La tassazione per enunciazione della cessione di credito

Ruta Maurizio 24/03/21
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Critica a Cass. 16662/20

Sommario: 1     Preambolo; 2. Cass. 1662/20: vicenda processuale e principio di diritto; 2. L’essenzialità quale limite “soggettivo” dell’enunciazione.

Preambolo

Il presente scritto riguarda la rilevanza giuridica del negozio avente ad oggetto la cessione di credito nel contesto della operatività della tassazione per enunciazione e, più in particolare, attiene al quesito se, nell’ipotesi di una sua enunciazione, possano configurarsi gli estremi dell’elemento della “identità soggettiva” che, come è noto, rappresenta uno dei presupposti per la tassazione di un atto per enunciazione.

Cass. 1662/20: vicenda processuale e principio di diritto

La vicenda trae origine dalla richiesta di tassazione per enunciazione di un negozio avente ad oggetto la cessione di credito formulata dalla Amministrazione Finanziaria attraverso la notifica al contribuente (in questo caso una società) di un avviso di liquidazione. Il presupposto impositivo era da rinvenire nel fatto che il negozio era stato richiamato in un successivo atto notarile e l’ufficio richiedeva, di conseguenza, la tassazione della cessione di credito ex art.22 dpr 131/86. Dopo i canonici 2 gradi di giudizio, la Suprema Corte accoglieva il ricorso del contribuente ed emetteva il seguente principio di diritto: il negozio ad oggetto la cessione di credito (irrilevante se pro solvendo o pro soluto) non va tassata per enunciazione. Ciò in quanto, in una simile situazione, non viene soddisfatto il requisito della “identità di soggetti” tra atto enunciato ed atto enunciante.

L’essenzialità quale limite “soggettivo” dell’enunciazione

La Suprema Corte, con la sentenza in commento, torna nuovamente a disquisire sui presupposti di natura soggettiva necessari per procedere alla  tassazione dell’atto per enunciazione, cercando di fornire (in verità con alterne fortune) una soluzione alla annosa problematica riguardante l’esatta identificazione della portata applicativa della normativa che disciplina l’istituto dell’enunciazione nella parte in cui essa richiede, per la tassazione dell’atto richiamato, l’identità dei soggetti coinvolti sia nell’atto enunciato e sia in quello enunciante.

Trattasi di una tematica parecchio ricorrente nella prassi e particolarmente dibattuta in dottrina.

Va infatti preliminarmente riferito come, in relazione al tratto oggettivo, siano ben evidenti i limiti applicativi entro cui la norma in esame trova applicazione. Più nello specifico: la norma è chiara nel concedere alla Amministrazione Finanziaria la possibilità di procedere d’ufficio a tassazione dell’atto enunciato ogniqualvolta quest’ultimo rivesta la forma di “atti scritti o contratti verbali”. Pur in presenza di un distinguo terminologico, comunemente si ritiene – a buon diritto – che i due termini siano da intendersi in un piano di convergenza di significato. L’enunciazione va di conseguenza applicata ogniqualvolta l’atto enunciante racchiuda e menzioni nel proprio corpo letterale una distinta ed autonoma manifestazione volitiva suscettibile di valutazione economica che abbia i connotati di una qualsiasi struttura contrattuale / negoziale (tipica o atipica, verbale o per iscritto, poco importa).

Al pari, è altresì ben evidente la finalità cui tende la norma in questione. L’intento dell’enunciazione va infatti individuato nell’esigenza di tassare l’atto che, altrimenti, godrebbe tranquillamente dei benefici derivanti dalla registrazione senza pagare alcunché in termini di imposta di registro. Si pensi al caso di atto concluso tramite corrispondenza (che come è noto non è subordinato a registrazione in termine fisso) e successivamente richiamato attraverso l’enunciazione. In assenza della norma in questione verrebbero posti in essere dal contribuente facili episodi di elusione fiscale che l’istituto dell’enunciazione, correttamente, tende ad evitare.

Se dunque, da un lato, non sono sorte né in dottrina e né, tantomeno, in giurisprudenza, divergenze di opinioni in relazione alla individuazione della portata applicativa della norma (sotto il profilo oggettivo) e dell’intento teleologico della stessa, dall’altro lato va detto che nella prassi sono invece sorti dubbi circa l’esatto significato da attribuire alla locuzione “stesse parti”.

Il dilemma interpretativo va inteso nei termini come di seguito esposti.

La norma sull’enunciazione specifica che un atto possa essere oggetto di tassazione per enunciazione purchè i 2 atti “ …  siano stati posti in essere fra le stesse parti …”.  Ebbene, più volte ci si è chiesti se la locuzione “stesse parti” sia da intendere nella accezione propria e stretta del termine (cosicchè per configurare l’operatività dell’istituto è necessario tassativamente che i soggetti siano proprio gli stessi in entrambi gli atti) ovvero sia da ricondurre in un contesto interpretativo nel quale vengono in rilievo anche gli istituti di diritto civile, in modo tale da interpretare la locuzione in parola alla luce – ed in stretta correlazione – con la normativa codicistica dettata in tema di successione nei contratti (in questo caso il concetto di “stesse parti” verrebbe inteso in senso ampio e verrebbero ricompresi nella locuzione tutti i casi di successione contrattuale). La questio juris va quindi circoscritta in un contesto normativo più ampio, non potendo essere relegata solo sul piano del diritto tributario sostanziale ma dovendo, necessariamente, coinvolgere anche gli istituti civilistici dettati in tema di successione di contratti e valutare un ipotetico loro “coinvolgimento” nell’inquadrare la portata applicativa dell’istituto dell’enunciazione.

Ragionando in termini astratti ed ipotizzando l’assenza nel dato normativo di qualsivoglia tipologia di riferimento alla specificazione circa la necessità dell’identità di soggetti coinvolti nei due atti, si dovrebbe concludere ritenendo che, se l’istituto dell’enunciazione venisse applicato tout court, genererebbe il verificarsi di situazioni paradossali consistenti nella registrazione d’ufficio per enunciazione di atti per i quali la relativa tassazione non avrebbe logicità alcuna. Si pensi al caso in cui Tizio e Caio concludono un contratto per corrispondenza proprio al fine di evitare la tassazione dell’atto (trattasi peraltro di una eventualità ammessa dalla legge che – come è noto – intende non “esasperare” il commercio con incombenze fiscali). Se il dato normativo non prevedesse alcuna limitazione sotto il versante soggettivo, l’atto, nell’eventualità di sua enunciazione, verrebbe tassato per enunciazione anche nella ipotesi in cui l’atto enunciante avesse come protagonisti soggetti diversi da quello enunciato. Ma ciò contrasterebbe con l’intento normativo che – come appena detto – consente la facoltà di non registrare gli atti conclusi a mezzo corrispondenza. Proprio al fine di evitare ipotesi controverse come questa, il legislatore ha inteso subordinare l’operatività della norma sull’enunciazione al verificarsi, per l’appunto, del presupposto della “identicità soggettiva” dei soggetti protagonisti. Trattasi di una scelta logica, coerente e pienamente condivisibile.

Va specificato che la dizione “identità soggettiva” non va traslata in un’ottica interpretativa volta a dare preminenza al dato numerico / aritmetico. Per meglio intenderci: la coincidenza numerica riferita ai soggetti protagonisti dei due atti non assume rilevanza alcuna ai fini della applicazione della norma in esame e non è quindi indispensabile che proprio tutti i protagonisti dell’atto enunciato siano stati menzionati in quello enunciante. Ad esempio: l’Istituto Bancario concede un prestito a Caio e Sempronio presta una garanzia personale (nell’atto enunciato i soggetti protagonisti sono tre). In astratto, è possibile la tassazione per enunciazione nel caso di decreto ingiuntivo contro il solo debitore principale senza che la richiesta sia stata rivolta anche verso il garante (nell’atto enunciante i protagonisti sono due).

In un simile contesto, appare allora corretto interpretare la locuzione “stesse parti” nel senso tracciato dalla Suprema Corte e quindi collocare la locuzione stessa in un contesto interpretativo nel quale viene data preminenza all’elemento della “essenzialità” così da dare risalto ai rapporti relazionali tra le parti che sono intervenute nei due atti e restringere il campo applicativo dell’enunciazione solo nella eventualità in cui entrambi gli atti esplicano effetti civili nei confronti degli stessi soggetti. In ipotesi avversa, l’enunciazione non trova applicazione.

Lampante ed estremamente significativo è l’esempio prospettato dalla S.C che si riporta nel suo testo letterale “ 1.21. Come posto in rilievo anche dalla dottrina, il concetto è da interpretarsi non nel senso omnicomprensivo di parti, ma piuttosto di essenzialità quale interrelazione tra quelle intervenute nei due atti, e ricorrerebbe enunciazione, ad esempio, quando venditore e acquirente si danno atto che l’immobile è detenuto dall’acquirente in qualità di inquilino, ma non quando il venditore renda noto all’acquirente che l’immobile vendutogli è condotto in locazione da terzi”.

Ciò chiarito, resta pur tuttavia il dubbio (che a questo punto non può chiaramente essere confinato in un contesto prettamente esegetico) se l’enunciazione richieda l’esatta identità dei soggetti protagonisti dei due atti ovvero se debba essere coordinata con le normative civilistiche dettate in tema di successione dei contratti.

Stante al giudizio finale cui giunge la Suprema Corte nella sentenza, sembrerebbe doversi concludere ritenendo da preferire la prima interpretazione.

Nel caso prospettato dalla Cassazione, gli ermellini erano stati chiamati a giudicare il caso attinente la richiesta di tassazione per enunciazione di un negozio di cessione di crediti, successivamente enunciato in un atto notarile. La Suprema Corte, in antitesi con le risultanze decisorie delle commissioni dei due precedenti gradi, in totale armonia con il pensiero argomentativo del contribuente, accoglieva il ricorso di quest’ultimo sulla scorta del principio secondo il quale la cessione di credito non può essere tassata per enunciazione, stante la mancata identità delle parti intervenute nei due atti. In termini concettualmente più estesi, la Suprema Corte aderiva alla tesi secondo la quale la locuzione “stesse parti” doveva essere intesa nella accezione più stretta del termine, svincolata da qualsivoglia tipologia di riferimento alle normative civilistiche dettate in tema di successione dei contratti.

Trattasi di una tesi non condivisibile ed anzi aspramente criticabile.

Se infatti questo principio fosse applicato in maniera universale, si prospetterebbe uno scenario nel quale l’atto enunciato potrebbe tranquillamente “smarcarsi” dall’imposizione della tassazione per enunciazione semplicemente per l’assenza del “marginale” requisito della identità soggettiva. Se così fosse, conseguentemente, verrebbe meno – fino ad essere completamente annullato – l’intento teleologico della normativa sull’enunciazione che – si ripete – è quello di tassare l’atto precedentemente sfuggito alla registrazione. Di riflesso, l’atto enunciato godrebbe tranquillamente dei benefici – seppur indirettamente – della registrazione, pur non versando nulla in termine di tassazione indiretta.

Ed inoltre, l’applicazione tout court di tale principio porterebbe all’assurdo risultato di valutare – sotto il profilo degli effetti – in maniera differente il medesimo negozio giuridico a seconda del piano sostanziale (civilistico o tributario) in cui esso si intende porre (Tizio vende l’azienda a Caio. Da un punto civilistico, quest’ultimo si sostituisce al primo nei rapporti e quindi gli effetti del negozio “ricadono” su Caio. Alla luce del principio espresso dalla Cassazione tale fenomeno non si verificherebbe in ambito tributario).

In un quadro così delineato, va allora accolta con benevolo favore la presa di posizione della Ctr Lombardia nel recente arresto n.1796/20 che, in contrasto con il pensiero argomentativo della Cassazione ed in risoluzione di un caso pressocchè identico, ha aderito all’opposta tesi secondo la quale le disposizioni tributarie devono essere coordinate con quelle civilistiche. Conseguentemente, conclude la Commissione Regionale, va tassata per enunciazione la cessione di credito stante l’identità dei soggetti coinvolti. Questo è il passaggio logico / argomentativo “2.4 Orbene, relativamente al caso in esame, con riguardo all’operazione di cessione del credito (art. 1260 – 1267 c.c. posta in essere, il cessionario è subentrato al creditore (cedente) nella titolarità del diritto di credito, verificandosi un’ipotesi di successione a titolo particolare del credito. Conseguentemente, come correttamente indicato dai giudici di prime cure, vi è coincidenza tra le parti del contratto e quelle del provvedimento monitorio, non risultando condivisibile la tesi, apparentemente suggestiva, della Società contribuente”.

Concludendo, il sottoscritto ritiene che la tesi prospettata dalla Ctr sia da preferire e quindi sussistono tutti i requisiti per sottoporre il negozio di cessione di credito a tassazione per enunciazione.

E’ facile prevedere, nell’immediato futuro, statuizioni giurisprudenziali di legittimità dal contenuto logico / giuridico contrastante con il principio di diritto espresso dalla sentenza in commento della Suprema Corte.

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Ruta Maurizio

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