La specificità della questione ambientale: aspetti canonistici, teologici ed ecclesiasticistici. Riflessioni a margine di Da dominatori a custodi del creato. La Bibbia sulle strade dell’uomo. III Edizione-2010, Messina 19-20 Novembre 2010

Scarica PDF Stampa

1. Questioni aperte per la riflessione confessionale e per le scienze giuridiche laiche

Il progetto de “La Bibbia sulle strade dell’uomo” giunge alla sua III Edizione. Nel 2008 e nel 2009, la riflessione biblica, articolata nella felice formula di due giorni di dibattito e confronto, si era misurata su tematiche di stringente attualità. In particolar modo, la discussione si era aperta sulla condizione, giuridica ed esistenziale, del migrante, proponendo formule di accoglienza, civica e civile, necessarie per la sostenibilità degli accresciuti flussi migratori globali1, ed era proseguita misurandosi sul tema delle “nuove” relazioni affettive, dei “nuovi” stili di vita familiare; motivazioni relazionali “nuove” per il Legislatore italiano, non ancora capace di fornire il tessuto di tutela giuridica raggiunto in altri ordinamenti europei, e diffusamente discriminate nei settori meno inclusivi del contesto sociale, ma, in realtà, profondamente radicate nel vivere quotidiano2. Se, nelle edizioni precedenti, il discorso aveva assunto le coordinate di una nuova antropologia, basata sulla convivialità, quella domestica e quella latu senso politica, coerentemente, il rinnovato appuntamento approfondiva un tema che investe i rapporti tra singolo e comunità e tra più comunità e loro luoghi di stanziamento. L’ecologia non solo come obiettivo programmatico, ma anche come itinerario di ricerca e oggetto di studio. L’iniziativa, del resto, sembra sollecitare un più attento modo di intendere i beni comuni, oltre a quelle minime acquisizioni sull’urgenza del problema, che uniscono, almeno nella intentio bonae fidei, gruppi sociali di diversa estrazione. Restando alle scienze umanistiche, ad esempio, la politologia contemporanea sembra aver accettato, tra le architravi del ragionamento post-ideologico, il concetto di green-economy, cioè, di capitalismo ecologicamente responsabile. Dietro questa etichetta, ciononostante, possono leggersi le proposte più problematiche e contraddittorie: in nome della “economia verde”, si sono promesse opere per il trasporto ad alta velocità, centrali nucleari, termovalorizzatori o, da parte opposta, anodine e approssimative, per quanto simbolicamente significative, campagne sulla differenziazione dei rifiuti -anodine, poiché sembrano eludere il retrostante problema della differenziazione dei consumi. Il quadro fondamentale delle norme in materia, almeno sul territorio della UE, sembra affidato, nell’individuazione dei principi generali, alla normazione comunitaria, che classifica forme preferenziali di smaltimento dei rifiuti, che prevede, in propri settori tradizionali come l’agricoltura e la pesca, disposizioni atte a salvaguardare gli ecosistemi di riferimento, che svolge, anche attraverso i propri, limitati, luoghi rappresentativi (come il Parlamento Europeo), attività promozionale della consapevolezza ambientale3. L’attuazione dei singoli Stati nazionali presenta differenze notevoli. Il fenomeno è, in parte, segno di una diversa sensibilità governativa, ma, per altro verso, conseguenza ineliminabile di specificità produttive ed ambientali che non riescono ad esser rilette sulla base di un disegno comune. Infine, le sfide decisive nella materia hanno impresso un carattere sovra-nazionale e trans-nazionale al dibattito: basti pensare alla deforestazione nell’America Latina o all’aumento esponenziale di richiesta energetica dei Paesi asiatici. Essi, per il tramite di una forte crescita economica, incoraggiata negativamente dall’assenza di adeguate e moderne tutele gius-lavoristiche, sono divenuti produttori meno responsabili nella ricerca delle materie prime e committenti molto, troppo, appetibili, sulla scala del commercio globale4. Il ruolo del WTO, in questo senso, oltre ad aver avuto (peraltro, minimi) effetti redistributivi, è stato più dannoso che utile, perché ha declinato ogni proposta di compatibilità ambientale e ha reso difficile la stessa, fedele, attuazione del Protocollo di Kyoto.

È parso più incisivo il contributo della Teologia comparata, che ha consentito di dimostrare come una più puntuale esegesi dei Testi Sacri, propri di ciascuna confessione, possa risultare incentivo determinante nella formazione di comunità di fedeli ecologicamente responsabili. Se, in prospettiva gerarchica, il Magistero della Chiesa di Roma non ha ancora recuperato completamente un’iniziale sottovalutazione del problema, e, se nel mondo ortodosso, il dibattito fa fatica a raggiungere lo status di obiettivo comune, altre esperienze hanno avuto difficoltà similari, pur tentando una più efficace rivalutazione del tema. L’Islamismo potrà notevolmente promuovere una ricerca del genere, nella doppia condizione di sostrato culturale nei Paesi ancora confessionisti e di tendenza religiosa minoritaria, ma in forte crescita presso i migranti delle nuove generazioni, nel mondo occidentale. L’apporto del Buddhismo, e di molti dei suoi insegnamenti più seguiti, e quello dell’area laico-umanista dell’Ebraismo contemporaneo, sembrano più avanzati nella realizzazione di iniziative, volte a sensibilizzare l’opinione pubblica, anche quando di differente appartenenza religiosa.

