La titolarità di interessi collettivi o diffusi non legittima l’esercizio tout court del diritto di accesso

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La titolarità o la rappresentatività di interessi collettivi o diffusi non vale a costituire un potere – comunque privato e perciò estraneo ai circuiti pubblici di rappresentatività e responsabilità – di ispezione sulle pubbliche amministrazioni e non giustifica un generalizzato e pluricomprensivo diritto alla conoscenza di qualsivoglia documento riferito all’attività di un’amministrazione, con la conseguenza che al dispiegarsi del principio di trasparenza occorre, anche per le associazioni rappresentative di interessi collettivi o diffusi, che la richiesta di accesso sia sostenuta da un effettivo, attuale e concreto interesse alla conoscenza di atti, relativi ai servizi rivolti ai consumatori, che incidono in via diretta ed immediata, non in via del tutto ipotetica o riflessa, sui loro interessi”.

Ai fini dell’azionabilità del diritto di accesso1 occorre accertare la sussistenza di due presupposti (art. 22 ss. l. n.241/1990): l’interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento, non necessariamente ascrivibile alle categorie di “diritto soggettivo” o di “interesse legittimo”, e pur tuttavia rilevante per l’ordinamento giuridico; la natura “accessibile” del documento, ossia l’assenza di un divieto di accesso, previsto dalla legge o dalla stessa p.a., correlato al carattere segreto delle informazioni in esso contenute o pregiudizievole di valori giuridicamente rilevanti, quali riservatezza, buon andamento della p.a., sicurezza e difesa nazionale2.

Come precisato dal Consiglio di Stato nella sentenza de qua, nel caso delle associazioni portatrici di interessi pubblici o diffusi, i presupposti per l’accesso sono i medesimi previsti in via generale dalla legge n. 241 del 1990, anche in base al disposto dell’art. 26 della citata legge 7 dicembre 2000, n. 383, che riconosce alle associazioni di promozione sociale il diritto di accesso di cui all’art. 22, comma 1, l. n. 241 del 1990, connotato dalla presenza di una situazione giuridicamente tutelata e dalla sussistenza di un interesse diretto, concreto e attuale: la legittimazione attiva al diritto di accesso è quindi riconosciuta a prescindere dalla potenziale lesione della sfera giuridica del richiedente da parte del provvedimento adottato a conclusione del procedimento.

Come già puntualizzato in precedenti pronunce (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza n. 5481/2011), le associazioni in questione devono fornire alla loro richiesta di accesso un adeguato supporto probatorio (“l’esatta rappresentazione dell’interesse all’accesso costituisce un’indefettibile ed originaria condizione per l’ammissibilità della domanda ostensiva, che è onere di chi presenta l’istanza dedurre e suffragare”) circa l’esistenza, in concreto, “di un bisogno differenziato di conoscenza”. Non deve cioè essere orientato ad un controllo generalizzato ed indiscriminato sull’azione amministrativa, in nome di una ‘fantomatica’ rappresentatività degli interessi degli associati, ma occorre piuttosto che ricorra un “effettivo, attuale e concreto interesse alla conoscenza di atti che incidono in via diretta e immediata (in quanto collegati alla prestazione o alla funzione svolta), e non già in via meramente ipotetica e riflessa, sugli interessi collettivi degli associati (cfr. Cons. Stato, VI, 9 febbraio 2009, n. 737; 25 settembre 2006, n. 5636; 10 febbraio 2006, n. 555) 3.

 

 

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

omissis

FATTO e DIRITTO

1 – Con la sentenza n. 229 del 2012, oggetto del presente appello, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha parzialmente accolto il ricorso n. 9415 del 2011 proposto dalle Associazioni qui appellate per l’accesso a vari documenti amministrativi chiesti in ostensione al Policlinico universitario Gemelli, al Commissario straordinario per la sanità presso la Regione Lazio ed all’Azienda sanitaria locale Roma E, che avevano opposto dinieghi espressi o taciti.

