L’art. 358 c.p.p. è davvero il lasciapassare che permette di attribuire una fede privilegiata alle attività di indagine dell’accusa?

Sofia Barbera 30/10/20
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Riflessioni a margine della sentenza n. 16458/20.

Sommario: 1. Il ruolo del pubblico ministero – e degli ausiliari da questo nominati – nella dialettica processuale; 2. Perizia e consulenza tecnica di parte; 3. Un’atipica e criticabile presunzione iuris tantum di veridicità della consulenza tecnica del pubblico ministero in un sistema processuale dal modello accusatorio; 4. Lesione dei principi del c.d. fair trial: parità delle parti, contraddittorio e diritto di difesa

 

L’art. 358 c.p.p. è davvero il lasciapassare che permette di attribuire una fede privilegiata alle attività di indagine dell’accusa?

Questo é l’interrogativo che pone innanzi la sentenza n. 16458/20[1] emessa dalla terza sezione della Corte di Cassazione che, nell’affermare il principio della superiore valenza probatoria della consulenza tecnica del pubblico ministero rispetto a quella delle altre parti, impone una riflessione sulla quaestio iuris in parola rinnovando altresì il dibattito socio-giuridico sulla separazione delle carriere alla luce delle regole sul giusto processo e segnatamente della sostanziale parità delle parti processuali.

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Il ruolo del pubblico ministero – e degli ausiliari da questo nominati – nella dialettica processuale

Si legge con lapidaria chiarezza a pagina 5 della sentenza: gli esiti degli accertamenti e delle valutazioni del consulente nominato ai sensi dell’art. 359 cod. proc. pen. rivestono perciò, proprio in ragione della funzione ricoperta dal Pubblico Ministero che, sia pur nell’ambito della dialettica processuale, non è portatore di interessi di parte, una valenza probatoria non comparabile a quella dei consulenti delle altre parti del giudizio”.

Va fin da subito detto che, sebbene il pm abbia il diritto-dovere di ricercare anche la prova a favore dell’indagato, al tempo stesso non va dimenticato che l’accusa – nella dialettica processuale – é pur sempre una parte che lungi dal caratterizzarsi per terzietà e imparzialità, connotati questi ultimi riferibili esclusivamente al giudice[2]. Il pubblico ministero per esercitare l’azione penale deve dunque valutare se abbia raccolto “elementi idonei a sostenere l’accusa in giudizio” (art. 125 disp.att. c.p.p.), nel tentativo di scongiurare una visione distorta del caso e di chiedere il rinvio a giudizio in situazioni suscettibili di condurre poi ad un esito proscioglitivo.

E’ in questo senso che va interpretato l’art. 358 c.p.p., non potendo ridursi ad una ormai obsoleta espressione di paternalismo giudiziario di stampo inquisitorio capace di conferire all’accusa compiti che devono restare di stretta pertinenza del giudice.

E pur tuttavia la Corte àncora “la sostanziale priorità” de “le conclusioni del consulente tecnico del pubblico ministero rispetto a quelle tratte dalla consulenza tecnica della difesa” al fatto che il pubblico ministero sia tenuto, nell’esercizio dell’azione penale, a “ricercare la verità […]attraverso una indagine completa in fatto e corredata da indicazioni tecnico scientifiche espressive di competenza e imparzialità” e che pertanto anche “il consulente dallo stesso nominato operi in sintonia con tali indicazioni”[3].

Perizia e consulenza tecnica di parte

Orbene, se la perizia va qualificata quale mezzo di prova neutro, come tale non classificabile né a carico né a discarico dell’imputato, a fortiori ratione la consulenza tecnica di una delle parti, sia essa pubblica, non può connaturarsi di una presunta veridicità rafforzata.
Del resto, al netto della chiara differenza che intercorre tra la consulenza tecnica di parte e la perizia, cui invero la sentenza non pare dare risalto, la disciplina giuridica della prima non presta il fianco ad una netta preferenza di quella disposta dalla pubblica accusa rispetto a quella della difesa.