Uno sforzo, ricostruttivo e propositivo, affine nelle intenzioni, coinvolge anche i gruppi della New Age, per quanto molti di essi abbiano smarrito quell’intima connessione Natura-Specie Umana, come presupposto teologico ed escatologico, che pareva connotarli nella propria parabola iniziale.

 

2. La cronaca del convegno: punti dibattuti e proposte di ricerca

La relazione di Caterina Resta ha significativamente indagato il tema dei rapporti tra Tecnica e Ambiente. Si è potuto evidenziare, in una prospettiva teoretica, come non solo il progresso scientifico sia meritevole di avere una rappresentazione poliedrica, ma anche come, e soprattutto, sia la natura ambientale a dimostrarsi, costitutivamente, multiforme, varia, complessa5. La Tecnica agisce sempre più spesso come agente di trasformazione degli spazi: determina mutazioni dell’habitat, senza limitarsi ad assecondare quelle che risulterebbero funzionali a scopi sociali come l’abitabilità, il benessere, la reazione umana a calamità naturali. La Tecnica, secondo la studiosa, ha ormai valicato i confini del proprio stesso statuto epistemologico e procede, nel suo continuo reinventarsi in forme nuove e, non per questo, meno invasive, sulla base di un automatismo produttivo che va a detrimento di quelle finalità collettive, cui pure essa avrebbe dovuto restar sottomessa.

Una Tecnica siffatta è incoraggiata da motivazioni economiche fortemente oligarchiche, che attaccano beni comuni, potenzialmente destinati non alle sole maggioranze sottomesse, bensì, identicamente, agli oligarchi che fomentano il circuito dello sfruttamento ambientale6. Il tema delle politiche ambientali, è possibile concludere, necessita, parallelamente alla profondità dell’approccio teorico destinato alla ridefinizione degli equilibri tra Tecnica e Ambiente, di un proficuo cambiamento politico-legislativo, volto alla conservazione degli ecosistemi come valore realmente non negoziabile e al pacifico, equo, godimento delle risorse ambientali. La cultura della Tecnica, quando diventa una metafisica della dominazione politica, si rivela determinante nella formalizzazione di una coazione a ripetere dove la trasformazione territoriale si rivela per quello che è: istanza di profitto particolare nei confronti di (e contro) un bene a valenza universale. Le categorie della Politica hanno sottovalutato la portata di questo rischio e hanno enfatizzato oltre misura l’instaurazione di un Sapere tecnico-produttivistico, sbilanciato sulle competenze destinate all’asservimento degli spazi naturali: la Tecnica si è fatta tecnocrazia, sapere burocratico e cristallizzato, elemento di prevaricazione gestito da processi economico-scientifici. Si esce dal circolo vizioso, pare suggerire Caterina Resta, soltanto impostando in modo più “debole”, cioè senza pretese di assolutismo assiologico e metodologico, il tema dei rapporti tra Tecnica e profitto: altrimenti, la Tecnica, da prezioso strumento di liberazione, diventa fondo servente dei rapporti di forza costituiti.

Shahrzad Houshmand Zadeh proponeva, invece, un interessante e significativo intervento sulla dottrina coranica relativa all’ambiente. La realtà islamica, anche su questi temi, presenta una intrinseca varietà che impedisce letture riduttive e affrettate. Domina, comunque, nel novero delle Scuole musulmane, una particolare attenzione verso il rapporto tra Uomo e mondo animale, nel quale la specie umana non si pone -o, meglio, non dovrebbe porsi- in un’ottica prevaricatrice rispetto alle altre specie viventi. In una prospettiva teologica più ampia, notava la Zadeh, la tematica ambientale può riconnettersi, in forme peculiari, a ciascuno dei “Cinque Pilastri dell’Islam”. Quanto alla professione di Fede, riconoscere Allah come unica divinità e Maometto quale suo profeta significa riconoscere tale divinità come creatrice, dal nulla, dell’Universo; gli insegnamenti maomettani, in entrambi i periodi della predicazione (quello meccanico e quello medinico), non si pongono in contraddizione rispetto alla esperienza di genesi realizzata da Allah: la fortificano, anzi, e la dotano di senso presso la comunità umana.

