La vendita di semi di Cannabis non è reato (Cass. pen. n. 6972/2012)

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 Carlo Alberto Zaina LA DIFESA NEI REATI DA STUPEFACENTI- 2012-Maggioli Editore

 

 

Il problema relativo alla sussunzione della vendita di semi cannabis nello stereotipo normativo, dettato dall’art. 82 d.P.R. 309/90 approda innanzi alla Suprema Corte e trova una soluzione che, correttamente favorevole agli imputati (già assolti nel giudizio di merito dal GUP presso il Tribunale di Firenze) (1), presenta caratteri di evoluzione rispetto a precedenti stereotipi giurisprudenziali.

Vediamo innanzi tutto quali sono i capisaldi certi della pronunzia del giudice di legittimità.

 

  • La vendita dei semi di Cannabis,  di per sé, non costituisce ipotesi di reato.

      La Corte fissa, infatti, i termini entro i quali non è ravvisabile un comportamento penalmente rilevante; essi consistono in un’attività di vendita asettica, cioè priva di elementi di corollario, che la corroborino quale espressione di una volontà divulgativa dell’uso di stupefacenti.

      Sostengono,  i giudici di legittimità che, non a caso, la contestualità temporale della vendita di semi assieme a libri, dvd illustrativi specifiche modalità di coltivazione, fertilizzanti e, più genericamente strumenti atti a favorire la coltivazione appare circostanza sintomatica di una situazione di illecito

      Se per quanto concerne i libri ed i dvd si può convenire con il giudizio della Suprema Corte, attesa la prova dello specifico indirizzo di diffusività della cannabis per fini ludici e di assunzione cui tali oggetti tendono, dubbi, invece, permangono in relazione agli strumenti agricoli menzionati, proprio per il loro carattere di fungibile utilizzo, anche in favore di coltivazioni di natura differente da quella illecita.

      Vi è, infatti, di più.

      La Corte, negando che sia concettualmente prospettabile l’alternativa proposta dal PM presso il Tribunale di Firenze, fra i due tipi di istigazione, determinati dalla violazione dell’art. 82 dpr 309/90 e del combinato disposto dagli artt. 73 dpr 309/90 e 414 c.p., opera un’analisi che è destinata a superare quella posizione giurisprudenziale, che (ai fini della giustificazione della fondatezza dell’ipotesi dell’art. 82) affermava come si dovesse tenere in debito conto la circostanza che la coltivazione costituisce un passaggio necessario per l’uso dello stupefacente.

      Per tale indirizzo ermeneutico (cfr. sezione IV, 8 aprile 2010 deposito del 19 aprile 2010, sent. n. 15083) (2) vigeva, pertanto, il singolare principio che il reato di istigazione all’uso di sostanze droganti, presupponeva e ricomprendeva al proprio interno, implicitamente, l’attività di istigazione alla coltivazione.

      Più volte si è osservato, a contrario, in dottrina ed in giurisprudenza di merito (cfr. Trib. Bolzano, 14 maggio 2010) come, invece, fosse evidente l’esistenza di una rigorosa distinzione fra le due tipologie di istigazione in esame, si che le stesse si presentassero come manifestazioni del tutto autonome tra loro.

      In effetti, il tempo è stato galantuomo, si che si è resa giustizia a quest’ultimo orientamento, legittimandolo in toto.

      La Corte di legittimità si è, infatti, trovata nella condizione di dovere riconoscere la fondatezza di quel tanto sottolineato discrimine fra le due fattispecie istigatorie, affermando, così, che esso è rinvenibile nel fatto che l’istigazione, di cui all’art. 82 d.P.R. 309/90, è diretta all’uso di droghe – condotta di per sé penalmente irrilevante -, mentre il disposto in combinato degli artt. 73 T.U. e 414 c.p. disegna, a propria volta, un quadro di istigazione differente, perchè finalizzato alla commissione di un vero e proprio reato, la coltivazione.

      Questo differenza di carattere sostanziale esclude, pertanto, che l’ipotesi dell’art. 414 c.p. possa sopperire, seppure in via subordinata – in qualche modo – nel caso di rilevata insussistenza ed esclusione della tesi principale di istigazione all’uso.

      Soprattutto, però, il valore e l’efficacia interpretativa di questa differenza tra le due fattispecie non potrà venire confinata, contingentemente, solo alla presente pronunzia, in quanto essa deve, invece, divenire e costituire principio basilare per pervenire ad una esatta identificazione dei presupposti di fatto e di diritto per la corretta ipotizzazione del reato di cui all’art. 82.

 

  • Permane, ancora, nel nostro ordinamento la nozione legale di stupefacenti.

      Vale a dire che deve intendersi con tale accezione solo quei prodotti o quelle sostanze, che risultino espressamente inseriti nelle categorie tabellate, oppure che rientrino nel concetto di precursore di cui all’art. 70 dpr 309/90 così come modificato dal d.l. 50/2011.

