La violazione del principio dell’affidamento: a carico della Regione Calabria NON è rinvenibile una responsabilità precontrattuale o prenegoziale ai sensi dell’art. 1337 c.c.: nel caso in esame la Regione Calabria con delibera ad hoc ha ammesso e riconosc

Lazzini Sonia 19/02/09
Scarica PDF Stampa
Qual è il parere dell’adito giudice amministrativo in relazione alla richiesta di risarcimento del danno basandosi <sulla considerazione che l’approvazione della graduatoria sarebbe ancora valida ed efficace, in quanto non è stata oggetto di alcun provvedimento di autotutela> e quindi  le ricorrenti chiedono il risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. sotto il profilo del lucro cessante e del danno emergente, avendo riposto legittimo affidamento sulla concreta corresponsione del finanziamento, all’uopo deducendo: violazione dei principi in materia di azione amministrativa; violazione del principio dell’affidamento; violazione dell’art. 97 Cost.; violazione dell’obbligo di buona fede ex art. 1337 c.c.; eccesso di potere per difetto dei presupposti; violazione del principio della buona e corretta amministrazione; illogicità e ingiustizia manifesta.?
 
Le prospettazioni delle imprese consorziate non possono essere condivise ed al riguardo può essere seguito il ragionamento effettuato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 6 del 5 settembre 2005, in ordine ai presupposti che devono sussistere per potersi affermare la responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione_L’Adunanza Plenaria riconduce la responsabilità precontrattuale allo stretto dettato civilistico, rilevando che se è vero che, nella fattispecie sottoposta al suo esame, “l’impresa non poteva non confidare, durante il procedimento ad evidenza pubblica (si trattava infatti di una gara revocata per mancata copertura dell’importo) dapprima sulla “possibilità” di diventare affidataria del contratto e più tardi – ad aggiudicazione avvenuta – sulla disponibilità di un titolo che l’abilitava ad accedere alla stipula del contratto stesso”, dall’altro lato occorre che tali comportamenti, ingeneranti l’affidamento – per porsi quali fatti generatori di responsabilità precontrattuale – risultino contrastanti con le regole di correttezza e di buona fede di cui all’art. 1337 c.c., laddove, sempre nel caso preso in esame dall’Adunanza Plenaria, tale contrasto sussisterebbe nella “mancanza di ogni vigilanza e coordinamento sugli impegni economici che l’amministrazione veniva assumendo quando la procedura di evidenza pubblica risultava già avviata e addirittura pervenuta all’aggiudicazione” al punto che si rendeva “inevitabile la rimozione di tutti gli atti della fase pubblicistica compresa l’aggiudicazione_ perché possa parlarsi di violazione del dovere di correttezza e di buona fede che deve sostenere le trattative precontrattuali ex art. 1337 c.c. devono ricorrere determinate caratteristiche: 1) che tra le parti siano intercorse trattative per la conclusione di un contratto giunte ad uno stadio tale da giustificare oggettivamente l’affidamento nella conclusione del contratto; 2) che una delle parti abbia interrotto le trattative così eludendo le ragionevoli aspettative dell’altra, la quale, avendo confidato nella conclusione finale del contratto, sia stata indotta a sostenere spese o a rinunciare ad occasioni più favorevoli: 3) che il comportamento della parte inadempiente sia stato determinato, se non da malafede, almeno da colpa, e non sia quindi assistito da un giusto motivo._ Quanto alla ragionevolezza del lasso di tempo, formula adoperata dal legislatore della L. n. 15 del 2005, ma che non ha mancato di suscitare perplessità, pur nella volontà di lasciare un termine elastico per l’esercizio del potere di autotutela da parte dell’amministrazione, è stato osservato che per esser tale esso non deve consentire un consolidamento della posizione in capo agli interessati e la ragionevolezza deve passare per la valutazione dell’affidamento suscitato nell’amministrato sulla regolarità della sua posizione. _E che nel caso in esame nessun consolidamento della posizione delle ricorrenti si possa essere verificato è dimostrato dalla più volte rammentata circostanza che, dopo due mesi dalla sua adozione, la delibera recante l’elenco delle società ammesse e delle società escluse è stata impugnata da alcune di queste ultime e che, all’esito del contenzioso cautelare in grado di appello proposto avverso le sentenze del TAR in data 27 settembre 2005 ed in data 4 gennaio 2006, nel breve lasso di tempo di quattro mesi, le ricorrenti abbiano ricevuto la comunicazione di avvio del procedimento di annullamento della procedura.
 
