Le A dell’arte genitoriale

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La genitorialità, come ogni esperienza umana, non la si può definire ma si può cercare di riempirla di contenuti. Non va esercitata ma espressa come l’arte1 (etimologicamente “muoversi verso qualcosa, suscitare”) e quando necessario come l’arteterapia (per non incorrere negli episodi sempre più frequenti di famiglie patogene o patologiche). “Nell’atto di creazione di ciascun individuo l’arte nutre l’anima, coinvolge le emozioni e libera lo spirito, e questo può incoraggiare le persone a fare qualcosa semplicemente perché vogliono farlo. L’arte può motivare tantissimo, poiché ci si riappropria, materialmente e simbolicamente, del diritto naturale di produrre un’impronta che nessun altro potrebbe lasciare ed attraverso la quale esprimiamo la scintilla individuale della nostra umanità” (lo psicologo Bernie Warren2). Questa definizione si addice all’arte genitoriale di cui si possono descrivere le modalità espressive con una sorta di tautogramma con la lettera A.

Attesa (dal latino “ad” e “tendere”, badare a, dedicarsi a), che non si riferisce solo ai nove mesi della gravidanza, ma si estende ad un atteggiamento che bisogna avere nei confronti dei figli che non vanno caricati delle proprie ansie e aspettative. Essi hanno i loro ritmi e i loro tempi, i loro diritti naturali, tra cui il “diritto al silenzio” e il “diritto alle sfumature” (dagli ultimi due punti del decalogo non normativo elaborato da Gianfranco Zavalloni). Attesa ha lo stesso significato profondo di attenzione e rispetto, dovuti non solo nei confronti dei propri figli ma anche dei figli degli altri perché la genitorialità è anche questo. Invece accade il contrario perché, come afferma la psicoterapeuta infantile Silvia Vegetti Finzi, “viviamo purtroppo in una società dell’egoismo proprietario” per cui anche i figli sono visti “come strumenti per esercitare il nostro narcisismo esasperato. Ed affermare, attraverso di loro, tutte le nostre aspirazioni più nascoste. Non individui, dunque, ma soggetti di proprietà dei genitori. Da accontentare senza limiti e tutelare, in quanto parte di noi” (Elisabeth Young-Bruehl, psicoanalista americana) e da difendere da tutto e tutti, anche dai figli degli altri.

Autonomia, capacità di darsi delle regole, non è solo la potestà genitoriale in senso giuridico ma anche autonomia psicologica rispetto alle mode, al conformismo, al lassismo e rispetto ai figli stessi cui non vanno imposte regole, ma di cui non bisogna nemmeno subire le regole, perché le regole familiari vanno date e condivise. I figli vanno educati all’autonomia, come si ricava dalla Convenzione Internazionale sui Diritti del’Infanzia del 1989 (cosiddetta Convenzione di New York) e in particolare dall’art. 12 in cui è tutelata l’autonomia di pensiero e dall’art. 23 par. 1 in cui è tutelata l’autonomia del fanciullo disabile. Di autonomia si parlava già nell’art. 3 della “Carta dei diritti del fanciullo al gioco e al lavoro” del 1967 (cosiddetta Carta italiana) che recita incisivamente: “[…] occorre che la famiglia si renda conto della autonomia del fanciullo e carattere decisivo che ha per il suo sviluppo”. L’autonomia è talmente importante che si organizzano percorsi di autonomia in alcuni settori.

Affettività (dal latino “ad”, verso e “facere”, fare, “provvedere di, mettere in un certo stato”) che non è solo affetto, ma è tutta “un’atmosfera di affetto e di sicurezza materiale e morale” (art. 6 Dichiarazione dei diritti del bambino del 1959) che include l’educazione sentimentale e sessuale. È misurare le dinamiche di attaccamento in modo tale che non s’ingeneri né affezione in senso morboso né anaffettività. È curare l’ambiente familiare, l’atmosfera (locuzioni che si leggono nel Preambolo della Convenzione di New York). È favorire le relazioni affettive di cui ogni figlio ha bisogno (art. 2 comma 1 L. 4 maggio 1983 n. 184 “Diritto del minore ad una famiglia”, come modificata dalla L. 28 marzo 2001 n. 149), relazioni che vanno salvaguardate anche in caso di separazione dei coniugi (art. 155 comma 1 cod. civ.).

Accordo (dal latino “ad”, verso e “cor”, cuore), come previsto nell’art. 316 comma 2 cod. civ., che si estrinseca anche negli accordi in caso di separazione dei coniugi (art. 155 comma 2 cod. civ.). Accordo espressione di armonia, quella funzione di congiungimento, di concordanza coessenziale all’essere genitori, per cui in caso di incapacità si hanno interventi come la mediazione familiare ed altri. L’armonia è necessaria “per il pieno ed armonioso sviluppo” della personalità dei figli (dal Preambolo della Convenzione del 1989).