     Il principio di tassatività, quindi, (in uno con il principio di legalità) sullo specifico punto viene pienamente ribadito.

 

  • Deve essere esclusa, in capo alla vendita di semi di Cannabis, la natura di   atto preparatorio idoneo ai fini del tentativo punibile ex art. 56 c.p. .

E’ orientamento pacifico, di carattere generale, che l’atto preparatorio debba essere diretto in modo non equivoco alla consumazione del delitto.

Il comportamento del soggetto rientra, dunque, nel concetto di atto preparatorio, quale forma di tentativo punibile ove esso manifesti (cfr. Cass. , sez. V, 24-09-2009, n. 43255 (rv. 245720) A.S. in www.leggiditalia.it) :

a) una potenzialità causale a produrre l’evento illecito

b) l’intenzione dell’agente di commettere il reato.

La Corte, infatti, afferma, in relazione alla specifica tematica, il principio che il possesso (e/o la vendita) di semi di cannabis non costituisce in sé elemento che permetta di dedurre automaticamente la destinazione degli stessi alla coltivazione di piante dalle quali ricavare stupefacente, operando, però, una valutazione nella prospettiva di un’ipotesi di concorso nel reato (sia consumato, che tentato) di coltivazione (artt. 110 c.p. 73 co. 1 d.P.R. 309/90).

In relazione a tali premesse, l’osservazione appare condivisibile, ma solo in parte.

Se è vero, infatti, che non si possono addurre meri sospetti congetturali per collegare il possesso (o la vendita) del seme alla autonoma e successiva attività coltivativa, quale manifestazione ed espressione di un concorso quanto meno morale, è, però, altrettanto vero, che, per potere ipotizzare il concorso del commerciante-venditore di semi nel reato in questione (nella forma appena richiamata sia in relazione al reato consumato, che a quello tentato), appare necessario il raggiungimento della rigorosa prova di una partecipazione eziologicamente qualificata del commerciante alla coltivazione.

In buona sostanza, in presenza di una condotta di messa a dimora, da ritenersi perfezionata secondo gli stereotipi giurisprudenziali (3), si potrà evocare la sussistenza di un vero e proprio concorso punibile ex art. 110 c.p, solo ove alla vendita di semi si accompagni :

a. la indicazione di specifici consigli su modalità, tempi ed organizzazione della coltivazione,

b. la partecipazione con sopralluoghi del terreno messo a coltura,

c. la fornitura di prodotti specificatamente concepiti per detta attività,

vale a dire, quindi, atteggiamenti sintomatici della volontà di partecipare concretamente all’altrui condotta coltivativa.

Rilevanti perplessità suscita, invece, l’ipotizzazione del concorso nel tentativo di coltivazione, perchè appare già di per sé di difficile concezione il tentativo in relazione alla condotta coltivativa.

Vi è, infatti, da domandarsi quali potrebbero essere indici sintomatici (o meglio atti idonei diretti in modo inequivoco) dai quali desumere la volontà di commettere un reato, che non si perfeziona per cause esterne alla volontà dell’agente o degli agenti.

Potrebbero, forse, rientrare in tale categoria l’acquisizione di un terreno, o l’acquisto di arnesi e strumenti destinati all’attività materiale?

La relativa prova appare, poi, ancora di maggiore difficoltà ove si esamini la questione in relazione alla condotta del commerciante, in capo al quale si dovrebbe dimostrare una preventiva adesione psicologica rispetto al disegno dell’agente-acquirente.

Ergo, dovrebbe essere dimostrato che la esclusiva causale della vendita è determinata dalla volontà di dare corso ed apporto alla coltivazione che quello specifico acquirente intende effettuare.

 

 

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IL PARALLELISMO FRA LA PREVISIONE DELL’ART. 82

E QUELLA DELL’ART. 84 T.U.L.Stup.

 

 

Rifacendosi alla tematica sollevata dal GUP presso il Tribunale di Firenze, la Corte, poi, opera una verifica in ordine alla coincidenza dei concetti contenuti nelle due norme, onde inferire dall’esito di tale operazione interpretativa un eventuale rapporto di correlazione tra le stesse.

L’art. 82, come noto, governa una situazione di istigazione all’uso di droghe penalmente rilevante, mentre l’art. 84 regola il divieto di propaganda pubblicitaria di sostanze stupefacenti, con sanzioni di natura amministrativa.

Il GUP presso il Tribunale di Firenze, nella propria sentenza, già aveva sottolineato il carattere di subordinata supplettività della ipotesi amministrativa, che opererebbe, pertanto, ove venga esclusa la rilevanza penale della condotta attribuita.

La Corte, in parallelo conferisce precipua evidenzia al dato lessicale, in base al quale all’interno dell’art. 82 si fa testualmente riferimento a “….sostanze stupefacenti e psicotrope…”, mentre l’art. 84 si “….riferisce a sostanze e preparazioni comprese…”.