Frutto di un ragionamento meramente tautologico é dunque la soluzione offerta dai giudici di legittimità laddove affermano che “a fronte di apprezzamenti tecnico scientifici forniti dal consulente del PM […] non specificamente confutati dal consulente della difesa, il giudice non fosse tenuto, come del resto si desume dal combinato disposto degli artt. 224 e 508 cod. proc. pen., a disporre alcun accertamento peritale, del tutto inutile per l’accertamento dei fatti e per la speditezza del processo”.

Ora, le norme richiamate in nessun modo impongono al giudice di non disporre la perizia laddove la consultenza tecnica della difesa non abbia confutato in modo specifico quella del pm. L’art. 220 c.p.p. nel disciplinare la perizia si limita ad affermare che “La perizia è ammessa quando occorre svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche” ponendo quale unico divieto quello concernente le perizie aventi il carattere e la personalità dell’imputato, la pericolosità sociale e, in genere, circa le sue qualità psichiche indipendenti da cause patologiche.

Un’atipica e criticabile presunzione iuris tantum di veridicità della consulenza tecnica del pubblico ministero in un sistema processuale accusatorio

Per entrambi i consulenti di parte vigono regole analoghe durante le indagini (artt. 359, 391 bis e sexies c.p.p.) ed entrambi sono sottoposti alla medesima disciplina dibattimentale: in particolare a nessuno dei due è imposto un giuramento di verità quando venga esaminato in giudizio. Si riconosce infatti che il consulente tecnico, sia dell’accusa che della difesa, svolge esclusivamente la particolare funzione di ausiliario di una parte con specifiche competenze tecnico-scientifiche.

Così argomentando, la consulenza tecnica assume agli occhi dell’organo giudicante non più un ruolo dialogico e di confronto rispetto alla consulenza di controparte piuttosto un ruolo di preminenza invero non attribuitogli dalle disposizioni codicistiche[4]. La cosulenza tecnica della difesa si riduce ad un’attività tecnico-scientifica a prova contraria gravata di oneri, quali la precisione e la specificità[5], maggiori rispetto a quelli del pm per i quali la sentenza si esprime nei termini della non intrinseca illogiità, inattendibilità e contraddisttorietà perché “assistite da una sostanziale priorità rispetto a quelle tratte dal consulente tecnico della difesa” non essendo portatore di un interesse privato.

La sentenza invero, attribuendo valenza probatoria rafforzata agli apprezzamenti tecnico scientifici forniti dal consulente del PM, incorre nella fallacia del post hoc ergo propter hoc poiché il valore probatorio degli argomenti si misura sulla loro capacità ricostruttiva e quest’ultima non necessariamente discende dal ruolo che ricopre chi se ne fa portavoce. Apodittica pare dunque l’affermazione della Corte laddove afferma: “E’ del resto dallo stesso ruolo di ausiliario dell’organo che lo ha nominato che discende la qualifica di pubblico ufficiale del consulente nominato dal PM nel corso delle indagini preliminari, il cui elaborato, pur non potendo essere equiparato alla perizia disposta dal giudice del dibattimento, è pur sempre il frutto di un’attività di natura giurisdizionale che perciò non corrisponde appieno a quella del consulente tecnico della parte privata”.

L’attività del consulente tecnico di parte non può dirsi, come si legge in sentenza, “giurisdizionale” ma al più “giudiziale”. Si intende “giudiziale” tutto quanto avviene o si riferisce al processo mentre é da intendersi“giurisdizionale” l’attività, propria di ogni giudice, di iuris dicere[6].

La sentenza poi, con una non innocente disinvoltura, parla di “perizia del pubblico ministero” evocando scenari del tutto distonici rispetto all’attuale fisionomia del processo penale.

La Corte di Cassazione prescrive un’atipica presunzione iuris tantum di veridicità della consulenza tecnica del pubblico ministero di fatto destrutturando l’attuale impostazione del sistema processual-penalistico.