Adempimento (dal latino “ad”, verso e “implere”, riempire) non solo nel senso giuridico (art. 31 Costituzione, art. 148 comma 1 cod. civ.), ma anche nel senso letterale di dare pienezza alla vita dei figli sotto il profilo fisico, mentale, spirituale, morale e sociale (art. 27 par. 1 Convenzione di New York), per evitare ogni forma di analfabetismo da quello cognitivo a quello affettivo. Sinonimi di adempimento sono assolvimento (art. 18 par. 1 Convenzione del 1989) e assunzione (letteralmente “prendere con sé”), perché i figli vanno presi con sé, e non per sé, ed accompagnati affinché diventino capaci, poi, di camminare con le proprie gambe.

Affidamento (dal latino “ad”, verso e “fides”, fede, fiducia), che è tale non solo in caso di separazione dei coniugi (art. 155 cod. civ.) o in caso di difficoltà dei genitori (affidamento familiare, artt. 2-5 L. 184/1983 legge sull’adozione), ma è tutta la relazione che è basata sul consegnare alla cura, rimettere nella fiducia. In altre parole tra genitori e figli, come d’altronde in tutte le relazioni familiari e interpersonali, non vi è possesso (infatti le fonti normative non usano gli aggettivi possessivi in riferimento ai figli) ma tutt’al più appartenenza intesa come far parte l’uno della vita dell’altro che è e rimane altro.

Allevamento (dal latino “ad”, verso e “levare”, alzare), di cui si parla per tre volte nell’art. 18 della Convenzione Internazionale sui Diritti del’Infanzia. Allevare significa “far crescere un bambino prestandogli tutte le cure necessarie per un completo sviluppo”. Il criterio deve essere, pertanto, la cura (più volte menzionata nella Convenzione), senza cadere nell’ipercura o incuria o discuria. Allevare significa anche praticare la cosiddetta “pedagogia verticale”, cioè far “ricuperare le cime” ai figli (il pedagogista Pino Pellegrino), allenarli ai valori, richiamati nell’art. 29 par. 1 lettera c della Convenzione di New York. Allevamento è anche accudimento (art. 7 par. 1 Convenzione di New York) e assistenza.

Abbraccio, perché come dimostrato dagli studi, seppure discutibili, dello psicologo americano Harry Harlow per crescere si ha bisogno di calore. Non ci si deve trincerare dietro lo slogan che conta la qualità e non la quantità con i figli, ma fermarsi più tempo con loro e far sentire la vicinanza fisica. Nell’art. 9 par. 3 della Convenzione di New York si parla di “contatti diretti”. Come si usa l’abbraccio terapeutico (holding) in alcune forme di autismo o altre patologie, così si dovrebbero abbracciare più spesso i figli – senza eccedere nella “pedagogia dello zucchero” (Pino Pellegrino) – per non sfociare in forme di “autismo collettivo” davanti al computer o altre disfunzioni relazionali. “E anche quando il figlio non avrà più bisogno di essere preso in braccio, di essere cullato, ricorrerà al calore dell’abbraccio materno se le avversità della vita lo metteranno in crisi” (Ada Fonzi, esperta di psicologia dello sviluppo).

Alleanza educativa tra i due genitori e con gli altri soggetti educativi, come sostenuto dagli esperti (per es. lo psicologo Osvaldo Poli) e dalla legislazione scolastica, perché “in tutte le decisioni riguardanti i fanciulli […] l’interesse superiore del fanciullo deve costituire oggetto di primaria considerazione” (art. 3 par. 1 Convenzione Internazionale sui Diritti del’Infanzia).

Associazionismo, previsto nell’art. 16 comma 2 lettera c della L. 328/2000 sul sistema integrato di interventi e servizi sociali, come forma di mutuo aiuto tra le famiglie per il sostegno alla genitorialità. L’associazionismo non è solo una forma di auto-mutuo aiuto che ha una funzione assistenziale ma è una forma di autoeducazione e di educazione dei figli, è un’apertura verso gli altri contro il dominante isolamento, un ritorno al passato quando nei buoni rapporti di vicinato si lasciavano i bambini alla vicina di casa. L’associazionismo, espressione della cosiddetta genitorialità diffusa e sociale, contribuisce a proteggere la maternità, l’infanzia e la gioventù (art. 31 comma 2 Costituzione).

Amore di cui si parla dall’art. 6 della Dichiarazione dei diritti del bambino al Preambolo della Convenzione di New York. L’amore (dal latino “a mors”, non morte) è la vita stessa, per cui verrebbe da chiedersi come si fa a dare la vita ai figli e non amarli, come talvolta accade? È stato scientificamente dimostrato (tra gli altri lo studio della Washington University School of Medicine di St. Louis) che i figli più sono amati, e non adorati, e più sono intelligenti, sviluppano le intelligenze. L’amore non è né un diritto né un dovere ma un bisogno, per cui non lo si può stabilire ma solo sentire e esaudire.

 

1 Ricardo Enrique Facci, L’arte di essere genitori. Orientare e consolidare la relazione con i figli, San Paolo Edizioni, 2012.

2 Arteterapia in educazione e riabilitazione, a cura di Bernie Warren, Edizioni Centro Studi Erickson, 1995.

Dott.ssa Marzario Margherita

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