Merita di essere segnalata la sentenza numero 9 del 14 gennaio 2009, emessa dal Tar Calabria, Catanzaro in tema di responsabilità precontrattuale
 
Vediamo i motivi su cui si basa la richiesta di risarcimento del danno per responsabilità precontrattuale:
 
<. A sostegno delle sue posizioni le interessate sostengono che il comportamento dell’Amministrazione regionale ha prodotto la violazione del principio dell’affidamento, che oggi trova la sua piena tutela nella nuova formulazione dell’art. 1 della L. n. 241 del 1990; il principio dell’affidamento è, poi, ancora più forte quando sia decorso un lungo lasso di tempo dall’adozione dell’atto che ha fatto sorgere in capo al privato un legittimo affidamento su una determinata situazione giuridica, come nel caso in specie, in cui sono trascorsi due anni dall’atto di approvazione della graduatoria dei progetti ammessi a finanziamento, avvenuto con l’anzidetta delibera n. 76 del 2005. Secondo le prospettazioni di parte ricorrente a carico della Regione Calabria è rinvenibile una responsabilità precontrattuale o prenegoziale ai sensi dell’art. 1337 c.c.: nel caso in esame la Regione Calabria con delibera ad hoc ha ammesso e riconosciuto il finanziamento chiesto dalla società ricorrente e però dopo la scelta e l’individuazione non ha proceduto né alla stipula del contratto né alla erogazione del finanziamento. Nel caso vi sono tutti gli elementi per riconoscere in capo all’Amministrazione regionale la responsabilità per risarcimento del danno: vi è la condotta colposa o scorretta ed omissiva; vi è il danno ingiusto consistente nelle spese vive sostenute dalla società ricorrente subito dopo la delibera n. 76 del 2005 a pena di decadenza dal finanziamento; vi è il nesso eziologico tra la condotta colposa ed il danno ingiusto. In particolare la responsabilità che incombe sull’Ente regionale è quella del danno da ritardo: infatti la Giunta regionale ha adottato la delibera n. 76 nel gennaio 2005 e, malgrado abbia avvisato il consorzio ricorrente che era stato avviato un procedimento di autotutela in ordine alla delibera di approvazione dei progetti ammessi al finanziamento, tuttavia non era seguito alcun atto terminativo del procedimento.>
 
Ed ora il negativo parere dell’adito giudice:
 
< Al riguardo, nella fattispecie che ne interessa, assume rilievo il fattore temporale; per le osservazioni superiori in ordine alla circostanza che la delibera n. 76 del 2005 è stata immediatamente impugnata dalle ditte escluse, con conseguente chiamata in giudizio di tutte quelle ammesse, tra cui le ricorrenti, non può affermarsi che le trattative siano giunte ad uno stadio tale per cui sicuramente le interessate potevano confidare sulla stipula del contratto e la rapidità dell’impugnativa proposta e della risoluzione del giudizio non consente neppure di ritenere l’Amministrazione regionale colpevole per non avere dato seguito alla delibera n. 76 del 2005, venendo così a mancare tutti i requisiti per ritenere la responsabilità precontrattuale.
 
Nel prosieguo l’Adunanza Plenaria citata, al fine di stabilire la sussistenza di responsabilità precontrattuale della P.A., collega proprio l’affidamento ingenerato in capo alla interessata con il tempo trascorso rispetto alle notizie sulla revoca o sull’annullamento della procedura, laddove nel caso in esame, le prospettazioni di parte ricorrente, che asserisce di avere saputo del procedimento di autotutela soltanto quando l’Amministrazione regionale gliene ha dato notizia con la nota del 26 aprile 2006 non appaiono condivisibili per la intercorsa vicenda giurisdizionale sopra riportata, cui hanno partecipato pure le interessate fin dall’inizio.
 
Posto ciò deve pure essere chiarito che, semmai fosse possibile riconoscere alle ricorrenti il risarcimento richiesto, comunque esso dovrebbe limitarsi al lucro cessante e non potrebbe essere commisurato anche al danno emergente, per come richiesto in ricorso; dovrebbe essere, invece, riconosciuto il solo interesse negativo, consistente nel caso in esame nella sola perdita dei guadagni che sarebbero conseguiti da altre occasioni contrattuali se non si fosse fatto affidamento sulla conclusione del contratto.
 
Parimenti non spetta la voce di danno cd. da perdita di chance, atteso che oltre che essere indimostrata, le ricorrenti, per essere state evocate nei giudizi che hanno visto perdente l’amministrazione in ordine a vizi del procedimento, legittimamente non potevano attendersi il buon esito del detto procedimento amministrativo, sicchè ben avrebbero potuto affrettarsi nella ricerca di altre “chances”.>
  
Ma non solo
 
< Comunque le censure prospettate con i motivi aggiunti non sono condivisibili, atteso che con esse parte ricorrente fa valere sostanzialmente la violazione dei principi in materia di autotutela introdotti nella L. n. 241 del 1990 dalla L. n. 15 del 2005.
 
