Le adozioni omogenitoriali. Breve excursus della normativa e della giurisprudenza nell’Unione Europea e in Italia in attesa del nuovo disegno di legge sulla stepchild adoption

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Introduzione

Dopo il recente voto del Senato sul disegno di legge in materia di unioni civili e convivenze di fatto, ancora non cessano le polemiche all’interno della stessa maggioranza parlamentare che sostiene il Governo per lo stralcio della norma sulla c.d. stepchild adoption, cioè l’istituto giuridico che consente al figlio di essere adottato dal partner, unito civilmente oppure sposato, del proprio genitore.

In attesa che il Legislatore superi l’empasse politica, si ritiene utile esaminare brevemente la normativa e la giurisprudenza comunitaria ed italiana in materia di adozioni omogenitoriali.

 

Unione Europea

Già nel gennaio 2008 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (European Court of ************ Case of E.B. v. France, *********** no. 43546/02) aveva accolto il ricorso di una donna francese a cui era stato negato, in quanto single e omosessuale, di adottare un minore, come riconosciuto invece a single eterosessuali.

Successivamente, nel febbraio 2013 la CEDU (cfr. Corte Europea Diritti dell’Uomo, Grande Camera, 19.2.2013, omissis e altri c. Austria, ric. n. 19010/07) ha sentenziato che costituisce discriminazione per orientamento sessuale e violazione del diritto al rispetto della vita familiare negare ad una donna austriaca la possibilità di adottare il figlio della propria convivente come consentito all’interno delle coppie conviventi di sesso diverso.

 

Ordinamento giuridico italiano

In Italia le adozioni sono disciplinate dalla L. 4 maggio 1983 n. 184, “Diritto del minore ad una famiglia”. Secondo l’art. 6 c. 1 “L’adozione è consentita a coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni.”, ma sono previste deroghe per alcuni casi specifici. L’art. 44 c. 3, infatti, consente l’adozione, “oltre che ai coniugi, anche a chi non è coniugato” nei seguenti casi:

– persone unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo, quando il minore sia orfano di padre e di madre;

– quando il minore si trovi nelle condizioni indicate dall’articolo 3, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e sia orfano di padre e di madre;

– quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo.

La ratio legis trova una espressa manifestazione nell’art. 57 n. 2, laddove impone al Tribunale di verificare se l’adozione ex art. 44 realizza il preminente interesse del minore“. Si tratta di una precisazione di grande rilevanza: è pur vero che tutta la normativa sull’adozione si ispira alla realizzazione di tale interesse, ma l’esigenza avvertita dal Legislatore di far esplicito riferimento ad esso trova ragione proprio perché la norma chiede requisiti meno rigorosi di quelli previsti per gli adottanti in via legittimante, con un procedimento più rapido e semplificato. Pertanto il legislatore con l’art. 44, oltre ad aver posto precisi limiti ed individuato casi tassativi per limitare la portata dell’istituto, lo circonda di ulteriori cautele, precisando che comunque sarà necessaria un’ulteriore valutazione, cioè che l’adozione realizzi il “preminente interesse del fanciullo” (cfr. sentenza della Corte di Cassazione, Sez. Civile, n. 21651 del 19 ottobre 2011). Peraltro, se l’apprezzamento e la realizzazione di tale interesse costituiscono il limite invalicabile dell’applicazione dell’istituto, essi rappresentano anche una importante chiave interpretativa dello stesso.

Ora, nel caso previsto dall’art. 44 c. 3 lett. d), “constatata impossibilità di affidamento preadottivo”, si ritiene che l’impossibilità debba essere intesa non solo impossibilità de facto, ma anche impossibilità de iure, come nel caso di coppie omosessuali che, al momento, in Italia non possono unirsi in matrimonio.

Senza fare riferimento all’attuale dibattito politico sulle unioni civili, è necessario notare che le disposizioni in materia di adozioni basate sul modello di “famiglia tradizionale” non garantiscono in concreto l’interesse del minore ad avere stabilità affettiva ed educativa, dal momento che il matrimonio non può essere considerato indice di stabilità della coppia, preso atto che la solidità del vincolo matrimoniale è smentita dall’alta percentuale di se separazioni e divorzi.