L’obbligo della preghiera rituale interroga più specificamente i rapporti tra comunità di fedeli islamici e comunità maggioritarie di culti diversi, nel mondo occidentale: la predisposizione dei luoghi di culto, assecondando legislazioni nazionali evolutesi positivamente nel corso degli anni, può fungere da elemento di armonizzazione pluralistica dello spazio urbano ed extraurbano7. Nell’ambito dell’elemosina, le connessioni tra Ambiente e Fede risultano ancor più evidenti: a tutela dello spazio comune, possono concorrere le offerte del musulmano osservante, tanto se compiute come gesto di carità volontaria (la salvaguardia di beni comuni può essere scopo della liberalità), quanto se rese come obbligo primario, derivante dal riconoscimento della differenza tra il benessere umano, singolare, particolare, e la appartenenza di ogni cosa del Creato ad Allah. Il pellegrinaggio meccanico e il digiuno rituale spingono, ulteriormente, a riflessioni sul tema ecologico. Nel primo senso, appare ovvio che i luoghi destinati al pellegrinaggio di massa non possano risultar esposti a forme di sovraffollamento e sfruttamento. Simili condotte, pur spesso osservabili, contraddicono l’impostazione teologica, meditativa e spirituale, del pellegrinaggio e ne sviliscono i luoghi, sia per la legittima fruizione degli altri fedeli che per la loro conservazione nel tempo. La Zadeh ha dedicato alcuni passaggi anche alla pratica del digiuno. Come nella cultura ebraica più vicina all’Umanesimo laico è emersa la valorizzazione del riposo sabbatico quale liberazione dai tempi del processo produttivo, il digiuno del Ramadan può spingere a ripensare il rapporto tra Individuo e mondo animale, ove non è più l’uccisione a fini di nutrizione la forma più grave di attacco al bene naturale, bensì l’allevamento intensivo a fini di macellazione. La riscoperta del digiuno non è antitetica alla riscoperta dell’economia ambientale, dell’ecologia sostenibile, della ricerca di equilibri più avanzati tra bisogni primari contingenti e bisogni primari trascendenti.

Margherita Petranzan riproponeva la questione dell’abitare nelle nuove dimensioni metropolitane, suggerite dall’avanzare della globalizzazione economica8. Ad avviso della studiosa, la popolazione urbana è destinata a crescere ancora, perché processi di metropolizzazione e megalopolizzazione sono in atto anche presso gli Stati ad economia emergente e perché, pure nei Paesi occidentali, già contraddistinti per tutto il XX secolo da un aumento significativo della popolazione metropolitana, il trend è in crescita e pone nuovi problemi di compatibilità ambientale, in spazi che restano della medesima estensione, ma con un livello demografico più alto e intenso. Lo scenario metropolitano dovrebbe prestarsi a un duplice livello di lettura: quello estetico e quello etico. Dal primo punto di vista, si assiste all’abbrutimento degli spazi comuni, la cui facies esteriore resta sempre più modellata sul paradigma delle “comunità separate”: segregate e segreganti. La periferia diventa nozione simmetrica a quella di metropoli: come la metropoli non è soltanto cuore dell’Impero, ma centro di poteri, di esperienze, di attività, materiali e immateriali, allo stesso modo, la periferia non è più l’altrove rispetto alla crescita economica, il Terzo Mondo della geopolitica, ma progressiva segregazione di quartieri, fasce sociali, individui e collettivi, all’interno dello stesso mondo economicamente più sviluppato.

Sulla base di questo assunto sostanziale, la Petranzan parlava di “convivenza necessaria ed inevitabile” tra Gerusalemme e Babilonia, tra civiltà della crescita e della speranza, da un lato, e civiltà della dissoluzione e del margine, dall’altro9. Babilonia e Gerusalemme non possono essere più pensate separatamente: la loro intersezione contamina tutti i livelli dell’esperienza quotidiana. Non è possibile immaginare città perfette, socialmente ed etnicamente omogenee: esse non sono mai esistite e, certamente, non potranno esistere in futuro. Al contrario, “Babilonia”, come ideal-tipo della dissoluzione, della confusione (una “Babilonia” ove si parlino le lingue di Babele), detta i tempi e i modi del divenire di “Gerusalemme”. Gerusalemme non potrebbe più esistere senza le sue minoranze, la sua forza-lavoro, il suo contributo dinamico e mutevole. Anche la politica urbanistica risulta funzionale al tema della “custodia del Creato”: laddove la crescita intensiva prodotta dalla Rivoluzione Industriale, coi suoi ghetti, i suoi quartieri-dormitorio e le materie prime estratte nei Paesi colonizzati, ha determinato “dominio” del Creato, l’obbligo di custodia si estrinseca, dal punto di vista politico-sociale, nella messa a valore della convivenza.

Nella II Sessione, si sono avvicendate tre relazioni, dense di spunti per la scienza canonistica “post-moderna”. Il piano delle riflessioni si è spostato dalla connessione “Tecnica-Città-(luogo di) culto”, della prima parte dei lavori, all’esigenza di rapportare la tutela del Creato al progresso tecnico-scientifico, tenendo conto dei drammi ambientali in atto e della condizione di profondo e disagevole degrado che affligge un numero crescente di Paesi, in forme nuove e più invasive.

Simone Morandini ha, dapprima, fornito una distinzione orientativa tra teorie della sostenibilità e teorie della decrescita. Nel pensiero dell’Autore, la marcata attenzione verso le prime, che meritano di tradursi in provvedimenti concreti in ogni spazio dell’agire quotidiano, si accompagna a un senso di perplessità e sfiducia nei confronti delle seconde. Indubbiamente, il concetto di “decrescita” non può divenire valore autonomo, ma -nell’ottica delle scienze laiche- le teorie della decrescita non pretendono di costituire nuovi valori, semmai di indurre a un ripensamento di quelli già esistenti, basato sulla gestione serena e collettiva della decrescita, cioè, del decremento di ricchezza, in ordinamenti giuridici e politici dati. È, comunque sia, da osservarsi che la consapevolezza suggerita dagli Autori, che, invece, sostengono la decrescita, non elimina automaticamente i fenomeni distorsivi determinati dalla crescita eccessiva e dal consumo smodato: l’impiego più razionale delle risorse energetiche non sana necessariamente i guasti prodotti da un loro impiego, lungamente irrazionale e dispersivo; contenere la produzione di rifiuti non significa aver risolto il problema dello smaltimento; pensare a forme più spiccate di mutualità e di scambio non determina, per ciò solo, un livellamento delle peggiori sperequazioni sociali10. Nella seconda parte della relazione, Morandini affrontava la questione ecologica nel recente magistero ecclesiale, all’uopo sottolineando che l’argomento percorre sottilmente l’Enciclica di Benedetto XVI, Caritas in Veritate11. È indiscutibilmente vero che il fondamento teoretico di una nozione, conviviale e relazionale, di ecologia non può prescindere da una riconsiderazione della carità quale elemento fondamentale dei rapporti umani. Tuttavia, due obiezioni possono contribuire ad arricchire il ragionamento: la Caritas in Veritate, certamente, contiene dei passaggi importanti sullo sfruttamento delle risorse e sulla localizzazione di tale sfruttamento principalmente nelle aree più depresse del Pianeta12. Anche in Deus Caritas est la prospettiva di Benedetto XVI traeva spunto dalle medesime considerazioni. Ciononostante, specie nella Caritas in Veritate, le questioni poste dalla dottrina sociale della Chiesa poggiano su una concezione dell’attività economica umana come “imprenditorialità” dell’Uomo per l’Uomo (o, per gli Uomini)13. Ove si consideri, poi, che l’esercizio sostanziale di tale imprenditorialità sia stato, quando disgiunto da vincoli etico-sociali, causa fondante del degrado ambientale, questa medesima nozione di homo faber, calata nel tempo presente, deve essere chiarita e, soprattutto, attuata, secondo principi di equità e redistribuzione.

Morandini procedeva, indicando una compiuta e diffusa bibliografia, in ordine alla sensibilità pastorale verso l‘Ambiente, volta a fondare, coerentemente, una Teologia ecologica, comprensibile anche come “scienza” autonoma, ambito di studio dotato di un proprio statuto epistemologico e di una propria metodologia di ricerca. Nel menzionare dichiarazioni della Conferenza Episcopale Italiana, e di altri organismi regionali episcopali, si aggiungevano elementi di criticità su una rinnovata consapevolezza che, lodevolmente venuta alla luce, non ha ancora trovato i debiti e urgenti sbocchi attuativi14.

Di questo avviso si rendeva partecipe Daniele Garrone, che basava la propria relazione su una rigorosa esegesi della Genesi e sull’esemplificazione di altri passi biblici, ove il rapporto Uomo-Natura, da sfondo ineludibile del racconto testamentario, si eleva a domanda e bisogno fondamentale della Fede -in questo senso, specifica attenzione potrebbe esser rivolta al Diluvio Universale e alle Piaghe dell’Egitto: in questi casi, il flagello può essere affrontato soltanto attraverso la redenzione e la conservazione.

Nello svolgersi dell’argomentazione, Garrone adottava alcuni esempi, simili a quelli adoperati della Zadeh, nell’esposizione della tematica presso la letteratura islamica, in particolar modo relativi alla relazione tra Genere Umano e altre specie viventi. Da una concezione olistica del Creato, si passava a una circoscrizione del tema nei rapporti tra Uomo e Natura e, poi ancora, tra Uomo e forme di vita animali. La prospettiva veicolata da Garrone, suggestiva nelle forme e peculiare e incisiva nei contenuti, si riferiva a un rilievo liturgico-antropologico, a volte sottovalutato in dottrina15. Sin dalla loro fondazione, le religioni del ceppo abramitico dimostravano una notevole riduzione di libagioni compiute per il tramite del sacrificio di animali. Questo dato, fenomenologico, distingueva, da subito, la teologia monoteistica dalla teologia politeistica, in larga misura legata al sacrificio animale come momento celebrativo tipico. Nel corso dei secoli, i residui legami con questi aspetti della liturgia pagana ne uscivano ulteriormente espunti dall’orizzonte culturale dei seguaci abramitici. A questo riguardo, la qualificazione dell’Imperatore Giuliano come “Apostata”, oltre a segnalare l’approccio storiografico fortemente antipagano, prevalente nella società medievale, sorgeva, fattualmente, dal ripristino di abitudini, dal contenuto simbolico prettamente antiebraico (pluralità di Divinità, nuovo utilizzo di altari pagani e, appunto, sacrifici animali)16.