Di nessuna altra dimostrazione dell’interesse pubblico aveva bisogno l’Amministrazione se non di quella derivante da pronunce giurisdizionali non sospese e di osservazioni dell’organo di controllo che del tutto puntualmente hanno posto in evidenza le gravi discrasie del procedimento di erogazione dei fondi comunitari in esame. Ed esse hanno, dunque, costituito la base per la decisione di procedere all’annullamento del Regolamento stesso, il quale si presentava deficitario per non avere previsto nell’ “istruttoria sul progetto” a fianco delle singole voci di valutazione il punteggio relativo e per avere effettuato irregolarità nella valutazione del merito finanziario.
 
Di tale scelta sono state informate tutte le imprese che erano state ammesse al finanziamento con note diramate tra il 16 aprile 2006 ed il 19 maggio 2006, tant’è che le stesse imprese avevano fatto pervenire le loro osservazioni, sicchè non era neppure mancata la ponderazione degli interessi dalle stesse rappresentati, come è dato evincere dalle premesse del provvedimento di cui alla delibera n. 685 del 17 ottobre 2006 impugnata.
 
Quanto alla ragionevolezza del lasso di tempo, formula adoperata dal legislatore della L. n. 15 del 2005, ma che non ha mancato di suscitare perplessità, pur nella volontà di lasciare un termine elastico per l’esercizio del potere di autotutela da parte dell’amministrazione, è stato osservato che per esser tale esso non deve consentire un consolidamento della posizione in capo agli interessati e la ragionevolezza deve passare per la valutazione dell’affidamento suscitato nell’amministrato sulla regolarità della sua posizione. (cfr. Consiglio di Stato, sezione VI, 2 ottobre 2007, n. 5074)
 
E che nel caso in esame nessun consolidamento della posizione delle ricorrenti si possa essere verificato è dimostrato dalla più volte rammentata circostanza che, dopo due mesi dalla sua adozione, la delibera recante l’elenco delle società ammesse e delle società escluse è stata impugnata da alcune di queste ultime e che, all’esito del contenzioso cautelare in grado di appello proposto avverso le sentenze del TAR in data 27 settembre 2005 ed in data 4 gennaio 2006, nel breve lasso di tempo di quattro mesi, le ricorrenti abbiano ricevuto la comunicazione di avvio del procedimento di annullamento della procedura.
 
Né può sostenersi, come pure effettuato in ricorso, che all’annullamento della delibera recante il Regolamento per il Contratto di investimento sia sopravvissuta la successiva delibera di approvazione delle società ammesse e di quelle escluse, perché è la stessa deliberazione n. 685 del 2006, ora impugnata, a sancire espressamente quale conseguenza dell’annullamento della prima anche la caducazione dei successivi atti, menzionando tra essi la delibera n. 76 del 2005.
 
Le contestazioni testè effettuate consentono anche di confutare la voce di danno richiesta in ricorso, consistente nel cd. danno da ritardo; questo si verifica quando l’amministrazione omette o ritarda l’emanazione di un provvedimento vantaggioso per l’interessato, ma è pur sempre sottoposto al riconoscimento della spettanza del bene della vita che parte ricorrente si attendeva di ottenere ed alla impugnativa dell’atto negativo emesso in ritardo dall’amministrazione. (Adunanza Plenaria n. 7 del 15 settembre 2005).
 
Nel caso in esame pur se vi è stata l’impugnativa dell’atto negativo emesso dall’amministrazione è contestato che esso sia sopraggiunto in ritardo, per come riconosciuto sopra, come è contestato che si possa essere consolidata una posizione favorevole in capo alle interessate per avere riposto legittimo affidamento nell’operato dell’amministrazione.>
 
A cura di *************
 
 N. 00007/2009 REG.SEN.
N. 00116/2007 REG.RIC.
 
 
REPUBBLICA ITALIANA
 
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria
 
(Sezione Seconda)
 
ha pronunciato la presente
 
SENTENZA
 
Sul ricorso numero di registro generale 116 del 2007, proposto da:
Consorzio ALFA in persona di ********** in qualità di legale rappresentante del Consorzio e di ALFADUE s.r.l., ALFATRE e ALFAQUATTRO s.r.l. in qualità dei loro legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi dagli ***************** e **************** presso il cui studio in Catanzaro, Via Acri n. 88 elettivamente domiciliano;
 
contro
 
la Regione Calabria in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. *********************, dell’Avvocatura Regionale presso la cui sede in Catanzaro al Viale De Filippis, n. 280 domicilia;
 
