una parte nella effettiva partecipazione dell’associato alla gestione dell’impresa, eventualmente questa andrà investigata nell’esistenza di un rendiconto periodico messo a disposizione dell’associato dall’associante, e in secondo luogo, nella qualificazione giuridica della controprestazione dell’associante.

Se le erogazioni non siano quantitativamente e qualitativamente adeguate rispetto all’aleatorietà del contratto in oggetto, ma siano idonee a integrare una forma di retribuzione vera e propria, attraverso la corresponsione di un fisso periodico che soddisfi i requisiti dei quali all’art.36 della Costituzione, e una quasi nulla partecipazione agli utili dell’impresa, la conversione in un contratto di lavoro subordinato agirà ex lege.

Stando alla natura del contratto, resta fermo in capo all’associante, il potere di imporre direttive generiche.

Al contrario, ci sarà subordinazione, quando di fatto si ravvisi in capo al datore un generico potere di porre direttive nella determinazione del quantum della prestazione, in ogni momento dello svolgimento del rapporto di lavoro ( ex art. 2094 c.c).

Il contratto di associazione in partecipazione con apporto di lavoro, esclusivo o misto, è oggetto di una giurisprudenza, di legittimità e di merito, letteralmente sterminata.

La sua diffusione e popolarità, nel sistema economico italiano, è tradizionalmente collegata a fenomeni di irregolarità e di elusività realtivi ai profili giuridici della normativa obbligatoria in materia di lavoro subordinato e previdenza sociale.

Le fonti del settore sostengono che dall’ottobre del 2011, i sindacati Filcams CGIL e Nidil CGIL hanno dato vita a una campagna per smascherare gli abusi legati all’associazione in partecipazione, che prende il nome di “Dissociati”, e hanno raccolto oltre un centinaio di segnalazioni da parte di lavoratori e inoltrato richieste di incontro alle aziende segnalate, arrivando in numerosi casi ad accordi di stabilizzazione per gli associati in partecipazione.

Dott.ssa Concas Alessandra

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