Il modello accusatorio ha segnato una netta virata rispetto al codice Rocco dove il pubblico ministero, non dotato della capacità di nominare un proprio ausiliario  tecnico-scientifico, faceva capo – come il giudice – al perito. Nella disciplina di stampo inquisitorio del 1930, il contributo offerto dal difensore non si esprimeva in termini di partecipazione nella formazione della prova riducendosi piuttosto ad una “funzione critica” del materiale probatorio, caratterizzato dalla scrittura e dalla segretezza a causa della diffidenza culturale assunta nei confronti dell’attività di ricerca e raccolta delle prove da parte di un soggetto non istituzionalmente deputato alla scoperta della verità processuale, ma animato da un interesse di parte. Con l’entrata in vigore della Costituzione, il tema delle investigazioni difensive assume un nuovo significato intimamente connesso al diritto di difesa costituzionalmente garantito in ogni stato e grado del procedimento[7].

Teorizzare un’apodittica superiorità della conculenza tecnica del pm oltre a sovvertire l’attuale sistema processual-penalistico e l’insieme di principi e garanzie che lo sorreggono, evoca superate logiche da prova legale ponendosi in contrasto con il principio di parità delle parti e, segnatamente, del contraddittorio consacrato sia dalla Carta Costituzionale che dalla CEDU.

Lesione dei principi del c.d. fair trial: parità delle parti, contraddittorio e diritto di difesa

Può dirsi dunque, a sommesso avviso di chi scrive, leso il principio del giusto processo categoria ordinante di portata generale oltre che clausola di giustizia procedurale espressione della cultura giuridica della legalità nell’odierno Stato di diritto[8].

Il c.d. fair trial è compendiativo di princìpi e caratteristiche che devono essere rispettati al fine di avere una decisione che renda giustizia. Tali garanzie, benché già consacrate nella Costituzione italiana con riferimento alla giurisdizione, all’azione, al diritto di difesa[9], trovano una espressa enunciazione nel nuovo art. 111 Cost., che si allinea alle fonti internazionali e sovranazionali sui diritti umani[10], dove sono enumerati in modo inequivocabile i requisiti del c.d. processo équitable[11]. Le regole del giusto processo sono centrate su un modello cognitivo volto, attraverso l’accertamento pertinente e completo dei fatti, alla formazione di un sapere attraverso la pratica comunicativa del contraddittorio cui fa da pendant il principio della parità delle parti.

Il principio del contraddittorio caratterizza strutturalmente la c.d. fairness processuale. Diretto corallario di tale principio è costituito dal diritto di difesa, posto che, in difetto dello stesso, non vi sarebbe spazio per la dialettica tra parti contrapposte. Il principio del contraddittorio assume una valenza che riguarda non solo la situazione dei portatori di interessi in conflitto ma anche l’assetto della giurisdizione collegandosi alla necessaria presenza di un organo giudicante “terzo”, indipendente ed imparziale, che decide dopo aver ascoltato le parti su ogni questione di cui è investito. Il contraddittorio si carica di un essenziale valore euristico-epistemologico, in ragione della considerazione che il metodo dialettico sia il migliore finora escogitato per l’accertamento della verità degli enunciati fattuali formulati dalle parti[12].

La pronuncia in rassegna si pone oltrtutto in netta controtendenza con l’evoluzione legislativa del processo penale tesa a garantire una sostanziale parità delle parti. Si pensi, ad esempio, alle indagini difensive introdotte con al L. 397/2000. Il legislatore – sposando una concezione ampia del diritto di difesa inteso non soltanto in senso tecnico ma anche sostanziale – ha voluto dar voce al principio della parità delle parti (art. 111 Cost. co. 2) ed a quello del contraddittorio nella formazione della prova (art. 111 Cost. co. 4) sforzandosi di porre su un medesimo piano la parte pubblica e quella privata, pur nel rispetto delle diversità che contraddistinguono i due ruoli, nonché cercando di dotare la prova individuata e raccolta dal difensore della medesima dignità probatoria di quella individuata e raccolta dalla p.g. e dal p.m.

Sebbene il principio della parità delle parti, già ricavabile dall’art. 3 della Cost, rappresenti una regola generale in ogni processo che subisce alcuni adattamenti nel processo penale subisce che tengono conto della natura pubblicistica del ruolo svolto dal p.m. volto alla prevenzione e alla repressione dei reati, questi non possono mai spingersi fino a relegare il ruolo della difesa a mero subalterno dell’attività di indagine pena incorrere nella censura di incostituzionalità per violazione degli artt. 111 e 27 Cost. Strettamente legato al sistema accusatorio è infatti il cosiddetto “diritto di difendersi provando”. Qualora le prove a discarico siano relative a materie di alto contenuto tecnico scientifico, l’efficacia dei diritto di difesa impone che l’imputato abbia la possibilità di avvalersi di soggetti dotati delle necessarie competenze che partecipi alla formazione della prova in posizione dialogica e di parità con il consulente tecnico di controparte soprattutto laddove manchi la relazione di un perito.