per la condanna
 
della Regione Calabria al pagamento del risarcimento danno per mancata stipulazione del contratto di investimento e/o per non avere la Regione Calabria ultimato il procedimento amministrativo di secondo grado avviato con la nota 26 aprile 2006, o nella maggiore o minor somma determinata dal Tribunale;
 
nonché per l’annullamento
 
con motivi aggiunti depositati il 19 ottobre 2007
 
della delibera di Giunta regionale n. 685 del 17 ottobre 2006 avente ad oggetto “Annullamento in via di autotutela della deliberazione della Giunta regionale del 26 aprile 2004, n. 242 recante “Approvazione schema di regolamento del contratto di investimento””,
 
della delibera di Giunta regionale n. 48 del 30 gennaio 2007 avente ad oggetto “Annullamento in via di autotutela della deliberazione della Giunta regionale del 26 aprile 2004, n. 242 recante “Approvazione schema di regolamento del contratto di investimento” – Presa d’atto parere favorevole della Commissione consiliare”, nonché di ogni altro atto, connesso, presupposto e consequenziale;
 
VISTO il ricorso con i relativi allegati;
VISTO l’atto di costituzione in giudizio dell’intimata Amministrazione;
VISTE le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
VISTI gli atti tutti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 07/11/2008 il dott. ******************* e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
 
FATTO
 
Con ricorso notificato alla Regione Calabria il 10 gennaio 2007 e depositato il successivo 7 febbraio, espongono le società ricorrenti di avere partecipato ad un bando emesso dalla Regione per la selezione di imprese cui erogare finanziamenti per la realizzazione di progetti imprenditoriali per i settori tessili, calzaturiero, informatico e del turismo e di avere presentato un progetto nel settore turistico, chiedendo il finanziamento di Euro 6.205.000,00.
 
Espongono, altresì, che con delibera n. 242 del 26 aprile 2004 è stato approvato lo schema di regolamento dei finanziamenti e che con delibera n. 76 del 2005 sono state ammesse al finanziamento per l’intero investimento; con tale ultimo atto la Regione si sarebbe impegnata a corrispondere alle società ammesse, tra cui le ricorrenti, “il contributo pubblico nella misura del 45% dell’investimento ammissibile”, a fronte della quale il consorzio ha sostenuto ingenti spese per la redazione del progetto esecutivo, per le ricerche di mercato e per gli studi di fattibilità.
 
Le società interessate si attendevano, dunque, di essere convocate per la stipulazione del contratto e per la erogazione del contributo, mentre ciò non accadeva, neppure dopo apposita diffida.
 
Soltanto molto tempo dopo con nota del 26 aprile 2006 la Regione Calabria comunicava “l’avvio del procedimento di annullamento e/o revoca in via di autotutela della deliberazione della Giunta regionale del 26 aprile 2004 n. 242 recante “Approvazione schema regolamento del Contratto di investimento e degli atti consequenziali”, che tuttavia, ancorché annunciato, non è intervenuto.
 
Sulla base della considerazione che l’approvazione della graduatoria sarebbe ancora valida ed efficace, in quanto non è stata oggetto di alcun provvedimento di autotutela, le ricorrenti chiedono il risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. sotto il profilo del lucro cessante e del danno emergente, avendo riposto legittimo affidamento sulla concreta corresponsione del finanziamento, all’uopo deducendo: violazione dei principi in materia di azione amministrativa; violazione del principio dell’affidamento; violazione dell’art. 97 Cost.; violazione dell’obbligo di buona fede ex art. 1337 c.c.; eccesso di potere per difetto dei presupposti; violazione del principio della buona e corretta amministrazione; illogicità e ingiustizia manifesta. Ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
 
La Regione si è costituita in giudizio, ha eccepito l’inammissibilità del ricorso ed ha concluso per la sua reiezione.
 
Con motivi aggiunti parte ricorrente ha impugnato le delibere con le quali la Giunta regionale ha, infine, proceduto ad annullare la deliberazione n. 242 del 2004, proponendo avverso di esse le censure di: violazione delle norme e dei principi in materia di procedure selettive; violazione dell’art. 21 nonies della L. n. 241 del 1990; eccesso di potere per difetto dei presupposti; eccesso di potere per travisamento dei fatti; violazione del principio del contrarius actus; difetto di motivazione; illogicità e ingiustizia manifesta.
 
Questa ha ribadito le sue posizioni con controricorso.
 
Il ricorso infine è stato trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 7 novembre 2008.
 
