La tutela dell’interesse legittimo nel nuovo Codice del processo amministrativo

Tiziana Barile 15/10/15
Scarica PDF Stampa

L’interesse legittimo oggi riconosciuto e tutelato anche a livello costituzionale dagli artt. 24, 103 e 113, Cost., era inizialmente privo di una propria autonomia concettuale essendo delineato “in negativo”, quale interesse diverso dal diritto soggettivo e, in quanto tale, giuridicamente irrilevante e privo di una tutela giurisdizionale.

L’approdo costituzionale in virtù del quale gli interessi legittimi sono tutelati dall’ordinamento giuridico dinanzi al Consiglio di Stato e agli altri organi di giustizia amministrativa, rappresenta il frutto di una evoluzione dottrinale la quale, pur attraverso l’elaborazione di differenti teorie, ha riconosciuto dignità giuridica all’interesse legittimo inteso quale situazione giuridica soggettiva, autonoma e distinta (ma non per questo, priva di tutela giuridica), dal diritto soggettivo.

Nello scenario dottrinale sviluppatosi intorno all’autonomo concetto di interesse legittimo, partendo dalla teoria dell’interesse legittimo occasionalmente protetto, secondo cui l’interesse legittimo è quella posizione di vantaggio con cui l’ordinamento protegge in modo diretto e speciale l’interesse pubblico alla legalità dell’azione amministrativa e solo indirettamente ed occasionalmente l’interesse del privato che, dallo scorretto agire della P.A., abbia tratto nocumento, passando per la teoria dell’interesse legittimo strumentale alla legittimità dell’azione amministrativa, due sono le teorie che principalmente si sono contrapposte e ne hanno influenzato l’evoluzione: la teoria processualistica e la teoria normativa.

Alla luce della teoria processualistica proposta dal Guicciardi, l’ interesse legittimo viene confuso con l’interesse ad agire ossia con l’interesse che deve sussistere affinché il privato possa agire in giudizio avverso il provvedimento amministrativo lesivo della sua posizione, così estrinsecandosi quale interesse formale alla legittimità del provvedimento amministrativo.

Il privato, stando alla teoria esposta, sarebbe titolare di una situazione giuridica meramente processuale che verrebbe soddisfatta attraverso la semplice impugnazione dell’atto illegittimo ed il suo annullamento, relegando l’interesse legittimo all’interno di una dimensione meramente formale.

Questa impostazione ignora il contenuto sostanziale fulcro invece della teoria normativa elaborata dal Nigro e recepita a livello giurisprudenziale anche recentemente, in virtù della quale l’interesse legittimo è normativamente riconosciuto, qualificato e differenziato dalla norma attributiva del potere pubblico (c.d. norme di azione) quale situazione giuridica soggettiva di pretesa del bene della vita (interesse pretensivo) o di difesa del bene della vita (interesse oppositivo).

L’interesse legittimo inteso nella dimensione sostanziale, è correlato ad un interesse materiale del titolare ad un bene della vita ed il giudizio sulla mera formalità del provvedimento amministrativo si tramuta, nella teoria normativa, in un giudizio sulla fondatezza sostanziale della pretesa vantata dal privato o dall’Amministrazione. 

La teoria normativa è stata recepita a livello normativo attraverso l’art. 21-octies, secondo comma, L. 7 agosto 1990, n. 241, ai sensi del quale il provvedimento adottato dalla Pubblica Amministrazione nell’ambito dell’attività vincolata, in violazione delle norme sul procedimento o sulla forma ovvero non preceduto dalla comunicazione dell’avvio del procedimento, non porta all’annullamento del provvedimento qualora, a seguito di una valutazione sostanziale del provvedimento avente ad oggetto il suo contenuto, emerga che lo stesso non sarebbe stato differente nonostante il rispetto delle norme violate.

Da tale disposizione emerge chiaramente che l’annullamento del provvedimento consegue ad una valutazione dello stesso che prescinde dal confronto tra quanto formalmente prescritto dal legislatore e quanto posto in essere dalla P.A. e valuta il soddisfacimento del bene della vita cui tale provvedimento tende, così aderendo chiaramente ad una nozione sostanziale di interesse legittimo così come delineata dalla concezione normativa.