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Note

[1] Cassazione Penale, Sez. III, 29 maggio 2020 (ud. 18 febbraio 2020), n. 16458 – Presidente Ramacci, Relatore Galterio

[2] R.E. Kostoris, I consulenti tecnici nel processo penale, Giuffrè, 1993; P. Rivello, Perizia e consulenza tecnica, in G. Canzio, L. Luparia, Prova scientifica e processo penale, Wolters Kluwer, 2018, 326 ss; R.E. Kostoris, La pretesa vocazione testimoniale del consulente tecnico investigativo dell’accusa tra codice, Costituzione e diritto europeo, in Giur. cost., 2014, 2617 ss.

[3] In questo senso cfr. Cass. sez. 2, n. 42937 del 24/9/2014 cui rinvia la sentenza a pagina 4.

[4] “Di nessuna censura è perciò passibile la sentenza impugnata per essersi allineata alle conclusioni tratte dal consulente PM, che non solo non risultano contrastate con rilievi precisi e circostanziati svolti dalla perizia prodotta dalla difesa, che era onere del ricorrente indicare specificamente, ma che comunque, pur costituendo anch’esse il prodotto di un’indagine di parte, devono ritenersi assistite da una sostanziale priorità rispetto a quelle tratte dal consulente tecnico della difesa” (p. 4 sentenza).

[5] “La sola generica conclusione del consulente della difesa non è certamente sufficiente a superare le avverse conclusioni di altra indagine, occorrendo invece che, alle argomentazioni specifiche del perito o del consulente tecnico del pubblico ministero che la Corte salentina ha privilegiato in ragione dell’avvenuto esame dello stato dei luoghi, vengano contrapposte specifichecontroargomentazioni tecniche o scientifiche” (p. 3 sentenza).

[6] Cfr. P.Chiassoni, Finzioni giudiziali, Progetto di voce per un vademecum giuridico, 2001; A.Ross, Retlige fiktioner, tr. it. Le finzioni giuridiche, 1968, in Id., Critica del diritto e analisi del linguaggio, Bologna, Il Mulino, 1982;

[7] V. Chiavario, Processo penale e garanzie della persona, I e II, Giuffrè, Milano, 1982-1984; Riccio – De Caro – Marotta, Principi costituzionali e riforma della procedura penale, Jovene, Napoli, 1991; M. Taruffo, Giustizia, procedure e processo, in “Ragion pratica”, 9, 1997

[8] L. P. Comoglio, Etica e tecnica del “giusto processo”, Giappichelli, Torni, 2004, pp. 41- 52

[9] M. Chiavario, Giusto processo: II) Processo penale, in “Enciclopedia giuridica”, XV, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, 2001 (Aggiornamento), p. 2; L.P. COMOGLIO, Etica e tecnica del “giusto processo”, cit. , pp. 52-54, 93-94

[10] Si considerino gli artt. 8, 10, 11 della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, l’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950, l’art. 14 del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966

[11] L.P. Comoglio, Etica e tecnica del “giusto processo”, cit., pp. 156 ss., 165 ss; E. Amodio, Processo penale, diritto europeo e common law dal rito inquisitorio al giusto processo, Giuffrè, Milano, 2003, pp. 131-151, il quale vede nel riconoscimento del “giusto processo” formulato nell’art 111 Cost “il frutto di una riscoperta del giusnaturalismo processuale” (ivi, pp. 134, 140)

[12] Cfr. Ubertis, Principi di procedura penale europea, cit., pp. 35-37; Il contraddittorio, dunque, è sulla prova, ma anche per la prova. Cfr. M. Chiavario, Giusto processo: II) Processo penale, cit., pp. 6, 16 ss.

Sofia Barbera

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