La società civile nella giurisprudenza della Corte di giustizia

Sgueo Gianluca 24/04/08
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1. Riflessioni introduttive – 2. La causa C-117/02 del 2004 – 3. La causa C-305/05 del 2006
 
 
1. Riflessioni introduttive
La giurisprudenza della Corte di giustizia presenta rari e generici riferimenti alla società civile. Le cause possono essere le seguenti: anzitutto, i meccanismi di accesso alla Corte attualmente in vigore, che impongono condizioni stringenti in capo ai privati affinchè possano presentare ricorso diretto. Inoltre, contribuisce in tal senso la natura delle questioni trattate, relative, per la grande maggioranza, alla corretta applicazione del diritto comunitario, piuttosto che alla diretta rilevabilità dei diritti individuali.           
 
2. La causa C-117/02 del 2004
Gli unici riferimenti presenti sono indiretti. Valga come esempio la sentenza emessa il 29 aprile 2004 dalla Quinta sezione della Corte, nella causa C-117/02. La questione, relativa all’applicazione della Direttiva 85/337/CEE – “Valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti”, vede opporsi la Commissione europea e la Repubblica portoghese.
La Commissione sostiene che il governo portoghese abbia disatteso l’applicazione della direttiva comunitaria, avendo concesso l’autorizzazione alla realizzazione di un complesso turistico nella zona di Ponta do Albano, senza aver previamente operato la valutazione di impatto ambientale cui obbliga l’articolo due, numero uno, della direttiva n. 85/337/CEE del Consiglio[1].
Le autorità portoghesi, invece, censurano le osservazioni della Commissione, sostenendo, in linea generale, l’irretroattività della direttiva (la decisione relativa all’attuazione del progetto di Ponta do Albano è antecedente rispetto all’emanazione della direttiva). Nel particolare, poi, esse contestano la circostanza per cui, essendo la menzione dei complessi turistici menzionata in un allegato alla direttiva, essa non avrebbe integrato una violazione del diritto comunitario.
Il giudice comunitario, che conclude per l’infondatezza del ricorso e, di conseguenza, lo respinge, nelle motivazioni opera un richiamo indiretto alla società civile, allorchè riporta le motivazioni addotte dalla Repubblica Portoghese. Questa, infatti, sostiene di aver comunque instaurato idonee procedure consultive all’indomani della decisione di realizzare il complesso turistico. L’adozione del piano regolatore è stato preceduto da un piano di macropartizione del territorio interessato in zone di riferimento; sono stati compiuti studi sul patrimonio naturale della zona; soprattutto: sono stati svolti ampi dibattiti pubblici che hanno coinvolto la società civile, le organizzazioni non governative, gli istituti universitari e vari organismi pubblici.
 
3. La causa C-305/05 del 2006
In altri casi, il termine di società civile ricorre solamente nelle riflessioni svolte dagli Avvocati Generali. Ne sono esempio le conclusioni dell’Avvocato Generale Poiares Maduro, presentate il 14 dicembre 2006, in merito alla causa C-305/05, che vedeva opposti, da un lato, l’Ordre des barreaux francophones et germanophone, l’Ordre français des avocats du barreau de Bruxelles, l’Ordre des barreaux flamands, l’Ordre néerlandais des avocats du barreau de Bruxelles e ilConsiglio dei ministri. Nell’occasione, le conclusioni si soffermano sulle condizioni che garantiscono i privati nella scelta del difensore, ed in particolare cosa debba intendersi per segreto professionale, e quali siano i limiti che il concetto implica.
Ebbene, secondo l’Avvocato Generale, il principio del segreto professionale comprende anche la prestazione di una consulenza legale. Ciò perché esiste la fondamentale necessità “che una persona, in una società civile, possa rivolgersi al suo avvocato per consulenza e assistenza e, eventualmente, per farsi rappresentare in giudizio”. A maggior raggione, aggiungono le conclusioni, in una società complessa come quella europea, ove la garanzia all’accesso alla giustizia che offre una consulenza legale diviene necessariamente una garanzia all’accesso al diritto.
Altrettanto interessanti sono le conclusioni svolte dall’Avvocato Generale Paolo Mengozzi, presentate il 19 settembre 2007 nella causa C-91/05 (Commissione delle Comunità europee contro Consiglio dell’Unione europea). Nello svolgimento delle conclusioni l’Avvocato cita l’accordo di Cotonou, firmato nel 2000 tra la Comunità europea ed i membri del gruppo degli stati dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico. L’accordo, entrato in vigore in Europa nel 2002, si promette di promuovere ed accellerare lo sviluppo economico degli Stati africani, caraibici e del Pacifico interessati. Le conclusioni ricordano, a tale proposito, che l’accordo ha perseguito soprattutto lo scopo di promuovere “attività di pacificazione e prevenzione e risoluzione di conflitti (…) assicurare un’equa distribuzione delle opportunità politiche, economiche, sociali e culturali tra tutti i settori della società, il rafforzamento della legittimità democratica e dell’efficienza dei sistemi di governo, la creazione di efficaci meccanismi di conciliazione pacifica degli interessi di gruppo, il superamento delle divisioni tra settori diversi della società e la promozione di una società civile attiva e organizzata”.
 


[1] L’articolo secondo dispone, al punto primo, che: “Gli Stati membri adottano le disposizioni necessarie affinché, prima del rilascio dell’autorizzazione, i progetti per i quali si prevede un impatto ambientale importante, segnatamente per la loro natura, le loro dimensioni o la loro ubicazione, formino oggetto di una valutazione del loro impatto”. L’allegato II della direttiva comprende, tra i progetti che devono rispettare questo limite, i villaggi vacanze ed i complessi alberghieri. In effetti, il progetto realizzato in Portogallo comprende entrambe queste tipologie di costruzione.

Sgueo Gianluca

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