La norma di azione attributiva del potere in capo alla P.A. impone alla stessa di intervenire  ovvero di astenersi affinché il privato consegua o mantenga il bene della vita così soddisfacendo il suo interesse legittimo.

L’adesione alla teoria sostanzialistica pur mantenendo ferma la distinzione tra la categoria dei diritti soggettivi in cui le norme di relazione si limitano a disciplinare le relazioni tra i soggetti senza prevedere l’intervento della P.A.,  e la categoria degli interessi legittimi nella quale, come visto, le norme di azione attribuiscono e riconoscono i pubblici poteri attraverso cui la P.A. concede un provvedimento o si astiene dall’intervenire al fine di permette al titolare il raggiungimento del bene della vita,  attribuisce ad entrambe le situazioni giuridiche soggettive pari dignità e, ora, anche pari livello di tutela.

Contestualmente all’evoluzione sul piano della natura giuridica degli interessi legittimi, anche dal punto di vista della tutela giurisdizionale si è assistito al passaggio da una giudizio sull’atto ad un giudizio sul rapporto in quanto, in conseguenza di detto mutamento vi è stato un ampliamento dell’oggetto della giurisdizione del giudice amministrativo che ha profondamente inciso sull’oggetto del giudizio dinanzi al giudice amministrativo e sul riparto di giurisdizione tra il giudice amministrativo ed il giudice ordinario.

Come anticipato, inizialmente era negata rilevanza giuridica all’interesse legittimo e dunque non erano tutelate le situazioni soggettive ad esso sottese, questo accadeva nel 1865.

Successivamente, con l’istituzione della IV sezione del Consiglio di Stato avvenuta nel 1889, si inaugurava una nuova fase in cui l’interesse legittimo, riconosciuto quale autonoma situazione giuridica positiva, riceveva una apposita tutela seppur limitata al solo annullamento dell’atto da richiedere dinanzi al giudice amministrativo.

Tale fase rifletteva una iniziale adesione alla teoria processualistica in virtù della quale come visto, veniva sottolineata la natura formale dell’interesse legittimo, alla luce della quale il suo soddisfacimento era strettamente connesso alla legittimità dell’provvedimento della P.A., da ciò conseguiva che solo un atto  illegittimo poteva essere lesivo dell’interesse legittimo.

In tale ottica dunque è chiaro il motivo per cui era ritenuta sufficiente il mero annullamento dell’atto amministrativo; il rimedio impugnatorio eliminando l’atto illegittimo eliminava esattamente quella situazione lesiva dell’interesse legittimo, il giudizio chiaramente inteso quale giudizio sull’atto si limitava a verificare la legittimità formale del provvedimento impugnato alla luce dei tre vizi di violazione di legge, incompetenza ed eccesso di potere, senza entrare nel merito dello stesso.

A questo punto è chiaro come, in conseguenza dell’affermarsi della nozione sostanziale di interesse legittimo quale situazione giuridica materiale, positiva avente ad oggetto un bene della vita, la tutela impugnatoria risulti insufficiente in quanto limitata ad un profilo strettamente formale che ignora il contenuto sostanziale dell’attività amministrativa.

Su tale presupposto ha iniziato ad farsi strada e ad affermarsi una tutela che, a prescindere dalla legittimità del provvedimento amministrativo e dell’attività pubblica in generale, verifica l’effettiva lesione dell’interesse legittimo e del bene giuridico cui tende il titolare.

A coronamento di tale visione vi è, a livello normativo, il già citato art. 21-octies e, prima ancora gli artt. 24, 103  e 113 Cost.

A livello costituzionale, le disposizioni appena menzionate, formalizzano la ripartizione tra giudice ordinario e giuridiche amministrativo con l’annessa associazione, giudice ordinario-diritti soggettivi, giudice amministrativo-interessi legittimi (fatta eccezione per particolari materie indicate dalla legge, in cui è giudice anche dei diritti soggettivi) e parlano di tutela in senso ampio: “Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi”(art. 24, primo comma, Cost.), “Il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi”(art. 103, primo comma, Cost.) e “Contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi..”(art. 113, primo comma, Cost.).