A concludere la II Sessione, l’intervento di Claudia Fanti risultava incentrato sulla necessità di ripensare il tema della salvaguardia ambientale nei termini di un nuovo sistema socio-economico, maggiormente basato sulla sussidiarietà, sulla solidarietà e sulla tutela delle minoranze. Questo particolare approccio teorico veniva compiutamente esemplificato attraverso una serrata analisi della situazione latino-americana, significativa, in ottica comparatistica, non solo per le trasformazioni politico-giuridiche in atto, ma anche per la più spiccata attenzione in essa rinvenibile alla concezione dell’Ambiente come bene comune, destinato alla libera e consapevole fruizione individuale, alla comune e responsabile fruizione di massa, alla irrinunciabile e partecipe fruizione delle generazioni future.

I Paesi Latino-Americani sono stati interessati, complessivamente, da un movimento riformistico, di impostazione solidaristica, comunitaristica e socialista, che ha profondamente cambiato gli assetti costituzionali locali. Un simile movimento ha interessato, tra gli altri, il Venezuela di Chàvez, il Brasile di Lula e la Bolivia di Morales: questi Stati sono riusciti ad essere i più significativi apripista della trasformazione globale. Quello stesso continente che sembrava, integralmente, affossato dalla crisi finanziaria e creditizia argentina, che non riusciva a dar garanzie sui diritti umani, non arrivando ad attuare né quelli sociali, né quelli civili, è riuscito a rialzarsi. Se un comune denominatore può rinvenirsi, in questa parabola, è il rinnovato investimento statuale, che ha aumentato il prodotto interno lordo, determinando una più efficace redistribuzione delle ingenti ricchezze nazionali e continentali, e un tentativo, sempre più radicale, delle minoranze etniche di quei Paesi nel costituirsi come veri soggetti collettivi, dopo decenni di soprusi, provvedimenti restrittivi e disinteresse internazionale. Le modificazioni giuridiche sono altrettanto evidenti: il Brasile è riuscito a dare prima, concreta, attuazione a una Costituzione dove forte era l’influsso di Bobbio, sia pure riletto in un’ottica più tipicamente social-democratica17; il Venezuela si è dotato di alcune trasformazioni costituzionali idonee a garantire la prosecuzione al comando del suo attuale Capo di Stato, ma è progredito anche sul piano della scolarizzazione e del sistema sanitario18; in Bolivia, le minoranze indigene sembrano, dopo secoli, esser riuscite a dotarsi di una propria voce istituzionale, finalmente udibile anche dall’opinione pubblica internazionale19. Nel consenso di base ottenuto da queste realtà -più sincero ed idealistico dell’effettiva resa dei governi nazionali, l’esperienza dello zapatismo in Chiapas è stata determinante: comunità che richiedono democrazia diretta e rapporti orizzontali basati sul principio di sussidiarietà20. La situazione non è idilliaca: restano forti le sperequazioni sociali, le lobbies della produzione energetica, che aggrediscono il bene ambientale con una veemenza suggerita dalla sete di profitto, cercano di ricollocarsi nel mutato assetto istituzionale, non tutto il sub-continente è riuscito a smarcarsi dall’enorme peso politico da sempre ricoperto da gruppi militari e paramilitari. In più, il sostegno ai diritti dell’infanzia, anche ove riconosciuto, è, persino adesso, più teorico che pratico, proclamato, ma non eseguito e perseguito con la stessa coerenza. La questione religiosa assume un peso sempre più rilevante, nonostante le promesse di secolarizzazione. La Teologia della Liberazione, che aveva autonomamente sviluppato un’attenzione costante nei confronti del tema ambientale, è stata frequentemente sospinta ai margini del dibattito mass-mediologico, facendo avanzare quelle correnti sotterranee, più reazionarie, che non avevano mai abbandonato il contesto cattolico sud-americano. Esse si trovano, come dimostra la recente competizione elettorale brasiliana, in una posizione di continua (auto)radicalizzazione: insistono sull’ortodossia delle proprie tesi per annichilire gli studi che si rifanno alla Liberal Theology e che reclamano più diritti e una più attenta giustizia sociale, si impongono come uniche soggettività in grado di resistere all’avanzata, in termini di proselitismo, di gruppi dal connotato identitario più spiccato, come Evangelici e Pentecostali. Queste contraddizioni costituivano la parte centrale della relazione della Fanti e, probabilmente, pongono interrogativi che esulano dal solo contesto americano e, invece, meritano approfondimento anche negli Stati del Cattolicesimo europeo.