Ritiene, su queste basi, il giudice di legittimità che i due concetti si vengano ad equivalere (o meglio vengano a delimitare i medesimi confini), in quanto il termine preparazione allargherebbe lo spettro della condotta illecita di chi faccia propaganda pubblicitaria.

Permane, peraltro, l’evidenza del fatto che l’istigazione richiede, per la sua verificazione, rispetto alla mera propaganda pubblicitaria del prodotto (attività consistente in un messaggio divulgativo asettico), quanto meno una pubblica propalazione od esaltazione della qualità delle sostanze stupefacenti, tali prospettare benefici connessi all’uso delle stesse, (ove, addirittura, l’istigazione non si fondi su minacce o prospettazioni minatorie).

Non ci si può, però, esimere dal rilevare, con sorpresa, che in relazione al contrasto riguardante l’effettivo inserimento dei semi di cannabis nel novero delle sostanze stupefacenti o psicotrope, la Corte esalta la supremazia della posizione giurisprudenziale (la quale talora ha evidenziato la attitudine del seme a produrre la pianta) rispetto al dato normativo (che esclude tassativamente la collocazione dei semi nella citata categoria).

Per vero, si tratta di una situazione di discrasia che non dovrebbe avere ragione di esistere, proprio perchè – nella fattispecie – la interpretazione giurisprudenziale, pare stravolgere il tenore della norma.

E valga il vero.

La circostanza che il seme di cannabis (come d’altronde qualsiasi altro seme) sia idoneo a produrre – a certe condizioni di coltivazione – piante è dato naturalistico incontrovertibile.

Non si può, però, incorrere nell’errore (come incorre, a parere di chi scrive, la Suprema Corte) di utilizzare la attitudine naturale e potenziale, quindi, puramente teorica, di una cosa – o di un bene – (nella fattispecie a “far sorgere piante atte a produrre cannabis”) a mutare od evolversi, assumendo caratteristiche che in origine essa non possiede e che la rendono totalmente differente.

Ciò che conta, dunque, nel caso che ci occupa, non è la capacità del seme di trasformarsi in pianta di cannabis, che è caratteristica potenziale, peraltro, collegata ad una serie molteplice di fattori variabili, quanto piuttosto, la circostanza che il seme in sé è privo di quel carattere psicotropo, che, invece, connota la pianta.

Dunque, il seme non è collocabile nella categoria degli stupefacenti, perchè esso non costituisce un elemento “precursore”, cioè una sostanza od un cannabinoide, che, già di per sé, appaia idoneo a produrre – se consumato od assunto autonomamente –  effetti stupefacenti.

E’ certamente evidente, che il seme costituisca un presupposto necessario per la nascita e germinazione della pianta da cui ricavare stupefacenti, ma va ricordato che esso è anche presupposto per la coltivazione di cannabis sativa destinata a scopi industriali, dunque, assolutamente lecita.

Sono, pertanto, le caratteristiche organolettiche presenti in origine che devono essere prese in esame e l’assenza di qualsivoglia traccia di principio attivo, nei semi, costituisce argomento, a parere di chi scrive, del tutto insuperabile, per affermare che non può essere condivisa quella giurisprudenza che vorrebbe ricondurre- seppur in senso lato –  i semi di cannabis nel contesto delle sostanze stupefacenti, rendendo il loro commercio illecito.

 

 

Avv. Carlo Alberto Zaina

 

 

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(1) Testo e commento in www.altalex.com 13.5.2011 Vendita di semi di cannabis: per rilievo penale occorre propaganda pubblicitaria, Tribunale Firenze, Ufficio GIP, sentenza 18.03.2011 n. 266.
(2) Tribunale Firenze, Gip, sentenza 23.07.2007 (riformata in toto  dalla Corte di Appello Fi 28.11.2008)
       Risponde di istigazione pubblica all’uso di stupefacenti il soggetto che vende on-line semi di cannabis e relativi fertilizzanti, bilancini e altri prodotti per la coltivazione e l’assunzione di marijuana, poichè induce, non solo all’acquisto, ma anche alla coltivazione dei semi trasformandoli in prodotti di natura stupefacente e, quindi illeciti.
(3) Cass. pen., sez. IV,, 17-02-2011, n. 25674, in Foro It., 2011, 11, 2, 613.
      È punibile, ex art. 26, 1 comma, e 73, 1 comma, D.P.R. n. 309/1990, ogni attività di coltivazione (non autorizzata) di piante, da cui possano estrarsi sostanze stupefacenti, salvo che – per la sua modestia e le oggettive circostanze di fatto – sia del tutto inoffensiva dei beni giuridici protetti (nella specie, è stata ritenuta non punibile la coltivazione di una piantina, collocata in un piccolo vaso sul terrazzo dell’abitazione dell’imputato, contenente un principio attivo di 16 mg). 

Sentenza collegata

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Zaina Carlo Alberto

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