L’utilizzo del termine tutela in senso così generico ed ampio ha portato ad elaborare sia a livello giurisprudenziale che dottrinale ed infine ad introdurre sul piano normativo, una nozione atipica di tutela che legittima il privato non solo ad impugnare il provvedimento al fine di annullarlo, bensì ad esperire anche azioni di accertamento, di condanna al risarcimento del danno e di esatto adempimento.

Una lettura in termini ampi della tutela si rende altresì necessaria al fine di garantire il rispetto della effettività e pienezza della tutela giurisdizionale.

L’atipicità che viene riconosciuta in relazione alle azioni esperibili dal privato si riflette automaticamente sul contenuto delle sentenze che il giudice amministrativo può pronunciare, il tutto, contenuto e disciplinato all’interno del titolo III del Codice del processo amministrativo (in cui si parla di azioni di cognizione, di condanna reintegratoria e risarcitoria, azione avverso il silenzio e declaratoria di nullità e delle relative pronunce di merito, tra le quali quella di annullamento, di adempimento, di condanna), denota una tutela dell’interesse legittimo ad ampio spettro che non solo va oltre il rimedio impugnatorio finalizzato all’annullamento dell’atto, ma alle volte, prescinde dallo stesso.

Quanto appena detto trova conferma nel secondo comma dell’art. 21-octies, della L. n. 241 del 1990, il quale sancisce il passaggio dal giudizio sull’atto al giudizio sul rapporto riconoscendo al giudice il potere di verificare entro quali limiti la illegittimità formale, per i vizi ivi indicati, giustifichi l’annullamento dell’atto che conseguirà solo laddove si accerti che il suo contenuto sarebbe stato diverso (giudizio di merito e non più solo di legittimità), salvo distinguere tra attività vincolata in cui il giudizio ha ad oggetto direttamente il rapporto ed attività discrezionale in cui attesa la “libertà” nell’esercizio del potere attribuito alla P.A., il giudizio verte in prima battuta sull’atto, per poi passare al rapporto.

A livello giurisprudenziale un ruolo primario è rivestito dalla sentenza n. 500, pronunciata a Sezioni Unite dalla Cassazione nel 1999 (la cui linea interpretativa è stata confermata successivamente dalla Corte Costituzionale con le sentenze nn. 204 del 2004 e 191 del 2006), attraverso la quale nel confermare la natura sostanziale dell’interesse legittimo, è stata riconosciuta la risarcibilità degli stessi, sia dinanzi al giudice ordinario che amministrativo.

La tutela risarcitoria, inizialmente negata dapprima per questioni di giurisdizione, poi di merito, è stata infine affermata alla luce della su menzionata sentenza proprio alla stregua della nozione sostanziale di interesse legittimo che, inteso quale interesse meritevole di tutela alla luce del bene della vita ad esso sotteso è incluso nella nozione ampia e anch’essa atipica di “danno ingiusto” risarcibile, a prescindere dalla veste giuridica di interesse legittimo o diritto soggettivo, ex art. 2043 c.c..

Il risarcimento del danno rappresenterebbe secondo tale nuova interpretazione, ormai recepita dal Codice del processo amministrativo, all’art. 30 (il quale ne ammette l’esperibilità sia contestualmente ad altra azione, sia autonomamente nei casi di giurisdizione esclusiva ed in quelli disciplinati dall’art. 30), un corollario della tutela caducatoria in virtù del principio di pienezza ed efficienza della tutela, peraltro costituzionalmente tutelati dall’art. 24, Cost..

Sulla medesima scia interpretativa e ad ulteriore conferma della stessa, si pongono le sentenze nn. 3 e 15 pronunciate nel 2011 dal Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria le quali, nel ribadire il principio della pluralità delle azioni a tutela degli interessi legittimi, ha affermato l’autonomia delle azioni di risarcimento del danno e di accertamento rispetto all’azione caducatoria di annullamento.

Natura giuridica dell’interesse legittimo, tutela e riparto di giurisdizione, costituiscono dunque i pezzi di un medesimo puzzle.