DIRITTO
 
1. Col proposto gravame il consorzio ricorrente, in via principale, chiede il risarcimento del danno come derivante da responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c. dell’Amministrazione regionale che non avrebbe portato a compimento la procedura di finanziamento stabilita con deliberazione della Giunta regionale n. 242 del 26 aprile 2004 ed in esito alla quale il progetto presentato dalle società consorziate si era qualificato tra quelli meritevoli del detto finanziamento, come risultante dalla delibera n. 76 del 26 gennaio 2005.
 
2. A sostegno delle sue posizioni le interessate sostengono che il comportamento dell’Amministrazione regionale ha prodotto la violazione del principio dell’affidamento, che oggi trova la sua piena tutela nella nuova formulazione dell’art. 1 della L. n. 241 del 1990; il principio dell’affidamento è, poi, ancora più forte quando sia decorso un lungo lasso di tempo dall’adozione dell’atto che ha fatto sorgere in capo al privato un legittimo affidamento su una determinata situazione giuridica, come nel caso in specie, in cui sono trascorsi due anni dall’atto di approvazione della graduatoria dei progetti ammessi a finanziamento, avvenuto con l’anzidetta delibera n. 76 del 2005. Secondo le prospettazioni di parte ricorrente a carico della Regione Calabria è rinvenibile una responsabilità precontrattuale o prenegoziale ai sensi dell’art. 1337 c.c.: nel caso in esame la Regione Calabria con delibera ad hoc ha ammesso e riconosciuto il finanziamento chiesto dalla società ricorrente e però dopo la scelta e l’individuazione non ha proceduto né alla stipula del contratto né alla erogazione del finanziamento. Nel caso vi sono tutti gli elementi per riconoscere in capo all’Amministrazione regionale la responsabilità per risarcimento del danno: vi è la condotta colposa o scorretta ed omissiva; vi è il danno ingiusto consistente nelle spese vive sostenute dalla società ricorrente subito dopo la delibera n. 76 del 2005 a pena di decadenza dal finanziamento; vi è il nesso eziologico tra la condotta colposa ed il danno ingiusto. In particolare la responsabilità che incombe sull’Ente regionale è quella del danno da ritardo: infatti la Giunta regionale ha adottato la delibera n. 76 nel gennaio 2005 e, malgrado abbia avvisato il consorzio ricorrente che era stato avviato un procedimento di autotutela in ordine alla delibera di approvazione dei progetti ammessi al finanziamento, tuttavia non era seguito alcun atto terminativo del procedimento.
 
Le interessate quindi concludono quantificando le varie poste di danno come segue: danno emergente per la società ALFAQUATTRO pari ad euro 186.514,23. per la società ***** euro 76.933,33, per la società ALFADUE euro 271.108,50 giustificato dalle fatture per le spese di progettazione, di fattibilità e quant’altro rese necessarie dalla espressa comminatoria della decadenza, qualora non fosse stato presentato un progetto eseguibile; mancato guadagno per ALFADUE è pari ad euro 5.460.000,00 per la società ***** è pari ad Euro 1.480.00,00 per la società ALFAQUATTRO è pari ad Euro 3.580.000,00, calcolato in base alla durata media di venti anni delle società e dell’attività imprenditoriale; perdita di chances 2.000.000,00 dovute per avere impedito la Regione alle ricorrenti di avviare la progettata iniziativa imprenditoriale e per avere loro impedito di aderire ad altre ipotesi di finanziamento pubblico e danno da ritardo per euro 500.000,00 in favore di ciascuna delle società ricorrenti.
 
3. Le prospettazioni delle imprese consorziate non possono essere condivise ed al riguardo può essere seguito il ragionamento effettuato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 6 del 5 settembre 2005, in ordine ai presupposti che devono sussistere per potersi affermare la responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione.
 
Le ricorrenti sostengono di avere fatto affidamento sulla stipulazione del contratto di finanziamento, essendo risultate tra i soggetti ammessi con la delibera n. 76 del 2005, mentre, pur dopo avere ricevuto la nota in data 26 aprile 2006 con la quale venivano avvisate dell’avvio della procedura di annullamento e/o revoca della delibera n. 242 del 2004 di approvazione dello schema di contratto, non era accaduto nulla né sul fronte della stipulazione né sul fronte dell’autotutela, sicchè si sono viste costrette a proporre il ricorso a causa del lungo lasso di tempo intercorso dalla loro ammissione al contributo, senza che seguisse la stipulazione del contratto.
 