Il Tar ha rilevato l’inammissibile proposizione del ricorso nei confronti del Commissario straordinario, organo statale, perché non ritualmente notificato presso l’Avvocatura dello Stato, ha dato atto della ostensione, medio tempore, di parte della documentazione richiesta, ne ha esclusa dall’accessibilità altra, ed ha ritenuto fondata la domanda “nella parte relativa alla richiesta di copia: a) degli atti posti in essere dal Policlinico Gemelli per l’applicazione dei programmi di sorveglianza e controllo e la loro efficacia; b) dei protocolli adottati per definire la strategia di lotta contro le infezioni ospedaliere; c) dell’atto con cui è individuato il tipo di sistema di sorveglianza adottato ai sensi della circolare n. 8 del 1988 del Ministero della salute e, in particolare, se Sorveglianza basata su laboratorio o Sorveglianza attraverso studi di prevalenza ripetuti; d) le modalità di applicazione dei programmi di sorveglianza sulla TBC per gli operatori sanitari previsti dalla normativa”, ad esclusione degli eventuali atti, tra quelli indicati, adottati dal Commissario straordinario per la sanità nella Regione Lazio.

2 – L’Università Cattolica del Sacro Cuore impugna la sentenza deducendo, con articolazione in quattro motivi, la violazione, sotto vari profili, degli artt. 22 e segg. l. 7 agosto 1990, n. 241, eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei fatti, assenza o erroneità dei presupposti, erroneità della motivazione, violazione dell’art. 26 l. 7 dicembre 2000, n. 383 (sulle Associazioni di promozione sociale), violazione dell’art. 24 l n. 241 del 1990, violazione del principio nemo tenetur se detegere.

Resistono le Associazioni intimate, che eccepiscono l’inammissibilità dell’appello e ne contestano la fondatezza.

Si sono, inoltre, costituiti il Commissario straordinario per la sanità nella Regione Lazio, la Presidenza del Consiglio dei Ministri e la Regione Lazio.

Alla camera di consiglio del 22 maggio 2012 l’appello è stato trattenuto per la decisione.

3 – Preliminarmente, va disattesa l’eccezione di inammissibilità dell’appello, nella sua duplice prospettazione di una preclusione di ogni questione ulteriore rispetto all’originario motivo di diniego di ostensione dei documenti opposto dal Policlinico Gemelli e dell’incompetenza funzionale del giudice di appello a fornire l’indicazione, che nella sostanza si chiederebbe, delle “modalità di ottemperanza del giudicato”.

Il primo assunto non può essere condiviso, in quanto l’ambito della presente controversia non si esaurisce nell’indagine sulla correttezza o meno della risposta (non potersi fornire le informazioni e la documentazione richieste “essendo in corso indagini della Procura della Repubblica”) fornita dal Policlinico Gemelli ma involge la sussistenza dei presupposti delineati dagli artt. 22 e segg. l. 7 agosto 1990 n. 241 per l’esercizio del diritto di accesso ed i limiti applicativi della relativa disciplina; temi che la gravata sentenza affronta diffusamente.

Quanto al secondo rilievo, non pertinente risulta il richiamo all’art. 112, comma 5, cod. proc. amm.; l’azione proposta dall’Università è tesa alla espressamente richiesta riforma della sentenza impugnata e, dunque, alla reiezione del ricorso di primo grado, con esclusione, totale o parziale secondo i motivi dedotti, dell’ostensibilità dei documenti, non certo ad ottenere la specificazione delle modalità di ottemperanza ad una pronuncia di cui si predica l’erroneità; la notazione aggiuntiva, contenuta nel primo motivo di appello, circa la mancata indicazione nella sentenza dell’ambito temporale cui riferire l’accesso (“se…con riferimento agli atti formati soltanto nell’anno 2011 ovvero anche altri atti formati dall’anno 1997 sino all’anno 2012”) non sottende una richiesta di chiarimenti ma accompagna la contestazione che “L’istanza di accesso non chiarisce per quali anni è richiesta la documentazione de qua” e intende sottolineare la ritenuta erroneità della sentenza per non aver colto l’indeterminatezza oggettiva e temporale dell’istanza di accesso.

Nel merito, l’appello si rivela solo in parte fondato, nei limiti che si preciseranno.