Orbene, l’adozione ai sensi dell’art. 44 c. 1 lett. d) non può non applicarsi anche a conviventi del medesimo sesso, dal momento che tale articolo non discrimina tra coppie conviventi eterosessuali o omosessuali, anche alla luce degli artt. 2, 3, 29 e 30 Cost. e dei principi della Convenzione Europea sui Diritti Umani e le Libertà Fondamentali (c.d. CEDU) a cui l’Italia ha scelto di aderire.

 

Tribunale per i Minorenni di Roma, sentenza n. 299 del 30 luglio 2014

Una coppia di donne omosessuali, dopo essere andate all’estero per ricorrere alla procedura di  procreazione eterologa e dopo la nascita di una bambina, figlia biologica di una di loro, hanno proseguito nel progetto di maternità rivolgendosi al Tribunale per il riconoscimento della minore.

Con sentenza n. 299 del 30 luglio 2014, il Tribunale per i Minorenni di Roma ha accolto il ricorso ai sensi della L. 184/1983 art. 44, spiegando che: “… nella fattispecie che ci occupa la ricorrente chiede disporsi nei propri confronti l’adozione della figlia della propria convivente. Ebbene, nella nostra normativa di settore non v’è divieto alcuna, a giudizio di questo Collegio, per la persona singola, quale che sia il suo orientamento sessuale, ad adottare. Esclusivamente per l’adozione legittimante (nazionale ed internazionale) viene richiesto che ad adottare siano due persone unite da rapporto di coniugio riconosciuto dall’ordinamento italiano; ma nel nostro sistema il legislatore ha introdotto una seconda forma di adozione – l’adozione in casi particolari- in base alla quale, nell’interesse superiore del minore, la domanda di adozione può essere proposta anche da persona singola, ai sensi del combinato disposto dell’art. 44 lettera d) e dell’art. 7 della medesima L. 184/83. Nessuna limitazione è prevista espressamente, o può derivarsi in via interpretativa, con riferimento all’orientamento sessuale dell’adottante o del genitore dell’adottando, qualora tra di essi vi sia un rapporto di convivenza.

In questo caso, la sentenza ha dato un’interpretazione ampia della norma, riconoscendo che l’impossibilità di affidamento preadottivo può essere una impossibilità non solo de facto, che consente di realizzare l’interesse preminente di minori in stato di abbandono ma non collocabili in affidamento preadottivo, ma anche una impossibilità de iure, che permette di tutelare l’interesse di minori (anche non in stato di abbandono) al riconoscimento giuridico di rapporti di genitorialità più compiuti e completi. Tale interpretazione è pienamente conforme alla littera legis, che prevede come unica condizione per l’adozione ai sensi dell’art. 44 c. 1 lett. d) l’impossibilità dell’affidamento preadottivo. Essa ha altresì consentito di realizzare l’interesse superiore del minore in linea con la ratio legis, che una interpretazione più restrittiva avrebbe invece seriamente limitato.

 

Tribunale  per i Minorenni di Bologna, Ordinanza n. 4701 del 10 novembre 2014 e Corte Costituzionale, sentenza del 24 febbraio 2016

Nel caso in esame una donna presentava ricorso per il riconoscimento della sentenza straniera, ai sensi L. 218/1995 art. 41, con la quale si disponeva l’adozione piena della figlia minore della sua partner, con cui aveva contratto matrimonio negli Stati Uniti d’America e con cui conviveva regolarmente da circa venti anni.