Anzitutto va smentita la circostanza della disconoscenza da parte delle ricorrenti dello stato degli atti del procedimento, in quanto la delibera n. 76 del 2005 è stata impugnata con cinque separati ricorsi da alcune ditte escluse che hanno evocato in giudizio, quali controinteressate, la ricorrenti unitamente a tutte le altre ditte ammesse al finanziamento e poiché i ricorsi recano l’istanza di fissazione del 31 marzo 2005 e sono stati tutti trattati alla Camera di Consiglio del 5 maggio 2005, nella quale sono stati decisi con sentenza succintamente motivata, non appare plausibile che la società consorziate non fossero a conoscenza della situazione, se non altro per essere state evocate in giudizio soltanto due mesi dopo essere state ammesse al finanziamento.
 
Tali circostanze di fatto impediscono che si sia formato quel legittimo affidamento che l’art. 1 della L. n. 241 del 1990 ha visto inserito nel nostro ordinamento per effetto del richiamo, da un lato, delle norme di diritto privato contenuto dal comma 1 bis come introdotto dalla L. n. 15 del 2005 e dall’altro per effetto del richiamo ai principi dell’ordinamento comunitario, pure contenuto nel comma 1 anch’esso modificato in tal senso dalla legge testè citata.
 
L’Adunanza Plenaria riconduce la responsabilità precontrattuale allo stretto dettato civilistico, rilevando che se è vero che, nella fattispecie sottoposta al suo esame, “l’impresa non poteva non confidare, durante il procedimento ad evidenza pubblica (si trattava infatti di una gara revocata per mancata copertura dell’importo) dapprima sulla “possibilità” di diventare affidataria del contratto e più tardi – ad aggiudicazione avvenuta – sulla disponibilità di un titolo che l’abilitava ad accedere alla stipula del contratto stesso”, dall’altro lato occorre che tali comportamenti, ingeneranti l’affidamento – per porsi quali fatti generatori di responsabilità precontrattuale – risultino contrastanti con le regole di correttezza e di buona fede di cui all’art. 1337 c.c., laddove, sempre nel caso preso in esame dall’Adunanza Plenaria, tale contrasto sussisterebbe nella “mancanza di ogni vigilanza e coordinamento sugli impegni economici che l’amministrazione veniva assumendo quando la procedura di evidenza pubblica risultava già avviata e addirittura pervenuta all’aggiudicazione” al punto che si rendeva “inevitabile la rimozione di tutti gli atti della fase pubblicistica compresa l’aggiudicazione”.
 
Nel caso in esame parrebbe ricalcarsi una medesima vicenda, laddove nel prosieguo l’Amministrazione regionale è stata costretta ad annullare la delibera di approvazione dello schema di Contratto di investimento n. 242 del 2004 sia a seguito di sentenze del TAR non sospese dal Consiglio di Stato, sia a seguito di espliciti rilievi mossi dalla Corte dei Conti, che ponevano in evidenza delle gravi illegittimità nel procedimento: il TAR rilevava che in contrasto con le istruzioni relative alla procedura emanate dal Ministero per le Attività Produttive, pur essendo ammissibili interventi esterni al fine di raggiungere il necessario budget per proporre il progetto da finanziare, purchè tali fondi esterni non fossero pubblici, tuttavia alcune delle iniziative progettuali non erano state ammesse ritenendo che ciò non fosse possibile; la Corte dei Conti rilevava poi la mancanza di trasparenza nella fissazione dei criteri con i quali erano state selezionate le imprese ammesse al finanziamento, la confusione nella fissazione dei criteri di scelta e anch’essa la irregolarità nella definizione delle forme di verifica del merito finanziario.
 
Apparirebbe, dunque, che le ricorrenti abbiano in realtà ritenuto che sarebbe andata a buon fine una procedura che ab origine era viziata, a causa di una precisa responsabilità dell’Amministrazione regionale, che pur potendolo predisporre in sede di Regolamento, invece, aveva omesso una chiara definizione dei criteri di assegnazione dei fondi, essendo le singole voci di valutazione completamente sprovviste del relativo punteggio, laddove a tale bisogna aveva provveduto la Commissione di valutazione, con le note conseguenze.
 
Tuttavia tale posizione non appare condivisibile atteso che viene posto in evidenza dalla giurisprudenza che, in base ai principi civilistici sulla materia, perché possa parlarsi di violazione del dovere di correttezza e di buona fede che deve sostenere le trattative precontrattuali ex art. 1337 c.c. devono ricorrere determinate caratteristiche: 1) che tra le parti siano intercorse trattative per la conclusione di un contratto giunte ad uno stadio tale da giustificare oggettivamente l’affidamento nella conclusione del contratto; 2) che una delle parti abbia interrotto le trattative così eludendo le ragionevoli aspettative dell’altra, la quale, avendo confidato nella conclusione finale del contratto, sia stata indotta a sostenere spese o a rinunciare ad occasioni più favorevoli: 3) che il comportamento della parte inadempiente sia stato determinato, se non da malafede, almeno da colpa, e non sia quindi assistito da un giusto motivo. (TAR Puglia, Lecce, sezione II, 9 luglio 2008, n. 2083).
 