Il riconoscimento dell’interesse legittimo come interesse materiale, ha di fatto spostato il baricentro dalla legittimità formale dell’atto e dell’attività della P.A., alla legittimità sostanziale e quindi da un giudizio sull’atto ad un giudizio sul rapporto finalizzato a valutare la fondatezza di quest’ultimo la cui tutela non risiede più solo nella eliminazione, annullamento dell’atto che può risultare inidonea a soddisfare quell’interesse materiale, ma va oltre, legittimando il privato a richiedere ed ottenere il l’accertamento della illegittimità del provvedimento (senza che ad esso segua l’annullamento del provvedimento) per fini meramente risarcitori, ovvero ad ottenere, sussistendo i presupposti di cui all’art. 2058 c.c. il risarcimento del danno in forma specifica (art. 30, D.lgs. n. 104/2010) e tutto ciò, sempre dinanzi al giudice amministrativo.

Di azione di accertamento si parla nel Codice del processo amministrativo agli artt. 31 e 34, comma terzo nonchè nella L. 241/1992 in relazione alla dichiarazione di nullità del provvedimento amministrativo ex art. 21- septies, per mancanza degli elementi essenziali, per difetto assoluto di attribuzione e per violazione o elusione del giudicato (nonché negli altri casi previsti dalla legge).

L’art. 31 è dedicato all’azione avverso il silenzio e alla declaratoria di nullità e riconosce la possibilità per chi abbia interesse, di chiedere l’accertamento dell’obbligo dell’amministrazione di provvedere, subordinando tale azione al decorso dei termini per la conclusione del procedimento amministrativo (oltre che in altri casi previsti dalla legge), l’articolo prosegue circoscrivendo la domanda volta all’accertamento della nullità entro determinati termini decadenziali a patto che si tratti di attività vincolata, l’art. 34, dedicato alle sentenze di merito, invece menziona l’azione dichiarativa di accertamento al comma terzo, riconoscendo al ricorrente la possibilità di richiedere l’accertamento dell’illegittimità qualora l’annullamento del provvedimento non risulti più utile nel corso del giudizio inizialmente proposto per fini caducatori (a condizione che il potere amministrativo si astato esercitato).

La possibilità di esperire un’azione di accertamento è stata dunque ritenuta ammissibile dalla sentenza su citata, la n. 15 del 2011, in cui l’Adunanza Plenaria, sulla scorta delle considerazioni svolte nella sentenza della Cassazione pronunciata a Sezioni Unite, la n. 500 del 1999, e dall’Adunanza Plenaria nel 2011, con la sentenza n. 3, ha affermato l’ammissibilità in via generale dell’azione di accertamento sganciata quindi dall’azione di annullamento del provvedimento, ciò in quanto l’obiettivo primario della tutela è soddisfare l’interesse legittimo inteso in senso sostanziale, salvo il rispetto dei limiti descritti dall’art. 34, tra cui emerge la necessità che il potere amministrativo sia stato esercitato.

Da quanto appena detto deriva che l’azione di accertamento sarà ammissibile laddove dalla pronuncia dichiarativa derivino effetti positivi, utili in capo al ricorrente, tra i quali l’accertamento dell’illegittimità anche per fini meramente risarcitori, prescindendo quindi dall’annullamento del provvedimento per il quale, ad esempio, il decorso del tempo potrebbe aver reso inutile la sua eliminazione essendosi ormai consolidati gli effetti negativi ovvero al fine di eliminare quello stato di incertezza creatosi a causa della inerzia della P.A., ovvero a prescindere dall’esistenza stessa di un provvedimento da impugnare, configurandosi in tal caso un’azione c.d. di mero accertamento.

L’ammissibilità dell’azione di mero accertamento permette al privato di agire in giudizio al fine di accertare la mancata adozione del provvedimento dalla P.A.; in siffatte ipotesi assume rilevanza quale bene giuridico autonomo e rilevante, il decorso del tempo ed il mancato esercizio dell’azione amministrativa, a prescindere dalla spettanza del bene.

L’ammissibilità di una siffatta azione di accertamento risponde alle esigenze di pienezza ed efficienza della tutela amministrativa non più ancorata alla esistenza ed alla legittimità del provvedimento amministrativo, bensì alla tutela dell’interesse legittimo in sé considerato quale interesse materiale.

Tiziana Barile

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento