La tratta degli esseri umani. Un problema globale

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I.1.     La normativa internazionale. Uno sguardo d’insieme

Le prime prese di posizione a livello internazionale in merito all’abolizione della schiavitù e della tratta degli esseri umani risalgono già ai primi anni dell’Ottocento.

L’8 febbraio del 1815 venne, infatti, firmata e poi allegata come annesso XV all’Atto Finale (9 giugno 1815) del Congresso di Vienna (ma compariva già come allegato al Trattato di Parigi del 30 maggio 1814), una Declaration au sujet de l’abolition de la traite des nègres d’Afrique ou du commerce des enclave, che stabiliva immediatamente “que le commerce connu sous le nom de Traite des nègres d’Afrique a été envisagé par les hommes éclairés de tous les temps, comme répugnant aux principes d’humanité et de morale universelle”[1].

Bisognerà aspettare più di un secolo per assistere alla firma di un nuovo documento in materia. Ciò che costituisce un fatto da non sottovalutare, insieme alla circostanza che la Declaration stessa venne ratificata da alcuni Paesi anche con non trascurabili ritardi, poiché lascia facilmente intuire quanto lenta sia stata l’assimilazione di tali principi da parte delle potenze, europee prima e mondiali dopo, dal momento che tutte, a vario titolo, avevano costruito il loro potere proprio calpestando quei diritti che ora si vantavano di proteggere[2].

Solo il 25 settembre 1926 la Società delle Nazioni adottò, infatti, una Convenzione internazionale sulla schiavitù che sarebbe stata poi recepita dall’ONU tramite il Protocollo conclusivo delle Nazioni Unite del dicembre 1953[3]. La Convenzione aveva il merito di sancire per la prima volta quali misure gli Stati dovessero predisporre per l’eliminazione della schiavitù, ponendo così l’accento sulla necessità di intervenire fattivamente, di là dalla pur necessarie dichiarazioni di principio.

Inoltre, è importante sottolineare che in questa Convenzione il concetto di schiavitù si allargava a ricomprendere fenomeni che, pur non essendo qualificabili nei termini classici della tratta degli schiavi, ben potevano ricondursi al fenomeno della schiavitù, in quanto miranti a restringere o a impedire il pieno esercizio delle libertà personali attraverso mezzi coartanti la volontà altrui o comunque atti a controllarla illegittimamente. Si faceva, infatti, il caso dell’acquisto di bambine dissimulato da una donazione in dote, dell’adozione di minori finalizzata alla riduzione in schiavitù, della dazione in pegno di un essere umano a garanzia di un debito, della riduzione in schiavitù di un essere umano a causa di un debito non onorato.

Naturalmente, assume rilievo fondamentale in questo contesto la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 10 dicembre 1948, promossa dalle Nazioni Unite e che significativamente recita all’art. 4: “no one shall be held in slavery or servitude; slavery and the slave trade shall be prohibited in all their forms”.

L’attività dell’ONU nei decenni successivi contribuì a sensibilizzare tanto gli Stati quanto l’opinione pubblica sul tema della schiavitù, soprattutto attraverso la Commissione per i Diritti umani e altri organismi come l’ESOCOC (Economic and Social Council) e l’ILO (International Labour Organization).

In particolare, va ricordata la Supplementary Convention on the Abolition of Slavery, the Slave Trade, and Institutions and Practices Similar to Slavery, che l’ECOSOC adottò con la risoluzione 608 (XXI) del 30 aprile 1956 e firmata a Ginevra il 7 settembre dello stesso anno.

Al fine di compensare la portata ancora generica della Convenzione del ’26, la Convenzione Supplementare coniò l’istituto dello stato servile.

Nello stato servile si facevano rientrare il corrispettivo pagato alla famiglia per avere in sposa una donna; il trasferimento ad altra persona, con o senza corrispettivo, di una donna da parte del marito o della di lui famiglia; il trasferimento jure hereditatis di una donna; la consegna di un minore ad altri finalizzato allo sfruttamento del minore o del suo lavoro.

Altra importante statuizione della Convenzione Supplementare è quella che prevede l’equiparazione alla schiavitù di pratiche volte allo sfruttamento nel Paese di destinazione di persone emigrate grazie a trafficanti, finché non sarà saldato il debito contratto verso i trafficanti stessi per il viaggio e verso gli sfruttatori che provvedono al loro mantenimento.

L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite adottò inoltre, il 16 dicembre 1966, l’International Covenant on Civil and Political Rights, che all’art. 8 riproponeva l’assoluto divieto di ridurre in schiavitù gli esseri umani; la Convention on the Elimination of All Forms of Discrimination  against Women nel 1979 e la Declaration of the Rights of the Child nel 1989, che si pongono sulla medesima linea di tutela dei diritti umani.

Un ruolo importante assume poi nel nostro discorso il Protocollo addizionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata per prevenire, reprimere e punire la tratta di persone, in particolare di donne e bambini, approvato alla fine della Conferenza tenutasi a Palermo tra il 12 e il 15 dicembre 2000, e congiunto alla Convenzione contro la criminalità organizzata transnazionale. Oltre al citato Protocollo, la Convenzione ne ha adottati altri due: il Protocollo contro il traffico di migranti via terra, mare e aria e il Protocollo sulla lotta contro la fabbricazione e il traffico illeciti di armi da fuoco, loro parti e componenti e munizioni.

Ci sono almeno due aspetti che meritano la nostra attenzione in merito al primo Protocollo.

In primo luogo, esso ha una portata più ampia rispetto a quella fatta propria da alcune convenzioni che l’hanno preceduto, riferendosi non più soltanto a soggetti specifici come donne e bambini, ma allargandosi a ricomprendere le forme di schiavitù riguardanti tutti gli esseri umani, ribadendo il concetto che la tratta degli esseri umani è un fenomeno a cui si deve guardare secondo una prospettiva onnicomprensiva, sia per l’oggetto che relativamente ai soggetti coinvolti, delle situazioni che menomano le libertà fondamentali dell’uomo.

In secondo luogo esso ci fornisce un’importante definizione, quella di tratta di persone.

All’art. 3 lett. a) si stabilisce, infatti, che quest’ultima configura il reato così definito:

reclutamento, trasporto, trasferimento, l’ospitare o accogliere persone, tramite l’impiego o la minaccia di impiego della forza o di altre forme di coercizione, di rapimento, frode, inganno, abuso di potere o di una posizione di vulnerabilità o tramite il dare o ricevere somme di denaro o vantaggi per ottenere il consenso di una persona che ha autorità su un’altra a scopo di sfruttamento. Lo sfruttamento comprende, come minimo, lo sfruttamento della prostituzione altrui o altre forme di sfruttamento sessuale, il lavoro forzato o prestazioni forzate, schiavitù o pratiche analoghe, l’asservimento o il prelievo di organi.

Anche a livello europeo è dato di riscontrare una sensibilità di non poco momento verso queste problematiche, anche per il diretto coinvolgimento, per ragioni di contiguità territoriale, con i Paesi da cui partono i carichi di merce umana, del vecchio continente nel traffico in questione.

A partire dalla Carta europea dei diritti dell’uomo del 1950, che fissava i principi dello jus publicum europeum quale veniva configurandosi dopo l’esperienza delle due guerre e l’avvertita necessità di porre a fondamento dell’idea di Europa un patrimonio comune di diritti e principi morali, si sono succeduti nel tempo diversi documenti che, in linea con quelle prime formulazioni, hanno riconosciuto la primazia di valori quali la dignità, la libertà, l’uguaglianza e la solidarietà come facenti capo al concetto ampio di cittadinanza europea.

In particolare, e con riguardo al tema che ci occupa, va menzionata la direttiva del Parlamento europeo 2011/36/UE del 5 aprile 2011, rubricata “prevenzione e repressione della tratta di esseri umani”, che succede, sostituendolo, a un intervento del Consiglio d’Europa del 2002 (629/GAI) di portata meno ampia, rubricato “lotta contro la tratta degli esseri umani”.

Nel nuovo testo, infatti, compare una definizione più dettagliata della tratta degli esseri umani, che ricalca quella del Protocollo di Palermo:

Sono considerati punibili il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l’alloggio o l’accoglienza di persone, compreso il passaggio o il trasferimento dell’autorità su tali persone, a fini di sfruttamento.

Lo sfruttamento comprende, come minimo:

  • lo sfruttamento della prostituzione o altre forme di sfruttamento sessuale;
  • il lavoro o i servizi forzati (compreso l’accattonaggio, la schiavitù o pratiche simili alla schiavitù, la servitù, lo sfruttamento di attività illecite o il prelievo di organi).

L’Europa mostra così di volersi allineare alla posizioni della comunità internazionale, i cui organismi convergono nella valutazione della tratta degli esseri umani e delle forme di schiavitù che ne conseguono, come fenomeni ad ampio spettro, che abbracciano più casi di reità e un ventaglio di situazioni esistenziali nuove rispetto a visioni classiche della riduzione in schiavitù.

È opportuno tuttavia segnalare che, riguardo alla responsabilità penale degli immigrati clandestini, le cui vicende si intersecano con quelle delle vittime della tratta, l’ONU ha preferito adottare una politica di favor nei confronti di chi entra illegalmente in un paese straniero, come si evince dall’art. 5 del Protocollo addizionale summenzionato, mentre a livello comunitario si registrano posizioni ondivaghe, non essendosi ancora raggiunta unanimità di vedute tra chi propende per soluzioni più restrittive e chi per un approccio più garantista[4].

 


[1] VON MARTENS G. F. (a cura di), Nouveau Recueil Général de Traités, ser. 1 vol. 2, 1817, p. 432.

[2] Cfr. ARLACCHI P., Schiavi. Il nuovo traffico di esseri umani, Rizzoli, Milano, 1999, p. 37.

[3] V. VISMARA M., Schiavitù, in “La Comunità internazionale”, 9, 1954, p. 116.

[4] Cfr. MILITELLO V. (a cura di), Conflitti inter-etnici e tutela delle vittime. Fra Corte penale internazionale e giurisdizione internazionale, Giuffré, Milano, 2008, p. 76.

Avv. Savino Mauro

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