Al riguardo, nella fattispecie che ne interessa, assume rilievo il fattore temporale; per le osservazioni superiori in ordine alla circostanza che la delibera n. 76 del 2005 è stata immediatamente impugnata dalle ditte escluse, con conseguente chiamata in giudizio di tutte quelle ammesse, tra cui le ricorrenti, non può affermarsi che le trattative siano giunte ad uno stadio tale per cui sicuramente le interessate potevano confidare sulla stipula del contratto e la rapidità dell’impugnativa proposta e della risoluzione del giudizio non consente neppure di ritenere l’Amministrazione regionale colpevole per non avere dato seguito alla delibera n. 76 del 2005, venendo così a mancare tutti i requisiti per ritenere la responsabilità precontrattuale.
 
Nel prosieguo l’Adunanza Plenaria citata, al fine di stabilire la sussistenza di responsabilità precontrattuale della P.A., collega proprio l’affidamento ingenerato in capo alla interessata con il tempo trascorso rispetto alle notizie sulla revoca o sull’annullamento della procedura, laddove nel caso in esame, le prospettazioni di parte ricorrente, che asserisce di avere saputo del procedimento di autotutela soltanto quando l’Amministrazione regionale gliene ha dato notizia con la nota del 26 aprile 2006 non appaiono condivisibili per la intercorsa vicenda giurisdizionale sopra riportata, cui hanno partecipato pure le interessate fin dall’inizio.
 
Posto ciò deve pure essere chiarito che, semmai fosse possibile riconoscere alle ricorrenti il risarcimento richiesto, comunque esso dovrebbe limitarsi al lucro cessante e non potrebbe essere commisurato anche al danno emergente, per come richiesto in ricorso; dovrebbe essere, invece, riconosciuto il solo interesse negativo, consistente nel caso in esame nella sola perdita dei guadagni che sarebbero conseguiti da altre occasioni contrattuali se non si fosse fatto affidamento sulla conclusione del contratto.
 
Parimenti non spetta la voce di danno cd. da perdita di chance, atteso che oltre che essere indimostrata, le ricorrenti, per essere state evocate nei giudizi che hanno visto perdente l’amministrazione in ordine a vizi del procedimento, legittimamente non potevano attendersi il buon esito del detto procedimento amministrativo, sicchè ben avrebbero potuto affrettarsi nella ricerca di altre “chances”. (al riguardo cfr. TAR Liguria, Genova, sezione II, 30 maggio 2008, n. 1169).
 
4. Con i motivi aggiunti le società consorziate hanno poi introdotto l’impugnativa dei due atti con i quali l’Amministrazione regionale ha proceduto all’annullamento della delibera n. 242 del 2004 recante l’approvazione del Regolamento del Contratto di investimento, sostanzialmente lamentando che l’Amministrazione non ha tenuto conto di nessuno dei principi stabiliti dalla legge in ordine all’annullamento degli atti in autotutela; erra nei suoi presupposti laddove ritiene che i provvedimenti giurisdizionali (sentenze del TAR n. 774, 767, 768, 769 e 770 del 2005) dei quali sostiene l’applicazione abbiano stabilito di annullare la delibera n. 76 del 2005, mentre le sentenze si limitavano ad annullarla in parte qua; ed è anche errato l’altro presupposto su cui si basa l’annullamento e cioè la relazione della Corte dei Conti, che di certo non può sancire la legittimità o illegittimità di un atto amministrativo. A ciò si aggiunga che l’atto di autotutela è intervenuto ben oltre il termine ragionevole previsto dalla legge e senza tener conto degli interessi dei destinatari. Hanno insistito sui profili di risarcibilità del danno prodotto dalla colpevole condotta dell’amministrazione regionale.
 
Quest’ultima ha anzitutto eccepito la irricevibilità dei motivi aggiunti, in quanto con nota a prot. 229 del 6 marzo 2007 inviata via FAX avrebbe trasmesso le due delibere impugnate, sicchè i motivi aggiunti notificati il 9 ottobre 2007 sono senz’altro tardivi.
 
L’eccezione va respinta perché come noto chi eccepisce la tardività deve fornire la prova inconfutabile che la parte contro cui la fa valere non abbia conosciuto aliunde il provvedimento impugnato; nel caso in specie, la Regione non rende edotto il Collegio circa la data di ricezione della detta comunicazione, sicchè l’irricevibilità risulta non provata.
 