Non persuade il più radicale e logicamente prioritario motivo (terzo) con il quale si sostiene che le associazioni ricorrenti in primo grado, cui viene riconosciuta la titolarità “di “una situazione giuridicamente rilevante” ex art. 26 della Legge n. 83/2000” (norma che, al primo comma, riconosce alle associazioni di promozione sociale il diritto di accesso ai documenti di cui all’art. 22, comma 1, della l. 7 agosto 1990, n. 241, e, al secondo comma, espressamente stabilisce che “Ai fini di cui al comma 1 si considerano situazioni giuridicamente rilevanti quelle attinenti al perseguimento degli scopi statutari delle associazioni di promozione sociale”), non avrebbero un interesse diretto, concreto e attuale all’accesso richiesto e la loro iniziativa, tendente nella sostanza ad una sorta di generica ispezione sull’attività della struttura sanitaria, troverebbe preclusione nel disposto del terzo comma dell’art. 24 della legge n. 241 del 1990, secondo cui “non sono ammissibili istanze di accesso preordinate al controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni”. In particolare, si rileva che “l’esercizio di un controllo generalizzato sull’azione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore da parte di due Associazioni private di rilevanza economica presupponeva, se non altro, la previa acquisizione quale iscritto, di almeno un soggetto che avesse effettivamente contratto l’infezione tubercolare”, a comprovare la quale non basterebbe la positività al test “Quantiferon”, ove non confermata dal test “Mantoux” e da RX toracica (l’appellante segnala che solo un bambino nato il 22 marzo 2011 era risultato con certezza affetto dall’infezione TBC, in quanto gli altri bambini, risultati positivi al primo test, erano poi risultati negativi a controlli con altri metodi).

La Sezione ha in più occasioni ribadito, sul piano generale, che la titolarità o la rappresentatività di interessi collettivi o diffusi non vale a costituire un potere – comunque privato e perciò estraneo ai circuiti pubblici di rappresentatività e responsabilità – di ispezione sulle pubbliche amministrazioni e non giustifica un generalizzato e pluricomprensivo diritto alla conoscenza di qualsivoglia documento riferito all’attività di un’amministrazione, con la conseguenza che al dispiegarsi del principio di trasparenza occorre, anche per le associazioni rappresentative di interessi collettivi o diffusi, che la richiesta di accesso sia sostenuta da un effettivo, attuale e concreto interesse alla conoscenza di atti, relativi ai servizi rivolti ai consumatori, che incidono in via diretta ed immediata, non in via del tutto ipotetica o riflessa, sui loro interessi (cfr. le sentenze 6 ottobre 2011, n. 5481; 9 febbraio 2009, n. 737; 25 settembre 2006, n. 5636 e 10 febbraio 2006, n. 555; spunti per maggiori aperture, nel senso che in relazione alla previsione dell’art. 26, comma 2, l. 7 dicembre 2000, n. 383 ed in presenza di previsioni statutarie di scopi quali la tutela del diritto alla trasparenza, potrebbe ravvisarsi una legittimazione ex lege, comportante l’irrilevanza di ogni esame sulla sussistenza di un interesse diretto e concreto, si rinvengono nella sentenza parziale con contestuale ordinanza di remissione all’Adunanza plenaria 8 febbraio 2012, n. 677, ma non hanno trovato condivisione in Cons. Stato, Ad. Plen., 24 aprile 2012, n. 7).

Il Collegio concorda con il riferito, consolidato orientamento.

I presupposti per l’accesso delle associazioni ricorrenti in primo grado sono, infatti, i medesimi previsti in via generale dalla legge n. 241 del 1990, come confermato dal disposto dell’art. 26 della citata legge 7 dicembre 2000, n. 383, che riconosce alle associazioni di promozione sociale il diritto di accesso di cui all’art. 22, comma 1, l. n. 241 del 1990, quale, dunque, da tale norma configurato, ossia connotato tanto dalla presenza di una situazione giuridicamente tutelata che della sussistenza di un interesse diretto, concreto e attuale. L’essere titolare di una situazione giuridicamente tutelata non è, quindi, condizione sufficiente perché l’interesse affermato possa considerarsi diretto concreto e attuale.

Né sui presupposti e sui limiti del diritto di accesso configurato dagli artt. 22 e seguenti l. n. 241 del 1990 (quali ridefiniti dalla l. 11 febbraio 2005, n. 15) incidono le previsioni richiamate dalle associazioni qui appellate, degli artt. 139 e segg. del d.lgs 6 settembre 2005, n. 206 (Codice dei consumatori) che regolano le modalità di tutela degli interessi collettivi quanto all’aspetto dello “accesso alla giustizia” (secondo la rubrica del titolo II nel quale sono inserite), non dell’accesso alla documentazione amministrativa, e limitano la tutela in relazione alla quale è prevista la legittimazione ad agire delle associazioni di consumatori e utenti di cui al precedente art. 137, ad alcune ipotesi specifiche indicate alle lettere da a) a c) dell’art. 140 (inibitoria giudiziale di atti o comportamenti lesivi degli interessi dei consumatori e degli utenti; adozione di “misure idonee” a correggere o eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate; pubblicazione del provvedimento su quotidiani nazionali e locali).

Occorre, pertanto, verificare se, in concreto, gli atti cui si chiede di accedere siano in qualche modo collegati con la situazione giuridica rilevante e se la conoscenza di tali atti sia in grado di concorrere, anche in relazione alle iniziative eventualmente conseguenti, alla tutela della situazione giuridica in questione.

Nel caso di specie, tale indagine conduce ad esito affermativo.

La sussistenza di una posizione differenziata delle associazioni ricorrenti in primo grado è stata affermata dal Tar (sulla base del rilievo che le ricorrenti avevano“dimostrato di essere Associazioni a tutela degli utenti del Servizio sanitario nazionale” e che “essendo compito delle Associazioni ricorrenti proprio la tutela dei malati” era chiara la relativa “legittimazione a chiedere documentazione dalla quale possa evincersi se la struttura sanitaria Policlinico Gemelli ha apprestato tutte le garanzie per assicurare l’incolumità dei soggetti che ad esso si rivolgono”) e non viene contestata dall’odierno appellante, il cui argomentare, al terzo motivo qui in esame, la assume, anzi, come “Premessa”.

Riguardo all’effettività e concretezza dell’interesse che ha mosso le associazioni richiedenti a presentare la richiesta di ostensione, il giudice di primo grado riferisce che le associazioni ricorrenti avevano “affermato che numerosi pazienti del Policlinico Gemelli hanno preso contatto con i loro sportelli per chiedere informazioni sull’effettiva pericolosità della tubercolosi, sul grado di contagio e sugli eventuali rischi ai quali erano stati esposti” ed ha ritenuto, pur in mancanza di puntuale dimostrazione del fatto, che “i recenti eventi che hanno coinvolto il Policlinico Gemelli in relazione all’infermiera del reparto di neonatologia affetta dalla tubercolosi rendono più che plausibile tale circostanza”, soggiungendo che “ a rafforzare l’interesse delle ricorrenti e la non genericità dei motivi sottesi all’accesso è quanto affermato dal Policlinico nella memoria di costituzione, secondo cui in realtà le Associazioni ricorrenti avrebbero preso contatto con le famiglie che sono state in qualche modo coinvolte nella vicenda per tutelare in sede giudiziaria i loro interessi. Tale circostanza, lungi dal dimostrare una carenza di interesse ad accedere agli atti richiesti (in quanto connessa a meri interessi di natura economica) lo radica, ad avviso del Collegio, ancor di più perché connesso alla necessità di reperire documentazione che potrebbe risultare utile ad una futura, eventuale controversia”.

Tali argomentazioni risultano condivisibili, mentre non si reputa dirimente, in ordine alla questione della sussistenza dell’interesse all’accesso, il discrimine per tipo di test praticato e, così, il grado di certezza sulla effettiva contrazione dell’infezione tubercolare da parte dei soggetti rivoltisi alle associazioni, su cui in definitiva si incentra la contestazione dell’appellante, che anche in tal modo mostra di aver perfettamente compreso la specifica vicenda dalla quale è scaturita la richiesta di accesso, che evidenzia un bisogno differenziato di conoscenza riguardo ad atti relativi al servizio rivolto agli utenti, connessi a tale vicenda, almeno potenzialmente incidenti sul soddisfacimento della posizione sostanziale tutelata.

Detta specificità dei motivi della richiesta di ostensione di documenti (distinto aspetto, su cui infra, è quello della specificazione dell’oggetto delle singole “voci” in cui si è articolata la richiesta) induce, altresì, ad escludere che ricorra nella specie un’ipotesi, soggetta al divieto espressamente sancito dal terzo comma dell’art. 24 l. n. 241 del 1990, di preordinazione della richiesta ad un controllo generalizzato, e dunque indiscriminato e di tipo sostanzialmente ispettivo, sull’attività della struttura sanitaria.

Il considerato motivo, teso alla riforma della sentenza nel senso della reiezione in toto della richiesta di accesso, va, quindi, respinto.

Ulteriore motivo di appello che riguarda complessivamente la domanda di accesso è il quarto, con il quale si contesta l’erroneità della motivazione della sentenza nella parte in cui esclude che l’esistenza di indagini da parte della Procura della Repubblica, genericamente addotta dal Policlinico in risposta alla richiesta di accesso presentata dalle associazioni appellate, costituisca di per sé valida ragione ostativa all’esibizione dei documenti.

La censura consiste nel richiamo, per un verso, all’art. 24 l. 7 agosto 1990, n. 241, in riferimento al segreto istruttorio penale, e, per altro, correlato verso, al principio nemo tenetur se detegere e all’esigenza di attribuire rilevanza al diritto di difesa dei soggetti indagati; si presenta alquanto generica, nel senso che non fornisce alcuna indicazione su quali tra i documenti richiesti siano concretamente confluiti nell’indagine in corso e trascura che il Tar ha già escluso dall’accesso l’atto di individuazione dell’infermiera addetta al controllo delle infezioni, e non risulta, comunque, persuasiva.

Corretta è, infatti, l’affermazione del primo giudice che “L’amministrazione … ha il potere ed il dovere di negare … l’ostensione soltanto di quei determinati documenti specificamente sottoposti a sequestro, ovvero ad altra misura cautelare penale da parte della competente autorità giudiziaria, mentre la loro semplice trasmissione al p.m. non basta a giustificare il rifiuto ove non sovvengano ulteriori e diversi motivi che legittimamente lo sorreggano”; occorre osservare che l’art. 329 cod. proc. pen., a tenore del quale “gli atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria sono coperti dal segreto fino a quando l’imputato non ne possa avere conoscenza e comunque non oltre la chiusura delle indagini preliminari” delimita l’ambito del segreto con riferimento specifico ai predetti “atti di indagine” e non riguarda automaticamente qualsivoglia atto eventualmente trasmesso alla Procura della Repubblica.

I primi due motivi di appello riguardano, invece, singolarmente due delle quattro richieste dell’articolata domanda di accesso in relazione alle quali il Tar ha ritenuto la fondatezza del ricorso di primo grado, ossia quelle relative a copia: “degli atti posti in essere dal Policlinico Gemelli per l’applicazione dei programmi di sorveglianza e controllo e la loro efficacia” e “delle modalità di applicazione dei programmi di sorveglianza sulla TBC per gli operatori sanitari previsti dalla normativa”.

Detti motivi convergono nel delineare la contestata non determinabilità dell’oggetto delle predette domande e comunque l’eccessiva genericità della relativa definizione tanto in termini di contenuto che di delimitazione temporale, in violazione degli artt. 22 e segg. l. n. 241 del 1990, e l’erroneità, sul punto, della sentenza che, motivando nel senso che l’istanza non era mirata ad un controllo generalizzato sul Policlinico Gemelli avrebbe “confuso il problema attinente alla legittimazione all’istanza con la necessaria determinazione del suo oggetto”, finendo, di fatto, col disattendere il consolidato indirizzo giurisprudenziale che richiede che i documenti oggetto dell’istanza siano indicati puntualmente a cura dell’accedente e siano già formati ed in possesso dell’amministrazione, senza necessità di un’attività di elaborazione di dati da parte del destinatario della richiesta; il primo giudice, inoltre, non si sarebbe avveduto che taluni documenti amministrativi inerenti l’attività di sorveglianza coinvolgono un interesse alla riservatezza di soggetti terzi (infermieri, personale medico, ecc.) da coinvolgersi nel procedimento di accesso.

La predicata indeterminatezza dell’oggetto della richiesta è argomentata col rilievo che i documenti teoricamente riconducibili alla dizione utilizzata dalle associazioni qui appellate sarebbero “migliaia e migliaia” , a partire dall’istituzione, nell’anno 1997, del Comitato per la lotta alle infezioni ospedaliere, composto da un comitato tecnico scientifico, avente l’incarico di definire le strategie, e da un organo tecnico-esecutivo, col compito di attuare i programmi di controllo, includendo gli atti da questi organi promananti, nonchè gli atti dei dirigenti ed assistenti sanitari della direzione sanitaria, relativi alla raccolta, elaborazione statistica e trasmissione di dati epidemiologici mensili di tutte le unità operative, i quotidiani atti di recepimento dati e reports di infezione da parte del servizio di microbiologia, gli alerts microbiologici, gli atti relativi all’attività di sorveglianza attiva e passiva, tutto il flusso di informazioni, attivato a decorrere dal 2005, riguardante alcuni dati microbiologici, gli atti dell’Unità di consulenza continuativa infettivologica, oltre alle numerose linee guida e protocolli per la lotta alle infezioni e financo gli atti relativi alla formazione obbligatoria del personale.