Secondo il Tribunale, “Il matrimonio celebrato all’estero tra persone di sesso uguale non è più considerabile come contrario all’ordine pubblico: la concezione secondo cui la diversità di sesso dei nubendi è presupposto indispensabile, per così dire naturalistico della stessa esistenza del matrimonio non è più condivisibile, alla luce del mutato quadro sociale ed europeo. Il matrimonio same-sex, infatti, non è inesistente ma improduttivo di effetti giuridici in Italia per l’assenza di una specifica Legge (Cass. Civ., sez. I, sentenza 15 marzo 2012 n. 4184, **************, rel. Di *****). Ciò discende dal fatto che la coppia formata da persone dello stesso sesso è, comunque, da considerare come “famiglia” (CEDU, ****** & ***************; più di recente, v. Corte EDU 19 febbraio 2013, X e altri c/ Austria, c. 19010/07) e rientra nell’ambito delle formazioni sociali presidiate dall’art. 2 della Carta costituzionale (Corte Cost., 11 giugno 2014 n. 170). A ben vedere, si “sgretola” allora uno dei principali motivi che ostava al riconoscimento, in Italia, di un legame familiare tra un minore e due genitori omosessuali: che il rapporto trai medesimi urtasse contro l’ordine pubblico interno. Così più non è e certo non potrà più essere. Il matrimonio same-sex è semplicemente inefficace in Italia ma non inesistente.”. Nonostante ciò, il Tribunale ha sollevato il dubbio se l’adozione del minore all’interno di una famiglia composta da genitori omosessuali sia compatibile con l’ordine pubblico interno ai sensi del combinato disposto della L. 218/1995 art. 41 e della L. 183/1984 art. 44. Per questi motivi, continua il Tribunale, “… si sospetta la illegittimità costituzionale degli artt. 35, 36 della legge 184/1983 nella parte in cui – come interpretati secondo ******* vivente – non consentono al giudice di valutare, nel caso concreto, se risponda all’interesse del minore adottato (all’estero), il riconoscimento della sentenza straniera che abbia pronunciato la sua adozione in favore del coniuge del genitore, a prescindere dal fatto che il matrimonio stesso abbia prodotto effetti in Italia (come per la fattispecie del matrimonio tra persone dello stesso sesso).” Conseguentemente, il Tribunale  ha ritenuto necessario “… sollevare questione di legittimità costituzionale degli artt. 35, 36 Legge 184/1983 nella parte in cui – come interpretati secondo ******* vivente – non consentono al giudice di valutare, nel caso concreto, se risponda all’interesse del minore adottato, il riconoscimento della sentenza straniera che abbia pronunciato la sua adozione in favore del coniuge del genitore, a prescindere dal fatto che il matrimonio del caso abbia prodotto effetti in Italia (come per la fattispecie del matrimonio tra persone dello stesso sesso).

Chiamata a decidere della questione, la Corte Costituzionale, con sentenza del 24 febbraio 2016 ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità sollevata dal Tribunale per i Minorenni di Bologna, specificando che la questione di legittimità costituzionale promossa dal Tribunale per i Minorenni di Bologna è stata dichiarata inammissibile perché il collegio di merito “… ha erroneamente trattato la decisione straniera come un’ipotesi di adozione da parte di cittadini italiani di un minore straniero (cosiddetta adozione internazionale), mentre si trattava del riconoscimento di una sentenza straniera, pronunciata tra stranieri.”

Da ciò si deduce che la decisione della Consulta non sia nel merito ma sulla procedura, in quanto era necessario seguire il procedimento di cui alla L. 218/1995 art. 41 c. 1, cioè rivolgersi in primis ad Ufficiale dello Stato Civile e soltanto successivamente, in caso negativo, ad Giudice ordinario.

 

Corte d’Appello, Milano, sentenza del 16 ottobre 2015

Con la sentenza della Corte di Appello di Milano del 16 ottobre 2015, attraverso la trascrizione del provvedimento straniero è stata riconosciuta, per la prima volta in Italia, una adozione c.d. legittimante della minore da parte della sua mamma sociale.

Nel caso di specie due donne cittadine italiane si erano unite in matrimonio civile secondo la legge spagnola che consente il matrimonio tra persone del medesimo sesso.  Una delle due donne, a seguito di fecondazione eterologa assistita, ha partorito una bambina, da lei sola riconosciuta; la coppia poi ha convissuto, formando una famiglia di fatto in Spagna, nelle isole Canarie, e le due donne hanno cresciuto, mantenuto ed educato insieme la bambina sin dalla sua nascita.

Su richiesta di ambedue le donne, è stata emessa da un Tribunale spagnolo l’ordinanza con cui è stata dichiarata l’adozione della minore da parte della coniuge della madre biologica, a cui è stata così attribuita la piena responsabilità genitoriale.

Successivamente, su domanda congiunta delle coniugi, la stessa Autorità Giudiziaria spagnola ha dichiarato sciolto mediante divorzio il matrimonio, con approvazione dell’accordo regolatore intervenuto tra le parti, già approvato dal PM, riguardante sia i rapporti economici tra le due donne sia l’affido della figlia delle stesse, stabilito in via congiunta, la regolamentazione dei rapporti tra la bambina e ciascuna genitrice, il contributo di ciascuna madre al mantenimento e alle spese di cura, educazione e istruzione della bambina.

In seguito, la madre adottante si è rivolta al Tribunale per i Minorenni di Milano chiedendo il riconoscimento degli effetti civili interni dell’ordinanza di adozione spagnola della minore e degli effetti legittimanti della predetta adozione e con ordine all’Ufficiale di Stato Civile di trascrizione del provvedimento; il Tribunale per i Minorenni di Milano ha però respinto la domanda, rilevando che nel caso di specie si discute non già di un’adozione internazionale, ma di un’adozione nazionale realizzata all’estero da parte di cittadina italiana di altra minore italiana figlia della coniuge, disciplinata in Italia dalla L. 184/83 art. 44 c. 1 lett. b), che la competenza del Tribunale per i Minorenni in materia di adozione all’estero riguarda esclusivamente l’adozione legittimante del minore straniero in stato di effettivo abbandono all’estero e che non sussistono pertanto i presupposti di cui alla L. 218/1995 art. 41 c.2., per una deroga dalla regola generale riguardante la competenza della Corte d’Appello con riguardo al riconoscimento di sentenze e provvedimenti stranieri; ha infine invitato la ricorrente a richiedere la trascrizione dell’ordinanza di adozione direttamente all’Ufficiale di stato ******.

Quindi, la madre adottante ha presentato istanza di trascrizione, ma l’Ufficiale di stato Civile italiano ha rifiutato di procedere, spiegando che “il caso specifico non rientra in alcuna delle previsioni di cui all’art. 44 della legge 184/1983, ed, in particolare, nella fattispecie di cui al comma 1, lett. b” in quanto “per il nostro ordinamento non risulta essere coniuge della madre dell’adottata”.

La madre adottante ha perciò depositato ricorso presso la Corte d’Appello di Milano, competente per il riconoscimento di sentenze e provvedimenti stranieri, per chiedere di riconoscere ai fini della legge italiana l’ordinanza spagnola di adozione della minore e di ordinare la trascrizione del provvedimento al Comune italiano di residenza; ha altresì chiesto di ordinare all’Ufficiale di Stato Civile italiano la trascrizione sia dell’atto di matrimonio sia della sentenza di divorzio sia dell’accordo regolatore del divorzio.

In merito al riconoscimento e la trascrizione dell’atto di matrimonio contratto in Spagna e della sentenza di divorzio emessa in Spagna, la Corte d’Appello ha rigettando le domande, richiamando una propria recente giurisprudenza (cfr. sentenza Corte d’Appello di Milano del 6 novembre 2015) secondo cui il matrimonio contratto all’estero tra persone dello stesso sesso non è né riconoscibile né trascrivibile in Italia in quanto “inidoneo a produrre effetti” (cfr. Cass. civ., sez. I, 9 febbraio 2015, n. 2400; 15 marzo 2012, n. 4184);. allo stesso modo è stata rigettata la domanda relativa alla trascrizione dell’accordo regolatore, recepito nella sentenza di divorzio intervenuta tra le parti, “per il quale” la normativa sull’Ufficio dello Stato Civile “non prevede nessuna forma di trascrizione”.

In merito alla domanda di riconoscimento e trascrizione dell’ordinanza di adozione, invece, la Corte d’Appello ha richiamato giurisprudenza sia nazionale sia europea. In primis, è stato confermato “come costituisca mero pregiudizio ritenere che sia dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale e come ogni situazione deve essere valutata singolarmente, tenuto conto del preminente interesse del minore rispetto alle figure genitoriali e al suo diritto di convivere e/o mantenere regolari rapporti significativi con tutte le figure adulte di riferimento, indipendentemente dalle loro tendenze sessuali, ritenute in concreto adeguate ad assicurargli l’affetto e la cura indispensabili per la sua armoniosa crescita” (sentenza della Corte di Cassazione, Sez. I Civile, n. 601 del 11 gennaio 2013); inoltre, continua il Collegio, “… la Corte EDU ha più volte sottolineato l’obbligo per l’autorità giudiziaria di uno Stato aderente alla Convenzione, di assumere decisioni riguardanti minori, tenendo prioritariamente conto del superiore interesse del minore, valutato in concreto, al mantenimento della propria vita familiare ex art. 8 CEDU e alle relazioni instaurate con le figure genitoriali di riferimento, ribadendo il principio che anche le relazioni omosessuali rientrano nella nozione di vita familiare, e ciò ha fatto anche nelle sentenze in cui si è occupata di riconoscimento della sussistenza di una vita familiare tra il minore e figure genitoriali nelle ipotesi di maternità “surrogate” non consentite dagli ordinamenti nazionali (vedi le sentenze Menesson c. Francia, ric. n. 65192, Labassee c. Francia ric. n. 65941, emesse nel 2014; ******** e ********** c. Italia del 27 gennaio 2015)

Secondo la Corte d’Appello, pertanto, “non vi è alcuna ragione per ritenere in linea generale contrario all’ordine pubblico un provvedimento straniero di adozione piena tra una persona non coniugata e il figlio riconosciuto del partner, anche dello stesso sesso, una volta valutato in concreto che il riconoscimento dell’adozione, e quindi il riconoscimento di tutti i diritti e doveri scaturenti da tale rapporto, corrispondono all’interesse superiore del minore al mantenimento della vita familiare con ambedue le figure genitoriali”. Anzi, continua il Collegio, l’adozione piena da parte della madre adottante “appare idonea ad attribuire alla minore un insieme di diritti molto più ampio e vantaggioso di quello garantito dall’adozione disciplinata dagli art. 44 e segg. della L. 184/1983, anche nei confronti della famiglia d’origine dell’adottante, con la quale”– la minore – “sembra aver sempre mantenuto rapporti affettivi e di vicinanza significativi.”

Infine, la Corte d’Appello ha dato atto che l’accordo regolatore tra le due donne riguardante le condizioni relative alla responsabilità genitoriale nei confronti della figlia minore, recepito e omologato dal giudice spagnolo con la sentenza di divorzio “è riconosciuto in Italia ex artt. 21 e segg. Reg. CE 2201/2003.

Concludendo, questa sentenza può essere considerata storica in materia di omogenitorialità, in quanto riconosce anche nell’ordinamento giuridico italiano la c.d. stepchild adoption all’interno di un matrimonio omosessuale.

 

Tribunale, Roma, sentenza n. 291 del 22 settembre 2015

Nel caso di specie, una donna ha presentato ricorso per chiedere l’adozione della figlia minore della propria compagna, nata grazie alla pratica della procreazione assistita.

Secondo il Collegio, il ricorso merita accoglimento ai sensi della L. 183/1984 art. 44 c. 1 lett. d), perché l’adozione risponde al preminente interesse della minore medesima.

Nel caso concreto, negare alla minore il legame con la madre e la sua compagna, che il Tribunale stesso ha riconosciuto non essere diverso da un vero e proprio rapporto genitoriale, sarebbe un atto contrario proprio all’interesse della minore garantito dalla ratio della norma e dai principi costituzionali ed europei già esaminati.

 

Conclusioni

Concludendo, in materia di adozioni omogenitoriali, non si tratta di concedere ex novo un diritto, ma di riconoscere una situazione giuridica de facto già esistente, senza alcun pregiudizio né politico né religioso, sempre nell’interesse del minore.

 

Dott. Assenza Carmelo

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