La III Sessione concludeva i lavori, soffermandosi su questioni osservabili nella concreta di realtà di Messina. Le considerazioni, ivi proposte, hanno un significato simbolico ulteriore all’ambito contingente in cui sono sorte. La città, infatti, reca, nella propria dimensione architettonica e urbanistica, le tracce di due gravi eventi sismici: il tema della ricostruzione e della miseria che, nel realizzarsi di essa, si diffonde, è ben presente nella memoria storica locale21. Altri episodi connotano, in misura archetipica, il capoluogo peloritano. A questo titolo, si osservi la recente alluvione, che ha causato danni enormi, amplificati dal dissesto ambientale, aggravato da episodi di piromania, scempio edilizio e sfruttamento indiscriminato dei suoli. Nondimeno, Messina sembra prossima a misurarsi con la realizzazione di una “grande opera”, annunciata da alcuni decenni, e invocata da fronti (anche) affaristici sempre più trasversali: il Ponte sullo Stretto22. Esso, ben al di là delle discussioni tra opposte tendenze politiche che parrebbe sollecitare, sarebbe, in ogni caso, idoneo a rettificare definitivamente la morfologia e la fisiologia floristiche e faunistiche del tratto marittimo: un esempio evidente di azione umana, realizzata da una Tecnica non adeguatamente legata all’Etica, ma spesso asservita ad esigenze della lex mercatoria, che inficia la “custodia” del Creato ed enfatizza una nozione di “dominio” disgiunta da qualsivoglia tutela del bene comune23. Soprattutto in questo senso, la situazione messinese può costituire un utile spazio di dialogo e riflessione, relativo a problematiche proprie dell’intera regione meridionale, che, al momento, non sembra aver raggiunto un congruo bilanciamento tra, sempre rinviate, esigenze di sviluppo economico ed infrastrutturale e mantenimento delle millenarie biodiversità naturali24.

 

3. Prime conclusioni: la sintesi che stenta ad arrivare

Lo sforzo delle realtà confessionali nel misurarsi col crescente degrado ambientale non ha, sin qui, prodotto risultati uniformi. Sul piano esegetico, potrebbe osservarsi che, almeno per quanto riguardo gli orientamenti religiosi più diffusi del Pianeta, si tratta di insegnamenti plurimillenari, che fanno riferimento a testi e a dottrine sorti in periodi in cui l’urgenza ambientale, probabilmente poco avvertita, di certo non si manifestava nelle gravi forme che stanno interessando la realtà odierna. Pensare di ricavare da quelle scritture disposizioni pratiche sulle energie rinnovabili o sulla deriva del consumismo sarebbe illusorio. Si possono, però, rinvenire principi ed orientamenti in grado di svolgere una funzione maieutica rispetto alla questione ecologica attuale25. Simili forme di impegno vanno diffondendosi e contribuiscono, in misura significativa, al rilancio di una predicazione non basata su formule identitarie e dogmi escludenti26, ma su prassi concrete, determinate da durevoli insegnamenti sociali. Soprattutto, l’esempio che giunge dall’ambito sociologico risulta interessante. Le teorie sulla “ecologia politica” assumono la centralità del risparmio energetico nella difesa degli spazi ambientali, sottoposti alle più gravi forme di sfruttamento, e, nondimeno, suggeriscono una prospettiva della pratica politica basata sul principio di trasparenza e su istanze di condivisione. Anche la teoria economica ha mosso dei passi in questa direzione, perché, specie a seguito della grave crisi finanziaria, iniziata nel 2008 e non ancora conclusasi appieno, si è potuto dimostrare che un piano statuale di investimenti in ambito ecologico può produrre migliore e maggiore circolazione delle ricchezze, nel momento attuale, determinando una contrazione dei costi gestionali delle emergenze territoriali, in prospettiva futura. Si tratta di prese di coscienza molto più nette di un generico richiamo alla tutela dell’ambiente come valore “cartolare”. Nel dibattito emergono questioni legate al persistente, modificato, ma, verosimilmente, persino accresciuto, ruolo delle religioni nelle determinazioni della coscienza27. Le comunità di fedeli, quale che sia il loro orientamento, agiscono sulla Terra come comunità umane: realizzano usi, costituiscono reti, istituiscono consuetudini. La dimensione planetaria del problema ambientale rende, in definitiva, stucchevoli gli steccati confessionali, si apre a tematiche di rilevanza giuridica, teologica, sociale. Si pensi, ancora, al contributo dottrinario che il cosiddetto ateismo “positivo” ha generato a partire dagli anni Cinquanta: in esso, l’ateo, pur coscientemente non partecipe di una realtà liturgica, può realizzare condotte giovevoli per la collettività complessivamente considerata28. La comune salvaguardia delle risorse ambientali è, indiscutibilmente, uno degli ambiti dove la trasversalità ideologico-culturale degli attori sociali è più ricca, accettata, necessaria. Solidarietà ed ecologia non possono presentarsi più come ambiti d’azione compartimentati, disgiunti nella teoria e nella pratica. Possono essere, al contrario, facce di una stessa medaglia, posizioni simmetriche volte al riscatto degli ultimi, per il tramite del beneficio condiviso29. L’orizzonte critico che è stato aperto dai movimenti ambientalisti non va limitato a una peculiare stagione storica, ove nuove domande di partecipazione si affacciavano. Semmai, esteso, nel suo dispositivo teoretico e sociale, al tempo presente, che, anzi, lo reclama, come ambito più rilevante della convivenza civile.

