L’attesa forzata in aeroporto non sempre comporta oneri di assistenza a carico del vettore aereo

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di Francesco Ruggiero e Marco Direnzo

Con la sentenza n. 5732 del 22 marzo 2017, il Tribunale di Roma ha trattato, in maniera concisa ed efficace, la questione relativa all’assistenza dovuta dal vettore aereo nell’ipotesi di attesa forzata del passeggero presso la struttura aeroportuale.

La fattispecie aveva ad oggetto un ritardo nella partenza, di circa due ore, di un volo relativo alla tratta Catania / Roma, eseguito nel 2008, mai recuperato durante il periodo di crociera.

Tale evento fondava la domanda giudiziale di una passeggera tesa al risarcimento di presunti danni non patrimoniali, nonché all’ottenimento della compensazione pecuniaria ai sensi del Regolamento (CE) n. 261/2004.

In conseguenza del rigetto pronunciato dal Giudice di Pace, la questione veniva sottoposta al vaglio del Giudice dell’appello, il quale, aderendo sostanzialmente alle tesi del primo, aveva modo chiarire quanto segue.

In primis, si ribadiva che, trattandosi di ritardo inferiore alle due ore nell’arrivo alla destinazione finale, così come confermato anche dalle risultanze probatorie, lo stesso non era idoneo a generare il diritto all’indennizzo comunitario ex Regolamento (CE) n. 261/2004.

Ed invero, osservava il Tribunale che «Come è noto, la Corte di Giustizia Europa (IV sezione, sentenza 19.11.2009, Christopher Sturgeon, Gabriel Sturgeon e Alana Sturgeon contro Condor Flugdienst GmbH C-402/07 e Stefan Böck e Cornelia Lepuschitz contro Air France SA C-432/07), ha affermato che  gli artt. 5, 6 e 7 del regolamento n. 261/2004 devono essere interpretati nel senso che i passeggeri di voli ritardati possono essere assimilati ai passeggeri di voli cancellati ai fini dell’applicazione del diritto alla compensazione pecuniaria e che essi possono pertanto reclamare il diritto alla compensazione pecuniaria previsto dall’art. 7 di tale regolamento quando, a causa di un volo ritardato, subiscono una perdita di tempo pari o superiore a tre ore, ossia quando giungono alla loro destinazione finale tre ore o più dopo l’orario di arrivo originariamente previsto dal vettore aereo; l’affermazione si fonda sul principio di parità di trattamento e sull’interpretazione  estensiva  dell’art. 5, n. 1, lett. c), iii),  da cui si desume che il diritto alla compensazione spetta ai viaggiatori il cui volo sia stato cancellato quando abbiano subito  una perdita di tempo pari o superiore a tre ore rispetto alla durata che era stata originariamente prevista dal vettore. Il principio è stato riconfermato nelle successive sentenze del 23.10.2012 nelle cause riunite C-581/10 e C-629/10, Emeka Nelson e altri contro Deutsche Lufthansa AG e TUI Travel plc e altri contro Civil Aviation Authority, e della Grande Sezione del 26.2.2013, nella causa C-11/11 tra Air France e Heinz – Gerke Folkerts e Luz – Teresa Folkerts».

Esclusa tale posta economica, il Tribunale aveva modo di soffermarsi sugli ulteriori pregiudizi ex adverso reclamati, asseritamente derivati dall’inadempimento del vettore rispetto ai propri obblighi di assistenza in aeroporto.

Questi ultimi, a dire del secondo Giudice, richiedevano una precisa allegazione probatoria (in ossequio alla normativa nazionale, nonché a quella internazionale ex Convenzione di Montreal del 1999), non potendosi accedere al sistema di indennizzo forfettario ed automatico di cui al Regolamento comunitario a causa della acclarata esiguità del ritardo (inferiore alla soglia minima di tre ore).

In ragione di tanto, le richieste risarcitorie della passeggera, per come prospettate, non potevano generare obblighi riparatori di presunti pregiudizi non patrimoniali, sulla base dell’insegnamento reso dalla Suprema Corte, non essendo stato leso «in modo grave un diritto della persona tutelato dalla Costituzione» e potendosi classificare la vicenda come una mera «perdita della disponibilità di tempo da impiegare secondo le libere scelte individuali».

Sotto altro profilo, si evidenziava che «un’attesa in aeroporto non superiore alle due ore per sé stessa non richiede la prestazione di una particolare assistenza né può determinare disagi ulteriori suscettibili di risarcimento».

Con tale ultima affermazione, il Tribunale ha voluto consacrare il principio secondo il quale deve essere sempre garantito il giusto equilibrio dei contrapposti interessi, tenendo nella giusta considerazione la reale entità del disservizio cagionato dal vettore ed evitando che quest’ultimo sia chiamato a rispondere anche per disservizi di lieve entità, i quali costituiscono naturale conseguenza della movimentazione giornaliera di un rilevante numero di passeggeri e merci.

Sentenza collegata

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Francesco Ruggiero

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