Orbene, seppure la mole dei documenti non può costituire di per sé un limite all’accesso, nondimeno la concretezza e l’attualità dell’interesse, da una parte, e il divieto di istanze finalizzate ad un controllo generalizzato, dall’altra, costituiscono fattori normativi che impongono valutazioni di ragionevolezza e postulano che l’oggetto dell’istanza sia evidenziato con un grado di specificità, pur compatibile con l’eventualità che sfugga alle capacità di conoscenza dell’istante una puntuale individuazione dei documenti, tale almeno da rendere l’oggetto agevolmente determinabile.

Tanto premesso, per quanto riguarda la richiesta “degli atti posti in essere dal Policlinico Gemelli per l’applicazione dei programmi di sorveglianza e controllo e la loro efficacia”, il Collegio reputa che non venga in considerazione l’enorme messe di atti evocata dall’appellante, in quanto la formulazione della richiesta fa riferimento non già agli atti “di applicazione” ovvero adottati “in applicazione” dei programmi di sorveglianza ma agli atti “per l’applicazione”, vale a dire gli atti organizzativi finalizzati a rendere applicabili i programmi ed i relativi controlli e di questi, in mancanza di indicazioni cronologiche che depongano in senso diverso, intuitivamente quelli aventi valenza attuale al momento della richiamata vicenda dalla quale è scaturita l’iniziativa delle associazioni ed alla data della richiesta di ostensione. L’oggetto della richiesta, dunque, è sufficientemente determinato, riguarda atti già esistenti e di non disagevole reperimento e non involge altrui diritti di riservatezza.

Diverse considerazioni si impongono, invece, quanto alla richiesta relativa a “le modalità di applicazione dei programmi di sorveglianza sulla TBC per gli operatori sanitari previsti dalla normativa”. L’istanza, secondo la sua formulazione, non si riferisce ad atti ma a “modalità” e, più precisamente, a modalità “di” applicazione dei programmi di sorveglianza, ossia le modalità concretamente poste in essere in applicazione dei programmi (laddove le modalità “per” l’applicazione di programmi di sorveglianza specificamente riferiti alla tbc ed agli operatori sanitari, ove tradotte in un atto organizzativo che le individui, sono ricomprese nell’oggetto della richiesta precedentemente considerata). Così come formulata, la domanda risulta concretizzare una generica richiesta di informazioni relative a dette modalità praticate, pertanto attinente non a documenti già esistenti ma ad una costituenda relazione informativa; in tal senso la richiesta esula dagli scopi cui è preordinato l’istituto del diritto di accesso (circa il non potersi pretendere in sede di accesso un’attività di elaborazione di nuovi documenti cfr., ad esempio, recentemente Cons. Stato, IV, 20 aprile 2012, n. 2362).

L’appello, dunque, limitatamente alla richiesta da ultimo considerata, deve essere accolto con riforma, sul punto specifico, della sentenza di primo grado.

Quanto alle spese del grado di giudizio, il Collegio ne ritiene giustificata, tenuto conto delle peculiarità della vicenda in esame e della parziale reciproca soccombenza, l’integrale compensazione.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello n. 2127 del 2012, lo accoglie in parte, nei sensi di cui in motivazione, e per l’effetto riforma, in parte qua e nei sensi di cui in motivazione, la sentenza impugnata.

Spese del grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2012 con l’intervento dei magistrati:

******************, Presidente

*****************, Consigliere

Gabriella De Michele, Consigliere

***************, Consigliere

Silvia La Guardia, ***********, Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 25/10/2012

IL SEGRETARIO

 

1 In materia di accesso agli atti cfr., tra gli altri, **********, voce Accesso ai documenti, in Enciclopedia del Diritto Sole 24 ore, I, Sole 24ore, Milano, 2007, p. 63 ss.; ************, L’accesso ai documenti, Giuffrè, Milano, 2013; *********** – *************, Manuale di Diritto Amministrativo, Giuffrè, Milano, 2011, p. 547 ss.

2 Nello stesso senso, tra gli altri, cfr. *********, La nuova disciplina dell’accesso ai documenti amministrativi Commento alla legge n. 241 del 1990 e al d.p.r. n. 184 del 2006, Cedam, Torino, 2007.

3 V. Massimario della giurisprudenza in materia di contratti pubblici, pubblicato sul sito istituzionale dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di Lavori, Servizi e ********* (http://www.avcp.it), con particolare riferimento alla materia dell’accesso agli atti ed al divieto di divulgazione (http://www.avcp.it/portal/public/classic/AttivitaAutorita?portal:componentId=22776959&portal:type=render&portal:isSecure=false&idArticolo=113&action=listaMassimeGiurPubblichePerArticolo).

Passalacqua Caterina

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