Comunque le censure prospettate con i motivi aggiunti non sono condivisibili, atteso che con esse parte ricorrente fa valere sostanzialmente la violazione dei principi in materia di autotutela introdotti nella L. n. 241 del 1990 dalla L. n. 15 del 2005.
 
Di nessuna altra dimostrazione dell’interesse pubblico aveva bisogno l’Amministrazione se non di quella derivante da pronunce giurisdizionali non sospese e di osservazioni dell’organo di controllo che del tutto puntualmente hanno posto in evidenza le gravi discrasie del procedimento di erogazione dei fondi comunitari in esame. Ed esse hanno, dunque, costituito la base per la decisione di procedere all’annullamento del Regolamento stesso, il quale si presentava deficitario per non avere previsto nell’ “istruttoria sul progetto” a fianco delle singole voci di valutazione il punteggio relativo e per avere effettuato irregolarità nella valutazione del merito finanziario.
 
Di tale scelta sono state informate tutte le imprese che erano state ammesse al finanziamento con note diramate tra il 16 aprile 2006 ed il 19 maggio 2006, tant’è che le stesse imprese avevano fatto pervenire le loro osservazioni, sicchè non era neppure mancata la ponderazione degli interessi dalle stesse rappresentati, come è dato evincere dalle premesse del provvedimento di cui alla delibera n. 685 del 17 ottobre 2006 impugnata.
 
Quanto alla ragionevolezza del lasso di tempo, formula adoperata dal legislatore della L. n. 15 del 2005, ma che non ha mancato di suscitare perplessità, pur nella volontà di lasciare un termine elastico per l’esercizio del potere di autotutela da parte dell’amministrazione, è stato osservato che per esser tale esso non deve consentire un consolidamento della posizione in capo agli interessati e la ragionevolezza deve passare per la valutazione dell’affidamento suscitato nell’amministrato sulla regolarità della sua posizione. (cfr. Consiglio di Stato, sezione VI, 2 ottobre 2007, n. 5074)
 
E che nel caso in esame nessun consolidamento della posizione delle ricorrenti si possa essere verificato è dimostrato dalla più volte rammentata circostanza che, dopo due mesi dalla sua adozione, la delibera recante l’elenco delle società ammesse e delle società escluse è stata impugnata da alcune di queste ultime e che, all’esito del contenzioso cautelare in grado di appello proposto avverso le sentenze del TAR in data 27 settembre 2005 ed in data 4 gennaio 2006, nel breve lasso di tempo di quattro mesi, le ricorrenti abbiano ricevuto la comunicazione di avvio del procedimento di annullamento della procedura.
 
Né può sostenersi, come pure effettuato in ricorso, che all’annullamento della delibera recante il Regolamento per il Contratto di investimento sia sopravvissuta la successiva delibera di approvazione delle società ammesse e di quelle escluse, perché è la stessa deliberazione n. 685 del 2006, ora impugnata, a sancire espressamente quale conseguenza dell’annullamento della prima anche la caducazione dei successivi atti, menzionando tra essi la delibera n. 76 del 2005.
 
Le contestazioni testè effettuate consentono anche di confutare la voce di danno richiesta in ricorso, consistente nel cd. danno da ritardo; questo si verifica quando l’amministrazione omette o ritarda l’emanazione di un provvedimento vantaggioso per l’interessato, ma è pur sempre sottoposto al riconoscimento della spettanza del bene della vita che parte ricorrente si attendeva di ottenere ed alla impugnativa dell’atto negativo emesso in ritardo dall’amministrazione. (Adunanza Plenaria n. 7 del 15 settembre 2005).
 
Nel caso in esame pur se vi è stata l’impugnativa dell’atto negativo emesso dall’amministrazione è contestato che esso sia sopraggiunto in ritardo, per come riconosciuto sopra, come è contestato che si possa essere consolidata una posizione favorevole in capo alle interessate per avere riposto legittimo affidamento nell’operato dell’amministrazione.
 
5. Le considerazioni di cui sopra inducono a respingere il ricorso in ogni sua parte.
 
6. La delicatezza delle questioni trattate consente di compensare le spese di giudizio ed onorari tra le parti costituite.
 
P.Q.M.
 
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria – Sezione Seconda definitivamente pronunziando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.
 
Spese compensate.
 
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
 
Così deciso in Catanzaro nella camera di consiglio del giorno 07/11/2008 con l’intervento dei Magistrati:
 
*******************, Presidente FF, Estensore
********************, Referendario
*****************, Referendario
  
   
IL PRESIDENTE                                         ESTENSORE
 
 
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
 
Il 14/01/2009
 
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
 
IL SEGRETARIO

Lazzini Sonia

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento