La storicizzazione del fatto

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In una intervista del marzo 2015 apparsa sulle Scienze (S. Bencivelli, Il punto sull’intelligenza artificiale, La Scienze 14-15, 559, 3/2015), si dibatteva su previsioni catastrofiche e futuri  meravigliosi scenari posti dall’Intelligenza Artificiale, con tutte le problematiche anche giuridiche che l’evoluzione comporta, l’enorme potenza insita nell’informatica sia come raccolta che conservazione ed elaborazione dell’informazione nelle banche dati o nella rete in generale, porta non solo a problemi di privacy ma anche alla storicizzazione del dato o fatto, in altri termini alla non rilevanza giuridica ossia risarcitoria dello stesso, una volta la memoria raccoglieva e disperdeva, in pochi passaggi generazionali il fatto diventava mito, racconto, oggi persiste come realtà nel tempo, un dilatarsi pericolosamente all’infinito del presente.

Vi era all’origine la necessità di trarre il fatto dal mito, dal racconto orale per calarlo nel quotidiano, in quelle che sono le dinamiche sociali, culturali ed economiche, i documenti certi su cui lavorare erano esclusivamente i “documenti”, cartacei, epigrafici, o su altri materiali, i reperti architettonici e i frammenti archeologici, nella teoria sociale gli eventi e le strutture poste in relazione tra loro hanno suggerito a Braudel  di considerare gli eventi stessi come insignificanti e influenzati dalle sole strutture, una semplificazione contestata da Le Roy Ladurie  per il quale deve essere di volta in volta valutato il rapporto con la congiuntura, dove l’evento si trasforma, nel riflettere le strutture, in un catalizzatore o più in generale in una “matrice” (événement – matrice), che per Wachtel e Sahlins, in presenza di crisi e cambiamenti, acquista la funzione di acceleratore, velocizzando un cambiamento altrimenti molto più lento.

Lo spazio per il singolo risulta pertanto per alcuni autori estremamente limitato (Braudel), vi è una difficoltà per i piccoli gruppi e per gli stessi governanti di arrestare il cambiamento, il quale può essere solo influenzato, pilotato nella trasformazione, a riguardo si è fatto riferimento ai diversi risultati che la I Guerra Mondiale ebbe sugli stati che vi parteciparono (Marwick, Cocka), le dinamiche risultano tuttavia più sottili di quello che appare, si creano circostanze nelle quali individui e gruppi attraverso una serie di eventi influiscono sulla “riproduzione culturale”, interviene il problema dell’educazione che connette gli eventi al cambiamento strutturale secondo la “teoria della generazione” sostenuta da Karl Manheim, l’evento rientra in una “storia collettiva” (Lamprecht) che accoglie in sé l’ampia base di un agire collettivo dove psicologia, tecnologia e scienza, geografia culturale ed economica, filosofia e teologia si fondono (Hintze).

Si crea quindi la necessità di una riflessione sui concetti di crescita economica, sviluppo economico e progresso economico, i termini di crescita e sviluppo sono visti di per se stessi come “positivi” e identificati con il concetto di “progresso”, tuttavia mentre nei primi vi è alla base una valutazione numerica quale semplice misurazione di un incremento, che per la crescita si risolve nel volume totale di beni e servizi prodotti (PIL), mentre per lo sviluppo vi è inoltre la valutazione del cambiamento organizzativo della struttura economica che ha accompagnato la crescita, nel termine “progresso” si aggiunge una valutazione etica che pervade la numerazione e la simbologia adottata, i numeri vanno interpretati secondo un giudizio che si rifà al concetto di benessere o di disagio, l’utilità da materiale e calata sull’individuo viene immersa nell’uomo, nella sua capacità di crescita spirituale e di una relazionalità con l’altro positiva, i tre termini quindi si compenetrano ma non possono identificarsi, ed il concetto di “capitale umano” supera il solo insieme di conoscenze e abilità tecniche per diventare “ricchezza umanistica”.

In questo si pone il problema della storicizzazione del quotidiano che le nuove tecnologie comunicative permettono, l’apporre il fatto o l’evento che si voglia nei diari dei social network possono creare un conflitto potenziale permanente, dove il trascorrere del tempo quale depotenziamento della negatività del fatto per lo sfumare della memoria e dei testimoni sembra essere annullato, vi è quindi un continuo ripetersi del fatto, un ricordare e sottolineare continuamente l’evento, i termini si allungano esponenzialmente, l’archivio sembra diventare permanente e immediatamente disponibile, si possono innescare dinamiche conflittuali che si autoalimentano nel tempo, un tempo presente che tuttavia si sfilaccia progressivamente dalla capacità di lettura che viene dal contesto, occorre pertanto sì potere cancellare la memoria ma anche fissare i paletti quali limiti per un contenzioso potenzialmente protratto nel tempo e destrutturante, si deve potere recuperare la potenzialità benefica dell’oblio nei rapporti personali, distinguendo tra eventi e fatti socialmente storici e contenziosi relazionali, che potrebbero estendersi a cascata anche tra generazioni in termini imprevedibili.

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

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