 

1 Con riguardo al tema della globalizzazione economica, cfr. S. MEZZADRA, Diritto di fuga. Migrazioni, cittadinanza, globalizzazione, nuova ed. ampl., Verona, 2006.

2 Attenta storiografia potrebbe, del resto, dimostrare come la proposizione di nuovi modelli familiari abbia costituito, da parte di comunità minoritarie, uno dei segni più tangibili della contrarietà o, comunque sia, diversità, rispetto a un ordine costituito. Cfr., tra gli altri, O. CAPITANI, a cura di, Medioevo ereticale, Bologna, 1977.

3 L’ultimo provvedimento in materia, nella legislazione italiana, è, difatti, un decreto attuativo di Direttiva comunitaria -così avviene, fatta salva la più particolareggiata normazione di dettaglio, negli altri Stati membri. Cfr. d. lgs. n. 250, 18 Novembre 2010, Decreto legislativo che recepisce la direttiva UE 2008/98/CE in materia di rifiuti.

4 Sul problema, si segnalavano studi articolati sin dall’inizio degli anni Settanta. Cfr., tra gli altri, G. SOFRI, Il modo di produzione asiatico. Storia di una controversia marxista, Torino, 1973.

5 Il parallelismo è ben presente nella tradizionale cultura giuridica italiana. Dà conto di ciò M. CAMMELLI, a cura di, La nuova disciplina dei beni culturali e ambientali, Bologna, 2000, nonché G. P. VOLPE, Manuale di legislazione dei beni culturali. Storia e attualità, Padova, 2006.

6 Il Legislatore europeo sembra non percepire la possibilità di questo “colonialismo di ritorno”. Cfr. M. R. SAULLE, a cura di, L’Europa tra Costituzione, Asilo e Migrazione, Napoli, 2004.

7 Alcune di queste problematiche sono riproposte in V. TOZZI, Le moschee ed i ministri di culto, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista Telematica (http://www.statoechiese.it), Settembre 2007, 16-17.

8 Cfr. A. NEGRI, Dalla fabbrica alla metropoli. Saggi politici, Roma, 2008; in una prospettiva maggiormente sistematica, M. HARDT, A. NEGRI, Comune. Oltre il privato e il pubblico, trad. it. A. PANDOLFI, Milano, 2010, 251-261.

9 Se sul significato trans-culturale di Gerusalemme può rinviarsi all’opera di Martini (cfr. C. M. MARTINI, Verso Gerusalemme, Milano, 2002); su quello, più controverso, di “Babilonia”, è storicamente dettagliato il contributo di H. M. HYATT, The church of Abyssinia, Londra, 1928; sul simbolo del disfacimento babilonese nella cultura mistica etiope, cfr. L. MOSLEY, Haile Selassie: the Conquering Lion, Londra, 1964.

10 Sull’opportunità che lo scopo mutualistico non discenda solo da una determinazione statuale, bensì, e più diffusamente, dalla libera estrinsecazione dell’autonomia privata, cfr. V. DONATO, Contributi di diritto civile, Torino, 2004, 120-121.

11 Cfr. BENEDETTO XVI, Caritas in Veritate, Città del Vaticano, 2009, 7-10.

12 Cfr. BENEDETTO XVI, Caritas, cit., 17-23.

13 Cfr. BENEDETTO XVI, Caritas, cit., 22-24.

14 In funzione ricostruttiva sulla recente “legislazione” ecclesiale, cfr. A. GIORDANO, S. MORANDINI, P. TARCHI, La creazione in dono. Giovanni Paolo II e l’ambiente, Bologna, 2005.

15 Il rifiuto del sacrificio come rifiuto della violenza, a prescindere dalla valenza cognitiva e simbolica della sua vittima, è giustamente sottolineato in F. SCALIA, Il Cristo degli uomini liberi, Molfetta, 2010, 47.

16 Cfr., tra gli altri, nella diffusa bibliografia relativa a Giuliano l’Apostata, anche in riferimento alla sua percezione presso il mondo medievale e ai riti imposti nel periodo del suo impero, G. NEGRI, Giuliano l’Apostata, Milano, 1954; R. KLEIN, a cura di, Julian Apostata, Darmstadt, 1978.

17 Questa osservazione viene assunta in termini positivi in J. MIRANDA, M. A. Marques da SILVA, a cura di, Tratado luso-brasileiro de dignidade humana, San Paolo, 2008, 573.

18 Un resoconto sulle trasformazioni sociali in atto in Venezuela, che pure non parrebbe tener conto dei rischi di personalizzazione del dominio politico e delle sue inevitabili derive oligarchiche in certe circostanze, può essere rinvenuto, a cura dell’Associazione Hands off Venezuela, per il tramite della pagina web http://www.handsoffvenezuela.org (organo ufficiale della “Hands off Venezuela Campaign”).

19 Andrebbe prudentemente osservato che questi sommovimenti politico-culturali nascono ben prima dell’esperienza governativa di Evo Morales. Tuttavia, per un contrario avviso, cfr. A. GRANDI, Un indio al comando, in Peace Reporter, bollettino multimediale, 19/12/2005.

20 Lineamenti di teoria e prassi della cultura politica zapatista si rinvengono in EJÈRCITO ZAPATISTA DE LIBERACIÒN NACIONAL, trad. it. F. LIPPI, EZLN. Documenti e comunicati dal Chiapas insorto (dal 15 Agosto 1994 al 29 Settembre 1995), Pisa, 1997.

21 Una rilettura idrogeologica dell’evento ha alimentato alcune congetture in tema di patrimonio genetico delle popolazioni dello Stretto, in parte, presumibilmente, modificato dall’enorme quantitativo di gas Radon sprigionatosi. Benché orientamenti di questo tipo risultino particolarmente difficili da verificare, cfr. A. BONANNO, Messina, nel terremoto il mistero del DNA, in La Repubblica, 17 Marzo 2007.

22 Su una proiezione potenzialmente antigiuridica dei provvedimenti esecutivi volti a favorire l’istituzione della città metropolitana dello Stretto (Reggio Calabria-Messina), cfr. A. SPADARO, Considerazioni sull’area metropolitana di “Reggio Calabria” (art. 22, n. 2 ,legge n. 42/2009) e, poi, sulla città metropolitana “dello stretto”: sua potenziale incidenza sull’assetto istituzionale della regione Calabria (e Sicilia), in ID., a cura di, Un “progetto” per la Calabria. Istituzioni e proposte di riforma, II vol., Napoli, 2010.

23 Anche l’enfasi sul movente economico costituisce forma di “controllo sociale”. Cfr., in questo senso, V. DONATO, Contributi, cit., 63-64, nn. 8-9.

24 La valenza aggregante delle issues ambientali è spesso al centro delle pubbliche proteste contro fenomeni di speculazione edilizia, istituzione di discariche e cantieristica ad alta tecnologia. Cfr. G. BUSO, Resistenze e proteste contro le decisioni del governo locale: i comitati spontanei dei cittadini, in L. BOBBIO, F. FERRARESI, a cura di, Decidere in comune. Analisi e riflessioni su cento decisioni comunali, Torino, 1996, 197 e ss.

25 Sulla ricerca di un Altrove possibile, costruito con la pazienza degli uomini di Pace e di “buona volontà”, anche a costo di sperare contra spem, piace ricordare F. SCALIA, Il Cristo, cit., 23.

26 Il fondamento canonistico della nozione di aequitas si prefigge il raggiungimento di finalità sistematiche di questo tipo. Cfr. M. F. POMPEDDA, L’interpretazione della legge nella Chiesa, in L. GEROSA, A. NERI, L. MULLER, a cura di, Diritto canonico e interpretazione, Annuario DiReCom, n. 1/2002, Lugano, 2002, 9-28.

27 Riguardo all’influsso esercitato nella legislazione italiana, si segnala, tra gli altri, P. MONETA, L’evoluzione del diritto comune in materia religiosa nella legislazione nazionale, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista Telematica (http://www.statoechiese.it), Settembre 2010, 2-4.

28 Il carattere di a-religiosità che dovrebbe connotare il diritto di cittadinanza è correttamente esplicato in C. MANCINA, La laicità al tempo della bioetica, Bologna, 2009, 28-29. Chiariti i termini della questione, come dalla sensibilità ateistica possono giungere proposte condivisibili per una comunità di fedeli, a un insegnamento di matrice religiosa può essere applicata una prospettiva euristica laica. Cfr. S. BERLINGÒ, L’insegnamento del diritto canonico nelle Università Statali italiane. Lo statuto epistemologico di una canonistica laica, in Quaderni di diritto ecclesiale, n. 1/1997, 40-66. Sulla desumibilità di un simile indirizzo di ricerca nel passaggio tra Concilio Vaticano II e Codice di Diritto Canonico (1983), cfr. ID, Riflessi del Codice 1983 sulla dottrina: per una chiave di lettura della canonistica postcodiciale, in Ius. Eccl., n. 6/1994, 41-90.

29 Suscita perplessità l’opposto atteggiamento del Legislatore italiano, che sembra più sensibile ad istanze di “insicurezza diffusa”, in sé non idonee a garantire il pluralismo, né capaci di potenziare la godibilità dell’ambiente urbano. Cfr. R. MAZZOLA, Libertà di culto e “sicurezza urbana” nella “Direttiva del Ministro dell’interno per le manifestazioni nei centri urbani e nelle aree sensibili”, in Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, n. 2/2009, 413.

Dott. Bilotti Domenico

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento