La sistematica della responsabilita’ nelle p.a. e negli enti locali – responsabilita’ amministrativa per danno erariale e giudizi innanzi alla corte dei conti – atti del convegno del 22 gennaio 2007 presso la corte dei conti – aula del seminario permane

Scarica PDF Stampa
Gli argomenti che tratteranno i nostri relatori sono tanti quindi direi di iniziare.
Innanzitutto dò il benvenuto a tutti i partecipanti, che hanno aderito all’invito a questo Convegno sul sistema delle responsabilità nelle Pubbliche Amministrazioni e negli Enti Locali e quindi vi ringrazio per essere qui presenti, ringrazio l’Associazione Legautonomie Marche, che ci ha dato la possibilità di organizzare, con la sua fattiva collaborazione, questo Convegno di notevole interesse.
Come Associazione Dipendenti Corte dei Conti chiaramente diamo il benvenuto a tutti i partecipanti e soprattutto siamo lieti di aver promosso, insieme all’Associazione Legaautonomie questo incontro di studio, che rappresenta anche la prima occasione di formazione dell’Associazione Dipendenti Corte dei Conti.
Riteniamo che questo possa essere l’inizio di un percorso formativo, per i nostri Colleghi e anche per tutti i Colleghi Funzionari che vengono da altre Amministrazioni, perché ci siamo resi conto, nel pochissimo tempo in cui abbiamo messo su questa iniziativa, quanto sia importante l’ esigenza di sopperire al fabbisogno formativo nell’ambito della Pubblica Amministrazione.
Rappresento ai nostri relatori che abbiamo mandato una e-mail a tutti i dipendenti della Corte dei Conti alle 15 del pomeriggio ed alle 18 abbiamo dovuto chiudere le iscrizioni, perché erano andati al di là della disponibilità  di posti in aula.
Questo significa che sicuramente ripeteremo questa esperienza anche nel prossimo futuro.
Ringrazio chiaramente la Corte dei Conti per aver dato a tutti noi la disponibilità di questa giornata, in modo particolare ringrazio il Servizio Affari Generali e l’Ufficio del Consegnatario, che ha attrezzato l’aula e il Seminario Permanente sui Controlli, perché quest’ aula viene utilizzata normalmente per formare i dipendenti della Corte dei Conti e per gli approfondimenti seminariali per il personale di Magistratura.
Non posso non ringraziare la Dott.ssa  Rosa Francaviglia, che è stata la promotrice di questa bellissima iniziativa. Aveva espresso quest’ intendimento, perché oramai da diverso tempo porta in tutta Italia questa metodologia seminariale in materia di responsabilità nelle Pubbliche Amministrazioni con la Lega Autonomie Marche specie per quanto riguarda gli aspetti inerenti alle responsabilità amministrativo-patrimoniali e contabili . Quindi la ringrazio veramente di cuore da parte dell’Associazione Dipendenti Corte dei Conti e ringrazio il Professor Tamassia, che è consulente della Funzione Pubblica nella Pubblica Amministrazione, Docente dell’Università di Urbino ed una delle figure più brillanti in materia di gestione del personale. Noi siamo onorati di averlo oggi con noi.
Direi di iniziare e dò la parola alla Dott.ssa Rosa Francaviglia, Magistrato della Corte dei Conti e Sostituto Procuratore Generale Emilia-Romagna, in maniera tale che vi illustri quello che sarà il programma della giornata.
Grazie a tutti voi.
 
Dott.ssa Francaviglia- Magistrato della Corte dei Conti – Sostituto Procuratore Generale per l’ Emilia-Romagna:
 
Buongiorno a tutti.
Prima di dare la parola al Prof. Tamassia, desidero illustrare il programma del seminario ed ancor prima ringraziare tutti coloro i quali in ambito Corte hanno reso possibile la presente iniziativa convegnistica. Sottolineo che ci troviamo in una sede prestigiosa qual è l’ Aula del Seminario Permanente dei Controlli e non mi posso esimere dall’ osservare che appartenere alla Magistratura Contabile – a mio modesto avviso – significa svolgere delle funzioni essenziali a tutela dell’ Erario e della finanza pubblica oltrechè finalizzate al buon andamento dell’ azione amministrativa. Quindi, il prestigio dell’ Istituzione ha una valenza effettiva e sostanziale e noi tutti Magistrati contabili qui presenti dobbiamo essere sempre fermamente consapevoli della notevole importanza del ruolo da noi assolto. Naturalmente desidero anche ringraziare il personale amministrativo che oggi partecipa al convegno perché ritengo di fondamentale rilievo l’ apporto fattivo che ogni dipendente dà al personale di Magistratura in un’ ottica di sinergia collaborativa e mi dispiace soltanto che non tutti quelli che hanno chiesto di partecipare hanno potuto presenziare per ovvii limiti di capienza dell’ Aula. Peraltro, mi associo al Dott. Guarente auspicando che possano essere organizzate ulteriori analoghe iniziative. Per quanto attiene la trattazione degli argomenti indicati in programma, preciso che il correlatore esaminerà quelli rientranti nella  prima parte ed, in aggiunta, ci farà qualche cenno sulla Legge Finanziaria per il 2007, non tutta ovviamente, ma quantomeno limitatamente ai punti essenziali e con specifico riferimento alla gestione delle risorse umane. Poi io mi occuperò del Diritto Contabile Sostanziale e Processuale. La cartella del materiale che vi è stato consegnato include il mio testo sulla responsabilità erariale edito dalla Legautonomie Marche, che è aggiornato a Maggio 2006, poi una serie di dispense, fra cui queste due, redatte con la Dott.ssa Sonia Lazzini, che è uno dei massimi esperti in materia  di Contrattualistica Pubblica e di Polizze Assicurative.
Ritengo siano molto utili, perché contengono degli schemi estremamente sintetici e chiari, sia sulla responsabilità erariale, sia sulla responsabilità civile.
Il mio testo, ovviamente, non ha nessuna pretesa di essere paragonato a quelli che denomino i “testi sacri” dei colleghi, quali il Garri od il Santoro, dove tutti noi magistrati  contabili abbiamo zelantemente studiato, però è un’ utilissima guida operativa, densa di esempi pratici ed è stata redatta proprio in funzione della formazione teorico-prammatica degli operatori della pubblica amministrazione e dei dipendenti degli Enti Locali.
Perciò, è un volume scritto con un linguaggio estremamente semplificato, il più possibile privo di tecnicismi in modo da fornire quegli strumenti indispensabili e quegli elementi necessari per voi operatori della P.A. per agire correttamente in ambito pubblicistico. Ad esempio: se devo predisporre un atto di messa in mora, qual è il decorso del termine prescrizionale, come si denuncia un illecito contabile, etc…. è un discorso estremamente pratico, perché spesso si rileva che c’è un fortissimo vuoto formativo nelle Pubbliche Amministrazioni.
Questa è una materia molto tecnica, complessa, trasversale, perché combina più discipline; è dunque logico che ci siano bellissime opere di diritto contabile, che però sono prevalentemente destinate ai tecnici della materia ed invece quello che occorreva – a mio modesto avviso – era un abstract, una sintesi, un testo semplificato, di agevole comprensione anche per i profani delle discipline giuscontabilistiche. Difatti, è stata anche inserita la legenda dei termini latini, perché ovviamente non si può pretendere che tutti conoscano il latino giuridico che però è essenziale perché in una formula definitoria spesso compendi un istituto e lo memorizzi incisivamente per sempre. 
Questa mattina cercheremo di trattare più o meno tutti gli aspetti del diritto contabile sostanziale e del processuale contabile. Tuttavia, essendo  il tempo a nostra disposizione estremamente limitato, vi pregherei di differire il dibattito alla fine del Convegno, perché oggi qui siamo veramente tanti, quindi diventa poi impossibile affrontare l’ intero programma che è piuttosto corposo.
Ultima cosa: sul testo voi trovate un elenco di siti giuridici, che vi consiglio di consultare periodicamente, perché, a seconda dell’Amministrazione a cui appartenete, vi può essere di estrema utilità.
Il sito web su cui scriviamo io ed alcuni bravissimi colleghi fra cui devo necessariamente menzionare la Dott.ssa Elena Brandolini della Sezione del Controllo Veneto ed il Dott. Alberto Mingarelli, della Procura Veneto, è http://www.Diritto.it, diretto dal Dott. Francesco Brugaletta, illustre Magistrato del Tar Catania, dove ho istituito a suo tempo l’Osservatorio di Contabilità Pubblica, che è articolato in controlli, giurisdizione e responsabilità. È stata una mia idea nel tentativo spero riuscito di far conoscere le attività  istituzionali della Corte dei Conti al di là della ristretta cerchia degli addetti ai lavori, perché poi ovviamente si consiglia caldamente di consultare anche il sito istituzionale della Corte (http://www.corteconti.it ) che è pregevole, autorevolissimo e completo. Inoltre, di notevole interesse anche il sito http://www.amcorteconti.it  a cura dell’ Associazione Magistrati della Corte dei Conti dove si trova tanto materiale interessante. Su Diritto.it vi è l’Osservatorio succitato, ma anche l’Osservatorio delle Polizze Assicurative della Dott.ssa Lazzini. Quindi – ad esempio – per chi di voi lavora negli Enti Locali, in Sanità o comunque in ambito pubblicistico è utilissimo. Trovate anche un’elencazione di altri siti giuridici, che, a seconda delle vostre necessità, possono essere un punto di riferimento per ogni problematica pratica.
Adesso dò la parola al Prof. Tamassia, che ringrazio di avere accettato l’ invito a partecipare a questa prestigiosa iniziativa convegnistica e che affronterà la prima parte in tema di Responsabilità Civile – Disciplinare e Dirigenziale  nelle P.A. con cenni alla Legge Finanziaria per il 2007.
 
Prof. Luca Tamassia- Docente dell’ Università di Urbino e Consulente della Funzione Pubblica:
 
Vi ringrazio di essere intervenuti così numerosi peraltro su una tematica particolare che non sempre viene affrontata adeguatamente negli incontri con i colleghi a diversi livelli.
Cercherò di essere sintetico il più possibile, anche perché, purtroppo, fra un’oretta dovrò andare per altri lidi, per impegni professionali.
Sulla Finanziaria il punto che volevo affrontare con voi, riguarda la gestione delle risorse umane, con particolare riferimento alla stabilizzazione del precariato, problema non di secondaria importanza, perché interessa tutte le Amministrazioni Pubbliche e pone problemi anche applicativi di rilevante entità, oltre le limitazioni. Peraltro, questo precariato rientra nelle limitazioni delle assunzioni in materia di costituzione di rapporti presso le Pubbliche Amministrazioni, quindi direi che è estremamente attuale.
Ne approfittavo anche per fare alcuni approfondimenti su due tipologie di responsabilità, anche queste non sempre sondate, ritengo, a dovere: la responsabilità dirigenziale e la responsabilità disciplinare, in particolar modo, soprattutto nelle Pubbliche Amministrazioni, cercando di dare una configurazione il più coerente possibile con il dettato costituzionale e quello ovviamente del sistema di riforme, in materia di pubblico impiego.
Vengo velocemente a tracciare le coordinate della responsabilità in generale del pubblico dipendente dell’Amministrazione a cui appartiene.
Le tipologie di responsabilità in generale possono essere individuate, per quanto attiene al pubblico dipendente, nella Responsabilità Civile, in quella Penale, in quella Disciplinare, ovviamente in quella Amministrativa, nelle diverse fattispecie della Patrimoniale e della Contabile, che attengono ad aspetti parzialmente diversificati.
Quella Disciplinare appartiene all’area contrattuale, quella Dirigenziale appartiene invece all’area legale. Su questo aspetto peraltro voi avete visto, non so se avete avuto modo di vedere il Memorandum in materia di riforma del pubblico impiego, stipulato proprio l’altro giorno, che l’area della Responsabilità Dirigenziale è ancora fortemente oscillante tra quella pubblicistica e quella privatistica.
Io penso che il grande problema, in materia di impiego pubblico, e in materia di dipendenti delle Amministrazioni Pubbliche, sia la grande confusioni di fonti, che oggi si è venuta a stratificare nel nostro ordinamento. Abbiamo un’area legale che interviene troppo spesso in quella contrattuale; abbiamo l’area contrattuale, per contro, che interviene su materie rimesse rigorosamente nell’area della riserva di legge o della riserva relativa di legge. Questo determina problemi interpretativi ed applicativi incredibili: voi pensate ad alcune vicende come, ad esempio, le progressioni verticali, recentemente – progressioni verticali che sono transitate nel sistema contrattuale e che invece avrebbero dovuto rimanere, come poi la Corte Costituzionale ha affermato in più riprese, nell’area della riserva di legge. Altro problema che si verrà a porre, sarà quello degli incarichi dirigenziali e della loro disciplina, quindi indirettamente anche la Responsabilità Dirigenziale, oscillante fra l’area privatistica e quella pubblicistica.
Voi sapete che la Corte di Cassazione, nel 2004, ha configurato quest’area come privatistica, poi nel giugno di quest’anno la Corte Costituzionale, ha rimesso in discussione esattamente questa configurazione dell’incarico come appartenente all’area privatistica, ritenendo invece che appartenesse, viceversa, al sistema pubblicistico. Oggi ritorniamo con alcuni aspetti nell’area contrattuale, con il Memorandum sul pubblico impiego, quindi quella della Responsabilità Dirigenziale è, penso, una delle vicende più tormentate, perché strettamente collegata all’incarico dirigenziale.
Oltre all’area Disciplinare, perché anche su questo ci sarebbe molto da dire. Pensate a fenomeni del tipo il codice di comportamento, che normalmente accompagna i contratti collettivi, ma ha la forma giuridica, di fatto, di un Decreto Ministeriale, quindi ha natura regolamentare. Il fatto della privatizzazione del rapporto di lavoro ancora ha aree assolutamente confuse e la confusione deriva proprio dall’intervento su fonti diversificate tra legge e contratto. Le aree più stabili sono quelle relative alle responsabilità conseguenti a quella Civile, quella Penale, che è tradizionale e quella Amministrativa, nelle due forme della Patrimoniale e della Contabile.
Le altre due invece come vedremo hanno più elementi collegati alla dinamica del rapporto di lavoro, che è un transito ancora non concluso in forte evoluzione e, ovviamente, i sistemi di  responsabilità collegati agli istituti, ne risentono profondamente.
Io direi di iniziare a tracciare le coordinate della Responsabilità Civile nella Pubblica Amministrazione. Responsabilità Civile che trae i  capisaldi nell’ambito dell’art. 28 della Costituzione. L’art. 28, per chi non lo ha presente, in realtà chiama in causa le Amministrazioni per i fatti, per i danni cagionati dai propri dipendenti e dai propri funzionari. I dipendenti e i funzionari sono direttamente responsabili per le violazioni di tutte le leggi amministrative, penali e civili e in caso di Responsabilità Civile, dice la Costituzione, responsabile del  danno è anche la Pubblica Amministrazione, quindi c’è un concorso di responsabilità, rispetto alle violazioni, quindi ad atti omissivi o commissivi, adottati dai propri dipendenti.
Tenete presente che quest’area della responsabilità ( ed anche questo è un aspetto interessante), può ritenersi un’area ancora sotto riserva di legge. Vorrei tracciarvi anche il sistema delle fonti, perché è un aggancio molto importante. Ci si domanda ad esempio se quest’ area di responsabilità abbia natura privatistica o pubblicistica. In realtà, se noi andiamo a vedere il sistema delle fonti, nella riforma del pubblico impiego, soprattutto in relazione al rapporto di lavoro, abbiamo tutti gli istituti del rapporto di lavoro, che sono stati privatizzati, come sapete in particolar modo dalla Legge 421, e dal Decreto, allora 29, Delegato.
Una serie di materie è stata rigorosamente tenuta sotto riserva di legge. Queste materie sono quelle che derivano da principi costituzionali, ovviamente, la salvaguardia, l’osservanza di questi principi non poteva determinare la privatizzazione di questi ambiti.
Se noi andiamo a vedere ad esempio tra queste materie, sono 7 aree che sono rimaste sotto riserva di legge, abbiamo la disciplina dell’accesso al pubblico impiego, che ovviamente è espressione dei principi contenuti nell’art. 97 della Costituzione. Altre aree riguardano i principi organizzativi, che appartengono sempre alla sfera degli artt. 97 e 98 della Costituzione.
Un’altra materia sotto riserva di legge è il regime dell’incompatibilità. Anche il regime dell’incompatibilità è collegato a principi di cui all’art. 98 della Costituzione.
Un’area che è rimasta sotto riserva di legge, in particolar modo troverete come diretta espressione del principio costituzionale derivante dall’art. 28, la troverete innanzitutto individuata nell’art. 2, comma 1, lettera c, numero 1, della Legge 421 del 23 ottobre del 1992.
La Legge è la Legge Delega sulla riforma del pubblico impiego.
La Legge Delega tiene sotto riserva di legge tra le diverse materie “le responsabilità giuridiche attinenti ai singoli operatori nell’espletamento di procedure amministrative”. È da ritenere che questo tipo di materia sia sotto riserva di legge e quindi vada esclusa dall’intervento contrattuale, non negoziabile in termini di ambito di intervento, nonché sia una diretta esplicazione dell’art. 28 della Costituzione.
Quella Responsabilità Civile, che  in termini di principi, la Costituzione ha individuato e che poi è stata tradotta, nell’ambito della riforma del pubblico impiego, come materia non rimessa alla contrattazione, bensì riservata alla legge o relativamente alle leggi, anche attraverso atti di natura non legislativa, ma comunque sottratta alla negoziazione, alla privatizzazione, quindi alla contrattualizzazione.
Ciò in funzione del fatto che questo ambito di intervento, essendo corollario, essendo una traduzione, una decodificazione a livello legislativo dei principi stabiliti nella Costituzione, non avrebbe mai potuto essere privatizzata.
La Legge Delega, sulla riforma del pubblico impiego, ha poi trovato successivamente, tanto per seguire la gerarchia delle fonti, quindi Costituzione, Principi Costituzionali, Legge Delega sulla riforma del pubblico impiego, Decreto Legislativo applicativo della Legge Delega.
Il D. Lgs. 29 prima, 165 oggi, prevede, all’art. 55, comma 1, seguendo proprio la gerarchia delle fonti, che rimane ferma per tutti i dipendenti con rapporto di lavoro privatizzato, quindi dipendenti appartenenti alla Pubblica Amministrazione, la disciplina vigente in materia di Responsabilità Civile, Amministrativa, Penale e Contabile.
Questo principio, che è un derivato del postulato costituzionale, da quello della riforma, la traduzione pratica della riforma, con un’espressa dichiarazione di permanenza di tutti i livelli di Responsabilità Amministrativa, Penale e Civile derivante dall’ordinamento, ci fa ritenere ad esempio, che il Testo Unico sugli impiegati civili dello Stato, il vecchio D.P.R. 3 del ’57, sia oggi la fonte principale di disciplina degli aspetti relativi alla Responsabilità Civile.
Si è detto che il Testo Unico sul pubblico impiego è stato disapplicato in larga misura dalle norme della contrattualizzazione, quindi dalla privatizzazione del rapporto di lavoro.
Se questo è vero, tenete presente, che gran parte delle disposizioni invece contenute nel Testo Unico, non sono state disapplicate dalla privatizzazione del rapporto di lavoro, perché non attengono strettamente al rapporto di lavoro.
Tre aree, ad esempio, tre ambiti molto ampi del D.P.R. 3 del ’57 sono rimasti perfettamente in vigore, in quanto non attinenti direttamente al rapporto di lavoro privatizzato.
Queste tre aree sono: l’accesso al lavoro, quindi i sistemi di accesso, vi ricordo che il D.P.R. 3 del ’57 su tutta la disciplina dell’accesso poi successivamente è stato, per molti aspetti, modificato dal D.P.R. 487 del ’94, ma molte delle norme contenute nel D.P.R. 3 del ’57 sono rimaste sostanzialmente in vigore per l’accesso; l’altra area è il regime dell’incompatibilità, proprio perché il regime dell’incompatibilità non è contrattualizzato e attiene a principi costituzionali, quindi in quella parte il D.P.R. non è disapplicato, è perfettamente in vigore; l’altra area, non disapplicata, quindi non contrattualizzata, non negoziata è proprio tutta l’area derivante dal regime delle responsabilità, in particolar modo, se andiamo a vedere, gli artt. 18 e seguenti che poi ci interessano più da vicino del D.P.R. 3 del ’57.
Questi sono i riferimenti normativi assolutamente attuali, fino a quando non intervenga un’altra norma di legge, dello stesso rango, a modificare il regime della responsabilità del dipendente e dell’Amministrazione verso i terzi, quello rimane il sistema di riferimento, per quanto ci riguarda, oltre, ovviamente, la Legge 20 del ’94, sulla disciplina delle competenze della Corte dei Conti, che poi interviene, riprendendo quelle disposizioni, per certi aspetti, ma molto limitati, modificandole.
Il corpo normativo di riferimento quindi è ancora contenuto nel D.P.R. 3 del ’57. Il chè è molto importante capirlo, perché, come vi dicevo, i sistemi contrattuali non di rado intervengono a disciplinare aspetti che non competono all’attività negoziale. Pensate che in molti contratti collettivi, ad esempio, è disciplinata la possibilità, per il dipendente a tempo parziale, di poter svolgere una seconda attività. Questa è da ritenere che sia una disciplina indebita, sulla base della fonte contrattuale, perché la possibilità di svolgere una seconda attività, quindi la compatibilità del rapporto di lavoro pubblico con un’altra attività, è riservato esclusivamente alla legge.
Tanto è vero che spesso i contratti collettivi nazionali, per non incorrere in eventuali violazioni di norme imperative di legge, che si tradurrebbero in nullità delle clausole contrattuali, ricalcano quasi in maniera pedissequa le norme generali contenute nell’ordinamento, rendendo del tutto inutile una replicazione di queste norme, ma producendo effetti degenerativi, sotto il profilo delle fonti, perché in realtà, quando si vanno poi ad applicare le norme, il problema diventa individuare la fonte. È la legge che disciplina quell’aspetto? O è il contratto collettivo? Questo non è di secondaria importanza, perché l’individuazione della fonte, sia sul piano del contenzioso, sia sul piano della giurisdizione, sia sul piano degli strumenti di tutela del dipendente o dell’Amministrazione, è assolutamente importante.
Devo dire purtroppo, siccome la privatizzazione del rapporto di lavoro pubblico non poteva non tener conto di esigenze di interesse pubblico, il sistema normativo ha reagito introducendo nell’art. 2, comma 2, del 165 un meccanismo di occupazione successiva della norma, da parte di fonti diversificate. Quindi noi abbiamo la legittimazione nel sistema legale, quindi nel 165, dell’intervento della legge sul contratto e del contratto sulla legge, per le parti di competenza contrattuale, con possibilità di disapplicazione, di volta in volta, della fonte, che precedentemente disciplinava la materia.
Questo ovviamente porta problemi di oscillazioni, di incertezza, di difficoltà di individuazione delle fonti e problemi applicativi piuttosto seri.
Voi pensate, ad esempio, agli interventi di norme legislative sul piano contrattuale: uno degli interventi più importanti attraverso un cosiddetto meccanismo di blindatura, cioè la legge interviene sulla disciplina del rapporto di lavoro e la blinda, nel senso che la rende permeabile a qualsiasi intervento successivo sul piano contrattuale, riguarda ad esempio la Responsabilità Disciplinare. La Legge 97 del 2001 sull’interferenza del procedimento penale su quello disciplinare, è intervenuta regolando un’area, quella della Responsabilità Disciplinare, blindandola da successivi interventi contrattuali.
L’art. 12 della Legge 97 dice che il contratto di lavoro non potrà mai più intervenire su questi meccanismi. Aspetti di blindatura sono contenuti, peraltro, anche in corpi normativi sui generis, come ad esempio la Legge Finanziaria. La Finanziaria del 2006 interveniva su alcuni istituti del rapporto di lavoro, come l’indennità di trasferta, eliminava l’istituto giuridico ed economico dell’indennità di trasferta, impedendo ai contratti nazionali di lavoro, su materia di propria competenza, di intervenire successivamente a ridisciplinare gli istituti, che la legge aveva espunto dall’ordinamento giuridico. Quindi, come vedete, non è solo il contratto che interviene su fonti legali, ma sono anche spesso le fonti legali che intervengono sui sistemi contrattuali, addirittura eliminando completamente la facoltà del contratto, di intervenire su questi aspetti.
La Responsabilità di carattere civile è stata introdotta essenzialmente dall’art. 28 della Costituzione; un processo che responsabilizza la Pubblica Amministrazione, dal momento dell’avvento della nostra Carta Costituzionale.
Precedentemente l’attività dell’Amministrazione Pubblica era  ricondotta essenzialmente ad una azione di carattere pubblicistico, che poneva l’Amministrazione su un piedistallo di particolare rilevanza. Voi sapete che, anche il rapporto di lavoro nel modello pubblicistico, vedeva la Pubblica Amministrazione in una posizione, definita di supremazia speciale, rivolta al dipendente e rispetto anche ai consociati. Questo rendeva non configurabile una Responsabilità di tipo tecnicamente preventivistico, quale quella Civilistica.
In realtà, nel tempo, con l’avvento dell’art. 28 della Costituzione, il modello di Responsabilità Civile sul piano equitativo, sul piano paritetico, si è estesa anche alla Pubblica Amministrazione e si è affermata nel tempo, su tutte le aree di responsabilità tipicamente civile. Parlando di Pubblica Amministrazione o di dipendenti appartenenti a questa, il modello di responsabilità attiene essenzialmente la figura della responsabilità contrattuale ed extra-contrattuale. Quella contrattuale poi, a sua volta, divisa tra contrattuale in senso stretto, cioè nell’esecuzione delle obbligazioni derivanti dal contratto e quella pre-contrattuale, cioè per le azioni svolte e i comportamenti assunti dall’Amministrazione nel momento preliminare alla stipula di un contratto, quindi alle obbligazioni giuridicamente vincolanti per le parti.
Mentre la responsabilità di carattere generale, quella extra-contrattuale è normalmente riconducibile alla responsabilità aquiliana derivante dall’art. 2043 del Codice Civile, il famoso principio del “neminem laedere“, cioè se chiunque, attraverso un comportamento doloso o colposo, cagiona ad altri un danno ingiusto, laddove l’ingiustizia del danno, deriva dalla violazione di norme giuridiche, è obbligato al risarcimento. Questo è quell’extra-contrattuale, un principio di carattere generale, ovviamente, che viene applicato oggi in maniera assolutamente diffusa anche alle Pubbliche Amministrazioni, rientra nel concetto di Responsabilità Civile.
Mentre la responsabilità contrattuale deriva dalle obbligazioni già assunte nell’ambito del contratto, oppure dalle obbligazioni precedenti alla stipula del contratto, secondo i principi dell’art. 1173 e seguenti del Codice Civile. Questo prevede l’obbligo per le Amministrazioni e per le parti contrattuali, di comportarsi secondo buona fede, già nella fase pre-contrattuale, quindi nei momenti preliminari alla formazione del contratto ( artt. 1337 e 1338 del Codice Civile).
Queste responsabilità oggi sono assolutamente riconosciute, in capo alla Pubblica Amministrazione, anche per il fatto dei propri dipendenti. Sotto il profilo però della responsabilità, in questo caso, mentre le norme del Testo Unico degli impiegati civili dello stato, in particolar modo, gli artt. 22 e 23, che riguardano proprio la responsabilità verso i terzi dei dipendenti o delle Amministrazioni, pongono in capo al dipendente una responsabilità solo laddove questi abbia agito per dolo o colpa grave, nei confronti dell’Amministrazione questa particolare qualificazione dello stato soggettivo, giuridicamente non esiste. Nel senso che i principi costituzionali, come anche l’art. 2043 del Codice Civile, pone in capo alla Pubblica Amministrazione, un’esposizione, in termini di responsabilità, per lo stato soggettivo del dolo e della colpa, latamente  intesa. Ecco perché, ad esempio, l’Amministrazione, nei danni cagionati al terzo, può essere chiamata in giudizio al risarcimento, anche per colpa lieve, cosa che invece non avviene nel rapporto col dipendente. Nel caso in cui il dipendente della Pubblica Amministrazione fosse direttamente escusso del terzo, cosa che normalmente non avviene, lo stato soggettivo, ai fini della responsabilità, deve essere necessariamente, in base agli artt. 22 e 23 del D.P.R. 3 del ’57, il dolo e la colpa grave.
Questo, peraltro, rende conto anche di un particolare effetto che ritroviamo nei contratti collettivi, anche per avere un trait d’union con i sistemi negoziali. Voi avete visto che normalmente nei contratti collettivi, soprattutto sulle posizioni gestorie, che sono quelle dirigenziali o le posizioni organizzative, per coloro che possono agire in nome e per conto dell’Amministrazione, quindi impegnare l’Ente verso l’esterno, assumere obbligazioni dell’Ente verso l’esterno, trovate norme che  legittimano la stipula di Polizze Assicurative per Responsabilità Civile per colpa lieve, nei confronti dei danni cagionati a terzi.
Ci si è domandato molto spesso, se queste clausole, contenute nei contratti, fossero legittime, in quanto di fatto verrebbero a ridurre notevolmente la portata della responsabilità e l’esposizione della responsabilità dei dipendenti.
Personalmente ritengo che queste clausole siano assolutamente legittime, se noi pensiamo che la stipula di questa clausola, in realtà, non tende ad introdurre un beneficio direttamente per il dirigente o per la posizione organizzativa, ma la stipula di queste polizze, coglie l’interesse pubblico dell’Amministrazione, a non essere escussa direttamente per la colpa lieve, cioè ad  evitare che la colpa lieve diventi quell’elemento di insinuazione di responsabilità, che graverebbe sull’Erario, non potendo essere scaricata eventualmente sul dipendente colpevole.
In questo caso l’Amministrazione assicura i soggetti gestori per questo livello di responsabilità, ma in ultima analisi assicura se stessi, per i riflessi, che potrebbero derivare dall’escussione o dalla sanzione di responsabilità, proprio perché la responsabilità viene trasferita anche sull’Amministrazione, è la responsabilità in cui potrebbe incorrere nel momento in cui i propri appartenenti venissero chiamati in giudizio, per danni cagionati al terzo.
Tenete presente ovviamente che, siccome l’interesse pubblico è prevalente, anche sul rapporto di lavoro ed anche in tantissimi sistemi contrattuali, il meccanismo degli artt. 22 e 23 del Testo Unico in realtà ha congegnato il danno derivante dal risarcimento, che la Pubblica Amministrazione sia tenuta ad offrire al terzo, attraverso un sistema di rivalsa. Nel senso che, se il terzo agisce direttamente nei confronti della Pubblica Amministrazione, per fatto colposo, con colpa grave o doloso del proprio dipendente, il risarcimento, sotto il profilo civile, si traduce di fatto, nel rapporto interno tra Pubblica Amministrazione e dipendente, in una sorta di responsabilità amministrativa, patrimoniale di tipo indiretto, cioè in questo caso l’Amministrazione Pubblica subisce un danno per fatto colposo o doloso del proprio dipendente ed è tenuta a denunciare il danno alla Procura della Corte dei Conti e ovviamente instaurare quel giudizio, che dovrebbe portare, in prospettiva, una volta acclarate le responsabilità, alla sanzione risarcitoria nei confronti dell’Amministrazione. Proprio perché l’Amministrazione, se non per quel tassello di colpa lieve, non può essere chiamata a rispondere dei danni, sotto il profilo civile, cagionati dai propri dipendenti.
Questo è importante, perché molto spesso questa azione non viene esperita dalle Amministrazioni.
Se andiamo a vedere, ci sono tantissimi casi in cui l’Amministrazione non svolge questo compito e ovviamente i danni all’Erario si moltiplicano. Voi pensate che anche a seguito di un contenzioso potremmo avere un ristoro rispetto ad un terzo, ma anche rispetto ai propri dipendenti, normalmente la causa si chiude con il risarcimento del danno nei confronti del terzo e del dipendente, ma in realtà l’Amministrazione non agisce per il ristoro, in termini di rivalsa nei propri confronti e questo si traduce in un danno patrimoniale, che non viene perseguito, tanto per capirci fino in fondo.
Questo determina un profilo di responsabilità su chi dovrebbe provvedere e invece in realtà non lo fa.
E’ un comportamento, ritengo, abbastanza diffuso, su molte fattispecie, che ciascuno di noi non considera neppure danno.
Peraltro voi sapete che normalmente proprio per il contenzioso del lavoro, il D. Lgs. 165 all’art. 63 prevede che nell’ambito della conciliazione, di fronte alle Direzioni Provinciali del Lavoro, chi rappresenta l’Amministrazione, di fronte ad una conciliazione proposta dal Collegio, in quanto tale, non risponde sotto il profilo amministrativo.
È chiaro che anche questa norma vada in qualche modo ottemperata, di fronte ad una palese illogicità, ad un palese squilibrio rispetto alla causa, rispetto al danno, rispetto all’esborso dell’Amministrazione, personalmente ritengo che un’esposizione della responsabilità amministrativa di carattere patrimoniale, permanga in capo all’Amministrazione, che questo non possa diventare una sorta di valvola di sfogo, per poter congegnare in quella sede accordi, che molto spesso espongono l’Amministrazione ad esborsi di carattere economico, non di rado, sproporzionati, rispetto alla causa, o comunque che si configurano come un sostanziale abbandono delle proprie pretese.
Tenete presente che in sede di conciliazione dovremmo essere di fronte ad un avvicinamento delle posizioni delle parti, vuol dire che l’Amministrazione non può cedere l’oggetto della causa, se c’è contenzioso o se ci sono posizioni avverse. Dovrà necessariamente avvicinarsi alle pretese altrui, ma nello stesso tempo l’altrui dovrà rinunciare a parte del proprio diritto, a parte della propria posizione, altrimenti questo si risolverebbe in un sostanziale abbandono delle proprie pretese, della propria linea difensiva, di fronte ad un contenzioso. In questo caso evidentemente, questo al di là della norma, che prevede una sostanziale responsabilità sotto il profilo amministrativo, potrebbe invece tradursi in un comportamento rilevante, sotto questo profilo.
Il sistema di rivalsa è espressamente previsto, come obbligatorio, dall’art. 22, comma 2, del D.P.R. 3 del ’57. La norma ci dice che l’Amministrazione che abbia provveduto al risarcimento del terzo, si rivale, quindi esercita il diritto di rivalsa, agendo contro il dipendente, che abbia cagionato il danno al terzo, in base agli artt. 18 e 19 dello stesso Testo Unico.
Questo non è ovviamente una possibilità è un obbligo per l’Amministrazione, che permane intatto nell’ordinamento proprio ai fini di non determinare danni, quindi scongiurare che vi siano danni patrimoniali a carico dell’Amministrazione, per  fatto dei propri dipendenti.
Direi che da questo punto di vista, l’azione non è solo obbligatoria, ma evidentemente l’omissione può configurare un danno, rispetto a chi avrebbe dovuto provvedere e non ha provveduto. Peraltro, tenete presente che lo stesso D.P.R. 3 del ’57 chiama in causa per lo stesso danno, anche chi, tenuto a fare denuncia, non abbia provveduto, in questo caso il sistema del D.P.R. 3 introduce una corresponsabilità per comportamento omissivo, da parte di chi, avendo (….) di un danno e, ovviamente, dovendo provvedere, omette clamorosamente di provvedere.
La responsabilità in questo caso, rivolta al terzo, può essere, come si diceva, di tipo contrattuale o di tipo extra-contrattuale, quindi essenzialmente di natura aquiliana, vuol dire che non c’è un’obbligazione formalizzata, ma di fatto è un comportamento illecito che dà luogo ad una obbligazione di carattere risarcitorio.
Voi sapete che rispetto al risarcimento del danno al terzo danneggiato, il ristoro, che deriva dall’obbligo dell’Amministrazione, non è formalizzato nell’ambito di atti, essendo un danno riportabile al 2043 del Codice Civile, fermo restando che l’Amministrazione molto spesso agisce ed eventualmente determina danni rivolti al terzo, anche sulla base di attività contrattuale o pre-contrattuale.
Attività contrattuale: una volta che abbia assunto obbligazioni formalmente attraverso la stipula di negozi giuridici o altri atti idonei a determinare obbligazioni in capo all’Amministrazione, oppure attraverso anche l’attività pre-contrattuale, quella che potrebbe ledere aspettative, che sono nutrite legittimamente dalla controparte contrattuale o anche per comportamenti assunti nell’ambito delle trattative, non coerenti con i principi di negoziazione nella formazione del contratto, secondo i principi di correttezza e buona fede, previsti, come dicevamo, nel 1337 del Codice Civile.
Lascerei poi alla Dott.ssa Francaviglia il compito di entrare nel merito di questi aspetti.
Vorrei invece, velocemente, perché il tempo non è molto (dopo casomai se ci sono gli approfondimenti da fare, torneremo su questo), esaminare due tipi di responsabilità, quella Disciplinare e quella Dirigenziale, che sono il sistema forse più incerto del nostro ordinamento, nonostante noi pensiamo di conoscere piuttosto bene quella Disciplinare. Volevo anche spendere due parole proprio sulla Finanziaria, quindi nel giro di 15-20 minuti cerchiamo di concludere.
La Responsabilità Disciplinare: quella Civile, per sommi capi l’abbiamo individuata, quella Penale attiene ai cosiddetti reati qualificati, nei confronti della Pubblica Amministrazione, ma penso che, al di là delle novelle legislative, siano essenzialmente comportamenti penalmente rilevanti, che in generale si conoscono.
La Responsabilità Disciplinare e quella Dirigenziale, invece, ritengo che siano assai poco conosciute. Quella Dirigenziale in quanto responsabilità non di natura disciplinare e quella disciplinare derivante invece dal rapporto di lavoro, derivante dalla violazione di obbligazioni riconnesse al rapporto di lavoro.
La Responsabilità Disciplinare è la reazione, sostanzialmente, che l’ordinamento giuridico, di carattere contrattuale, prevede di fronte alla violazione di obbligazioni, nascente direttamente dal rapporto di lavoro, oggi rapporto di lavoro privatizzato.
Uno degli elementi più importanti, che occorrerebbe valutare attentamente, devo dire che non ho visto giurisprudenza, tanto meno dottrina.
Il primo punto sulla Responsabilità Disciplinare è  l’obbligatorietà dell’azione disciplinare. Esiste nel nostro Ordinamento un principio di obbligatorietà dell’azione disciplinare. Tenete presente che l’azione disciplinare rientra nell’ambito del rapporto privatizzato, quindi il datore di lavoro pubblico è, sostanzialmente, sullo stesso piano del lavoratore, del dipendente, in questo caso.
Quindi dovrebbero applicarsi (utilizzo il condizionale) istituti di Diritto Privatistico: noi concepiamo l’azione disciplinare, se assumiamo la privatizzazione del rapporto di lavoro, come azione sostanzialmente facoltativa, non come obbligatoria. Non c’è un principio costituzionale, che la pone come obbligatoria, questo è vero, ma non è una considerazione risolutiva, perché l’obbligatorietà dell’azione potrebbe derivare anche da altri corpi normativi.
Tenete presente, però, che il sistema disciplinare è sviluppato su due aree, che introducono elementi di criticità del sistema, per tutte le Pubbliche Amministrazioni: i comportamenti violatori, quindi comportamenti, che danno luogo a Responsabilità Disciplinare, non sono propriamente contrattualizzati. In base all’art. 55 del 165, quest’area di comportamento appartiene ai Codici di comportamento, che non sono giuridicamente norme di Diritto Privato: il Codice viene assunto con Decreto Ministeriale, quindi una norma essenzialmente di natura pubblicistica.
Il comma 3, dell’art. 55 del 165, pone una distinzione netta, che introduce qualche elemento di criticità, introducendo un principio: rimane ferma la definizione dei doveri dei dipendenti, ad opera dei Codici di comportamento.
Vedete che, fra l’altro, il 165 anche dopo la riforma del pubblico impiego, considera la posizione del dipendente rispetto al rapporto di lavoro, come un dovere, non come obbligazione. Sono poi i contratti che, progressivamente, nell’attività di privatizzazione ulteriore, di secondo livello, qualificano queste posizioni come obbligazioni. Anche su questo ci sarebbe molto da dire, perché in realtà il principio della privatizzazione rimette ad una fonte pubblicistica, la disciplina dei doveri, mentre la tipologia delle infrazioni e delle sanzioni è definita dai contratti collettivi. Quindi l’impostazione del sistema di riforma del pubblico impiego, è fondata, per quanto attiene alla Responsabilità Disciplinare, su un dualismo, che potrebbe riflettere un’esigenza: quella di salvaguardare l’interesse pubblico e quindi la perseguibilità del dipendente, sotto il profilo disciplinare non sarebbe un’area propriamente privatizzata, ma sarebbe rimasta essenzialmente, almeno come finalità,  nell’area pubblicistica, in funzione di un elemento: che la perseguibilità del dipendente pubblico non apparterrebbe all’area degli interessi datoriali, cioè non sarebbe un interesse tipico del datore di lavoro. Bensì sarebbe da riportare nell’area degli interessi pubblici, cioè ci sarebbe la necessità di tutelare l’interesse dei consociati e degli amministrati, a perseguire comportamenti disciplinarmente rilevanti per il dipendente.
Ciò pone problemi non indifferenti, perché anche in questo caso troverete nell’ambito dei contratti collettivi, spesso, azioni di debordamento, perché il contratto collettivo va a disciplinare anche i doveri del pubblico dipendente. Quindi con una sovrapposizione rispetto ai Codici di comportamento, assolutamente improbabile, rispetto al dettato normativo.
Questo è un fenomeno molto chiaro, su cui la Giurisprudenza non si è ancora assolutamente soffermata.
Tenete anche presente che, in base all’art. 54 del 165, si è cercato di trovare un temperamento a questo dualismo. L’art. 54 del 165 prevede che il Codice di comportamento sia recepito nei contratti pubblici, ma questo recepimento non modifica la natura pubblicistica del Codice. Non è un’acquisizione, che ne modifica la struttura più intimamente giuridica. Tale recepimento mantiene la natura pubblicistica del Codice; è un recepimento solo per far sì che le norme del contratto collettivo di lavoro, si adeguino ai doveri stabiliti nel Codice di comportamento. Non è un recepimento che stravolge, che modifica la natura giuridica del Codice e dei principi che esso porta.
Anche ciò è abbastanza emblematico, perché l’art. 54 non prevede una trasformazione del Codice nell’ambito dei sistemi contrattuali, ne prevede un mero recepimento.
Il chè potrebbe, tutto sommato, rafforzare la tesi di quei pochi che sostengono, che l’azione disciplinare nel sistema pubblico sarebbe obbligatoria.
L’obbligatorietà dell’azione disciplinare discenderebbe in questo caso dalla tutela non di un interesse datoriale di tipo privato, cioè la Pubblica Amministrazione, come datore del rapporto di lavoro, bensì scaturirebbe dall’interesse, che è sotteso al perseguimento di questi comportamenti, essenzialmente di natura pubblicistica.
Tenete presente che questa obbligatorietà si contrappone alla facoltatività: se un dipendente arriva in ritardo sistematicamente, timbra il cartellino in ritardo tutti i giorni, ma è bravissimo ed è veramente molto efficace, nel sistema privato, ovviamente, non essendoci principi di obbligatorietà,  potrebbe non essere sanzionato.  La valutazione che fa il datore di lavoro è  efficientistica  non normativa: viene in ritardo, produce, è uno dei migliori lavoratori, non lo sanziono.
Il principio del modello privato, che si traduce spesso, se non sempre, in una valutazione costi-benefici, ci sta, perché lì esiste un principio di facoltatività dell’azione disciplinare.
Tenete presente che il nostro sistema giuridico non prevede neanche dei postulati né costituzionali né normativi, che noi tutti consideriamo seppur siano luoghi comuni, come di generale portata.
Ad esempio: non c’è un principio nel nostro Ordinamento, che preveda che, a parità di mansioni, ci debba essere parità di trattamento economico.
In questo caso anche la disparità del trattamento giuridico sul perseguimento disciplinare coglie gli interessi dell’imprenditore, che, come sapete, non ha un fine altruistico, ma un fine tipicamente egoistico.
Ci si domanda se la facoltatività dell’azione disciplinare possa portare anche a questo, nell’ambito della Pubblica Amministrazione e cioè: se ho un lavoratore, che tutti i giorni arriva in ritardo, ma è un lavoratore, che io considero all’altezza della propria attività, che raggiunge gli obiettivi, che porta a casa i risultati, devo attivare il procedimento disciplinare o non devo attivare il procedimento disciplinare?
È chiaro che secondo le due visioni, l’obbligatorietà dell’azione disciplinare dovrebbe portare, come esito, sempre l’attivazione del procedimento disciplinare. Nell’altro caso, il dirigente, che è il soggetto competente, potrebbe fare valutazioni efficientistiche, piuttosto che valutazioni normative.
Ritengo che da questo punto di vista, la combinazione tra le due posizioni ci possa essere e cioè che il dirigente, nell’ambito di un rapporto completamente privatizzato, in cui la Pubblica Amministrazione è datore di lavoro a tutti gli effetti, non c’è un principio per qui la Responsabilità Disciplinare sia riconducibile all’area pubblicistica, però ritengo che una buona combinazione potrebbe essere questa: il dirigente che non attivi in questo caso il procedimento disciplinare, raccoglie sempre comunque l’interesse pubblico, laddove il provvedimento sia motivato. Il fatto di non perseguire il dipendente, anche su comportamenti, che strettamente potrebbero risultare disciplinarmente rilevanti, potrebbero invece da questo punto di vista non essere perseguiti, non in funzione di un interesse del dirigente, in quanto tale, ma sempre in funzione del perseguimento di un interesse pubblico.
Non perseguo quel comportamento, perché la persecuzione di quel comportamento, potrebbe portare elementi negativi, in funzione della produttività di quel dipendente, motivando, ovviamente, che quel mancato perseguimento, non essendoci obbligatorietà dell’azione disciplinare, è comunque funzionale all’interesse pubblico.
Sotto il profilo disciplinare, da questo punto di vista, penso non ci siano problemi di comprensione, perché tutti sappiamo come funziona, è una delle aree, direi, più strutturate.
È un po’ meno strutturata, direi, l’area della Responsabilità Dirigenziale, che risente fortemente, ancora una volta, del dualismo, che il dirigente pubblico presenta, tra il rapporto di lavoro privatizzato e il rapporto organico, quindi pubblicistico.
Sapete che per il dirigente, ma ritengo anche per livelli, aventi lo status giuridico dirigenziale, come per le posizioni organizzative, in alcune realtà, cioè per coloro che gestiscono (non lasciatevi trarre in inganno dall’area contrattuale che regola questi istituti), siamo di fronte ad uno status giuridico a tutti gli effetti dirigenziale. La Cassazione, a più riprese, ha individuato diversi elementi paradigmatici, per individuare lo status dirigenziale, nell’ambito del rapporto di lavoro.
Il fatto ad esempio di avere una responsabilità di risultato, piuttosto che una mera responsabilità od una mera obbligazione di mezzi, che è il parametro del 2094 del Codice Civile per tutti i lavoratori.
Se andiamo a vedere il dirigente ha una responsabilità di risultato, ma anche la posizione organizzativa, anche altre aree, aventi stato giuridico dirigenziale presentano una responsabilità del tutto analoga.
Lo stesso dicasi per parametri collegati alla retribuzione di posizione di risultato, che è tipicamente dirigenziale. Non sono indennità, anche in questo caso. Quando voi, o chiunque altro, qualifica questi trattamenti economici come indennità evidentemente non ha minimamente in testa la rappresentazione, la differenza che esiste, tra il concetto di retribuzione e quello di indennità.
Mentre l’indennità è collegata alla presenza in servizio, presuppone l’attività lavorativa, la retribuzione riconosce uno status giuridico. Tanto è vero che per il dirigente la retribuzione funziona anche se non c’è la prestazione. Il dirigente può essere a casa, per qualsiasi tipo di causa, la retribuzione di posizione opera lo stesso, perché non riconosce la prestazione, ma uno status giuridico, esattamente come nella posizione organizzativa, come in altre situazioni. Quindi non ha natura indennitaria, ha natura corrispettiva, retributiva, che è tutt’altro tipo di natura e questo individua proprio uno status dirigenziale.
La Responsabilità Dirigenziale accompagna l’area di tipo pubblicistico, è strettamente collegata all’incarico dirigenziale, non al rapporto di lavoro del dirigente.
Voi sapete che il dirigente, come qualsiasi altro lavoratore, ha una Responsabilità Disciplinare, che colpisce il rapporto di lavoro. Normalmente le sanzioni disciplinari, contenute nei contratti collettivi, proprio per la posizione del dirigente, hanno a base una previsione esclusivamente di tipo risolutivo, quindi il dirigente può essere licenziato, può essere “receduto”, ma al dirigente non sono applicabili le sanzioni di natura conservativa, in funzione proprio della posizione giuridica, che il dirigente riveste, nell’ambito del sistema anche della Pubblica Amministrazione.
Questo peraltro è una cultura alimentata in qualche modo anche dalla nostra Giurisprudenza. Vi ricordo che nel ’95 quella famosa pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite, mi sembra la 6041, qualificava il dirigente come soggetto, senza neppure la configurabilità della sanzione disciplinare, in quanto alter ego dell’imprenditore.
Quindi posto su un livello né gerarchico, né col rapporto direzionale, quindi un alter ego che non poteva subire, assolutamente, un procedimento di natura disciplinare.
Oggi nella Pubblica Amministrazione questo si è modificato.
I contratti collettivi, anche per tutelare il rapporto del dirigente, hanno introdotto proprio la Responsabilità Disciplinare.
Ma quella Disciplinare colpisce il rapporto di lavoro, non colpisce l’incarico. Tanto e vero che, di fronte ad un grave inadempimento, al dirigente applichiamo, normalmente, l’art. 2119 del Codice Civile, quindi la risoluzione per giusta causa, di fronte ad un inadempimento talmente grave, da non consentire la prosecuzione, neanche temporale, del rapporto di lavoro.
Questa sanzione colpisce il rapporto di lavoro.
La Responsabilità Dirigenziale, invece, non ha natura disciplinare, è un altro tipo di responsabilità e non colpisce il rapporto di lavoro. Colpisce principalmente l’incarico dirigenziale, perché la Responsabilità Dirigenziale nel nostro Ordinamento, in via generale per tutte le Pubbliche Amministrazioni è regolata dall’art. 21 del D. Lgs. 165.
L’art. 21 qualifica questa responsabilità, come responsabilità da mancato raggiungimento degli obiettivi. Questa responsabilità, che è tipicamente dirigenziale, non ha natura disciplinare, perché non è una responsabilità, come si suol dire, di tipo colpevole. Mentre nella configurabilità dell’azione disciplinare, occorre necessariamente uno stato soggettivo, il dolo o la colpa, e quindi anche la violazione di norme, l’imprudenza, l’imperizia, i parametri della colpa sono sufficienti a determinare la configurabilità della Responsabilità Disciplinare, quella Dirigenziale invece trascende da un’indagine sullo stato soggettivo. È quella che viene definita, peraltro dalla stessa Corte dei Conti, c’è una bella pronuncia del 2004, mi pare della Sezione Piemonte, molto azzeccata, molto puntuale, sulla configurabilità della Responsabilità Dirigenziale. La Corte qualifica quella Responsabilità come Responsabilità incolpevole: l’indagine non è sulla colpa, è sull’incapacità del dirigente di gestire, sostanzialmente. Il mancato raggiungimento degli obiettivi non può essere riportato alla sfera della colpa cosciente. Se io non raggiungo gli obiettivi, posso essere un soggetto che rispetta l’orario di lavoro, quando ce l’ho, che rispetta le direttive date, che osserva gli indirizzi impartiti dagli Organi di Governo, ma non raggiunge i risultati.
Ora il fatto di non raggiungere i risultati non può essere riportato nell’ambito dell’inadempimento in senso tecnico. È un’incapacità collegata alle caratteristiche della persona, quindi è un’incapacità che non può essere riferita alla sfera della colpa cosciente. Quindi in questo caso viene definita responsabilità incolpevole, perché non è necessaria un’indagine sullo stato soggettivo. Basta l’individuazione del mancato raggiungimento degli obiettivi.
Peraltro, devo dire che questo tipo di responsabilità risponde ai criteri generali della responsabilità. Qualcuno l’ha definita addirittura Responsabilità Oggettiva. Ricordo che nel nostro Ordinamento i caratteri della Responsabilità Oggettiva sono derogatori, rispetto ai principi generali sulla responsabilità e sono confinati nelle fattispecie generali, degli artt. 2048 e seguenti del Codice Civile.
I canoni generali della responsabilità esigono che debba essere accertata l’ascrivibilità quindi in questo caso è chiaro che per il dirigente, che non raggiunge gli obiettivi, se, ad esempio, non li ha raggiunti per carenza delle risorse, perché non sono state trasferite, è palese che, se non ci sono profili di imputabilità, non siamo neppure di fronte ad una responsabilità di natura dirigenziale. È da ritenere che questo tipo di responsabilità, quando anche incolpevole, risponde comunque ai criteri generali sull’accertamento di responsabilità e non possa qualificarsi, assolutamente come oggettiva.
La Responsabilità Dirigenziale per mancato raggiungimento degli obiettivi, colpisce l’incarico, quindi l’area pubblicistica del rapporto di lavoro dirigenziale.
Sapete che l’incarico, tecnicamente, l’incardinamento di un soggetto fisico, il dirigente, alla titolarità di un Organo della Pubblica Amministrazione. Il dirigente, sapete perfettamente, che in base all’art. 5 comma 2, del 165, è qualificato come Organo di carattere gestionale. Organo quindi e soggetto che agisce in nome e per conto dell’Amministrazione Pubblica, in grado di impegnarla verso l’esterno, quindi in grado di essere portatore di rappresentanza, non di tipo civilistico, ma  di tipo organico.
La titolarità dell’Organo, siamo ancora alla teoria dell’Organo, ma ci siamo ancora a quella teoria che è ormai secolare, in funzione del fatto che nel nostro Ordinamento i postulati costituzionali non si sono modificati. L’Amministrazione agisce con gli Organi, le cui competenze sono definite per legge, non in virtù della legge ordinaria, ma siamo sulla teoria dell’Organo, ancora dopo un secolo, in funzione del fatto che i principi costituzionali sono rimasti sostanzialmente invariati.
Tanto è vero che per rispettare questi principi costituzionali, nel 2002 la Legge n. 145, è dovuta intervenire modificando la natura giuridica dello stesso incarico dirigenziale, trasformandolo da atto avente natura negoziale, nell’art. 19, ad atto di natura provvedimentale.
Velocemente, quindi, questa responsabilità di carattere dirigenziale, non avente natura disciplinare, è una responsabilità per mancato conseguimento degli obiettivi, che colpisce l’incarico. Tanto è vero che, mentre la Responsabilità Disciplinare del dirigente, porta al licenziamento, al recesso e cioè all’estinzione del rapporto di lavoro, sottostante l’incarico, il mancato raggiungimento degli obiettivi, colpisce il livello pubblicistico del rapporto e cioè determina, normalmente, la revoca dell’incarico. Anche il concetto di revoca dovrebbe suggerirvi il livello pubblicistico della sfera su cui si aziona e non quello pubblicistico.
È chiaro che una revoca dell’incarico, con impossibilità di ricollocare il dirigente, può avere anche influenza sul rapporto di lavoro privatizzato sottostante, perché se non ho possibilità di conferire l’incarico, siamo di fronte ad una carenza di causa contrattuale.
L’incarico dirigenziale non è un elemento accidentale del contratto individuale di lavoro, è un elemento essenziale.
Io non costituisco un rapporto dirigenziale, per non conferire l’incarico. Costituisco il rapporto dirigenziale in funzione dell’affidamento dell’incarico. Quindi è da ritenere che, a differenza delle posizioni organizzative, laddove l’incarico è elemento incidentale o accidentale, del contratto individuale, per il dirigente l’incarico sia la causa negoziale, causa intesa come elemento essenziale, del contratto individuale di lavoro.
Voi sapete che gli elementi essenziali soggetto, oggetto, causa, contenuto, forma, determinano il contenuto essenziale del negozio. La causa, cioè la giustificazione del contratto per il dirigente è l’incarico. Se l’Amministrazione, di fronte alla Responsabilità Dirigenziale, revoca l’incarico, quindi agisce sulla sfera pubblicistica, se può conferire un altro incarico dirigenziale, la sanzione, la reazione, sulla Responsabilità Dirigenziale, rimane confinata nell’ambito pubblicistico, se invece, a fronte della revoca dell’incarico, c’è un’impossibilità di tipo oggettivo-soggettivo di riaffidare un incarico dirigenziale, siamo di fronte ad una sopravvenuta carenza di causa contrattuale, che determina la risoluzione del contratto, che non è recesso. Non siamo di fronte ad una manifestazione di volontà come nel rapporto di lavoro sottostante, siamo di fronte ad una risoluzione ex-lege, per carenza sopravvenuta di causa contrattuale.
Vuol dire che il rapporto non sta più in piedi.
Se l’Amministrazione mantiene il dirigente e lo retribuisce, quella retribuzione si traduce in un danno patrimoniale, perché siamo di fronte ad un rapporto di mero fatto.
Non c’è più la causa e il rapporto si è risolto ex-lege.
Quindi questo profilo andrebbe indagato molto più approfonditamente, di quanto viene fatto oggi, nell’ambito anche di giornate di questo tipo. Un profilo magmatico, su cui la Giurisprudenza oscilla paurosamente, in funzione anche del fatto, come voi avete visto negli ultimi contratti collettivi, che l’area contrattuale tende ad impadronirsi anche di questa sfera, portando effetti piuttosto degenerativi.
Tenete presente che l’area della Responsabilità Dirigenziale è da ritenersi sotto riserva di legge, è collegata a quella norma, in funzione del fatto che siamo ancora di fronte a principi costituzionali, la Pubblica Amministrazione agisce con i propri Organi, siamo ancora di fronte a quell’area sotto riserva di legge, che è la Legge n. 421 del ’92, e definisce come Organi e Uffici e modi di conferimento della titolarità degli Organi.
Quindi modo di conferimento della titolarità, l’incarico dirigenziale, la responsabilità dirigenziale è collegata all’incarico, ovviamente la revoca è la reazione dell’Ordinamento. Tanto è che gli artt. 19-21 del D. Leg.vo n. 165/2001, rimettono al potere normativo degli Enti, la disciplina di tutta questa area.
Volevo anche darvi qualche flash sulla Finanziaria.
Naturalmente per gli aspetti che riguardano le Pubbliche Amministrazioni in generale.
È difficile fare una trattazione, perché soprattutto sul personale, le misure sono diversificate, in funzione delle tipologie degli Enti.
Le Amministrazioni Statali, quelle Regionali, quelle degli Enti Locali, gli Enti Pubblici Economici e quant’altro hanno regimi assai differenziati.
Direi che comunque l’unico regime, che accomuna tutte le Amministrazioni Pubbliche nella Legge Finanziaria, sia di fatto la cosiddetta stabilizzazione dei precari, che pone non pochi problemi, anche di costituzionalità.
Vi ricordo che non molto tempo fa, e cioè nel 2006, la stessa Corte Costituzionale dichiarava l’incostituzionalità della Legge Regionale della Regione Umbria, che prima ancora della Finanziaria 2007, aveva introdotto una norma, molto vicina a quelli che sono i commi 519 per lo Stato, 558 per le Amministrazioni Locali, sulla stabilizzazione dei precari, ritenendo, quando il principio costituzionale ci dice che alla Pubblica Amministrazione si accede attraverso pubblico concorso, tranne i casi previsti per legge, che quella previsione legislativa non sottendesse in realtà essenzialmente ad un interesse pubblico. Di fatto la stabilizzazione del precario non risponde, come deroga del principio di accesso alla Pubblica Amministrazione, non è un elemento idoneo, secondo la Corte, a giustificare una deroga del principio costituzionale di accesso attraverso pubblico concorso. Si tratterà di vedere se, un domani, queste norme contenute nella Finanziaria venissero riportate allo scrutinio della Corte Costituzionale, se la Corte anche su queste norme si pronuncerà in maniera omologa o introdurrà principi diversi.
Oggi abbiamo questa pronuncia della Corte Costituzionale del 2006, piuttosto recente, che la dice lunga sul fenomeno di stabilizzazione dei precari.
La stabilizzazione è rivolta a lavoratori, che operano, attraverso un periodo determinato, nella Pubblica Amministrazione.
Il primo punto che si è posto all’attenzione di tutti, di chi applica, ma anche degli studiosi di  queste disposizioni, riguarda l’interesse che viene tutelato.
Si è sbandierato, sotto il profilo politico, l’interesse del lavoratore alla stabilizzazione di rapporti precari. A parte il fatto che il precariato è, nel nostro Ordinamento, assolutamente istituzionalizzato, non solo dalla Biagi, ma molto prima dalla Treu, dalla 196 del ’97.
Il punto importante del modello, che è stato trasferito nella Finanziaria, sulla stabilizzazione, riguarda un aspetto: la stabilizzazione, sotto il profilo giuridico, non può essere ritenuta un istituto che coglie gli interessi dei lavoratori tout court. È un istituto che necessariamente deve essere riletto attentamente, alla luce dei principi costituzionali.
Letto alla luce dei principi costituzionali vuol dire che le Pubbliche Amministrazioni, che si sono avvalse di rapporti a tempo determinato per un certo periodo di tempo, hanno voluto fronteggiare bisogni non transitori, ma permanenti di ordinario funzionamento. Quindi la privatizzazione, in realtà, se sotto il profilo politico, in qualche modo, coglie l’interesse del lavoratore alla stabilizzazione, sotto invece un piano strettamente giuridico, non può che essere finalizzata a tutelare gli interessi della Pubblica Amministrazione, principalmente quello di stabilizzare prestatori di lavoro in funzione di fronteggiare bisogni costanti di funzionamento.
Questa di fatto è una delle tante sanatorie, non ce lo nascondiamo.
Non tanto e solo per il sistema di accesso, ma anche perché viene a sanare palesi violazioni di Norme Comunitarie e dei derivati nazionali.
Vi ricordo che nel 2001 il D. Lgs. 368 ha introdotto causali tipiche dei rapporti a tempo determinato, sono le quattro causali, che noi conosciamo bene, delle ragioni organizzative, tecniche, produttive, sostitutive.
Queste causali tipiche, nel rapporto subordinato a tempo determinato, sono funzionali al fronteggiamento di bisogno del tutto transitori. La Pubblica Amministrazione non può, come il privato, pensare di fronteggiare i bisogni costanti con costituzioni di rapporti a tempo determinato.
Il primo problema che sorse allora, parlo di qualche anno fa, ma è ancora molto attuale, è quando la Pubblica Amministrazione assume un lavoratore a tempo determinato, a copertura di un posto vacante in dotazione organica. Lì abbiamo la prova provata che quell’Amministrazione ha violato i principi comunitari prima, del 368 dopo, perché  un posto vacante in dotazione organica non esprime un bisogno transitorio, esprime un bisogno costante e permanente di funzionamento dell’Amministrazione.
Tendenzialmente questo personale avrebbe dovuto essere costituito, in realtà, mai su posti vacanti, se non per ragioni sostitutive, l’unica ragione in cui un precario potrebbe intercettare un posto vacante, in Pubblica Amministrazione.
Le altre causali: bisogni organizzativi, tecnici e produttivi, di tipo transitorio non dovrebbero far sì che il lavoratore assunto a tempo determinato, intercettasse un posto vacante in dotazione organica.
Peraltro poi questo principio è anche enunciato, sia pur blandamente, nella Direttiva 3 del 2006 della Funzione Pubblica, sulla corretta gestione dei rapporti di lavoro.
Quindi la Finanziaria, da questo punto di vista, coglie gli interessi dell’Amministrazione a consolidare questi rapporti, in funzione del fatto che questi rapporti da sempre, nella stragrande maggioranza dei casi, hanno fronteggiato normali bisogni di funzionamento, costanti e non transitori.
Ecco l’interesse alla stabilizzazione, quello giuridico, quello compatibile col parametro costituzionale.
L’altra visione, definiamola politica, è quella della stabilizzazione dei lavoratori, ma che ai fini del nostro Ordinamento giuridico poco ci azzecca, perché in realtà non è un interesse particolarmente tutelato, se non nei casi degenerativi, di violazione del 368.
Ecco perché i tre anni di anzianità, normalmente, il triennio, che è il limite massimo, previsto dal 368 per i rapporti a tempo determinato. Tenete presente che la norma parla di almeno un triennio, parte dal limite massimo del 368, per rapporti che si sono trascinati nel tempo anche per 10 anni, attraverso non solo sistemi violatori, ma attraverso i cosiddetti sistemi elusivi.
I sistemi elusivi: io assumevo un lavoratore per un anno, prorogavo a 3 anni, staccavo 20 giorni, ricostituivo il rapporto per un anno, prorogavo a 3 anni, staccavo 20 giorni. Se sul piano formale la norma era perfettamente osservata, sul piano sostanziale eravamo di fronte ad una chiara elusione delle disposizioni normative. Perché il bisogno su cui il lavoratore veniva impiegato, dopo un paio di costituzioni, non poteva più ritenersi transitorio, ma era un bisogno costante. Ecco perché il limite dei 3 anni. Ed ecco perché ritengo che è un limite posto nella Finanziaria, non solo razionale rispetto a questo, ma un limite che difficilmente potrà essere derogato, anche dalle Regioni, in senso riduttivo, con potere legislativo, tenendo presente che, il potere delle Regioni sul piano dell’accesso alla Pubblica Amministrazione, è stato ritenuto, dalla Corte Costituzionale, come rientrante nell’attività di carattere esclusivo di tipo residuale, quindi un potere che trova principio esclusivamente costituzionale.
Ritengo però che questo triennio sia in realtà l’espressione di un principio di diretta derivazione costituzionale.
Io avrei finito, anche perché purtroppo vi devo lasciare.
Vi ringrazio per la pazienza sperando di poterci ritrovare ad incontri come questo.
Grazie.
 
Alessandro Guarente:
 
Ringrazio il Prof. Tamassia per il suo intervento e soprattutto per la capacità con la quale riesce a tradurre alcuni aspetti della Pubblica Amministrazione, che anche a noi, che siamo parte di questo sistema, a volte ci risultano difficili da comprendere.
Lo ringraziamo vivamente ed ora dò la parola alla Dott.ssa Rosa Francaviglia, per la seconda parte del Convegno.
Grazie.
 
 
Dott.ssa Rosa Francaviglia:
 
Responsabilità Amministrativa, Patrimoniale e Contabile: sono due concetti distinti, come ha evidenziato prima il Professore.
Per cui non va mai fatta confusione tra il concetto di Responsabilità Amministrativa per danno erariale o Responsabilità Amministrativo- patrimoniale e la Responsabilità Contabile, che attiene ai soli agenti contabili, di fatto o di diritto.
Tra di voi ci sono anche molti dipendenti della Corte, quindi immagino che siano già dei tecnici; tuttavia, chiedo venia ma devo impostare il mio intervento in modo da essere compresa da tutti voi, perché appartenete poi fra l’altro a diversissime Amministrazioni, come ho avuto modo di verificare dall’ esame degli elenchi dei partecipanti. Oggi annoveriamo Enti Previdenziali, Enti Locali, Regione, Ministeri, Guardia di Finanza, A.S.L., Servizi Ispettivi, etc..  
Responsabilità Amministrativa: cosa significa secondo voi? Premetto che, per mia consolidata abitudine, preferisco sempre interloquire attivamente con l’uditorio, perché gradisco che mi si capisca ed interloquire significa entrare in sinergia con i partecipanti altrimenti – a mio modo di vedere – i convegni quali monologhi unilaterali cattedratici servono a ben poco ai partecipanti per non dire a nulla. Il dibattito ed il confronto sono essenziali. Mi preme poi aggiungere che trattasi di argomenti che presuppongono necessariamente una visione trasversale del diritto nel senso che i collegamenti con le altre discipline giuridiche si impongono per la comprensione logica e razionale degli istituti. Peraltro, Voi ben sapete che non esiste più una divisione netta fra discipline giuridiche ma che ciascuna di esse implica e permea le altre e quindi occorre sempre saper ragionare a 360 gradi; il nozionismo ha scarso rilievo; quel che importa veramente è che dietro ci sia una testa che pensa in grado di operare collegamenti e connessioni fra le varie branche del diritto; fra un istituto e l’ altro; è il quid pluris che fa la differenza.   Introduco la nozione di responsabilità che significa nella sua accezione primigenia ed originaria che ciascuno risponde delle conseguenze di una propria condotta, attiva od omissiva che essa sia. Il Prof. Tamassia vi ha sinteticamente parlato prima di Responsabilità Civile, Penale, Dirigenziale, ed invero la responsabilità Amministrativa è una sorta di sintesi di tutte queste tipologie di responsabilità, sebbene in termini patrimoniali. Nel momento in cui io, dipendente o sinanche se non dipendente  mi trovo in un rapporto di servizio con la P.A., od io, soggetto che maneggio pubblico denaro, comunque pubbliche risorse, arreco un danno patrimoniale ad un’Amministrazione Pubblica rispondo a titolo di Responsabilità Amministrativo-patrimoniale, che ripeto, è diversa dalla Responsabilità Contabile. Chiaro tutto questo? Non vi è dubbio che nell’espletamento di ogni attività lavorativa pubblica si pongano in essere atti e comportamenti produttivi di effetti giuridici con risvolti spesso di natura economica. L’adozione di tali atti avviene consapevolmente da parte del dipendente con la conseguenza che egli ne diventa pienamente responsabile per le conseguenze da essi derivanti. Tutto ciò premesso, si vuole precisare che con l’espressione responsabilità amministrativo-contabile ci si riferisce alla responsabilità a contenuto patrimoniale di amministratori o dipendenti pubblici per i danni causati all’ente nell’ambito o in occasione del rapporto d’ufficio. L’accertamento della predetta responsabilità comporta la condanna al risarcimento del danno a favore dell’amministrazione danneggiata. A tal proposito è utile specificare quale è la differenza tra la responsabilità amministrativa e la responsabilità civile dei funzionari. La distinzione è abbastanza semplice. Se un funzionario o impiegato arreca danno ad un terzo estraneo alla pubblica amministrazione, la nostra Costituzione prevede (art. 28) che, sia il funzionario che la stessa amministrazione, insieme, debbano risarcire il terzo del pregiudizio subito e ciò in virtù del principio che la pubblica amministrazione debba sempre rispondere per i danni arrecati dai propri agenti anche a titolo di colpa lieve. La responsabilità civile tutela, quindi, la posizione del terzo contro la p.a.. Al contrario, la responsabilità amministrativa tutela la stessa pubblica amministrazione nei confronti dei danni che le arreca il funzionario o l’impiegato all’interno del rapporto d’ufficio, obbligando il funzionario a risarcire il danno arrecato all’ente a causa della sua condotta. Ma ciò esige la soglia minima della colpa grave ossia si risponde a titolo di dolo o di colpa grave ma non di mera colpa ( lievissima – lieve o media ). Con riferimento, invece, al rapporto tra responsabilità amministrativa e responsabilità penale dei funzionari, bisogna tenere presente che la responsabilità penale presuppone l’accertamento di un fatto costituente reato al fine della irrogazione di una pena. Poiché ogni fattispecie incriminatrice è diversa dall’altra, vi saranno dei casi in cui il reato presuppone anche un danno patrimoniale (esempio tipico: l’appropriazione di denaro o beni della P.A.), altri da cui ne prescinde e così via. In altri termini, non sempre i fatti che possono dar luogo a responsabilità penale coincidono con quelli che possono dare luogo alla responsabilità amministrativa. In ogni caso, anche ove i fatti fossero coincidenti, il giudizio penale e quello di responsabilità amministrativa sono autonomi e separati, non sussistendo una prevalenza del giudizio penale sugli altri giudizi. Per capire quale sia lo scopo o funzione della responsabilità amministrativa occorre valutare il sistema delle responsabilità dei pubblici funzionari e impiegati pubblici nel suo complesso. Accanto alla responsabilità penale (che punisce i comportamenti più gravi) ed alla responsabilità civile (obbligo del risarcimento del danno) preordinata alla tutela dei terzi danneggiati, l’ordinamento ha previsto una forma particolare di responsabilità per reagire ai comportamenti illeciti produttivi di danno nei confronti della collettività, attribuendo l’azione ad un organo terzo e neutrale estraneo all’amministrazione (il pubblico ministero contabile o requirente o parte pubblica che è titolare dell’ esercizio dell’ azione erariale di responsabilità). Lo scopo della responsabilità amministrativo-patrimoniale è, quindi, quello di prevenire comportamenti illeciti (stante la minaccia della sanzione) ( funzione di deterrenza ) e reprimerli ove si siano verificati ( funzione sanzionatoria ), condannando i responsabili, sulla base delle particolari regole del giudizio di responsabilità, a risarcire di persona il danno provocato. Da qui il carattere misto di deterrenza e sanzionatorio di detta responsabilità; di converso quella contabile è tipicamente restitutoria. Relativamente ai soggetti che possono essere chiamati a rispondere a titolo di responsabilità amministrativa, giova ricordare che la Corte dei Conti giudica sulla responsabilità di tutti gli amministratori, dipendenti pubblici e soggetti che siano legati alla p.a. da un rapporto d’impiego contrattualizzato o meno che sia ovvero di servizio ovvero anche nelle ipotesi di maneggio di pubblico denaro. Non solo quindi gli impiegati pubblici, ma anche i titolari di incarichi elettivi (gli organi politici di derivazione elettiva – ad esempio: sindaco – consiglieri comunali, provinciali e regionali) od onorari, e i c.d. funzionari di fatto, cioè quelli che svolgono di fatto funzioni pubbliche pur non avendo ricevuto alcuna investitura formale. La giurisprudenza contabile, conforme quella della Corte di Cassazione, ha ritenuto sottoposti alla propria giurisdizione anche soggetti estranei alla p.a. ma inseriti in modo stabile nel proprio apparato organizzativo (ad esempio: i direttori dei lavori – i collaudatori- i progettisti). Anche le persone giuridiche possono essere sottoposte alla giurisdizione della Corte. Ancora: la Corte di Cassazione ha riconosciuto la giurisdizione della Corte dei Conti anche nei confronti degli amministratori degli enti pubblici economici e delle s.p.a. partecipate in modo totalitario o prevalente da pubblici poteri . In merito ai presupposti della responsabilità amministrativa, affinché un soggetto possa essere chiamato a rispondere in sede di responsabilità amministrativa occorre che lo stesso, con una condotta dolosa o gravemente colposa collegata o inerente al rapporto esistente con l’amministrazione, abbia causato un danno pubblico risarcibile che si ponga come conseguenza diretta e immediata di detta condotta. La responsabilità è personale e non si trasferisce agli eredi se non in casi eccezionali (per dolo ed arricchimento illecito del dante causa). Ma cosa si intende per colpa grave? Il concetto di gravità della colpa è relativo, nel senso che la stessa va valutata in relazione alla diversa natura delle funzioni, o mansioni, svolte dall’agente pubblico e alla specificità del contesto organizzativo. La colpa è grave quando si discosta notevolmente dallo standard normale richiesto dal tipo di prestazione svolta. Nel valutare la colpa il giudice deve porsi nella stessa situazione in cui si trovava il funzionario quando ha agito (c.d. giudizio ex ante di prognosi postuma in concreto). Inoltre, al giudice non è consentito giudicare una scelta discrezionale riservata all’amministrazione laddove si integrino i presupposti dell’ esimente della insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali. La limitazione della responsabilità alle ipotesi di dolo e colpa grave, introdotta con generalità dalla legge 20 dicembre 1996 n. 639, che ha riformato la disciplina della responsabilità amministrativa, non deve indurre a ritenere che vi sia una particolare tolleranza nei confronti dei comportamenti scorretti e negligenti dei dipendenti pubblici. Il Legislatore ha voluto, tenuto conto della complessità dell’azione amministrativa, limitare la responsabilità alle fattispecie più gravi addossando in parte sulla stessa amministrazione il rischio derivante da eventuali danni ad opera dei propri dipendenti. Circa i casi in cui il funzionario può evitare la responsabilità, si evidenzia che, in linea generale, il funzionario può invocare a propria discolpa l’errore professionale scusabile (complessità di una normativa, oscillanti orientamenti della giurisprudenza… etc.) oppure una irrazionale situazione organizzativa addebitabile all’amministrazione. Nel caso di organi collegiali è responsabile solo chi ha espresso voto favorevole alla deliberazione o chi si è astenuto senza motivare l’ astensione con dei temperamenti. Per quel che riguarda i titolari di organi politici, gli stessi non rispondono se hanno approvato in buona fede atti di uffici tecnici o amministrativi ( cosiddetta esimente politica della buona fede degli organi elettivi o politici ). Ma come si individua il danno da risarcire? Il danno pubblico risarcibile è un danno patrimoniale nel senso che presuppone un pregiudizio economico inteso come perdita, distruzione, sottrazione di beni o valori della P.A., ovvero come mancato guadagno. Il concetto di danno, inoltre, va rapportato al concetto di bene pubblico tutelato. Anche il pregiudizio di un bene immateriale (ad esempio l’immagine e il prestigio dell’amministrazione) è un danno risarcibile. Secondo le regole generali, per essere risarcibile il danno deve essere certo, attuale ed effettivo ma non definitivo. Nel quantificare il danno il giudice deve, comunque, tenere conto dei vantaggi conseguiti dalla collettività amministrata in relazione al comportamento degli amministratori o dipendenti sottoposti al giudizio di responsabilità (in altri termini, se dalla condotta illecita del funzionario è derivata anche un’utilità, di ciò bisogna tener conto per determinare l’ammontare del danno) ( utile versione o compensatio lucri cum damno ). Occorrono – perché si integri illecito contabile: elemento psicologico ( dolo o colpa grave )- nesso causale – condotta attiva od omissiva – evento di danno pubblico. In ipotesi di illecito in concorso vige il principio per cui la responsabilità parziaria pro quota ossia per colpa grave è la regola, mentre quella solidale per dolo è l’ eccezione. Quindi, nel caso in cui vi siano più responsabili, non valgono le regole civili della solidarietà, per le quali ognuno dei responsabili risponde per l’intero danno, ma ciascuno risponde solo della propria quota di danno, salvo il caso di dolo. La responsabilità solidale ovviamente è rafforzativa dell’ obbligazione risarcitoria. Nell’ ambito dei rapporti interni chi paga può esperire azione di regresso nei confronti dei concorrenti. E’ evidente difatti che ancorché l’ illecito sia doloso si possa ricostruire l’ apporto causale di ciascuno in misura uguale o differenziata alla verificazione dell’ evento di danno. Con particolare riguardo, poi, alla liquidazione del nocumento e cioè alla sua effettiva determinazione, devo rammentarvi che – sin dalle più antiche leggi di contabilità – era previsto il potere della Corte di ridurre l’addebito dei pubblici ufficiali stipendiati. Anche la legge di contabilità di Stato del 1923 (R.D. 18 novembre 1923, n. 2440) stabilisce che la Corte dei Conti “valutate le singole responsabilità può porre a carico dei responsabili tutto o parte del danno accertato o del valore perduto”. Il potere riduttivo dell’ addebito da porre a carico del responsabile (o dei responsabili) è sopravvissuto nel tempo, anche in seguito alla riforma del 1996, e consente al giudice di ridurre l’entità del risarcimento in relazione a vari fattori quali il grado di gravità della colpa e altre circostanze (precedenti di servizio del dipendente etc…).
Ma per Contabilità Pubblica cosa si intende? E cosa si intende per giurisdizione contabile?  
Per Contabilità Pubblica si intende quel complesso di principi e norme che regolano l’attività gestoria dello Stato e degli altri enti pubblici. Elementi caratterizzanti la giurisdizione contabile sono: pienezza, esclusività, necessarietà, inquisitorietà, obbligatorietà della presenza del Pubblico Ministero nonchè ampia discrezionalità del giudice nel determinare la misura del danno anche non patrimoniale. Per quanto concerne la prescrizione dell’azione erariale, ai sensi dell’art. 1, co. 2, della L. 14 gennaio 1994, n. 20, come sostituito dall’art. 3, D.L. 23 ottobre 1996, n. 543, conv. in L. 20 dicembre 1996, n. 63, il termine di prescrizione deve essere computato “dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso” mentre rileva la “data della sua scoperta” in caso di “occultamento doloso del danno”. Più precisamente, il “dies a quo” per il computo del decorso prescrizionale va individuato nel momento in cui diviene perfetta la fattispecie dannosa nei suoi elementi costitutivi dell’azione-omissione e dell’effetto lesivo di questa nella sua intera riconoscibilità; qualora, pertanto, l’effetto lesivo del patrimonio pubblico si verifichi in un momento successivo rispetto a quello del compimento dell’azione-omissione, è da questo secondo momento che inizia a decorrere la prescrizione. La locuzione “fatto dannoso” interpreta il fatto quindi come comprensivo sia dell’evento dannoso e sia della esteriorizzazione o conoscibilità obiettiva dello stesso, in quanto la decorrenza della prescrizione va differita sino alla manifestazione dell’evento nella sfera del danneggiato, momento in cui si definisce la possibilità e l’interesse a far valere il diritto al risarcimento del danno ; in particolare, la giurisprudenza ha precisato che la conoscenza del fatto coincide con la “oggettiva conoscibilità dei fatti da intendersi come possibilità giuridica della loro conoscenza e non nella concreta conoscenza degli stessi”, attribuendo rilievo, comunque, al momento in cui l’A.G.O. dispone il rinvio a giudizio penale per fatti coincidenti con gli illeciti contabili. Sul punto si rammenta che l’art. 129, co. 3, disp. att. c.p.p. così dispone: “Quando esercita l’azione penale per un reato che ha cagionato un danno per l’erario, il pubblico ministero informa il procuratore generale presso la Corte dei Conti ( rectius: regionale), dando notizia della imputazione.”; la giurisprudenza prevalente considera irrilevante la comunicazione ex art. 129 disp.att.c.p.p. ai fini del decorso della prescrizione; la circostanza del mancato ricevimento della prescritta comunicazione da parte della Procura regionale – o, in altra prospettiva, la violazione dello specifico obbligo da parte del P.M. penale – è un semplice dato di fatto, non idoneo ad interrompere il termine prescrizionale stabilito dalla legge a tutela dei diritti delle parti coinvolte nel processo contabile, diritti che non possono essere sacrificati a causa di disguidi interni alle istituzioni giudiziarie. Peraltro, si sottolinea che l’omogeneizzazione del termine di prescrizione ad anni cinque è stato previsto dall’art. 2, della L. 19 gennaio 1994, n. 20, che è norma successiva all’entrata in vigore del Codice di procedura penale varato nel 1988; la successione delle norme conferma l’intento del legislatore di assicurare alle Procure contabili la tempestiva conoscenza delle notizie di danno e di garantire, allo stesso tempo, l’autonomia dell’azione di responsabilità da quella penale, ormai pacifica dopo l’abrogazione della pregiudiziale penale. Per quanto concerne gli aspetti strettamente processuali, sulla base della vigente normativa, si afferma la piena autonomia del giudizio contabile rispetto a quello penale; va pertanto escluso che l’accertamento del fatto dedotto nel giudizio erariale dipenda dalla decisione definitiva di quello acclarato in sede penale che si pone come vincolante per il primo. La c.d. pregiudizialità da cognizione di reato che si estendeva anche alla materia contabile era infatti sancita dal vecchio art. 3 c.p.p, che prevedeva la sospensione del giudizio civile fino alla sentenza istruttoria di proscioglimento o alla sentenza irrevocabile o decreto penale irrevocabile, ma anche in costanza di tale regime, gran parte dei giudici contabili applicava l’istituto sospensorio in forma discrezionale sulla base del principio di autonomia dei giudizi. L’art. 652 c.p.p. ha ridefinito il rapporto tra giudizio erariale e processo penale non più in termini di pregiudizialità necessaria ma di separatezza e la questione della sospensione del giudizio di responsabilità amministrativa è senz’altro riconducibile alla disciplina contenuta nell’art. 295 c.p.c.; pur tuttavia, ai sensi dell’art. 337, II comma, c.p.c., si ammette che al primo giudizio possa applicarsi la sospensione facoltativa se ritenuta utile per la individuazione dei fatti e la raccolta di prove.; la dottrina ritiene che la sospensione si renda indispensabile soprattutto quando siano sub iudice il fatto materiale comune e la sussistenza dell’elemento psicologico del dolo specifico penalmente rilevante che eventualmente costituisca la base dell’azione di responsabilità intentata.  Dall’acclarata autonomia dei due giudizi (penale ed erariale) discende altresì che per i giudici contabili i dati desumibili dal processo penale quali ad esempio le dichiarazioni testimoniali, vengano in rilievo nel giudizio per responsabilità erariale non quali prove in senso tecnico, bensì quali elementi da valutare nel loro complesso e che in base all’art. 116 del c.p.c. concorrano alla formazione del libero convincimento del giudice, costituendo indizi gravi, precisi e concor­danti, tali da integrare la pre­sunzione semplice di cui agli artt. 2727 e 2729 c.c. . La responsabilità civile verso terzi attiene all’ obbligo che gli agenti della pubblica amministrazione hanno di risarcire i danni che la stessa abbia subito a cagione della loro condotta, attiva od omissiva, connotata da dolo o da colpa grave, in danno di terzi che la P.A. abbia dovuto risarcire. Essa è disciplinata dal T.U. n° 3/1957, come integrato dalla L. n. 241/1990 e dal T.U.P.I. di cui al D. Leg. vo n. 165/2001 all’ art. 21, con riferimento alla responsabilità dirigenziale. In virtù dell’ art. 28 Cost., oltre alla diretta responsabilità dei pubblici dipendenti ed agenti della P.A. per danno ingiusto causato a terzi con dolo o con colpa grave, esiste la responsabilità della P.A. convenibile in giudizio dal terzo danneggiato ex art. 22 T.U. n. 3/1957 unitamente o disgiuntamente al pubblico dipendente danneggiante. Detta azione, peraltro, viene solitamente rivolta avverso la P.A. stante la maggiore solvibilità economica ed atteso anche che, mentre per invocare la responsabilità del soggetto persona fisica pubblico, occorrono od il dolo o la colpa grave, per la P.A. basta la colpa lieve giusta i principi sottesi alla responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c.. Una volta che il danno sia stato risarcito al terzo, la P.A. può agire in rivalsa verso il danneggiante, responsabile a titolo di dolo o di colpa grave, per il pregiudizio patrimoniale arrecatole, essendo egli tenuto ex artt. 18-20 a risarcire i danni derivanti alla amministrazione dalla sua violazione degli obblighi di servizio, con conseguente giudizio di responsabilità amministrativa erariale innanzi alla Magistratura Contabile. Tuttavia, se la P.A. è stata condannata a titolo di colpa lieve, ben può verificarsi che essa non riesca ad ottenere il ristoro del danno da parte del dipendente, il quale risponde solo per dolo o per colpa grave. L’ art. 23 definisce il concetto di danno ingiusto come “ quello derivante da ogni violazione dei diritti dei terzi che l’ impiegato abbia commesso per dolo o per colpa grave”. Ne deriva una criticità del sistema atteso che, mentre l’ art. 28 Cost. rinvia alle leggi civili al fine di determinare la responsabilità di dipendenti e funzionari in guisa tale che essi possono essere chiamati a rispondere, ai sensi dell’ art. 2043 c.c., a titolo di dolo ed anche di colpa, l’ art. 23 del T.U. n. 3/1957 ha limitato la sussistenza della responsabilità dei dipendenti e dei funzionari pubblici alle sole ipotesi di dolo e di colpa grave. La colpa grave esige requisiti probatori meno pacifici di quelli richiesti per il dolo ed è di più arduo accertamento con quel che ne consegue ai fini della sua configurabilità in sede di responsabilità amministrativa per danno erariale. La responsabilità oggettiva si integra quando un certo evento dannoso viene posto a carico di un determinato soggetto a prescindere dalla esistenza di dolo o colpa dello stesso.
Ciò presuppone una particolare relazione fra un soggetto e l’ evento di danno che comporta l’ accollo delle relative responsabilità a quella persona fisica oggettivamente    ( culpa in vigilando e culpa in eligendo ). Le ipotesi codicistiche applicabili ai pubblici dipendenti concernono la responsabilità dei conducenti ex art. 2054 c.c. e la responsabilità dei maestri e precettori per i danni arrecati dai loro discenti    di cui all’ art. 2048 c.c. ( pubblici insegnati che vanno esenti da conseguenze solo se dimostrano di aver fatto tutto il possibile per impedire la verificazione del fatto seppure senza riuscirvi ) . In tali casi, risponde l’ impiegato in solido con la P.A.. Se quest’ ultima ha risarcito il danno, potrà rivalersi nei confronti del dipendente in sede di responsabilità amministrativa per danno erariale. Ipotesi classiche: i sinistri stradali delle forze armate – gli infortuni scolastici.                         
Quando la responsabilità penale interessa gli organi agenti del pubblico committente, gli effetti civili possono estendersi in via immediata ex art. 28 Cost. alla P.A. che ha potere e dovere di rivalsa sul colpevole laddove vi siano i presupposti dell’ azione di responsabilità amministrativa. Peraltro, non necessariamente la posizione del pubblico dipendente e della amministrazione risultano confliggenti.
Il raccordo fra responsabilità penale ed erariale è garantito – come ho già evidenziato – per qualsivoglia genere di reato che cagioni danno pubblico dall’ obbligo del P.M. di informare il procuratore della Corte dei Conti dell’ esercizio della azione penale contro un impiegato dello Stato o    di    altro ente pubblico (art. 129, comma 4°, Disp. Att. C.P.P. ). Per   i reati contro la P.A. ( peculato, concussione e corruzione ), in ipotesi di condanna di un dipendente pubblico od anche di enti a prevalente partecipazione pubblica, la sentenza ( non definitiva ) va inviata al Procuratore generale della Corte dei Conti che procede ad accertamenti e quella irrevocabile al Procuratore regionale che promuove entro trenta giorni l’ eventuale procedimento di responsabilità amministrativa per danno ( art. 6, comma 2° ed art. 7 L. n° 97/2001 ).
In quanto al sindacato del Giudice penale sull’ attività amministrativa, la questione era riconducibile al disposto di cui all’ art. 5 L.A.C. ossia al potere di disapplicazione dell’ atto ritenuto illegittimo escludendosi che egli avesse la possibilità di ingerirsi o di controllare dall’ esterno l’ attività amministrativa. Successivamente, tale orientamento restrittivo è stato superato nel senso che il potere di disapplicazione è limitato al solo giudice civile ma non a quello penale che ha la potestà di esaminare, sia pure incidenter tantum, l’ atto amministrativo illegittimo sotto ogni profilo senza che ciò implichi un problema di disapplicazione.
In sostanza, trattasi della vexata quaestio della disapplicazione in malam partem che si è posta per i titoli autorizzativi edilizi illegittimi ai fini della configurabilità dei reati di abusivismo. La P.A. può subire danni da attività illecite poste in essere da privati che con essa abbiano relazioni di natura negoziale, procedimentale od amministrativa come parimenti può arrecare danni a terzi. Anche laddove essa risulti danneggiata, occorre comunque una previa valutazione di delibazione in relazione alla opportunità o meno di intraprendere una lite attiva ovvero perché talora sia priva di diretta legittimazione ad agire. Per le P.A. statali e per le altre che ciò richiedano, detta valutazione spetta alla Avvocatura Generale dello Stato, mentre per gli enti locali l’ attivazione di controversie compete all’ organo giuntale collegiale.
Lo stesso dicasi per la costituzione di parte civile in procedimenti penali.
Per i danni subiti da terzi la P.A. danneggiata è essa stessa legittimata sia civilmente che penalmente. Di converso, per i danni subiti dai propri dipendenti, seppure è l’ amministrazione ad essere danneggiata, l’ azione pubblica di responsabilità è di spettanza della Procura contabile.
Quindi, ripeto e sintetizzo i concetti sopraesposti.
Per responsabilità amministrativa ( nell’ accezione di responsabilità patrimoniale ) si intende quella preposta alla salvaguardia delle pubbliche finanze ( responsabilità finanziarie ) ossia che le gestioni finanziaria e patrimoniale dello Stato e degli enti pubblici non abbiano a subire lesioni o pregiudizi .
Pertanto, chi arreca un danno all’ erario ( erariale ), quale nocumento ad una pubblica amministrazione, è tenuto a risarcirlo .
Perché ho parlato di responsabilità finanziarie ? Perché oggi si opta per tale concetto che è più esteso, più adeguato ai tempi. Chiedetevi sempre il perché. Il perché qui sta nel fatto che si è assistito alla estensione della giurisdizione contabile in virtù del fatto, che, come ben sapete, ci sono stati e ci sono tuttora dei processi di privatizzazione massiccia della Pubblica Amministrazione. La privatizzazione comporta che all’area pubblicistica vengano sottratte delle aree rilevanti, e diventano private, anche se soltanto solitamente formalmente, non sostanzialmente. Ciò si manifesta con tutta evidenza nelle Società partecipate. 
Le Società partecipate, quale esempio tipico di privatizzazione, partecipate totalmente o maggioritariamente o seppure dove la P.A. sia socio di minoranza ma abbia comunque un’influenza dominante, sono persone giuridiche formalmente privatistiche, ma sostanzialmente pubbliche: nel senso che vi è maneggio di pubblico denaro. E se vi è maneggio di pubblico denaro vi è responsabilità amministrativo-patrimoniale e/o contabile.
Quando io vi parlerò dell’evoluzione del rapporto, da contrattuale e/o di servizio sino a quella inerente al maneggio di pubblico denaro, voi dovrete tenere in debita considerazione quanto segue: che non esiste più soltanto la Responsabilità Amministrativo-patrimoniale o quella Contabile, ma che tali tipologie di responsabilità possono denominarsi “Responsabilità Finanziarie”, cioè un qualcosa di assai più esteso. Terminologia coniata da alcuni miei illustri colleghi, onde alludere a ciò: nel momento in cui io, in qualunque mia veste, privatistica o pubblicistica che sia, maneggio od utilizzo pubbliche risorse, io ne rispondo davanti alla Corte dei Corti. 
Per cui non bastava più limitarsi al concetto di Responsabilità Amministrativo-patrimoniale, bensì occorreva avvalersi di una nozione più lata ed incisiva anche sotto il profilo semantico. E lo capite da voi: Responsabilità Finanziarie da finanza pubblica; pubblico è il denaro; se pubblico è il denaro, io ne rispondo. Chiaro questo concetto? Perché altrimenti dopo, quando parliamo di rapporto contrattuale, di impiego, di  servizio, di maneggio di pubblico denaro, non si riesce a capire il filo logico che lega sequenzialmente tutti i passaggi evolutivi in materia.
La giurisprudenza contabile assimilava la responsabilità amministrativa alla stessa stregua della comune azione civilistica di risarcimento del danno, attribuendole la qualificazione di responsabilità contrattuale.
Tuttavia, tale indirizzo è stato notevolmente rivisitato alla luce della riforma della giurisdizione della Corte dei Conti di cui alle leggi nn. 19 e 20 del 1994 e, soprattutto, in relazione a quanto previsto dalla L. n. 639/1996, nonché dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale che, con le storiche pronunzie nn. 371/1998 e 453/1998 , ne ha affermato la natura non più unicamente    risarcitoria, bensì anche e soprattutto sanzionatoria . La nuova conformazione, cosiddetta della Responsabilità Amministrativa o Finanziaria, nasce nel 1994, perché intervengono due Leggi fondamentali, epocali, la n. 19 e la n. 20, le quali innovano il sistema precedente, che era fondato su determinati principi. Ad esempio: il termine prescrizionale dell’illecito contabile era allora decennale al pari di quello ordinario codicistico. Di poi, la legge n. 142 del ’90, sulla Riforma delle Autonomie Locali, all’art. 58, ha ridotto il termine da 10 a 5 anni.
Il chè determinò una situazione di indubbia disparità di trattamento rispetto agli altri dipendenti pubblici, ossia quelli statali; in sostanza, quindi, occorreva omologare il termine. Invece di omologarlo a 10 l’hanno omologato per tutti a 5.
Questo certo, in senso più favorevole, ancorché ci sia tutta una problematica, di cui parleremo dopo, della responsabilità scaturente da intervenuta prescrizione dell’illecito contabile.
Tenete presente che la riforma del ’94 si inserisce nel contesto di Tangentopoli, dei Mondiali di Calcio del ‘90 e relativi annessi e connessi giudiziari. Non è una riforma nata a caso. È una riforma che va compresa, nell’ ambito di un certo assetto storico, socio-politico, istituzionale, giudiziario, proprio dell’epoca.
È anche una reazione od un effetto evidente, all’ inchiesta di “Mani pulite”, in senso conforme ed adesivo.
Quali dunque i principi della Riforma?
Il Legislatore del 1994 ha, dunque, incisivamente innovato il sistema della responsabilità amministrativa. In particolare, ha previsto: il carattere della personalità di detta responsabilità. La Responsabilità Amministrativo-patrimoniale è una responsabilità personale, voi pensate anche a quella penale, all’ art. 27 della Costituzione. Dalla individualizzazione della responsabilità civile in sede risarcitoria a quella personale in sede erariale secondo un iter evolutivo dottrinale che il Prof. Maddalena, ora Giudice della Consulta, ha chiaramente descritto in molti suoi scritti ; la sua limitazione alle sole ipotesi di dolo o di colpa grave; la previsione della culpa in vigilando degli apicali pubblici; l’ esimente politica; l’ insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali; la limitazione della solidarietà ( responsabilità in via solidale: risponde uno dei coobbligati per l’ intero fatta salva l’ azione di regresso nei rapporti interni ) nelle ipotesi di dolo od illecito arricchimento (solitamente se è configurabile anche illecito penale oltrechè illecito erariale );   l’ estensione della regola della parziarietà eccettuate le fattispecie di responsabilità solidale ( ciascuno risponde per la quota di danno erariale arrecata – responsabilità parziaria o pro quota ); il divieto di agire contro gli amministratori per la mancata copertura minima dei costi dei servizi; il regime prescrizionale quinquennale e non più decennale.; il danno obliquo quale responsabilità per il danno arrecato ad amministrazione diversa da quella di appartenenza; la compensatio lucri cum damno che vale a dire che nel giudizio di responsabilità deve tenersi conto dei vantaggi comunque conseguiti dalla amministrazione o dalla comunità amministrata; nel caso di deliberazioni di organi collegiali, la responsabilità si imputa esclusivamente a coloro che hanno espresso voto favorevole ; la responsabilità degli organi tecnici non si estende ai titolari degli organi politici; l’ irresponsabilità degli eredi in disparte l’ ipotesi di illecito arricchimento. Se uno ha rubato, ha preso tangenti, si è indebitamente arricchito, e poi muore ed i suoi eredi subentrano nella titolarità del patrimonio del de cuius – frutto di tale locupletazione – c’è illecito arricchimento. Lo capite da voi. Si presuppone l’ esistenza di reato. È logico che sarebbe quantomeno inopportuno, se non ingiusto, che poi non ci sia una possibilità di recuperare il maltolto.
Se c’è illecito arricchimento, il discorso della personalità della responsabilità viene meno, e scatta la trasmissibilità. Da un punto di vista teorico è facile argomentare su ciò, ma sotto il profilo pratico è sommamente difficile. Perché  generalmente chi ruba tanto, voi mi insegnate, fugge all’estero, occulta, ricicla, investe. E basta leggere le cronache giudiziarie di tante inchieste penali per rendersene conto. Ciò a voler dire che non è affatto agevole recuperare i danni pubblici specie quelli di ingente ammontare.
Se c’è l’accettazione dell’eredità con beneficio di inventario, cosa accade? Scatta la trasmissibilità o non scatta? Non è automatico, perché se è rinuncia all’eredità sì, ma se è accettazione, io, comunque, P.M. vado a valutare se effettivamente questi beni sono finiti nell’asse ereditario degli eredi oppure no.
Ricordate sempre che è una prova diabolica, proprio perché per chi ha rubato poco, il discorso è assai più semplice, ma per chi ha rubato tanto le cose si complicano parecchio. Soprattutto in materia di frodi comunitarie, dove si assiste a fenomenologie illecite rilevantissime.
Ulteriore principio è che la responsabilità solidale è  l’eccezione, la responsabilità parziaria è la regola. Cosa significa?
Prima il Professore vi ha detto: la Pubblica Amministrazione risponde anche per colpa lieve. I pubblici dipendenti rispondono solo per dolo o per colpa grave, quale soglia minima, ossia occorre quantomeno la colpa grave, non si esige il dolo, ma non è sufficiente la mera colpa. Capite la differenza?
Mentre la Pubblica Amministrazione risponde quasi sempre, bastando che si integri colpa lieve, lo stesso non accade per i pubblici dipendenti. Quindi c’è un differenziale che – tra l’altro – è pure tacciabile di incostituzionalità, perché è riscontrabile comunque una criticità forte del sistema sotto tale profilo rispetto alle norme presupposte.
Dal Testo Unico del ’57 l’art. 28 della Costituzione, il quale  contempla genericamente dolo e colpa, cioè parla di colpa, non dice colpa grave. Quindi la colpa grave è un’inserzione normativa successiva, che però collide col dettato costituzionale.
Questo è anche importante per capire poi il discorso delle Polizze Assicurative: il perché non si possano assicurare i propri dipendenti (il Professore vi ha detto: per Responsabilità Civile sì, ma quello è un altro discorso) per Responsabilità Amministrativa per danno erariale. Perché si integrerebbe un conflitto di interessi palese. Il danneggiato assicura il potenziale danneggiante. Non si può fare a spese dell’erario: si integra un illecito erariale.
Già a monte, il sistema tutela ampiamente i dipendenti, perché vi rendete conto che, se il datore di lavoro pubblico risponde anche solo per colpa lieve ed il personale risponde solo per dolo o colpa grave, si è già garantito ampiamente quest’ ultimo, atteso che quella parte di danni, che ricadono nella soglia non coperta , rimangono accollati all’intera collettività, quindi a tutti noi.
Per cui il discorso delle Polizze, così congegnato, è l’unica soluzione possibile.
Nelle dispense che vi sono state date, quelle  mie e della Lazzini, sul discorso Polizze, trovate tantissimi spunti di interesse. Per coloro i quali qui oggi sono personale dipendente dalle A.S.L., è un argomento di fondamentale rilievo quello della copertura assicurativa.
Ripeto: Responsabilità, abbiamo detto, parziaria, pro quota o solidale: qual è la differenza?
L’elemento soggettivo dell’illecito erariale qual è? Dolo o colpa grave. Dolo corrisponde a responsabilità solidale, colpa grave corrisponde a responsabilità parziaria, pro quota. Qui bisogna conoscere un po’ le obbligazioni civili, per capire. Obbligazioni soggettivamente complesse dal lato passivo.Tecnicamente, è la solidarietà passiva. Se vi sono più concorrenti in un illecito erariale doloso che sia anche ipotesi di reato ossia sia ravvisabile l’ art. 110 c.p. – ad esempio: concorso in corruzione attiva antecedente o susseguente – avremo che i correi ne rispondono sia in sede contabile che penale. Saranno – quindi – convenibili in giudizio di responsabilità per il danno arrecato all’Amministrazione Pubblica nella forma della solidarietà passiva, ex art. 1292 e seguenti del codice civile, cioè ciascuno di loro potrà essere richiesto dell’ adempimento per l’ intero. Il chè significa obbligazione soggettivamente complessa dal lato passivo; ciascuno di loro può essere richiesto dell’adempimento dell’intero all’ esito della eventuale condanna. Quindi la solidarietà rafforza la responsabilità. Perché io creditore, fra loro tre, se lui è il più ricco, preferisco aggredire lui. Naturalmente se lui paga, poi ha azione di regresso, ma ciò attiene ai rapporti interni dell’obbligazione, non alla Pubblica Amministrazione che opta per l’ azione recuperatoria nei suoi confronti. Quella pro quota, parziaria, legata quindi alla colpa grave, invece cosa comporta? La divisione del maltolto. Quindi loro tre o rispondono pro quota in parti uguali, questo generalmente avviene per la responsabilità degli Organi Collegiali, immaginate il Consiglio Comunale, la Giunta Comunale, etc., ma non è detto che le quote siano equivalenti ben potendo essere anche differenziate. Chi stabilisce le quote?
Il Requirente ossia il P.M. contabile quando va ad addebitare pro quota a ciascuno dei presunti responsabili, il quantum di danno, procede quindi alla verifica del contributo causale ossia dell’ apporto fornito da ciascuno dei corresponsabili nella determinazione dell’ evento di danno.
Quindi – dato danno 100 :40 – 30 – 30 ciascuno, ad esempio.
Oppure 10 – 50 – 40 le pro quota.
Non è detto che la Sezione giurisdizionale concordi con le valutazioni della Parte Pubblica ben potendo diversamente quantificare tale apporto di ciascun concorrente.
Tuttavia, le quote vanno indicate perché – in caso di condanna – il convenuto sarà tenuto a corrispondere solo la quota addebitatagli, quindi non c’è nessuna azione di regresso.
Se uno dei tre concorrenti – ad esempio – muore, quella parte di danno rimane scoperta. Quindi la paghiamo noi. Tutti noi. La collettività latamente intesa.
Allora se mi seguite nel ragionamento, sarete in grado di arrivare al passaggio successivo. Come ho detto prima, la Responsabilità Solidale, che è legata soltanto all’elemento del dolo, è rafforzativa, cioè in quei casi è pregnante ed incisiva e l’obbligazione risarcitoria ne risulta rafforzata, cosicché anche le possibilità recuperatorie del danno, saranno chiaramente migliori.
In caso di Responsabilità parziaria, pro quota, tutto questo discorso viene indebolito, perché, se per una qualsiasi causa uno dei soggetti in questione non può pagare, anche il soggetto ad esempio che sia nullatenente, e non soltanto quello deceduto, dato che stiamo parlando di colpa grave e non di dolo, non di corruzione ad esempio, il danno per quella parte rimane scoperto e viene caricato di fatto sull’intera collettività.
Poi c’è l’ipotesi ulteriore ed ibrida che il legislatore non ha regolato: dolo più colpa. Cosa accade?
Prevale il dolo. Quindi ?
Facciamo un esempio: c’è un concorso nell’ illecito erariale ove ci siano due concorrenti a titolo di dolo ed un terzo a titolo di colpa grave. Abbiamo detto che il dolo implica Responsabilità Solidale, la colpa grave implica invece Responsabilità Parziaria. La Giurisprudenza dice: io devo andare ad escutere prima quello che ha dolosamente arrecato il danno, è anche giusto, mi sembra, prima di andare ad escutere gli altri, per colpa grave. Proprio perché quella è responsabilità dolosa.
Se anche dai dolosi non riesco a recuperare nulla, andrò ad escutere chi ha colposamente chi ha colposamente agito. Si ha la responsabilità in via sussidiaria ancorché essa sia ampiamente messa in discussione da taluni recenti orientamenti giurisprudenziali contabili. Per quelle nuove ipotesi di danno risarcibile quali il danno all’immagine, da disservizio, da tangente, non previste dalla Riforma del ’94, si deve sottolineare che esse sono tutti casi di creazione giurisprudenziale.
Tenete presente la svolta epocale della riforma delle Leggi 19 e 20, la quale però non ha statuito su tutto, per esempio su questa terza ipotesi, dolo e colpa, non ci dice nulla. Occorre rammentare che se tutta la materia della responsabilità ha un suo substrato normativo, il resto è peraltro di creazione giurisprudenziale, primariamente quella della Cassazione e della Corte dei Conti.
Bisogna conoscere bene la Giurisprudenza della Corte. Questo è il principio. Soprattutto quando si tratta delle Partecipate, ad esempio, vi renderete conto sulla giurisdizione, sugli Enti Pubblici Economici e così via, c’è stato tutto un cammino tortuoso della Giurisprudenza, dove il ruolo che ha assolto la Cassazione è stato fondamentale.
Pertanto, il sistema di estensione indifferenziata dell’ adeguamento della responsabilità di tutte le categorie di dipendenti e funzionari e le norme limitative di detta responsabilità ai soli casi di dolo o di colpa grave si collocano in un ambito autonomo e specifico a cui non può riconnettersi una funzione meramente reintegratrice. 
In sostanza, dopo la riforma operata dalle leggi nn. 19 e 20 del 1994, la responsabilità amministrativa si connota per profili privatistici e pubblicistici, aspetti patrimoniali e sanzionatori, finalità risarcitorie del patrimonio pubblico e di verifica della liceità dei comportamenti degli amministratori e dei dipendenti che si intersecano e si connettono in una figura autonoma che esorbita dal sistema della responsabilità patrimoniale, in quanto altro da essa, e si inserisce piuttosto, in piena armonia e con pari dignità nel complesso, articolato e complessivo sistema della responsabilità dei pubblici dipendenti penale, civile, disciplinare e dirigenziale.
Nelle dispense e nel testo che vi sono stati consegnati avete anche l’ elencazione dei riferimenti normativi.
I riferimenti normativi sono rinvenibili nella Costituzione agli artt. 97,100,101,103,113, nei codici civile ( c.c. 2043 – c.c. 2059 ), penale ( c.p. art. 42 – c.p. art. 43 – c.p. 185 ), nella Legislazione ordinaria e di settore ( L.   n. 800/1862 – artt. 81,82 ed 83 del R.D. n. 2440/1923 ( Legge di contabilità generale dello Stato ),      nell’ art. 52 T.U. C.d.C. ( R.D. n. 1214/1934 ), negli artt. 18 e 19 del T.U. n. 3/1957, nell’ art. 58 della L. n. 142/1990 sulle autonomie locali , ora art. 93, comma 1° del T.U.E.L. n. 267/2000, D.L. n. 152/1991 conv. in L. n. 203/1991 – nelle Leggi di riforma della Corte dei Conti nn. 19 e 20 del 1994 e Legge n. 639/1996 – L. n. 205/2000 art. 10 – L.   n. 97/2001 artt. 6-7 – L. n. 289/2002 art. 24 – L. n. 350/2003 art. 3 – L. n. 191/2004 art. 1 ).
I pubblici agenti rispondono del loro operato per i pregiudizi causati nell’ esercizio delle proprie funzioni o per la violazione degli obblighi di servizio .
La condotta dannosa può concretizzarsi sia in un comportamento commissivo   che omissivo e deve essere riconducibile al rapporto di impiego o di servizio ovvero ad un rapporto di occasionalità necessaria.
Solo in mancanza di tale legame, i danni verificatisi potranno essere imputati secondo i principi propri del diritto comune.
Affinché possano ravvisarsi gli estremi di illecito erariale si esigono:
a) l’ elemento soggettivo della natura pubblica dell’ ente danneggiato e/o quello oggettivo con riferimento alla qualificazione pubblica del denaro o del bene oggetto della gestione. Il responsabile trovasi in rapporto di impiego o di servizio con la P.A. o, comunque, ha maneggio di denaro pubblico ;
b) l’ elemento psicologico del dolo o della colpa grave;
c) la condotta commissiva od omissiva imputabile al soggetto;
d) il nesso di causalità;
e) il danno pubblico.
Ripeto: la strutturazione dell’ illecito erariale si articola in: elemento psicologico, dolo e colpa grave, condotta, nesso causale, evento di danno, danno.
Elemento psicologico: dolo e colpa grave.
Il dolo significa volontà colpevole, intenzionalità dell’agire; in sede contabile si chiama dolo erariale e viene assimilato al dolo penale ed art. 43 c.p.. Ma non è la stessa cosa, come ho detto prima. Solitamente, quando ricorre ipotesi di dolo nell’illecito contabile, nel 90 % dei casi, si presuppone che ci sia reato in sede penale. È come se coincidesse l’elemento psicologico, ma non per questo il dolo penale e quello contabile si equivalgono de plano. Altra tesi si incentra invece sul dolo contrattuale. Spero che sappiate cosa è. Spiego. Posso avere un comportamento intenzionalmente a danno della controparte anche in sede negoziale contrattuale, così da aversi truffa contrattuale, il cosiddetto dolo negoziale, che peraltro non necessariamente coincide con la truffa in sede penale ex art. 640 c.p.. Trattasi comunque di artifizi e raggiri che vengono utilizzati dall’ agente ancorché non arrivino sino al punto di rendere ravvisabile un’ ipotesi penalmente rilevante, cioè anche se non pervengono ad una soglia tale di gravità da potersi enucleare una fattispecie criminosa, risultano rilevare in sede negoziale, tanto da giusitificare il ricorso a quei rimedi codicistici a tutela della buona fede che deve informare i rapporti fra le parti . Pensate al canone di cui all’ art. 1375 c.c.. Pensate alla responsabilità precontrattuale ed agli artt. 1337 e 1338 c.c.. In ogni caso, o che il dolo erariale venga inteso in termini prettamente civilistici ovvero penalistici, non cambia nulla, perché esso indica sempre un’intenzionale e consapevole volontà di arrecare un danno all’Amministrazione.
In sede contabile non troverete mai tutte le distinzioni, che si fanno, in sede penale, sul dolo. Quali sono le distinzioni sul dolo in sede penale?
Dolo generico, dolo specifico, dolo eventuale, che è diverso dalla colpa cosciente, di cui all’ art. 61 n. 3 c.p.: tutto questo non è contemplato in sede erariale, ma è importantissimo, e ve ne accorgerete quando poi parleremo dei rapporti fra procedimento contabile-erariale e penale.
Perché se un dipendente pubblico viene a dire: “Mi hanno archiviato la notizia di reato”, oppure “Mi hanno assolto perché non c’era il dolo specifico del reato”, ciò non significa che in sede contabile egli non ne risponda. Sapete come si differenzia un reato a dolo generico da uno a dolo specifico? “Chiunque cagiona la morte di un uomo, è punito con la reclusione non inferiore ad anni 21”: omicidio volontario. Questo è dolo generico perché vale per chiunque, non c’è una qualifica. Se c’è la locuzione “al fine di” è reato a dolo specifico.
Ci potrebbe essere un’ipotesi di reato, punita soltanto a titolo di dolo specifico, ma se quest’ ultimo non viene ravvisato dall’ A.G. penale, e quindi l’ agente va esente da responsabilità penali, non è affatto detto che egli vada anche esente da responsabilità erariali.
Ciò perché non è richiesto il dolo specifico nell’erariale, basta che ci sia una volontà colpevole, cioè un dolo genericamente inteso, come intenzionale volontà di arrecare un danno all’Amministrazione Pubblica.
Gli artt. 651 e 652 del Codice di Procedura Penale costituiscono uno sbarramento codicistico a quanto sopra.
È la colpa grave – invece – che pone i maggiori problemi non il dolo erariale.
Perché la colpa grave cosa è ? Tenete presente la nozione desunta dal Diritto Civile e le note distinzioni fra colpa  lieve, lievissima, grave, gravissima, oppure quelle proprie del Diritto Penale.
La materia della Responsabilità Amministrativa, come ho già sottolineato, è ibrida, è trasversale, ricomprende istituti di più discipline, quindi è difficile da comprendere ma proprio per questo è estremamente coinvolgente.
La colpa grave è un istituto tra i più complessi da poter analizzare nell’erariale. Nel senso che bisogna andarsi a studiare con attenzione la giurisprudenza e relativi orientamenti. La colpa grave va intesa nei termini di grave negligenza, imprudenza, imperizia, tale da integrare una violazione rilevante dei propri obblighi di servizio.
La colpa va poi comunque intesa in concreto. Astrattamente io ho una certa situazione, dove potrei configurare, che in virtù di quella situazione teorica, ad esempio l’assetto ospedaliero di una certa struttura X: c’erano tot infermieri, tot medici, etc.; un paziente muore durante l’intervento. Teoricamente è tutto illecito: penale, eventualmente erariale se scatta la rivalsa, ma bisogna andare comunque a verificare la sussistenza della colpa in concreto. Cioè calarsi nella situazione specifica. Per cui si fa ricorso al giudizio di prognosi postuma ex ante in concreto. La colpa erariale non va concepita in senso meramente astratto, teorico; astrattamente ben si può asserire che si sono avute negligenza, imperizia, imprudenza da connotarsi come gravi, ma assai più difficile andare a valutare se nella singola fattispecie di danno effettivamente la colpa grave sussisteva o meno.
C’è un paradigma, c’è un modello, e quello attiene all’ ex ante, ma poi occorre valutare in concreto se la colpa grave si sia integrata e lo si fa con un giudizio che riporta quanto accaduto alla fattispecie teorica. Si compara l’ uno con l’ altra.
Anche perché quando si parla del potere riduttivo dell’addebito, si deve rammentare che non integra una causa escludente od esimente la responsabilità; è semplicemente un’operazione matematica: io valuto determinate circostanze e dico “Sei responsabile, tuttavia, tenuto conto che…”, ma devo stare ben attenta a non escludere la responsabilità, perché altrimenti lo mando assolto. E quindi mai confondere potere riduttivo con carenza della colpa grave. Perché se manca quest’ ultima, non sussiste illecito contabile. 
Sono circostanze che rilevano sul quantum di danno, è un’operazione matematica, detrazione, decurtazione contabile. Ti decurto di una quota 30, ad esempio, e rispondi per 70 da 100 che è il massimale. Ciò è conforme al potere discrezionale accordato al Giudice contabile di graduazione della colpa. Pensate anche all’ art. 133 c.p.. La responsabilità viene graduata.
Dato che il Professore ha parlato della Responsabilità Dirigenziale, la “culpa in vigilando” che è quella propria dei dirigenti od apicali, perché, badate bene, dirigenti è un termine più ristretto. Apicali invece è una nozione molto più estesa, alludendo al sovraordinato gerarchico, a prescindere dalla qualifica dirigenziale, sia che la rivesta o meno. Ad esempio: un Coordinatore Legale è un apicale: il Responsabile di un settore o di un ufficio, il Reggente, il facente funzioni, il Vicario sono tutti apicali ancorché possano non essere affatto dirigenti. Ossia: colui che è tenuto a controllare, colui che sovrintende la gestione di quel settore, di quel servizio. Non necessariamente deve essere un dirigente. Può esserlo o meno. E può esserlo in via di diritto che di mero fatto. Comunque può incorrere in “culpa in vigilando”.   Facciamo un esempio pratico.   
Se Tizio è un dipendente pubblico e Caio ne è il sovraordinato gerarchico, è Caio che sovrintende al controllo della sua attività; se Tizio viola gli obblighi di servizio ed arreca un danno all’Amministrazione – poniamo per colpa grave ma ben potrebbe essere dolo – ed il suo capo non ha controllato alcunché od ha mal controllato, il primo risponde innanzi alla Corte per il pregiudizio arrecato, ma ne risponde anche il secondo sia pure a titolo di culpa in vigilando.
Se sinteticamente questo è il meccanismo, poi si deve ragionare ed ancorarlo all’ istituto della responsabilità oggettiva in diritto civile e quindi richiamare quelle ipotesi codicistiche correlate che non attengono soltanto alla “culpa in vigilando”, ma ad esempio a quella “in eligendo”. Io dirigente X adibisco a certe mansioni il dipendente Y – ma la mia scelta ricade su un soggetto che – ad esempio – ha dato pessima di prova di sé in passato con riferimento a quelle incombenze – magari ha pure commesso illeciti di rilievo penale – ha anche subito procedimento penale ed è stato condannato in sede penale e contabile. In sede disciplinare magari è stato assoggettato alla sospensione dal servizio per mesi sei ma poi riammesso in servizio. Ed allora cosa accade se il dipendente Y continua a reiterare illeciti nuovamente e quindi ricorre dolo e quindi profili penali e si verifica un danno pubblico? Che Y sicuramente sarà convenibile in giudizio anche in sede erariale, ma di certo non va esente X che – a maggior ragione sapendo dei precedenti di Y e non potendo ciò ignorare, non ha vigilato a sufficienza (“culpa in vigilando”) per di più errando a monte nell’ adibire costui a mansioni perfettamente analoghe alle precedenti e magari nell’ ambito dello stesso ufficio originario (“culpa in eligendo” civilistica). In sostanza, si vuol dire che anche un istituto come quello in esame va poi raccordato ad altri istituti che ad esso comunque nella fattispecie concreta risultano essere legati, correlati, connessi…Insomma: occorre ragionare.   
La Responsabilità Oggettiva esiste in contabile in questi termini. Pensate ad esempio agli infortuni scolastici. Perché negli infortuni scolastici, in sede di rivalsa, scatta  la Responsabilità Erariale? Se il bambino si fa male a scuola e quell’evento infortunistico, ad esempio, non è coperto dall’assicurazione, che quindi non risarcisce il danno ovvero quell’ evento è coperto da assicurazione ma i genitori omettono la procedura prescritta ed adiscono direttamente l’ A.G. civile. In un caso o nell’ altro, ai genitori del bimbo non importa nulla, né deve importare alcunchè che l’assicurazione non abbia pagato perché ipotesi non ricompresa ovvero se ricompresa perché iter non seguito. Se io sono il terzo leso, avendo potestà parentale su mio figlio ed intento causa all’Amministrazione Scolastica, ottenendo di poi una sentenza di condanna dell’Amministrazione a pagare, ad esempio, 10.000 Euro, avrò ricevuto quanto mi spettava per il nocumento subito od anche di più rispetto a ciò che l’ Assicurazione avrebbe corrisposto. All’ atto stesso in cui interviene l’esborso finanziario, scatta quello che ha spiegato il Professore prima, ossia l’obbligo di rivalsa.
Nel senso che io P.A. scolastica danneggiata devo comunque denunciare alla Corte, ancorché ci dovrebbe essere pure un vaglio preliminare, se sussistono o meno responsabilità dei docenti e del dirigente scolastico e questo è chiaro, però mai dimenticare che esiste una norma del Codice Civile che è l’ art. 2048 c.c., che è titolato “Responsabilità dei precettori e maestri d’arte”. Ergo: se l’insegnante stava chiacchierando ed il bambino è caduto sbattendo la testa, c’è una responsabilità dell’insegnante.
Ci potrebbe essere  però anche una responsabilità del Dirigente Scolastico, ex-Preside, tanto per intenderci, in termini di “culpa in vigilando”.
Chi ha arrecato il danno, ne risponde in sede contabile. E ne risponde anche il dirigente scolastico se del caso perché ha un obbligo di vigilanza nei confronti dell’operato dei docenti.
Infortuni scolastici: tu hai un obbligo di vigilanza perché sei il mio maestro, io sono l’alunno: mi faccio male, scatta  da un punto di vista civilistico, non erariale, il 2048. Generalmente, però, i genitori del bimbo infortunato non intentano causa all’ insegnate od al dirigente scolastico od ambedue, ma optano per quella all’Amministrazione. Potrebbero farla anche all’insegnante unitamente alla P.A., ma poniamo che preferiscano convenire in giudizio soltanto la sola Amministrazione scolastica; ottengono la sentenza di risarcimento che l’Amministrazione paga, e poi c’è l’obbligo di rivalsa. È legata ad un’ipotesi di responsabilità oggettiva, oggettiva si intende dal lato dell’Amministrazione.
Quando si parla di erariale, si devono tenere in debita considerazione gli istituti del Diritto Civile ed adeguarli alle tematiche di responsabilità amministrativo-patrimoniali. Indi per cui: ragionare in termini civilistici e trasfondere questi istituti in sede contabile, non denegando le necessarie differenze.
Ed ancora. L’ art. 2054 c.c.: questa è un’ipotesi per noi Magistrati contabili requirenti o giudicanti, frequentissima. Concerne l’ ipotesi di danno pubblico da sinistri stradali. Pensate all’ autoveicolo della Polizia, che arreca danni a terzi, a persone o cose, nonché al veicolo della P.S. che risulta danneggiato. Lì scatta la responsabilità: io Pubblica Amministrazione di P.S. rispondo dei danni nei confronti del terzo; che siano assicurati in sede civile è chiaro. Ma il danno che viene arrecato al veicolo di servizio e che è pubblico, se ricorre colpa grave del conducente, dipendente della P.S., è lui che deve ripagarlo. Se il conducente guidava a 200 Km all’ora sul raccordo anulare e non ricorrevano ragioni che siffatta condotta giustificassero ( ad esempio: l’ inseguimento di rapinatori, dispositivi acustico-luminosi non attivati ) scatta la sua responsabilità. In disparte che le Amministrazioni devono comunque denunciare alla Procura contabile e mettere in mora il presunto danneggiante, poi la Procura decide se archiviare o procedere. Cioè anche se la P.A. fa constare dagli atti dell’ inchiesta amministrativa che a suo parere non sussiste colpa grave del dipendente, il P.M. contabile non è affatto vincolato da ciò, come non lo è dalle risultanze disciplinari, siano esse positive o negative.
Veniamo al comportamento dell’ agente presunto responsabile di danno. Finchè non si è condannati si utilizza l’ aggettivazione “presunto”. Ed ora passiamo al potere di rimostranza degli ordini illegali: art. 17 Testo Unico degli impiegati civili dello Stato n. 3 del ’57.
Se io apicale o dirigente impartisco un ordine illegittimo, o violativo di norme, od emetto un ordine di servizio, ad esempio, palesemente illegittimo, nei confronti di un mio dipendente ordinandogli di fare qualcosa che assuma connotazione illecita e non sia solo una mera irregolarità, cosa accade? Il dipendente sottordinato non è vincolato ad eseguire ordini di tal fatta ed esplica lecitamente il potere di rimostranza degli ordini illegali, cioè non esegue, si rifiuta di eseguire.
Se l’ordine viene rinnovato per iscritto, a stretto rigore, dovrebbe eseguirlo, salvo che l’ordine non sia manifestamente criminoso, cioè che integri un’ ipotesi di reato. Per ordine scritto si intende una disposizione di servizio, un ordine di servizio, una circolare che individui destinatari determinati; può essere nei confronti di un solo soggetto o nei confronti di plurimi soggetti.
Facciamo un esempio pratico concreto. In una certa sede di un Ente Pubblico Previdenziale, il Direttore ordina di liquidare delle prestazioni pensionistiche in mancanza dei requisiti di legge ai dipendenti addetti agli incombenti liquidatori. Questo è un illecito, non solo erariale, perché chiaramente implica un esborso di pubblico denaro, e quindi danno pubblico in termini di danno emergente, ma anche penale. Abuso d’ufficio se non peggio.
Principio numero uno da tenere bene a mente: quando un dirigente od un apicale ha intenzioni similari, non lo fa mai per iscritto, perché non è così ingenuo da lasciare traccia. È logico che ben difficilmente un dirigente mette nero su bianco, non sarebbe così stolto, però consideriamo anche che ben possono verificarsi evenienze dove per un malcelato senso di tracotanza e di essere persuasi di andare sempre impuniti dall’illecito quel dirigente formalizzi l’ ordine integrante ipotesi illecita. Io, pubblico dipendente, ovviamente, non sono tenuto ad eseguire tale ordine. Si consiglia di controreplicare per iscritto, e se l’ordine è soltanto verbale, io non sarei tenuto a scrivere, ma io per prima cosa al mio superiore direi: “Me lo metta per iscritto, Dottore” così il dirigente – se lo fa – si assume la formale responsabilità di ciò. Se replico per iscritto, tenuto conto che comunque non intendo ottemperare ad un ordine illegittimo, il dirigente o soprassede oppure potrebbe reiterare quell’ordine di servizio. Se mi si ordina di liquidare prestazioni pensionistiche in assenza dei requisiti, è chiaro che disattendo e se disattendo chiaramente non scaturisce alcuna responsabilità disciplinare a mio carico e se mi avviano azione disciplinare ovviamente dovrò controdedurre adeguatamente nonché dovrei denunciare l’ accaduto. O in sede penale o in sede contabile o in ambedue, a seconda della fattispecie.
Nel mio testo c’ è una parte specifica sulle cd. clausole a tutela erariale ( poi vedremo cosa sono ), che è di grandissima utilità pratica.
Vi è chiaro il potere di rimostranza degli ordini illegali? Perfetto. Proseguiamo.
Facciamo l’esempio inverso: io pubblico dipendente, durante la mia attività istituzionale, ad esempio, nelle liquidazioni di prestazioni pensionistiche, rilevo che c’è qualche anomalia, qualcosa che non va, mi accorgo che un collega ha liquidato prestazioni indebitamente oppure che ci sia magari la connivenza del direttore, del dirigente, dell’apicale della struttura. Logicamente io devo comunque creare una sorta di sbarramento tra le mie responsabilità e quelle di altri.
Voi pensate al passaggio delle consegne: quando voi subentrate ad altri in un certo ufficio e questo vale anche e soprattutto per i dirigenti. Vi trovate – ad esempio – assegnati ad un ufficio dove le pratiche sono allocate alla rinfusa, il disordine cartaceo è imperante, la malagestio se non evidente presumibile. In un ufficio del genere è fondamentale il passaggio delle consegne, il quale è comunque sempre fondamentale e peraltro non si fa quasi mai, o se si fa è meramente formale e fittizio ed invece andrebbe sempre fatto ritualmente e sostanzialmente perché crea una sorta di sbarramento di responsabilità, fra me e i miei predecessori. Questo vale in particolare per gli apicali, ma è principio estensibile a tutti, a 360 gradi.
Non fate il verbale di passaggio delle consegne, però dopo rilevate le carenze e/o le disfunzioni ed iniziate a scrivere.
Se Tizia è il funzionario responsabile di un certo settore dell’ ufficio di un certo Ente e si occupa di pratiche delicatissime dalle quali conseguono esborsi notevoli di pubblico denaro, all’ atto del suo pensionamento, seppure non redigerà formale verbale di passaggio delle consegne ( ad esempio: perché nessun funzionario è stato ancora designato a prendere il suo posto ), ma relazionerà sullo stato dell’ ufficio, anche la relazione a sua firma varrà ai fini sopraindicati.   Nessuno glielo ha chiesto, ma lei lo fa e correttamente provvede. Spesso si asserisce alquanto ingenuamente nelle Amministrazioni Pubbliche: “Io cosa c’entro ? Sono arrivato dopo”. Stabilire “dal – al” è facile, ossia il lasso temporale è agevole da determinare, ma il problema che si serba immutato è dato dalla confusione delle gestioni: laddove non si capisca- ad esempio- quello che ho fatto io e quello che ha fatto il mio predecessore. Cosa ha omesso lui – cosa ho omesso io. Se c’è qualcosa di illecitamente rilevante, sia in termini erariali che penali, o di uno o dell’altro o di ambedue, non è affatto facile poi individuare a chi vadano ascritti gli illeciti ravvisabili nella specie.
Si tende a semplificare l’attività amministrativa, ma ci sono dei paletti che vanno sempre rigorosamente osservati, nell’interesse anche proprio. A voler dire che anche ad essere noncuranti della tutela erariale – il chè giammai dovrebbe essere – mai dimenticare che l’ osservanza degli obblighi di servizio e di certe regole cautelari peraltro elementari si impone anche a tutela dell’ interesse del dipendente pubblico. Se io rilevo un illecito, come nell’esempio summenzionato, la prima cosa che dovrei fare è mettere per iscritto al mio apicale od al mio dirigente, e rappresentare a costui che ho riscontrato ad una certa data che è accaduta una certa cosa…. “Tanto comunico per i provvedimenti di competenza”; “Tanto si comunica ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1 cpv., legge n. 20/1994 e successive modificazioni”. La denomino nel mio testo una clausola a tutela erariale: è come dire al proprio apicale :“Guarda Capo che qui ci sono situazioni illecite (in questo caso di danno pubblico, potrebbe anche esserci penale ovviamente) ed io ti informo di averle rilevate. Vedi di provvedere tempestivamente che io il mio dovere di informarti l’ ho assolto perché se ometti e – ad esempio – non denunci in sede contabile – ne rispondi ”. Si potrebbe anche non scrivere la prima lettera in questi termini; ma la prima lettera non dà esito, la seconda neppure, lo dico anche verbalmente, alla terza lettera cambio tenore, perché altrimenti alla fine rispondo io. E le missive devono essere incisive, non all’ acqua di rose. Che se scrivo una lettera al giorno, ma in sostanza nessuna di esse è contenutisticamente pregnante, da responsabilità non vado esente.
Non esiste una formula sacramentale, beninteso. L’ importante è che sia chiaro ed incisivo quel che scrivo:” Se tu non provvedi, ne rispondi tu. Io ti sto dicendo che hai l’obbligo di denuncia erariale, che spetta a te in quanto dirigente dell’ Ufficio. Se non mandi un’ispezione amministrativa interna, se non adotti i provvedimenti del caso, ect., la responsabilità può ricadere su di te”. O meglio: ricadrebbe in ogni caso perché è culpa in vigilando, però a maggior ragione che io dipendente ho scritto, ho segnalato, magari ho anche documentato quel che affermo….
Missive che si protocollano, si tiene una copia; se trattasi di pratiche, si spillano agli atti, etc. Personalmente ho sempre provveduto in questi termini nella pregressa Amministrazione di provenienza ed assicuro che è metodologia efficace a condizione che si segnalino vere disfunzioni, autentici illeciti e che non si scriva tanto per scrivere e per scaricarsi di responsabilità proprie accollandole ad altri. Si scrive con cognizione di causa e con una grande serietà di intenti nella consapevolezza delle responsabilità che insorgono qualora si ometta di farlo. E soprattutto lo si fa nel precipuo interesse erariale. Certo il rischio di tutto ciò è che con il mobbing uno ci convive – mobbing che nel testo definisco “erariale” non a caso – perché voi mi insegnate che gran parte dei casi “seri” di mobbing e di condotte vessatorie ed abusanti vedono come vittime proprio quei dipendenti che hanno il coraggio di segnalare o di denunciare illeciti penali od erariali che essi siano. La meritocrazia dovrebbe sempre essere un criterio informatore del sistema. Dovrebbe sempre…invece chi fa il suo dovere spesso e volentieri viene considerato uno alquanto scomodo e da qui le note problematiche giurisprudenziali sul demansionamento, la dequalificazione e via dicendo; in sostanza, il mobbing finalizzato a mettere a tacere chi non è affetto da ignavia o non è connivente negli illeciti.
Un dirigente, come ha spiegato il Professor Tamassia, ha oneri e onori, viene remunerato per questo, quindi la Responsabilità Dirigenziale è una cosa, ma poi ci sono anche altri tipi di responsabilità.
L’obbligo normativizzato di denuncia, grava per primo sugli apicali e sui dirigenti. Poi, logicamente, se un dipendente di quel dirigente ha scritto reiteratamente e fondatamente, e quel dirigente glissa, perché magari è correo nell’illecito (perché accade anche questo), i casi sono due: od il dipendente va a denunciare di persona ovvero ha comunque provveduto ad inoltrare un’informativa a tutela erariale od informativa erariale, ossia una segnalazione ai propri superiori. Domande?
Intervento: A proposito dell’ obbligo di denuncia, chiedo quanto segue. Poniamo le Aziende Sanitarie dove un dirigente agisce generalmente per delega, rispetto al Direttore Generale e dove quindi non c’è rapporto di subordinazione, ma di delega. Nell’ipotesi in cui il Direttore Generale ponga in essere un provvedimento, proposto non dal Dirigente del Personale, e dunque lo adotta il Direttore Generale su proposta del Direttore Amministrativo, che comunque sovrintende i servizi amministrativi e che perciò può sostituirsi al Dirigente Amministrativo, ovvero come proposto da altro Dirigente, questo provvedimento dal punto di vista formale, strettamente riferito alla mia responsabilità, ovviamente non mi coinvolge, però mi coinvolge in un secondo momento, cioè in fase di esecuzione. Se un provvedimento del genere è suscettibile di arrecare danno pubblico, che devo fare? Nel momento in cui sono chiamato ad eseguire quel provvedimento ed ho comunque già scritto preventivamente, come mi devo regolare? Il provvedimento, una volta adottato, pur avendo io scritto, deve essere eseguito, ed allora?
Dott.ssa Francaviglia: Nelle ASL risponde comunque il Direttore Generale in primis, anche se ci sono rapporti di delega. La ASL  di Bologna – ad esempio – è tutta strutturata sul principio delle deleghe: è stata conferita una delega diffusa a largo raggio; i dirigenti sono stati così ultraresponsabilizzati. Devo dire che – memore di un recente convegno a 150 dipendenti ASL Emilia-Romagna – è emerso che i dirigenti erano preoccupatissimi, perché si ritrovavano con fortissime responsabilità scaturenti dal sistema delle deleghe, però ho replicato loro: “Benissimo, sicuramente voi rispondete di eventuali illeciti erariali e questo è pacifico, ma non dimenticate che risponde anche il Direttore Generale che è il dominus massimo”. E comunque permettetemi di dire che il sistema sanitario emiliano-romagnolo è un modello …che quando ho parlato come esempio paradigmatico del caso di Lady ASL della sanità laziale o dell’ inchiesta penale sulle invalidità civili false e/o pilotate con 1.000 e passa indagati non volevano credere che si potesse arrivare a tanto…inchieste che badate bene – sotto il profilo contabile – si traducono in milioni di Euro di danni erariali…milioni….Tenuto conto che io sono stata anche consulente per le invalidità civili e relativo contenzioso prima di transitare in Corte, so di cosa parlo essendo esperta di materia e quindi vi dico che gli illeciti nel settore assistenziale sono molteplici e di tutte le tipologie…e nonostante questo la sensibilità”erariale” di fronteggiare tali fenomenologie illecite o meglio criminali era assai scarsa sia nelle ASL che nell’ ente pagatore ….ora qualcosa sta cambiando ma semplicemente perché è stato riformato normativamente il sistema arrivando progressivamente all’ accentramento fra fase di accertamento – di liquidazione e di pagamento ed io mi sono sempre battuta perché a questo si arrivasse…tuttavia, il bubbone del contenzioso passivo rimane inalterato e questo si traduce in milioni di Euro di danni fra liti temerarie, omesse costituzioni in giudizio, monitori non opposti e procedure esecutive che fanno lievitare in modo esponenziale gli importi asseritamente dovuti…e non proseguo perché il discorso si farebbe lunghissimo….per ritornare all’ argomento iniziale: è come se le risorse pubbliche fossero di altri e non le nostre – di noi tutti…Venendo alla sua domanda: Logico che se Le prescrivono qualcosa di illecito, Lei deve disattendere o comunque, se è qualcosa che potrebbe arrecare danno, deve scrivere ed anche denunciare se del caso. Non si può fare finta che…
Intervento: Il nostro Direttore Generale, invece, ha fatto adottare una formula ancora più stringente: oltre a richiedere al Dirigente la verifica della legittimità dell’istruttoria, che mi sembra il minimo, chiede anche che il Dirigente dichiari l’opportunità e la convenienza dell’adozione della scelta per l’Azienda. Mi sembra proprio una cosa insensata, perché è lui che fa la gestione.
Dott.ssa Francaviglia:Controdeduca che:” Non sono in grado di apprestare adeguate valutazioni rispetto a quanto richiesto dalla S.V.”.
Replica convegnista: Ma nel momento in cui si dovesse andare a contestare una decisione del genere …
Dott.ssa Francaviglia: Lei comunque deve scrivere “Io non sono in possesso delle cognizioni tecniche necessarie. Allo stato degli atti, la mia valutazione può essere questa”….scrivere sempre…Logico che se un comportamento è illegittimo si contesta….Se poi è un qualcosa di manifestamente illecito e criminoso, è palese che si debba disattendere e – ripetesi – denunciare…l’ ignavia premia gli stolti…Quando un qualcosa che le vorrebbero illecitamente imporre, potrebbe creare solo dei problemi anche in sede erariale, non c’ è altra scelta… perché se Lei non è in grado di operare quella valutazione, mi dice come fa? Si dovrebbe rimbalzare la palla e dire: “Benissimo, io te la posso predisporre per quanto sono in condizione di fare, poi però quella finale te la fai tu….”. Con la delega la responsabilità si assomma sul delegato, ma permane la responsabilità del delegante, non è così automatico.
La condotta erariale è di due tipi: omissiva o commissiva. Od è una condotta attiva di azione lesiva ovvero una inazione omissiva. Sono più frequenti gli illeciti omissivi o quelli commissivi? I primi – avete risposto. Giusto. Ma perché?
Perché è meglio non fare niente, più agevole omettere che fare; è la logica deviata e distorta dello scaricamento di responsabilità che affligge di sovente la Pubblica Amministrazione.
Si assiste ad una proliferazione di illeciti omissivi perché esiste una fenomenologia di malagestione della cosa pubblica, rilevante ai fini erariali, di notevole portata. C’è uno “scadimento del senso della cosa pubblica”che ovviamente rileva a 360° e non vale solo per l’Erariale, ma anche per il Penale, con riferimento specifico ai delitti contro la Pubblica Amministrazione. Lo constatate da voi. Quando si abbassa la soglia dell’etica e della legalità, inesorabilmente si perviene a risultati ad ampio raggio di illiceità diffusa. E si può giungere a ritenere da parte di costoro che rubare è normale; sbagliare grandemente idem; e chi non ruba, non delinque, non viola i propri obblighi di servizio è uno scarsamente astuto. Si ha come una sorta di capovolgimento delle regole e dei valori in senso deteriore come se la legalità fosse degli altri ma mai di noi stessi; ma siamo noi la collettività – amministrata, noi tutti. L’ altro siamo noi. Il chè equivale a dire che quando si innescano meccanismi di tal fatta, le conseguenze sono oltremodo infauste.
Questo discorso non vale strettamente ai fini del danno pubblico. Si deve ragionare un po’ più trasversalmente e riflettere che la cosa pubblica è nostra; non dello Stato o della singola P.A.; che sono in ultima analisi responsabilità finanziarie; e se si dovesse estendere tale concetto si dovrebbe concludere che a prescindere che il nocumento l’ ha subito quella amministrazione o quell’ ente, in ogni caso esso incide su noi tutti latamente intesi. Se la consapevolezza di ciò fosse maggiore, forse le cose migliorerebbero.  
Le risorse collettive. Le risorse collettive sono del Comune X, degli Enti Pubblici, della Regione Y, della A.S.L. o sono di tutti? Sono di tutti. Se un danno pubblico non viene recuperato, siamo tutti noi a pagare il prezzo del maltolto; alla fine dei giochi, prendiamo in giro solo noi stessi qualora crediamo assai poco congruamente che ciò non ci tange e che la cosa pubblica è altro da noi. Siamo noi. Il chè serve a capire la sostanza dei problemi al di là di tante vuote retoriche; soprattutto, è utile per comprendere nei giusti termini la grande importanza di questa materia, che assolve un ruolo di notevolissima concretezza pratica del vivere civile nonché che arrecare un danno pubblico, se esso non si recupera, significa pagare un prezzo a carico dell’ intera collettività. Apparentemente lo paga la singola Amministrazione danneggiata, ma in realtà lo paghiamo noi tutti.
Quando si parla di malagestio o di malagestione della res pubblica, a questo si allude. Né più, né meno.
Responsabilità per illeciti commissivi od omissivi: cosa ci deve indicare?
Omissiva abbiamo detto: inazione. Io avrei avuto l’obbligo giuridico di fare un qualcosa, ma non l’ho fatto; ho dunque disatteso i doveri che su di me gravavano; dalla mia omissione, dalla mia inazione, dal mio non fare scaturisce un danno pubblico. Preferisco non fare, perché è più facile certe volte non fare, che provvedere in un senso o nell’altro. Insomma, molto più semplice a volta lavarsi le mani di un problema che affrontarlo e risolverlo o quantomeno tentare di risolverlo. Se io dipendente X scarico le mie incombenze al collega Y, a quello dell’ ufficio della porta accanto, ad esempio, asserendo che non compete a me, compete a te, al limite delle diatribe sterili e vuote, statene pur certi che alla fine un danno pubblico sarà ravvisabile.
Commissivo ossia attivo: espressione questa che si conforma perfettamente agli illeciti criminosi. Ad esempio: il delitto di corruzione che può essere propria od impropria, antecedente o susseguente. Non abbiamo trattato la Responsabilità Penale, altrimenti occorrevano almeno un altro paio di ore di Convegno, ma pensate ai delitti contro la Pubblica Amministrazione (corruzione, malversazione, concussione e così via ). E’ ipotesi di illecito omissivo l’ omissione in atti d’ufficio, ossia l’ art. 328 c.p. e ciò lo vedremo soprattutto per l’obbligo normativizzato di denuncia qualora venga disatteso.
Nesso causale cioè nesso eziologico significa legare la condotta all’evento di danno.
I dipendenti pubblici ( cosiddetti intranei alla P.A. ) sono assoggettati alla giurisdizione contabile in virtù del rapporto organico intercorrente con l’ amministrazione ( rapporto di immedesimazione organica). L’ autore dell’ illecito, al momento della condotta, deve avere la piena capacità di intendere e di volere e deve avere agito nell’ espletamento di compiti legati da occasionalità necessaria con la propria attività istituzionale.
L’ orientamento maggioritario ritiene che il concetto di occasionalità necessaria significa che l’ illecito sia comunque inquadrabile nell’ ambito del servizio prestato che funge da occasione necessaria.
Pertanto, occorre che vi sia un nesso di correlazione causale fra la qualifica rivestita, le funzioni istituzionali e l’ evento di danno.
Ciò premesso, coloro i quali, pur se estranei alla amministrazione danneggiata in assenza di rapporto organico, intrattengano con essa un rapporto di servizio rispondono innanzi alla Corte dei Conti per i danni pubblici arrecati.
Il concetto di rapporto di servizio lo dovete tenere sempre bene  a mente. Perciò, quando si integra un rapporto di servizio? Come lo possiamo definire?
Si ha rapporto di servizio se vi è inserzione in via continuativa e non meramente sporadica di una persona fisica ovvero giuridica nell’ apparato organizzativo pubblicistico. Allorquando sia ravvisabile una relazione funzionale partecipativa del soggetto alla gestione di risorse pubbliche, detto rapporto è configurabile.
Ne è un esempio quello dei medici di base convenzionati con l’ S.S.N. ( vedasi – fra le tante ipotesi – quella della iperprescrittività farmaceutica ) I medici in questione non sono intranei alla P.A., ma con essa in rapporto di servizio.
Parimenti, vi è tale rapporto fra l’ ente locale e la banca tesoriera. Per l’ altrettanto, se il rapporto con la P.A. sia in via di fatto ed in assenza, quindi, di formale investitura, sussiste comunque rapporto di servizio nel caso ci si ingerisca nella gestione delle risorse pubbliche. In tal senso, vedasi le problematiche poste dalla figura del funzionario di fatto e di quello putativo ossia di colui il quale ha ottenuto il pubblico impiego sulla base di falsa documentazione. Il danno pubblico va rapportato alle retribuzioni indebitamente corrisposte. Tuttavia, si deve tenere conto che si verte in ipotesi di lavoro di fatto ( art. 2126 c.c. ).
Ciò premesso, la tendenza dottrinale e giurisprudenziale al superamento progressivo del criterio soggettivo del rapporto di servizio ed il favore verso quello oggettivo della natura pubblica delle risorse finanziarie, ai fini della incardinazione giurisdizione contabile, è supportata da diverse pronunzie della S.C. . E’ evidente che non si tratta di una questione meramente formale, ma soprattutto di portata sostanziale atteso che l’ accoglimento dell’ orientamento di cui sopra comporta inevitabilmente un ampliamento del novero dei soggetti sottoposti alla giurisdizione contabile evitando anche che processi incessanti di privatizzazione possano essere utilizzati appositamente per evitare di rispondere in sede erariale.
Perciò, ripetesi: si ritiene che dalla responsabilità amministrativa si sia passati alla responsabilità finanziaria da intendersi quale generale forma di responsabilità patrimoniale per danno alle pubbliche finanze in cui possono incorrere tutti coloro i quali abbiano maneggio od utilizzino pubblico denaro o di pubbliche risorse.
In tal senso assume rilievo il concetto di cosiddetta finalizzazione delle risorse pubbliche da cui scaturiscono degli obblighi nell’ impiego di dette risorse; obblighi che, se violati, comportano responsabilità finanziaria. Ne consegue che si integra eccesso di potere finanziario allorquando sia ravvisabile deviazione dell’ impiego delle risorse pubbliche dal fine tipico e dall’ interesse pubblico normativizzato attienente al singolo caso di specie.
Ad esempio: se Tizio ottiene un finanziamento per piantare alberi di frutta ed invece distoglie tali fondi impiegandoli per un fine differente si avrà l’ eccesso summenzionato.   Per danno pubblico ( od erariale ) quale elemento oggettivo si intende una diminuzione del patrimonio che l’ erario abbia sofferto a causa della condotta illecita ( commissiva od omissiva ) del pubblico agente.
Come tale, esso costituisce un nocumento arrecato a tutti i membri indifferenziati della collettività.
Le ipotesi di danno sono atipiche non essendoci categorie tipizzate normativamente e le condotte causative di pregiudizio pubblico sono a forma libera.
Se il danno erariale è da danno emergente, si intende il deterioramento o la perdita di beno o denaro. Se è da lucro cessante ci si riferisce alla omessa acquisizione di incrementi patrimoniali che l’ amministrazione avrebbe potuto realizzare. Qual è la differenza? Il danno emergente indica una perdita patrimoniale, un depauperamento, mentre il lucro cessante il mancato guadagno quale omessa acquisizione di risorse finanziarie. Facciamo qualche esempio.
Se Tizio è alla cassa della ASL, sottrae il denaro ricevuto per il pagamento dei ticket, si integrano illecito penale e contabile. Quello contabile rileva sotto il duplice profilo della responsabilità contabile e di quella amministrativo-patrimoniale. Contabile perché Tizio è anche agente contabile. Oppure Caio – dipendente presso l’ Ente Pubblico Z, sottrae un bene pubblico ( ad esempio: si porta a casa il PC dell’ ufficio ). Quello è danno emergente. È una perdita patrimoniale coincidente con quella di un pubblico bene il cui valore andrà ragguagliato a quello inventariale.
Il lucro cessante invece si ha qualunque sia la natura giuridica dell’entrata, sia essa tributaria, contributivo-previdenziale, o quant’altro.
Esempio paradigmatico: l’ illegittimo abbandono dei crediti contributivi degli Enti Pubblici Previdenziali o l’ intervenuta prescrizione dei medesimi. Pensate ad un credito contributivo mandato in prescrizione per ignavia se non dolosamente. Sapete cosa accadeva ante recupero esattoriale ? Che molto spesso i Reparti preposti omettevano bellamente l’ interruzione dei termini prescrizionali di legge ( decennali prima e quinquennali dopo la Riforma Dini ) specie per i contributi dovuti dai lavoratori autonomi, cosicchè la pretesa creditoria dell’ Ente veniva vanificata. Il chè accadeva per colpa grave ma molto più spesso purtroppo dolosamente. Bastava far sparire l’ avviso di ricevimento della raccomandata ed il gioco era fatto. Oppure mandi la diffida interruttiva ma senza raccomandata a/R. Mero avviso bonario senza prova alcuna della ricezione. Oppure non attivi le procedure recuperatorie in tempo utile. Quel credito va prescritto. Poi lo infasi pure. Ossia lo passi a recupero esattoriale. Ovviamente indebitamente in quanto prescritto. E così l’ Ente viene pure condannato alle spese di lite in sede di opposizione esattoriale. Oltre al danno la beffa. Questo è danno da lucro cessante. Oppure interviene declaratoria di abbandono illegittima e quel credito non viene recuperato. Od ancora: si omettono di recuperare le spese di lite a seguito di condanna in giudizio di controparte. Gli esempi che si potrebbero fare sono innumerevoli. Ed il filone erariale delle Esattorie? Riscossione S.P.A. è stata istituita solo di recente.
Ma cosa facevano taluni agenti della riscossione delle Esattorie ( leggasi: Banche ), spesso e volentieri? Si inventavano di tutto. La problematica dei famosi verbali a tavolino ovviamente falsi. Cioè – semplificando – che in un giorno l’agente della riscossione X è andato a notificare a 1000 debitori. E magari era pure in ferie. Si attestava che il debitore Y irreperibile, trasferito in luogo ignoto e via dicendo: tutti verbali seriali a tavolino. Rigorosamente falsi.
E questo è tutto danno da lucro cessante, da mancata acquisizione entrate.
Od ancora: Caio, Ufficiale Giudiziario, dovrebbe notificare il decreto ingiuntivo per contributi omessi ( ante recupero esattoriale…) ovvero l’ atto di pignoramento ( per procedure recuperatorie già attivate e per crediti quindi non infasabili ) al Ristorante dei Castelli Z e guarda caso provvede sempre nel giorno di chiusura. A prescindere che ci sia dolo o meno, ipotesi di reato o meno ( ad esempio per tangenti ), è evidente che così facendo Caio ha arrecato danno da lucro cessante all’ Ente creditore.  
Danno emergente o da lucro cessante sono sì tipologie di nocumento patrimoniale ma sempre di danno pubblico trattasi. Sulla riscossione esattoriale è intervenuta una serie di sanatorie, con varie Finanziarie, da ultimo la Legge n. 248/2006, che ha introdotto la maxi-sanatoria della riscossione. Quindi praticamente sanatoria globale salvo che non sia intervenuta condanna penale, irrevocabile.
Ad esempio: se c’ è una indebita erogazione di pubblico denaro a seguito della alterazione di dati dei beneficiari in via telematica, si integra danno emergente. Di converso, se gli ispettori di una certa amministrazione soprassedono ad accertamenti contributivi ovvero in sede fiscale si omettono accertamenti tributari, si ha lucro cessante che equivale a mancato guadagno nel senso di cui sopra.
Per qualificare il danno erariale, la giurisprudenza contabile ha individuato degli indici sintomatici che lo connotano: la certezza ( senza ricorso a circostanze ipotetiche ), il cui ammontare sia determinabile con un mero calcolo; l’ attualità quale momento in cui si è verificato il pregiudizio patrimoniale con esclusione dei danni futuri e l’ effettività in termini di concreta realizzazione dello stesso.
Danno che deve essere ingiusto in quanto incidente su un diritto o su interesse legittimo ( situazioni giuridiche soggettive attive ) e da cui insorga l’ obbligazione risarcitoria.
La risarcibilità in questione è di costruzione giurisprudenziale in assenza di dettato normativo sul punto.
Pertanto, si è passati da una nozione puramente patrimoniale ragionieristica a quella di utilità economicamente apprezzabile ( e da qui sono state delineate figure paradigmatiche di danno pubblico: danno da tangente; danno da disservizio; danno all’ immagine e via dicendo ).
In sede di quantificazione del pregiudizio subito dalla amministrazione incisa negativamente occorre tener conto sia del danno emergente   (perdite subite ) sia del lucro cessante ( mancato guadagno ).
Il danno si qualifica come diretto allorquando la deminutio patrimoniale sia conseguente alla perpetrazione di un illecito rivolto direttamente verso la P.A., mentre è indiretto laddove la lesione patrimoniale sia prodotta nei confronti di terzi che la P.A. ha dovuto risarcire .
Il danno indiretto è configurabile sia a seguito di sentenza in sede civile risarcitoria di condanna della amministrazione resa dal G.O. ovvero in sede amministrativa innanzi al G.A. ex art. 7 L. n. 205/2000.
La responsabilità in solido della amministrazione con il dipendente danneggiante è logico corollario del rapporto organico strumentale esistente fra la P.A. ed il lavoratore pubblico.
E’ un principio costituzionale ( art. 28 Cost. ), recepito nel T.U. n. 3/1957 all’ art. 22 e ribadito nel T.U.P.I. all’ art. 55, con l’ avvertenza, peraltro, che l’ amministrazione risponde dei danni arrecati a terzi dal proprio personale, eccettuato il caso in cui la condotta dell’ agente, sia essa dolosa o colposa, sia determinata da ragioni personali ed egoistiche tali da rendere inapplicabile il rapporto di occasionalità necessaria.
Ad esempio: se Tizia, pubblica dipendente, percorre la via X con l’ auto di servizio per l’ espletamento della propria attività istituzionale ed investe Caio che transitava sulle strisce pedonali causandogli lesioni personali gravi, l’ amministrazione deve risarcire il danno a Caio su sentenza resa dal giudice civile e Tizia sarà convenibile in giudizio dalla Procura contabile a titolo di rivalsa anche per i danni all’ autovettura.
Ma poniamo il caso che Tizia sottrae l’ auto di servizio adducendo motivi di servizio esterno insussistenti per recarsi in palestra ed investe Caio. In disparte i profili penali e disciplinari, Tizia risponderà del danno a Caio e se ha arrecato danni al veicolo non indennizzati dalla assicurazione sarà convenibile in responsabilità.      
Se l’ occasionalità c’è, il terzo leso illecitamente dal dipendente pubblico in una sua situazione giuridica soggettiva di diritto ovvero di interesse legittimo, cita in giudizio sia la P.A. che il danneggiante ovvero soltanto la P.A..
Se risulta vittorioso in giudizio, ottiene il ristoro del danno. Solitamente, il soggetto convenuto in causa è l’ amministrazione e sia pure sia stato citato il lavoratore, chi ha un titolo giudiziale a lui favorevole lo aziona nei confronti della P.A., ritenuta più solvibile o sempre solvibile. Segue il giudizio erariale nei confronti del danneggiante.   
Essendo requisiti indefettibili quelli summenzionati di certezza, attualità ed effettività, si osserva che la decorrenza del termine prescrizionale del diritto al risarcimento coincide con il momento effettivo della spesa ossia con l’ esborso di pubblico denaro e non con la deliberazione della stessa non essendo sufficiente la generica assunzione di un’ obbligazione ovvero – per il danno indiretto – dal momento del passaggio in giudicato della sentenza civile di condanna o dalla stipula dell’ atto transattivo . Il mero impegno contabile di una spesa non integra danno erariale attuale imputabile a titolo di responsabilità. Il danno contabile si integra, quindi, quando ha luogo l’ effettiva erogazione della spesa e da tale momento inizia a decorrere il termine prescrizionale quinquennale.
Altro orientamento ritiene poi che il dies a quo del termine di prescrizione sia quello del verificarsi della liquidazione alla stregua di atto realizzante la alterazione certa delle previsioni di spesa con squilibrio dei conti pubblici e necessità di individuare le fonti di finanziamento.
Tuttavia, in ipotesi di danno indiretto, lo stesso è ravvisabile all’ atto del passaggio in giudicato della sentenza di condanna della amministrazione ed il termine prescrizionale quinquennale decorre da tale data e non da quella dell’ esborso.
In sostanza, il giudice della rivalsa è la Corte dei Conti.
All’ estensione dell’ area dei danni risarcibili ed al principio di atipicità dell’ illecito, corrisponde un incremento dei danni indiretti, atteso che la P.A. può essere chiamata a rispondere di una serie di condotte lesive poste in essere dai propri dipendenti a danno di terzi estremamente variegate ( da ultimo vedasi la risarcibilità degli interessi legittimi ).
In campo sanitario, sono di frequente verificazione le fattispecie a danno degli utenti e dei pazienti per errore diagnostico o cure negligenti e similari.
Prevalentemente, trattasi di illeciti omissivi per i quali non è più possibile invocare come un tempo il caso fortuito o l’ accidentalità dell’ evento stante i progressi della medicina a seguito dei quali vi è stata una rivisitazione della problematica della responsabilità professionale del medico e dei limiti alla applicabilità dell’ art. 2236 c.c…
Ad esempio: Tizio, sofferente di disturbi cardiaci e precedentemente infartuato, si rivolge al pronto soccorso per le cure del caso e viene mandato a casa perché trattavasi – a dire del medico di turno – di una banale influenza. Se Tizio rientrato al domicilio, ha un malore e muore all’ improvviso, quel medico potrà essere convenibile in giudizio unitamente alla amministrazione sanitaria per il risarcimento dei danni in sede civile in favore degli eredi del deceduto. Se gli eredi ottengono sentenza di condanna della P.A. e conseguente liquidazione delle somme dovute, il medico in questione sarà convenuto in giudizio contabile e, laddove sussista la colpa grave, condannato a titolo di rivalsa a risarcire il danno al proprio datore di lavoro pubblico, in disparte la responsabilità penale.  
Deve escludersi la ricorrenza di responsabilità formale quali meri comportamenti amministrativi non causativi di danno.
L’ obbligazione risarcitoria è di valore e non di valuta di talchè all’ importo della condanna a titolo di sorte capitale vanno ad aggiungersi gli oneri accessori di legge ( interessi legali e/o rivalutazione monetaria ).
Si parla, poi, in giurisprudenza di danno pubblico in senso lato quale lesione di pubblici interessi propri della comunità organizzata e riferentesi all’ ambiente, all’ equilibrio di bilancio, alla stabilità finanziaria, all’ economia nazionale ( per frodi fiscali ed illecita esportazione di valuta da mancato introito fiscale da parte statuale ), all’ equilibrio monetario.
La gestione del personale deve essere concepita nell’ ottica della contrattualizzazione e/o privatizzazione del rapporto di pubblico impiego che ha comportato la sottrazione della giurisdizione delle controversie in materia, fatte salve le categorie forti, al Giudice Amministrativo con attribuzione della stessa al Giudice Ordinario in funzione di Giudice del Lavoro.
Il chè ha implicato “ il passaggio dalla relazione illegittimità ( dell’ atto )- illiceità ( della condotta ) ad un piu’ omogeneo confronto tra due illiceità, quella che nell’ ambito del rapporto di lavoro può determinare la lesione di un diritto di credito tra le parti e quella che attiene alla ricaduta dannosa nell’ ambito del rapporto di servizio tra il funzionario agente e l’ amministrazione. Secondo tale dottrina, prestando il G.O. più attenzione alla dinamica sostanziale del rapporto di lavoro con particolare riferimento ai profili risarcitori e non tanto ripristinatori, ciò produrrà “uno scivolamento dell’ azione di responsabilità amministrativa verso la tipologia del danno indiretto”.
La giurisprudenza erariale ha spesso evidenziato ipotesi plurime di illecito nei casi di assunzioni ovvero di inquadramenti illegittimi in qualifiche superiori anche a livello apicale.
Peraltro, relativamente alla quantificazione del danno pubblico, si osserva che non sussiste uniformità di vedute in punto applicazione del principio della cosiddetta compensatio lucri cum damno .
Deve rilevarsi che sono configurabili gli estremi di responsabilità amministrativa laddove intervenga l’ illegittima erogazione di compensi e di retribuzione di importo maggiore per indebito conferimento od esercizio di fatto di mansioni superiori o di indebita retribuzione in carenza di prestazioni o per l’ espletamento di prestazioni di lavoro straordinario oltre il massimale consentito o per danno differenziale da demansionamento da mobbing.
Costituisce debito di valuta l’ indebita percezione di compensi come tale produttiva di interessi a decorrere dalla data della erogazione.
L’ azione di responsabilità si connota, quindi, come azione di ripetizione dell’ indebito e si concretizza nella pretesa restitutoria di indebiti oggettivi di somme percette o fraudolentemente o nell’ ambito di un rapporto nullo o privo di contenuto sinallagmatico.
La flessibilizzazione del rapporto di lavoro con l’ introduzione di forme interinali, in costanza anche dei blocchi di assunzione del personale pubblico di cui alle leggi finanziarie succedutesi negli ultimi anni, ha determinato l’ insorgenza di una nuova fenomenologia di responsabilità fondata sull’ aggiramento dei divieti di assunzione che – come tali – hanno natura finanziaria.
Se prima nell’ ottica alquanto diffusa di logiche clientelari se non addirittura di tipo corruttivo, le assunzioni di figli, parenti, amici ed amici degli amici avevano luogo in assenza di detti vincoli, ora esse continuano ad aversi eludendo questi ultimi secondo modalità variamente articolate: dal ricorso all’ esternalizzazione delle prestazioni sino agli appalti esterni senza fare preventivo ricorso alla mobilità interna.
Voi immagino sappiate già che le assunzioni di personale da parte di società partecipate pubbliche possono rivelarsi un sistema ottimale di assunzioni di tipo politico-partitocratico o manifestazioni di conclamato nepotismo italico. Non potendo più assumere il figlio del dirigente X dell’ ente locale Y nell’ ambito dello stesso ente locale, lo si assume nella società partecipata dall’ ente locale Y.
In stretta correlazione con la gestione del personale vi è la problematica della gestione delle posizioni assicurativo-previdenziali dei dipendenti con conseguente ipotesi di danno all’ erario laddove l’ amministrazione ometta o provveda con ritardo ai prescritti versamenti contributivi di legge in favore degli enti a ciò preposti.
Come ben sapete, vi è stata una serie di provvedimenti normativi ivi inclusa da ultimo la Legge Finanziaria per il 2007 che tendono a ridurre il ricorso alle consulenze esterne, perché esse sono, spesso, un facile escamotage per favorire gli amici degli amici. Questo soprattutto negli Enti Locali. Non solo, ovvio. Quando si può procedere a consulenze nella Pubblica Amministrazione? Non si può fare, innanzitutto, per il lavoro ordinario di routine, bensì per esigenze eccezionali, oppure qualora l’ oggetto dell’ incarico attenga a materia o profilo per il quale, nell’ambito della compagine di quella P.A., non c’ è. Per tale tipologia di rapporti, il lavoro precario, le co.co.co. diventano una forma di elusione dei vincoli posti alle assunzioni pubbliche, quindi finiscono con l’integrare un illecito. La Co.Co.Co. diventa un’elusione del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Come conteggio il danno? L’ Ente paga – ad esempio – 30.000 Euro per quella Co.Co.Co., però la prestazione vi è stata. Il danno, a stretto rigore, sarebbe pari al compenso, tutto quello che è stato corrisposto ivi inclusi gli oneri riflessi. Allora dal danno X decurto l’ importo Y quale utile versione ossia si opera la compensatio lucri cum damno….si deve comunque tener conto dei vantaggi conseguiti dalla comunità amministrata. 
Esempio classico: per le opere pubbliche parzialmente realizzate. Il caso giurisprudenziale di Limone Piemonte: dovevano fare un Palazzetto dello Sport in realtà fu realizzato un manufatto che era costato X. . In quel caso si è applicata l’ utile versione ossia che anche se quel manufatto non fu mai completato e destinato a Palazzetto dello Sport poteva comunque essere destinato ad altra utilizzazione pubblica. Si ha compensazione ( parziale ) del guadagno con il danno.
Cosa ben diversa è quando l’opera pubblica non è stata proprio realizzata. Esempio tipico: si progetta la pista ciclabile X od il centro commerciale Y o la scuola Z; si adotta la delibera; si sceglie il progettista; il progetto viene predisposto e pagato, ma poi non se ne fa niente…Il progetto è costato – ad esempio – 40.000 Euro, che il il Dott. Caio ha regolarmente incassato. Capita spessissimo. Se il progetto è stato fatto, va pagato, è chiaro, però è logico che poi il progetto va utilizzato e non messo nel cassetto…perché se ciò accade si integra illecito erariale. Prima di far predisporre un progetto, devo essere sicuro della fattibilità dell’opera, che si possa fare, che essa effettivamente rivesta utilità. Ma se quella pista ciclabile viene prevista in una zona dove è escluso che possa esserci ovvero risulta essere di nessuna utilità perché in quella zona nessuno o pochissimi ne fruirebbero, ciò significa che la scelta volta a realizzarla ossia la determinazione a monte non è stata corretta. Se la scelta è incongrua, irragionevole, erronea a monte ed il progetto si lascia nel cassetto della scrivania e lì rimane, il danno c’è. Le Amministrazioni locali di sovente sostengono : “…Ma il progetto era finalizzato a costruire l’ opera X, e comunque anche se non abbiamo realizzato l’ opera X, intendiamo realizzarla; esso è comunque acquisito al patrimonio culturale dell’Ente.”Sono passati 8 – 10 anni, ed il progetto in questione ancora giace nel cassetto. Diventa una pergamena da incorniciare; un reperto storico museale…altrochè… quello è danno: 40.000 Euro oltre oneri accessori di legge. Non ci avevate mai pensato ? Ed accade più spesso di quanto crediate…soprattutto negli enti locali dove quando si avvicendano gli Amministratori di opposti schieramenti politici, ed allora solitamente si avrà che il nuovo Governo locale non dà seguito alle precedenti iniziative – chiamiamole così – urbanistiche del precedente…qualche volta fondatamente…altre volte non fondatamente…prima ho parlato di sbarramento delle responsabilità. Ebbene: l’Amministrazione successiva che riscontra che quell’ opera non si poteva realizzare e che quindi il progetto rimasto nel cassetto si è rivelato un’ inutile spesa deve denunciare l’ accaduto alla Corte. Altrimenti, è evidente che la responsabilità amministrativo-patrimoniale dei pregressi Amministratori si somma a quella dei subentranti. Io nuovo Amministratore Locale so del progetto non realizzato e devo denunciare, ma solitamente si omette di denunciare. Il Segretario, il Direttore Generale dell’Ente ha l’obbligo di denuncia – rammentate…tornando all’ esempio di prima: l’Amministrazione precedente, prima di assumere la decisione sulla pista ciclabile, deve essere sicura della bontà dell’ opera ossia che questa vada e possa essere realizzata. E’ chiaro che qualora avvenga che nelle more crolli la Scuola comunale ovvero subentri un’ esigenza urgente ed indifferibile tale che le risorse finanziarie che servivano per la pista ciclabile devono essere invece utilizzate per la ricostruzione della scuola, è legittimo soprassedere alla realizzazione della pista ciclabile e ricostruire la scuola. Ma questa è un’altra evenienza.
Il problema dell’avvicendarsi dei vari Amministratori, di diversa appartenenza politica, è che poi ognuno generalmente opta per disattendere quello che hanno fatto i suoi predecessori. Ciò può avere anche una valenza meramente politico-strumentale: non faccio più la pista ciclabile ed invece faccio il centro commerciale.Come giustifichiamo l’importo a danno?
Ne rispondono i predecessori, ma anche chi amministra ora, perché si ha un illecito continuato se tu nuovo Amministratore – tu Segretario Comunale – ometti di denunciare e di sbarrare le pregresse responsabilità da quelle degli attuali Amministratori locali…Non posso sostenere dopo anni che : “Accidenti! La pista ciclabile serve solo 2 abitazioni e quindi che la facciamo a fare? “ Un po’ tardivo il ripensamento…tardivo visto che dalle casse comunali sono usciti un tot di soldi…Nessun problema, poi la Procura valuterà. Il problema è che non si doveva fare il progetto, non si dovevano pagare i 40.000 Euro. Perché se si arriva a pagare il progetto, c’è un esborso di denaro, e quel progetto va utilizzato. Opere non utilizzate oppure opere non ultimate.
Se costruisco un ospedale al Sud, stanzio X e lascio lo scheletro dell’ospedale lì a far bella mostra di sè, quella è opera non ultimata…a danno anche della collettività che senza la struttura ospedaliera da anni promessa rimane e magari è costretta ad andare al Nord a curarsi…la scelta è a monte, prima del progetto.
Ritornando alle consulenze, incarichi, etc., precisiamo nuovamente che non deve esserci la figura corrispondente in organico; devono essere esigenze eccezionali; non può esserci una reiterazione indebita dell’ incarico e soprattutto elusiva…
Si deve andare a vedere a chi ho dato la consulenza, verificare il curriculum, il disciplinare d’incarico, non prendo come consulente il Dott. X, ad esempio, che è esperto di sicurezza informatica, per un appalto di lavori, come esperto di urbanistica. Si deve andare a vedere se la prestazione è stata eseguita o meno. Perché ci sono pure le consulenze fittizie: ti pagano, ma in realtà non hai fatto niente. Questi sono i principi base. Leggetevi la giurisprudenza contabile sul sito istituzionale della Corte – sotto Banca Dati Sentenze – Responsabilità. I debiti fuori bilancio possono integrare ipotesi di illecito contabile, a meno che non vi sia stata un’esigenza momentanea, temporanea, giustificatrice. L’obbligo di informativa erariale c’è sempre, ancorché poi si valuterà se ci può essere responsabilità o meno.
E veniamo ad un argomento che è estremamente importante. Seguitemi con attenzione. Le messe in mora.
La Pubblica Amministrazione, per interrompere il decorso del termine prescrizionale, deve procedere alla notifica degli atti stragiudiziali di significazione, di diffida e di costituzione in mora o – meglio – sinteticamente – atti di messa in mora.
Ci sono talune Amministrazioni aduse a predisporli – ad esempio: gli uffici scolastici, le Forze Armate…Gli Enti Locali ? Spesso ignorano come si debbano redigere semprechè vi procedano….e generalmente si ricordano di interrompere il decorso dei termini prescrizionali solo quando ricevono richieste istruttorie.
Mai dimenticare che le messe in mora hanno finalità sicuramente interruttiva e non soltanto ai fini contabili, ma anche civili. Il termine di prescrizione civile è quello ordinario ex art. 2946 c.c. ossia decennale. Indi per cui l’ Amministrazione danneggiata con la messa in mora interrompe sia quello quinquennale contabile che quello civile decennale.
Non solo. Al presunto responsabile di danno, si intima anche la restituzione dell’ importo a pregiudizio patrimoniale entro un certo termine X. Ciò in quanto è dovere dell’ Amministrazione tentare di recuperare il nocumento arrecatole. E’ evidente che nulla vieta ed anzi si deve avviare ogni possibile azione recuperatoria tempestivamente. Ciò perché gli atti di messa in mora servono ad interrompere il termine prescrizionale, ma anche a recuperare il danno.
Io Pubblica Amministrazione danneggiata, non ho solo l’obbligo di denuncia alla Procura Contabile, ho anche l’obbligo di tentare di recuperare il danno in sede civile. Se l’Amministrazione è stata così solerte da recuperare il danno in sede civile, anche se c’è un procedimento erariale in corso, è palese che qualora essa comprovi l’ avvenuto risarcimento del danno pubblico in suo favore – ivi inclusi gli oneri accessori di legge – l’ esercizio dell’ azione di responsabilità viene meno per carenza del presupposto del pregiudizio risarcibile. E’ pur vero che il Requirente contabile non è affatto obbligato ad attendere che la P.A. recuperi il danno, ma se il recupero in effetti è fattibile, l’ Amministrazione sta procedendo, informa la Procura dell’ iter procedimentale attivato e dei progressivi importi oggetto di recupero, ha interrotto i termini prescrizionali, si attende la refusione integrale. Il chè non toglie che – ad esempio – sia stata recuperata soltanto parte del danno ed allora la Procura procede per il differenziale. Piuttosto, ribadisco il concetto di cui sopra: vanno recuperati anche gli oneri accessori di legge non solo la sorte capitale. L’ obbligazione di cui trattasi è di valore non di valuta. Spesso – invece – accade che la P.A. omette di recuperare gli oneri accessori. Ebbene: in tal caso il risarcimento non è satisfattivo. Nulla impedisce che possa procedervi successivamente e che quindi alla fin fine il pregiudizio venga comunque del tutto refuso. Ma vi rendete conto che l’ azione recuperatoria intrapresa debba essere finalizzata alla reintegra di sorte ed accessori, non solo della prima voce…    
Quando l’Amministrazione notifica le messe in mora, dovrebbe anche intraprendere l’ azione recuperatoria. La messa in mora non recita soltanto che:“Il presente atto è interruttivo del decorso del termine prescrizionale di legge” ma anche “ Si intima “ o”Si diffida” Tizio a risarcire l’ importo a danno X entro il termine Y.
Se la messa in mora è stata correttamente redatta, me l’hai inviata con la prova della ricezione ( immancabile ovviamente chè senza di essa quell’ atto non ha alcun valore ai fini interruttivi…), mi trasmetti poi una lettera: “Egregio Procuratore, il recupero del danno è in corso. Alla data della presente è stato già recuperato l’ importo di Euro X….Si ritiene che detto recupero possa essere ultimato alla data Y ( Caso classico: il recupero in via rateale dalla busta paga e ciò vale soprattutto in materia di incarichi illegittimi, mansioni superiori, etc.)”.
Chi soprassede alla messa in mora – al pari di chi non ha ottemperato all’obbligo normativizzato di denuncia erariale – è anche passibile di incorrere in omissione di atti d’ufficio. Ulteriore risvolto è che, se l’illecito erariale va in prescrizione, perché la P.A. ha omesso di procedere alla interruzione dei termini prescrizionali, risponderà quel funzionario, quel Dirigente, chiunque fosse il soggetto nella specie obbligato a notificare la messa in mora e quello obbligato a presentare la denuncia contabile e non vi ha provveduto. Soggetti che possono coincidere o meno.
Si risponde ordunque per l’ intervenuta prescrizione dell’ illecito erariale in guisa tale che non ne risponde più il presunto originario responsabile di danno del nocumento patrimoniale, ma colui il quale, a cagione della sua omissione, ha fatto cadere in prescrizione detto illecito e ciò nei successivi cinque anni dalla data di prescrizione dell’illecito. Esempio: l’esborso finanziario è stato nel 1997, l’illecito si prescriveva nel 2002, quindi andava notificata la messa in mora prima del 2002, è chiaro. Se non l’ha fatta, la dipendente X risponde fino al 2007. E’convenibile in giudizio, nel senso che io non posso più chiamare il presunto responsabile o – meglio – posso anche convenirlo in giudizio ( perché sapete che la prescrizione è un’eccezione non rilevabile d’ufficio; deve essere eccepita e quindi posso anche tentare …), ma quel che è certo è che la dipendente X risponde se ha omesso a quanto doveva ex lege. Le messe in mora sono fondamentali. Come si scrive un atto di messa in mora?
Atto di significazione, di diffida e di costituzione in mora: non ci sono formule sacramentali; ci si regola come fosse un atto di diffida stragiudiziale in sede civilistica con qualche correttivo ad hoc se del caso.
Ho esordito il mio intervento dicendo che la Riforma del ’94 ha unificato il termine prescrizionale quinquennale per tutti i dipendenti pubblici dato che per gli Enti Locali il termine era stato ridotto a cinque. Si riteneva che i dipendenti non potevano rimanere esposti a conseguenze erariali per dieci anni ossia per un termine troppo lungo…Ma l’ abbreviazione del termine implica soltanto che l’ asse della individuazione dei presunti responsabili di danno si sposta a chi ha omesso di procedere alla prescritta interruzione del decorso del termine prescrizionale. 
Quando si deve spiegare all’Amministrazione questo discorso, faticano a capire, perché non comprendono che una cosa è il termine civile ordinario di cui all’ art. 2946 c.c.: quella è la prescrizione ai fini recuperatori civili. Se io ho pagato indebitamente X, tento in sede civile il recupero di X oltre agli accessori di legge. Altro sono i 5 anni per l’erariale. Tuttavia, quando si notifica un atto di messa in mora, esso vale per ambedue. “A tutti gli effetti di legge”: significa civili e contabili.
Il principio è che denunciare l’illecito erariale non è una facoltà: è un obbligo, previsto da plurime disposizioni di legge.
Molto spesso disatteso, salvo le Amministrazioni che ottemperano sempre. .
Esiste la I.C. 16/98 della Procura Generale della Corte dei Conti. L’obbligo normativizzato di denuncia comporta che la denuncia vada fatta e prima che l’illecito si prescriva, ergo: tempestivamente. Se non nell’immediatezza, almeno quando c’è stato l’esborso. Poi ci potrà anche essere un problema nella individuazione dei presunti responsabili, ma ciò attiene alla messa in mora ossia a chi la notifico, non alla denuncia. Perché nella denuncia, chiaramente, dovrei indicare anche i presunti responsabili, però presunti, perché fino alla condanna c’è solo presunzione. Tuttavia, la Procura può valutare diversamente chi sia il presunto responsabile. Si titola “Atto di significazione di diffida di costituzione in mora: Il presente atto vale a tutti gli effetti di legge ai fini dell’interruzione del decorso del termine prescrizionale”. Queste sono le formulette di rito. Cosa si deve contestare nell’atto di messa in mora? Si deve contestare l’importo a danno patrimoniale, sorte capitale del danno, cioè il quantum, o come danno emergente o come lucro cessante, “oltre ad oneri accessori di legge”.
Gli oneri accessori di legge fino alla data dell’effettivo soddisfo. Inoltre:“Oltre ad ogni altra voce di danno ravvisabile nella specie”. Difatti, allorquando si possano ravvisare ulteriori voci di danno: danno all’immagine, danno da disservizio, danno da tangente – la contestazione delle medesime od avviene in modo puntuale nel senso che l’ Amministrazione – ad esempio – già sa che esse possono integrarsi nella specie ovvero genericamente compendiandole in una formula di tal fatta o di analogo contenuto.  
Si notifica con raccomandata con avviso di ricevimento ovvero per notifica diretta al presunto responsabile ( ad esempio: sottoscrive in calce all’ atto l’ avvenuta ricezione ); generalmente va fatta al domicilio privato, onde evitare effetti distorsivi. Se ci sono più corresponsabili, la messa in mora va mandata a ciascuno. Se non c’è dolo, ma solo colpa grave si ha responsabilità parziaria pro quota:“In concorso con altri a titolo di responsabilità parziaria pro quota”. Invece spesso accade di riscontrare incisi del seguente tenore: “A titolo di responsabilità solidale” ancorché non sia affatto ravvisabile in quella fattispecie un’ ipotesi di solidarietà passiva.
Inoltre: le messe in mora vanno rinnovate. Si interrompono i termini, ma poi bisogna predisporre lo scadenzario: quando scadono i cinque anni dalla notifica della messa in mora? Perché non è detto che la Procura abbia già agito. Perchè le inchieste contabili possono essere molto complesse. Ma in ogni caso l’ Amministrazione deve mettere in scadenzario il rinnovo dell’ atto notificato in precedenza se il pregiudizio non è stato recuperato…La messa in mora può anche notificarla il Requirente. Tuttavia, può farlo se ha già gli elementi necessari per procedervi: generalità anagrafiche complete, importo a danno, sintetica descrizione degli addebiti. L’invito a dedurre che è atto preprocessuale può includere la clausola di interruzione del termine prescrizionale e valere quindi anche come messa in mora; peraltro, ciò presuppone che il P.M. contabile all’ invito addivenga e che naturalmente l’ istruttoria sia stata portata a definizione ( salvo ulteriori accertamenti in ragione delle controdeduzioni dell’ invitato ). Perciò, voi ben comprendete che l’ Amministrazione non può certo esigere che sia il Requirente a provvedere con l’ invito alla prescritta interruzione perché a quella data l’ illecito erariale potrebbe già essere caduto in prescrizione, né può esigere che sia sempre il Requirente a notificare la messa in mora specie se non ha tutti i dati necessari per procedervi. Se è vero che una messa in mora non deve essere generica, in ogni caso meglio farla ancorché generica che ometterla. Se – ad esempio – l’ Amministrazione non sa ancora esattamente quale sia l’ importo a danno arrecatole – basta che faccia constare dalla messa in mora che ha sofferto un pregiudizio patrimoniale che è in corso di quantificazione ovvero – se è già in grado di precisare una parte del quntum – di indicare quest’ ultimo con inserzione di apposita clausola di salvaguardia (“fatti salvi ulteriori importi a danno che dovessero risultare a seguito degli accertamenti in corso “ o locuzioni similari ).
Ancora: l’ Amministrazione dovrebbe sempre indicare il responsabile del procedimento recuperatorio come per l’ altrettanto il soggetto tenuto alla notifica della messa in mora. Immaginate illeciti plurimi. Illeciti in concorso. In tali ipotesi, solitamente le P.A. designano responsabili del procedimento e del provvedimento. Identici o diversi. Se – ad esempio – sono stati riscontrati illeciti contabili nel settore X ed altri nel settore Y – è ragionevole che l’ Amministrazione addivenga alla individuazione di uno o più responsabili. Ciò implica anche che la Procura contabile sa a chi deve rivolgersi nello specifico.     
Ed ora passiamo alle possibili tipologie di danno pubblico.
Quello che abbiamo menzionato prima è il danno erariale classico. Il danno all’immagine è concetto differente dal danno morale da reato.
L’art. 185 del Codice Penale e l’ art. 2059 del Codice Civile: danno morale da reato quale danno morale soggettivo; esempio paradigmatico: il danno morale da uccisione del congiunto; è la pecunia doloris, il patema d’animo, il pretium doloris. Il danno all’immagine non ha peraltro nulla a chè vedere con il danno morale da reato, benchè da quello sia scaturito concettualmente, cioè è stato enucleato dalla dottrina e dalla giurisprudenza contabile inizialmente proprio sulla falsariga di quello. Tuttavia, per la persona fisica si può parlare di pecunia doloris, ossia di monetizzazione del dolore. Per la P.A. non è la stessa cosa. E’ una persona giuridica, non fisica. E’ lesione ad un bene immateriale; è lesione all’ immagine pubblica. Quando si parla di danno all’immagine? Quando vi è stato l’ eco fori, il clamor fori, la risonanza della notizia. Come si quantifica il danno all’immagine? Od in virtù di un criterio, che però oramai è desueto ed è un orientamento minoritario, che è quello delle spese che l’Amministrazione ha sostenuto per ripristinare la propria immagine lesa, oppure con valutazione equitativa, facendo ricorso all’art. 1226 c.c.. Il danno all’immagine si qualifica come ipotesi di danno proprio elaborata dalla giurisprudenza contabile e da intendersi come lesione all’immagine ed al prestigio della Pubblica Amministrazione dimostrabile mediante specifici elementi idonei a comprovare l’effettivo avvenuto discredito della Pubblica Amministrazione in conseguenza della condotta posta in essere dal responsabile. Affinché sussista la lesione del prestigio non occorre nemmeno che sia intervenuta una sentenza di condanna poiché è sufficiente che il fatto sia astrattamente previsto come reato come si desume dall’art. 198 c.p., secondo cui l’estinzione del reato e delle pene non comporta l’estinzione delle obbligazioni civili. Con riferimento ai profili che attengono all’an del danno all’immagine, e cioè all’individuazione della condotta gravemente offensiva del prestigio e della personalità pubblica, si può precisare che: a)  sul piano oggettivo, deve contraddistinguersi per una sua intrinseca capacità offensiva per le specifiche connotazioni fenomeniche e di fatto che la caratterizzano, sia essa sanzionata o meno penalmente; b) sul piano soggettivo, deve essere sostenuta dal dolo, se non penale almeno contrattuale. Nel concreto, la condotta tenuta dall’ agente deve essere stata tale da evidenziare che chi ha agito, con le modalità con cui ha agito, per il bene coinvolto e per il grado di lesione arrecato, aveva la coscienza e la volontà di ledere il dovere, gravante sul medesimo, di espletare le sue funzioni con disciplina ed onore ex art. 54 Cost.; c)    sul piano teleologico deve avere ad oggetto un bene-valore particolarmente sensibile ed espressivo dell’immagine pubblica, quale: la giustizia, la salute, l’ordine pubblico, la sicurezza, ecc.; d)   sul piano sociale, infine la condotta come tale deve procurare un certo allarme tra i consociati, e quindi, un certo clamor, a prescindere dalle notizie che di essa ne abbiano dato gli organi di informazione. Ordunque è con riferimento ai canoni dianzi citati che l’ A.G. contabile procede alla valutazione in via equitativa ex art. 1226 c.c. del danno all’immagine mediante l’ applicazione congiunta e coordinata dei criteri soggettivo, oggettivo, telelogico e sociale. Tali valutazioni discrezionali devono essere congruamente motivate tenendo conto di ulteriori riferimenti quali la collocazione del danneggiante in seno all’organizzazione amministrativa; la titolarità o meno di potere rappresentativo all’esterno; le dimensioni dell’ufficio di servizio; l’entità dell’indebito vantaggio o profitto conseguito ed ogni parametro utile per la determinazione del quantum. Di conseguenza, l’ importo a danno pubblico è ottenibile ricorrendo ad un criterio misto che combini profilo soggettivo, oggettivo, sociale e teleologico.
In diritto civile, si assiste alla proliferazione di nuove ipotesi del danno risarcibile: da mobbing, da contrattazione collettiva, da demansionamento etc., sono tutte ulteriori frontiere di risarcibilità, che esplicano effetto anche in sede contabile.
Si parla di danno all’immagine, da disservizio, da tangente; il danno da mobbing è già entrato nella giurisprudenza contabile, anche se solo di recente ed in sede di rivalsa. Se il dipendente intenta causa all’Amministrazione ed ottiene una sentenza di condanna quantificatoria dell’Amministrazione, ancorché solo provvisoriamente esecutiva in quanto non ancora irrevocabile, ma l’ esborso interviene, vi è danno pubblico. Il demansionamento, il mobbing, risultano attribuibili – ad esempio – ad un certo dirigente, ad un certo funzionario dell’Amministrazione, ebbene costui va chiamato in sede di rivalsa.
Il Giudice Civile condanna – l’Amministrazione paga – poi l’Amministrazione fa la denuncia- si apre l’ istruttoria contabile ma con l’ avvertenza che il Requirente è indipendente dalle valutazioni del Giudice Civile in quanto differenti sono i presupposti a base dell’ azione civile e di quella di responsabilità amministrativo-patrimoniale.
Il danno da disservizio, invece, è un vero e proprio nocumento patrimoniale per il quale si ha la prova dello spreco di risorse e di mezzi strumentali cagionato dal comportamento illecito alla funzionalità del servizio. Esso rileva quale danno emergente per i costi sopportati per rimediare al pregiudizio verificatosi in relazione agli effetti distorsivi sullo svolgimento della attività amministrativa, in modo da pregiudicare il principio del buon andamento ed il raggiungimento delle finalità previste in rapporto alle risorse impiegate. Il disservizio, quale costo negativo di gestione che si traduce in un dispendio di risorse umane o di mezzi strumentali, può essere o determinato equitativamente ovvero quantificato.
E veniamo brevemente alle polizze assicurative per la responsabilità erariale.
Se la polizza è pagata dal datore di lavoro è illecita, se è pagata da voi è lecita.
Se il datore di lavoro ve la trova a condizioni più favorevoli, perché può assicurare ad esempio 1.000 dipendenti ASL, non può stipularla lui, pagano sempre i dipendenti a prezzi scontati.
Poi esistono ulteriori caso limite: l’Ente Locale che paga la Polizza, quindi ci sarebbe danno, però se la fa rimborsare contestualmente dai dipendenti: c’è danno. Il danno non c’è solo se il rimborso è contestuale, in busta paga. Se invece, come capita in qualche Comune marchigiano, dove sono andata a fare un Convegno, dove ti dicono “il rimborso è scadenzato a rate”, quello è danno.
Quando abbiamo parlato prima dei presupposti per la responsabilità, è logico, il presupposto primo, quello originario dal Testo Unico del ’57, è il rapporto di pubblico impiego.
Il rapporto di pubblico impiego è stato contrattualizzato, tranne per noi Magistrati, Diplomatici, etc., a parte due o tre categorie.
È logico che se rimaneva così, come si faceva? Non si poteva mai chiamare in responsabilità. Passo successivo il famoso rapporto di servizio, che è un concetto molto più lato, lo capite, perché significa inserimento di un soggetto, in un apparato organizzativo dell’Amministrazione, a prescindere che ci sia un rapporto di impiego pubblico o meno.
Per cui è rapporto di servizio anche il Direttore dei Lavori, anche il collaudatore, anche il medico convenzionato del Servizio Sanitario. Ci sono tantissime ipotesi, enucleate dalla Giurisprudenza Contabile, dove, pur in assenza di un rapporto di impiego contrattualizzato o meno, esiste il rapporto di servizio, più estesa come nozione.
Il problema a monte è stato che con la privatizzazione, la dismissione, tutti questi processi di trasformazione dal pubblico, nel privato, le Partecipate, che sono l’esempio eclatante, succede che entrando nell’area del privato, la Partecipata, a stretto rigore, è una Società, ad esempio, per azioni, una Società di capitali, privata nominalisticamente, in sostanza pubblica. Perché un Comune può partecipare al 100% oppure come socio di maggioranza, o comunque, anche se non ho la quota di maggioranza, come dice la Giurisprudenza, ho un’influenza dominante, come socio pubblico, è logico che la Partecipata, formalmente privata, non risponderebbe mai, io ho giurisdizione, non c’è rapporto di servizio. Allora dal famosissimo caso del Comune di Roma, caso STA che ha fatto storia, è nata, come Responsabilità Contabile all’inizio, perché la STA non rendeva i conti, ma è diventata proprio Responsabilità Amministrativa, si è sommata. Da quel caso di scuola, abbiamo l’ulteriore discorso, ma questo è nato anche prima, il caso STA è stato solo quello più eclatante, l’estensione della giurisdizione contabile anche al maneggio di pubblico denaro.
Cosa significa? Si guarda l’attività oggettivamente amministrativa, non si guarda più chi sono io, se pubblico o privato, ma quello che faccio, se è pubblico o privato.
Ancorché sembri privatistico, ma assolve delle finalità istituzionali, sto usando pubblico denaro, pubbliche risorse, può diventare ipotesi di danno erariale, perché se la Partecipata utilizza soldi pubblici, c’è giurisdizione.
Per le Partecipate questo discorso è estremamente complesso. La Finanziaria prevede una serie di norme, che tendono anche a ridurre i compensi di questi signori, perché si vedono cose ignominiose: adesso più del Primo Presidente della Cassazione non si può prendere, perché altrimenti questi signori guadagnano cifre stratosferiche.
Sono stati messi dei paletti, per fortuna dalla Finanziaria.
Però le Partecipate sono, da molti profili, sindacabili, perché le Partecipate sono un tipico mezzo per eludere i vincoli alle assunzioni pubbliche.
Noi facciamo le Finanziarie e blocchiamo le assunzioni del pubblico impiego; devo far assumere mio figlio, mio genero, lo faccio assumere da una Partecipata, alla faccia di tutti i vincoli. Per cui nell’Ente Locale “x” le relative famiglie sono tutte nelle Partecipate, prima le trovavi nell’Ente Locale, adesso è a raggiera.
Quindi le Co.Co.Co., le consulenze e questo sistema delle Partecipate.
Altro esempio: adesso c’è una fenomenologia ancora peggiore, per cui c’è stato pure un parere della Funzione Pubblica n. 6, sul Comune di Scandicci, si sono inventati un’altra fattispecie: tu hai la Partecipata, che chiaramente non fa procedura concorsuale di assunzione, ex art. 96 della Costituzione, non fa pubblico concorso, perché formalmente è una Società privata, io ti prendo tot dipendenti (sempre per eludere il discorso dei vincoli alle pubbliche assunzioni), poi mi invento l’istituto del distacco intraenti (la mobilità intraenti, voi sapete benissimo, vale Pubblica Amministrazione-Pubblica Amministrazione), tra Partecipata e Ente Locale. Io non so se a Roma questa cosa c’è, ma è già diffusa in molte Regioni.
Io ho il dipendente della Società Partecipata, che è la mia figlioccia, mi invento una procedura di distacco di comando nell’Ente Locale “x” e la faccio transitare al Comune “x”. Il distacco è vietato da una Società Privata a una Pubblica Amministrazione, deve essere mobilità tra P.A. e P.A., Comune, Regione, etc., non si può fare tra Partecipata, anche se pubblica e Ente Locale, perché lì sei assunto da privato, qui devi fare concorso, così si elude tutto. Si elude anche il vincolo a monte, ti ho inserito nella Partecipata e poi, dopo anni, ti faccio tornare all’Ente Locale.
Del Comune di Scandicci è il parere della Funzione Pubblica n. 6/2006, ma dovrebbe essere nel materiale, comunque lo trovate sul sito della Funzione Pubblica, trovate tutto, anche questi pareri.
La Sezione Giurisdizionale Umbra, ad esempio, in una bellissima sentenza, ha enucleato la Società dannosa, quando si creano le Partecipate, che non solo non servono a nulla, ma si rivelano anche alquanto dannose.
Siamo arrivati ad una nuova frontiera, la frontiera contabile è enucleare la società inutile o dannosa completamente, che arreca pure danno.
 
Intervento della Dott.ssa Elena Brandolini – Magistrato della Corte dei Conti – Sezione Controllo Veneto:
 
A livello di vincoli contabili, riallacciandomi al discorso delle Partecipate, le Partecipate oggi sono viste, non solo dal punto di vista dell’eventuale possibile Responsabilità Erariale, ma anche in merito all’impattazione che i risultati  delle Partecipate possono avere sul bilancio dell’Ente Locale. Chiaro che l’ottica, il fine da perseguire, oggi come oggi, non è più quello del semplice pareggio di bilancio, come ci dice il vecchio Codice di Contabilità, ma è il perseguimento dell’equilibrio economico a prevalere nel tempo ed equilibrio economico significa non semplice quadratura dei conti, fra entrate ed uscite, ma reale allocazione e creazione del ciclo di bilancio con appostazione reale delle poste di bilancio in maniera tale da avere l’equilibrio.
Cosa succede con le Partecipate? Di solito le Partecipate venivano create, a parte per le elusioni di cui parlava la collega, ma anche, ultimamente, per eludere dei vincoli di bilancio, quali quelli del patto di stabilità oppure anche altri vincoli al patto stesso. Però poi non ci possiamo disinteressare dei risultati delle Partecipate, perché concorrono a formare il risultato dell’Ente Locale, quello economico, reale. Se a un certo punto le Partecipate cominciano ad essere in perdita, e si cominciano a ricapitalizzare o in qualche modo a ripianare i debiti delle Partecipate (perché c’è anche da dire che molto spesso la ricapitalizzazione nasconde semplicemente un ripiano di perdite, da parte della Società partecipata), e lì c’è tutto un discorso di responsabilità: chi doveva controllare, chi doveva verificare, chi doveva fare la ponderazione degli interessi al fine di salvaguardare il munus pubblico, di cui l’Ente Pubblico è tributario, per cui non si riesce attraverso il procedimenti del 193 del T.U.E.L. a riequilibrare effettivamente il bilancio, c’è la responsabilità da dissesto finanziario. C’è un’ipotesi di responsabilità multipla, non c’è una sola operazione dannosa, da cui scaturisce la responsabilità ma ci sono tante plurime azioni, che un po’ alla volta, hanno creato il cosiddetto buco, perché il buco non si crea dall’oggi al domani. Fortunatamente con la Finanziaria del 2006, dal comma 166 in poi dell’articolato unico, nel momento in cui è stato introdotto il vero e proprio controllo – audit finanziario contabile, su tutti gli Enti Locali, proprio sui vincoli perfetti, cioè i vincoli fondamentali della finanza pubblica, tutto questo viene controllato a tappeto, questa volta dalle Sezioni Regionali di controllo, ai fini di salvaguardare gli equilibri reali del bilancio. Dai quali possono scaturire, laddove ci siano forme di responsabilità grosse, azioni di responsabilità da parte delle competenti Procure.
Il caso di Rivisondoli – Corte dei Conti dell’ Abruzzo – su una società, un impianto di …. proprio perché è stata spostata la  qualificazione del rapporto dal soggetto all’oggetto, cioè il denaro pubblico. Utilizzi denaro pubblico, quindi ti devi comportare come soggetto pubblico e ne rispondi. Perché non stai utilizzando denaro tuo, quindi scatta l’obbligo di rendicontazione perché in quel momento la Società svolge un ruolo pubblico.
 
Dott.ssa Francaviglia: Grazie alla collega Brandolini per il suo intervento. Questo, in estrema sintesi, il problema delle Partecipate, in continua evoluzione giurisprudenziale ovviamente…Adesso tratterò – sia pure sinteticamente per limiti di tempo – del diritto processuale contabile.
L’ azione del P.M. contabile scaturisce da una notitia damni quale ipotesi di danno all’ erario appresa o ricevuta dalla Procura Contabile anche a seguito di indagini sollecitate da esposti.
Da essa si avvia un processo di responsabilità amministrativa . Il P.M. può esercitare i suoi poteri sulla base di una notizia di danno sia pure di qualsiasi natura o provenienza ivi comprese le informative erariali da parte di altri uffici della Corte ( ad esempio della Sezione del Controllo ) o di altre magistrature, nonché denunce di P.A. o di privati cittadini od articoli di stampa e via dicendo.
Secondo tale prospettiva, analogamente a quanto avviene nel processo penale, possono aversi notizie qualificate di danno e notizie inqualificate di danno a seconda della particolare qualifica di chi le fornisce ( ad esempio: Pubblici Ufficiali ). Fra le ipotesi di notizie qualificate erariali vi sono quelle contemplate dalle leggi nn. 89 e 97/2001.
La Procura Contabile è articolata presso le sezioni centrali e periferiche della Corte ( Procure regionali ).
Quando il P.M. riceve una notizia di danno, laddove non la ritenga manifestamente infondata e rientri nella propria competenza territoriale, ha l’ obbligo della azione di responsabilità.
I giudizi di responsabilità nascono dunque per iniziativa del P.M. contabile e si articolano nella fase istruttoria e dibattimentale, semprechè la prima fase non termini con un provvedimento di archiviazione.
Nella fase istruttoria, egli deve acquisire tutti gli elementi idonei a comprovare l’ esistenza di danno pubblico e la conseguente responsabilità del presunto colpevole.
 A tal fine ha ampi poteri potendo anche disporre il sequestro documentale e disporre audizioni personali. In luogo dell’ avviso di garanzia, è previsto l’ invito a dedurre che ha lo scopo di consentire al presunto responsabile di avere tempestiva conoscenza della esistenza di un procedimento di responsabilità erariale nei suoi confronti e, quindi, ha fini garantistici del diritto di difesa.
L’ invito è atto processuale tipico o, meglio, preprocessuale. In disparte che è ammessa la proroga delle indagini a determinate condizioni, all’ invito può seguire o l’ archiviazione o la citazione in giudizio che è atto processuale a cui segue il giudizio di responsabilità che si conclude o con una sentenza di condanna od assolutoria ovvero essere di mero rito ( prescrizione dell’ illecito erariale, decesso del presunto colpevole, incompetenza e via dicendo ).
Il sequestro conservativo è una misura cautelare di conservazione della garanzia patrimoniale e contro il pericolo di insolvenza debitoria in via anticipatoria del pignoramento mobiliare od immobiliare che può essere richiesta dalla Procura contabile seppure suscettibile di reclamo.
Previsto dall’ art. 48 del R.D. n. 1038/1933 e concesso su domanda del Procuratore Generale o regionale dal Presidente della Sezione con decreto, può riguardare beni immobili, mobili o crediti che    il    convenuto vanta nei confronti della P.A. ( assegni, stipendi, pensioni, buonuscita ) con rinvio alla disciplina del codice di procedura civile.
All’ art. 1 comma 174, la Legge Finanziaria per il 2006 prevede che onde realizzare una più efficace tutela dei crediti erariali, l’ art. 26 R.D. n. 1038/1933 si interpreta nel senso che il procuratore regionale della Corte dei Conti dispone di tutte le azioni a tutela delle ragioni del creditore previste dal codice di procedura civile, ivi compresi i messi di conservazione della garanzia patrimoniale di cui al Libro VI, Capo V, del codice civile.
L’ esecuzione delle sentenze di condanna compete alla stessa amministrazione danneggiata; il chè costituisce un limite notevole in materia. Tuttavia, alla Corte compete il compito di monitorare e verificare detta esecuzione in capo alle P.A. con possibili risvolti di responsabilità laddove esse rimangano inerti nell’ azionamento del titolo in loro favore. Da ultimo, la Legge Finanziaria per il 2006 ha introdotto il cosiddetto condono erariale. 
Un concetto di fondamentale importanza da tenere bene a mente è che denunciare illeciti erariali integra un obbligo e non una mera facoltà.
La Procura contabile è titolare dell’ esercizio dell’ azione di responsabilità, ma agisce sulla base della conoscenza comunque acquisita di notizie di danno. Non trattasi, quindi, di una sorta di potere di controllo generalizzato ed immanente sull’ attività espletata dalla P.A..
Le denunzie possono promanare da altre A.G. ( caso classico: quella penale e quella penale militare; ma anche civile, amministrativa, tributaria ); dalla stessa Corte dei Conti che accerti fattispecie di danno in funzione di controllo e che ne investa la Procura competente; da articoli di stampa e similari; da esposti anonimi e non, sia da parte di singoli che di associazioni; da esposti delle P.A. danneggiate con particolare riferimento ( ma non solo ) agli organi apicali gestionali ed a quelli di controllo interno specie ispettivi che, essendo terzi imparziali, dovrebbero sempre provvedere in tal senso. Un certo rilievo numerico hanno le informative ( atti dovuti ) del Ministero dell’ Interno per smarrimento o furto o distruzione di telefoni cellulari o palmari od altro strumentario tecnico in dotazione al personale di polizia e per i danni da sinistri stradali alle volanti di servizio.
L’ obbligo di denuncia è normativizzato in relazione a quanto previsto all’ art. 5 L. n. 89/2001 ( comunicazione al Procuratore Generale della Corte dei Conti delle pronunce di accoglimento delle eque riparazioni ai cittadini in caso di violazione del termine ragionevole del processo); agli artt. 6 e 7 L. n. 97/2001 ( in caso di condanna per delitti contro la P.A. commessi a fini patrimoniali, la sentenza è trasmessa al Procuratore Generale della Corte dei Conti, che procede ad accertamenti patrimoniali a carico del condannato – nonché la sentenza irrevocabile di condanna pronunziata nei confronti di pubblici dipendenti per reati contro la P.A. è comunicata al competente Procuratore regionale della Corte affinché promuova entro trenta giorni ( termine non perentorio ) l’ eventuale procedimento di responsabilità per danno erariale nei confronti del condannato fermo restando quanto disposto dall’ art. 129 Disp. Att. c.p.p.); all’ art. 23, punto 5, L. n. 289/2002 che prescrive la trasmissione alla Procura contabile dei provvedimenti di riconoscimento di debito posti in essere dalle P.A..
Ed, in ogni caso, a prescindere dai suindicati riferimenti normativi, è principio insito nel sistema ordinamentale che l’ obbligo di denunzia tale sia.
A ciò aggiungasi l’ art. 1, comma 3°, L. n. 20/1994 che rende perseguibile l’ illecito contabile da omessa o ritardata denuncia di un danno erariale che abbia fatto prescrivere il diritto al risarcimento per decorso del termine quinquennale di legge e per tale condotta lesiva il termine decorrerà dalla data di maturazione della prescrizione del fatto non denunciato. Esempio pratico: si apre procedimento erariale per duplicazioni di pagamenti di prestazioni previdenziali. Il giudizio viene archiviato per prescrizione dell’ illecito erariale per decorrenza del termine di legge. Si apre una nuova vertenza nei confronti di chi omise di denunciare a tempo debito l’ illecito erariale ossia nei confronti dell’ ex-Direttore di Sede anche sulla base di documentazione comprovante che all’ epoca un avvocato dell’ ufficio legale della struttura aveva segnalato – come suo preciso dovere istituzionale e formalmente – le evenienze di danno verificatesi chiedendo che si provvedesse in conformità. Non si era mai provveduto né allora né successivamente. Ergo: duplice condotta pregiudizievole nell’ uno e nell’ altro caso. Duplice termine prescrizionale in ambedue le ipotesi.
In ogni caso, l’ art. 53 succitato sanziona l’ omessa denuncia anche se i responsabili vengano perseguiti entro il termine prescrizionale: l’ apicale rimasto inerte risponde a titolo di concorso omissivo del danno arrecato all’ amministrazione.
Peraltro, la Procura Generale Contabile con apposito atto di indirizzo di coordinamento I.C./16 del 1998 ha dettato a tutte le P.A. gli indirizzi operativi in ordine alle modalità di inoltro delle denunce di fatti dannosi alle competenti Procure regionali. La responsabilità per omessa o ritardata denuncia comporta precise conseguenze in capo ai responsabili, ma ha anche una negativa incidenza sul giudizio di responsabilità rendendo inevitabilmente più ardua l’ acquisizione degli elementi probatori,nonchè diminuendo la portata che un immediato sequestro conservativo od altra misura di conservazione della garanzia patrimoniale – come da ultimo previsto nella Legge Finanziaria 2006 – sui beni del responsabile da parte del procuratore regionale potrebbe avere. Su chi grava l’ obbligo di denuncia immediata ? Certamente su tutti gli apicali dell’ ente intendendosi per apicali sia i dirigenti, sia i capi dipartimento, sia i capi servizio, sia il Ministro per comportamenti illeciti di costoro. Peraltro, quando si parla di “organo di vertice “- come recita l’ atto di indirizzo della Procura Generale – si allude al personale in posizione di sovraordinazione in senso lato ( reggenti o facenti funzione, legali coordinatori, responsabili di processo ) rispetto all’ autore dell’ illecito.
La conoscenza di quest’ ultimo può poi intervenire o direttamente e personalmente ovvero anche indirettamente ex art. 20 T.U. n. 3/1957, a seguito della doverosa segnalazione. Trattasi della informativa erariale che per avere un’ efficacia dirompente dovrebbe sempre includere una formula del seguente tenore:” Tanto si comunica ( o tanto si segnala ) ai sensi e per gli effetti di quanto previsto dall’ art. 1, cpv. L. n. 20/1994 ( Responsabilità amministrativa per danno erariale ) “ e se un dipendente è zelante e non del tutto sprovveduto menziona anche gli estremi delle eventuali norme applicative o circolari interne all’ ente che se ne sia munito. Il chè significa che se poi l’ apicale omette di procedere, lui ne risponde. Informative – beninteso- sempre con copia per ricevuta e con tanto di protocollo informatico o meno che sia . Informative che si spillano in copia alla pratica incisa ( se una pratica esiste ) e di cui si serba sempre copia possibilmente anche in luogo diverso dall’ ufficio. E siccome non si sa mai quali siano i possibili sviluppi anche giudiziali della vicenda, è buona regola annotare l’ avvenuta segnalazione anche in copertina o sul retro della stessa, datarla e siglarla di proprio pugno. Ciò che conta è premunirsi sempre la prova documentale di avere ottemperato al dovere di segnalazione agli apicali e mai temere di essere sanzionati per avere agito in ossequio a quanto la legge impone.              
Anche l’ omessa o ritardata informativa erariale del personale agli organi apicali integra violazione del principio di collaborazione fra pubblici dipendenti ( principio questo già presente nel testo Unico all’ art. 18 ed ora nei C.C.N.L. di comparto e nel Codice Deontologico dei pubblici dipendenti ).
Da ultimo, la Sezione Giurisdizionale per il Veneto, con sentenza n. 1010/2005, ha statuito che l’ avere omesso la denunzia di un pregiudizio erariale comporta per i soggetti che a tale obbligo siano sottoposti la violazione di norme specifiche con conseguente configurabilità di colpa grave di colui il quale era tenuto a presentare l’ esposto alla Procura contabile. 
L’ unica eccezione alla regola della cosiddetta gerarchizzazione dell’ obbligo di denuncia alla Corte dei Conti, solo attenuata dalla doverosa informativa erariale da parte dei subordinati ai propri superiori, concerne il caso di accertamenti di fatti dannosi per le pubbliche finanze da parte di qualsivoglia soggetto al quale siano demandate per ragioni di ufficio funzioni particolari a riscontro di fatti lesivi per l’ amministrazione. Ordunque, gli organi di controllo interno od esterno alla P.A. interessata sono obbligati in proprio ad una immediata ed autonoma denuncia alla Procura Contabile, oltrechè, se del caso, a quella penale.Tale previsione è finalizzata ad evitare che decorra il termine prescrizionale dell’ illecito contabile, tant’ è che in ipotesi di accertamento di danno durante un procedimento ispettivo, detto termine decorre dalla data dell’ accertamento stesso e non dalla data di consegna della relazione ispettiva.
Per gli enti locali vigono regole analoghe. Quindi, per i casi di responsabilità amministrativo-contabili di cui alla L. n. 142/1990 ( art. 58), l’ obbligo incombe sul segretario comunale o provinciale per gli illeciti commessi dal personale impiegatizio , mentre grava sul Sindaco ( o sul Presidente della Provincia ) o sull’ assessore delegato per gli illeciti commessi dal segretario comunale; è demandato al consiglio od alla giunta comunale quale organo collegiale per gli illeciti commessi dagli amministratori.
L’ obbligo di denuncia non sussiste soltanto nei confronti dei dipendenti intranei alla amministrazione, ma anche per quelli ad essa estranei purchè legati ad essa da un rapporto di servizio. Parimenti, l’ obbligo presuppone la verificazione di un fatto dannoso nel senso di danno pubblico ( art. 1, comma 2°, L. n. 20/1994 ). Se il danno è diretto ( del dipendente nei confronti della P.A. ), detta verificazione si ha alla data dell’ evento lesivo ( eccettuato il caso di occultamento doloso ) ( ad esempio: Tizio sottrae un PC dall’ ufficio e se lo porta a casa ). Di converso, se il danno è indiretto, si integra il presupposto allorquando passa in giudicato la sentenza di condanna della amministrazione a risarcire il danno cagionato dal suo dipendente ad un terzo. Da tale data insorge l’ obbligo di denuncia.
A fronte di mere ipotesi di danno, l’ obbligo non è ravvisabile, ma onde evitare che da danno potenziale si tramuti in danno attuale ed effettivo, subentra un costante dovere di vigilanza. Tuttavia, dalle cosiddette ipotesi di danno occore distinguere le situazioni di fatto con potenzialità lesiva a fronte delle quali è ammessa la denuncia erariale allo scopo di tenere indenni da eventi pregiudizievoli l’ amministrazione. In ambedue i casi, se il dipendente rimane inerte, non essendovi un vero e proprio obbligo di denuncia, non è configurabile responsabilità amministrativa in capo a costui.
L’ art. 1, comma 3, L. n. 20/1994, recependo il principio di cui all’ art. 361 c.p. in punto denuncia alla Procura penale di fatti criminosi rilevanti, acclara che , in disparte l’ omissione, anche il mero ritardo nell’ inoltro della denuncia alla Procura contabile dà luogo a responsabilità erariale nei confronti di chi era tenuto a denunciare e non l’ ha fatto tempestivamente, in guisa tale che la tardività nella presentazione dell’ esposto è risultata ostativa alla sollecita adozione delle misure di rito che, comunque, hanno    pur sempre i loro tempi tecnici   minimi   di   attivazione.
Ciò premesso, in molte amministrazioni pubbliche ( ed, in particolare modo, agli apicali di esse ), è che trattasi di obbligo di denuncia di fonte legale e, di conseguenza, non è che si possa soprassedere a proprio personale arbitrio e piacimento. Principio questo che trasversalmente vale anche per le ipotesi di reato per le quali l’ obbligo in questione è – per l’ altrettanto – ugualmente normativizzato. Poniamo il caso di un ufficio legale interno ad un ente territoriale o ad un ente pubblico. Un avvocato, incardinato a detto ufficio, rileva che un suo collega od un suo predecessore abbia riversato su se stesso invece che all’ ente somme dovute da un terzo quale debitore dell’ amministrazione stessa a seguito di recupero coattivo ( ad esempio – procedura di esecuzione mobiliare ). Invece, di denunciare il fatto   documentalmente comprovato penalmente e contabilmente sia pure segnalando l’ evenienza al proprio apicale perché provveda in tal senso, preferisce optare per il recupero informale brevi manu   manipolando gli atti che dimostrano la sussistenza di reato e di ammanco ovvero occulta de plano le prove cartolari ovvero ancora fa sparire l’ intera pratica recuperatoria del credito. L’ avvocato ne risponde in sede penale ed erariale. Altro esempio pratico: il dirigente della sede X di un certo ente pubblico è a conoscenza di fatti a rilievo penale e contabile nell’ ambito della propria struttura legale ai quali egli ha direttamente concorso disponendo l’ esecuzione di titoli giudiziali e conseguente pagamento in favore degli aventi diritto senza preventiva acquisizione dell’ ordine legale interno così obbligando i liquidatori a procedere alla liquidazione sulla base del mero inoltro del titolo sic et simpliciter ovvero recante un mero timbro di trasmissione e/o di protocollo informatico. Ebbene, detto dirigente risponde per abuso ed omissione di atti di ufficio e per l’ eventuale danno arrecato all’ amministrazione scaturente da erronea od inesatta liquidazione del quantum. Unitamente a lui ne rispondono i liquidatori ed il loro responsabile amministrativo se non si sono premurati di disattendere l’ ordine illecito impartito loro ( vedasi supra    su ordini illegali e potere di rimostranza ). E’ principio pacifico ed acquisito nel sistema a legislazione vigente che nessun dipendente pubblico mai possa essere costretto ad eseguire ordini integranti fattispecie criminose o di danno pubblico od ambedue. Nessuno mai si deve prestare a concorrere nell’ illecito.
E seppure sotto la prospettazione di vessazioni o di condotte persecutorie, si deve sempre per buona prassi anche a tutela personale precostituirsi le prove dell’ illecito e denunciare laddove chi è tenuto a farlo ometta.
Le denunce anonime spesso chiaramente provengono da dipendenti dell’ ente danneggiato che, o per mobbing o per tema di altre conseguenze sul posto di lavoro, fanno ciò che i loro apicali dovrebbero fare e che solitamente omettono per tema di risponderne essi stessi o perché concorrenti nell’ illecito ( se non addirittura autori di esso ) o per culpa in vigilando. Per gli enti locali si assiste poi a fenomenologie diversificate dove un certo rilievo hanno le denunce anonime a firma di fantomatici gruppi pseudo-politici non meglio identificabili, talora trincerantesi dietro slogans di vario genere, ma dove soprattutto gli esposti sono attribuibili a consiglieri dell’ opposizione e per fatti oggetto di deliberazione consiliare o giuntale. Logicamente non è che ad ogni denuncia – specie se anonima e generica – faccia seguito un giudizio erariale. A titolo esemplificativo: se la denuncia è genericamente formulata, se non ricomprende addebiti specifici con indicazione dei presunti responsabili di danno e degli asseriti illeciti, delle circostanze di tempo e di luogo, se è priva di documentazione a supporto, se è farneticante, se è mera dichiarazione di intenti o di principi etici o sinanche di diritto ma senza indicazione degli addebiti, se è solo espressione di rancori personali e/o di diatribe interne all’ ente e finalizzata a strumentalizzazioni politiche senza specificare altri elementi ( ipotesi di frequente verificazione specie negli enti locali di piccole dimensioni ), ben difficilmente essa potrà avere esito diverso dalla archiviazione. Ad esempio: non è sufficiente asserire che presso il Comune X vi siano appalti illeciti; che le consulenze siano d’ oro; che gli amministratori rubano e spandono senza fornire un indizio probatorio e senza menzionare di quali appalti trattasi, di quali consulenze si parla e di quali amministratori ci si duole. Gli elementi essenziali vanno sempre forniti. Denunciare illeciti è un obbligo; fornire un minimo di supporto probatorio è doveroso; denunciare tanto per farlo equivale fattualmente a non denunciare affatto. E’ chiaro che se per fatti analoghi già esistano vertenze in corso per causali identiche o connesse o se per gli stessi fatti di denunce ne provengono più di una, un P.M. contabile dovrà vagliare con attenzione se vi possa essere una fondatezza in relazione alla notizia di danno denunciata. Di sovente, accade che lo stesso esposto, anonimo o meno che sia, venga inoltrato contestualmente alla Procura penale ed a quella contabile ovvero ad esse e ad altre amministrazioni ritenute sovraordinate a quella interessata dall’ illecito.    
L’ autodenuncia è possibile anche se di rara verificazione per ovvie ragioni. Argomentando a contrario, si dovrebbe sostenere che nessuno è tenuto a denunciare se stesso all’ A.G. contabile. Ma per l’ altrettanto un’ autodenuncia può scaturire anche da ragioni di autodifesa personale. Ad esempio, a Tizio, amministratore dell’ ente locale X, vengono attribuite condotte di danno sugli organi di stampa. Invece che querelare per diffamazione laddove ritenga ve ne siano gli estremi, Tizio preferisce optare per l’ autodenuncia alla Procura contabile a voler dimostrare, in caso di archiviazione o di formula assolutoria, che la propria condotta era immune da censure e non causativa di pregiudizio al patrimonio pubblico.               
Le denunce delle amministrazioni danneggiate, in assenza di puntuali indicazioni normative sul punto stante la laconicità del testo dell’ art. 20 del T.U. n. 3/1957, devono comunque indicare il fatto di malagestione sia quale condotta lesiva del pubblico dipendente, sia quale iter procedimentale seguito, evidenziando quali siano state le illegittimità rilevate con quantificazione del danno subito ancorché se arrecato alla immagine dell’ ente ( in tal caso comprovando che vi sia stato un clamor fori mediante l’ allegazione di articoli di stampa e similari ), e seppure non quantificato neanche in via equitativa, menzionando quei criteri da utilizzare perché a detta quantificazione di addivenga; le generalità anagrafiche complete ed il domicilio attuale ed eventuale di servizio dei presunti responsabili di danno ( eventuale di servizio perché potrebbe trattarsi anche di un dipendente cessato dal servizio od appartenente ad altra amministrazione in caso di danno obliquo o trasferito altrove e via dicendo), tenendo conto che le stesse P.A., in virtù delle specifiche norme di settore, sono a conoscenza dei responsabili dei procedimenti; se trattasi di soggetti deceduti, le generalità ed il domicilio degli eredi legittimi o testamentari fermo restando che siccome essi rispondono solo in caso di illecito arricchimento del de cuius e di indebito loro arricchimento, la valutazione in questione spetta esclusivamente al requirente; se si verte in ipotesi di conti giudiziali andranno menzionate le generalità ed il domicilio dell’ agente tenuto alla resa del conto ( se il conto è stato reso se ne indicano gli estremi; se non è stato reso ne va disposta la compilazione anche di ufficio ). La denuncia erariale scatta anche in ipotesi di presentazione tardiva di conti amministrativi di gestioni di bilancio e fuori bilancio autorizzate e di rendiconti.
L’ Amministrazione denunciante può riservarsi di integrare il contenuto dell’ esposto ( ad esempio, mediante l’ allegazione di documentazione acquisita nel prosieguo ) e, quindi, sua sponte provvedere in prosieguo ad ulteriori informative finalizzate anche ad acclarare gli sviluppi della vicenda.
La stessa Procura può inviare richieste istruttorie specifiche chiedendo l’ inoltro di documenti non allegati, oltrechè relazioni dettagliate sui fatti oggetto di denuncia e delucidazioni con riferimento a circostanze, situazioni ed evenienze illustrate dal denunciante o rilevabili dagli atti inoltratile.
Parimenti, va trasmessa informativa alla Procura contabile in relazione a quei giudizi che abbiano comportato un esborso di somme costituente danno pubblico ( ad esempio: l’ alunno che ha subito lesioni a scuola per omessa vigilanza dei docenti con condanna della scuola alla refusione dei danni subiti e conseguente possibilità di rivalsa nei confronti degli insegnanti in sede contabile ).
Generalmente, le amministrazioni danneggiate procedono autonomamente alla notifica di atto di costituzione in mora con effetto interruttivo del decorso del termine prescrizionale ai presunti responsabili di danno loro dipendenti e la allegano unitamente alla denuncia ( ad esempio: per il personale della P.S., quello militare, quello insegnante e via dicendo ). 
Stante l’ obbligatorietà, male agisce l’ apicale dirigente della struttura di un ente pubblico il quale, avendo contezza della esistenza di un danno pubblico attuale e concreto, ne ometta l’ esposto sotto tema di conseguenze a suo carico per culpa in vigilando ovvero per sua eventuale connivenza nell’ illecito.
Si immagini una procedura concorsuale in cui doveva essere insinuato tempestivamente un credito vantato dall’ amministrazione e che detta insinuazione venga invece effettuata tardivamente ( tanto tardivamente da pervenire a procedura già chiusa per ragioni diverse dalla incapienza di attivo)  ovvero non effettuata affatto cosicché la legittima pretesa viene vanificata.
A maggior ragione se l’ ente è creditore privilegiato.
Ne risponde l’ avvocato attributario interno ed eventualmente gli amministrativi preposti. Ma ne può anche rispondere il direttore se non ha vigilato correttamente.
Ed ancora: se il Legale interno di una qualsiasi Pubblica Amministrazione debba presenziare alle udienze per procedure concorsuali e non lo faccia ed il giudizio vada estinto ( si pensi ad una procedura ordinaria e tempestiva in sede fallimentare; si pensi ad una opposizione alla esecuzione passiva; si pensi ad un decreto ingiuntivo opposto da controparte ), il Dirigente la struttura, sia in questo caso come in quelli precedenti, deve e non può denunciare alla Procura contabile quanto accaduto essendosi pregiudicate le ragioni creditorie dell’ ente, oltrechè alla Procura penale gli illeciti omissivi.
E se a segnalare le evenienze di danno siano proprio gli avvocati interni che abbiano, ad esempio, riscontrato che l’ impiegato X non annotava in agenda le udienze delle concorsuali così consentendo l’ estinzione delle procedure, il dirigente dovrà dare seguito.
Ma non sempre si dà seguito. E se non si dà seguito vorrà dire che l’ apicale ne risponde pienamente per concorso nell’ omissione in sede penale ed in sede contabile.
Di sovente, i fatti dannosi vagliati dal Giudice contabile possono essere oggetto di disamina in sede di altri giudizi ( civili, penali od amministrativi ) con eventuali correlazioni in termini di concorrenza, pregiudizialità e preclusione. Ciò è conforme ad un ordinamento come il nostro che si caratterizza per una pluralità di giurisdizioni. In tal caso, si ha cumulo di illecito o cumulo di antigiuridicità nel senso che la medesima condotta può essere antigiuridica rispetto alla legge penale, civile ed amministrativa ex art. 28 Cost. ed il concorso di antigiuridicità può essere omologo od eterologo a seconda che i plurimi illeciti appartengano o meno alla stessa branca del diritto, senza che fra i diversi tipi di responsablità viga il divieto del “ne bis in idem”. I rapporti con gli altri giudizi possono rilevare sotto un duplice profilo: 1) quello attinente all’ esercizio della giurisdizione dal punto di vista della pregiudizialità del diverso giuridizio civile, penale od amministrativo rispetto a quello contabile; 2) quello degli effetti del giudicato nelle altre sedi giurisdizionali rispetto allo svolgimento del giudizio erariale. Solitamente fra giudizio contabile e gli altri giudizi vi è seprazione; tuttavia, può esserci coordinazione allorquando occorra ovvero sia opportuna la definizione dell’ intero giudizio pendente altrove per una migliore conoscenza dei fatti di causa ovvero la definizione di una questione occasionale, ma pregiudizialmente rilevante ( ad esempio: la questione di falso ).
Sulla base di Corte Cost. n. 55/71, si ritiene che il giudicato penale con cui si sia liquidato il danno erariale precluda la proposizione dell’ azione di responsabilità amministrativa nei confronti del condannato. Tuttavia, l’ eventuale consumazione della azione di responsabilità per essere stato il danno completamente risarcito con la costituzione di parte civile non dà luogo ex se ad un bis in idem, né preclude la giurisdizione contabile, bensì pone soltanto un problema di proponibilità della azione.
Generalmente fra giudizio contabile e giudizio penale e civile risarcitorio vi è autonomia e separatezza. Un rapporto di pregiudizialità necessaria sarebbe ravvisabile relativamente al danno all’ immagine, poiché non sarebbe possibile procedere ad addebito erariale senza che i fatti penali lesivi siano stati definitivamente accertati nella loro consistenza quale reato.    
Fra giudizio contabile e giudizio penale vi è un rapporto di separazione ed autonomia in ragione del venir meno della pregiudiziale penale di cui all’ art. 3 c.p.p. nel testo previgente al nuovo codice.
Tuttavia, stante la laconicità della disciplina relativa alla collaborazione, cooperazione e coordinamento istruttorio fra due Procure che indaghino sullo stesso fatto – una per accertarne l’ illiceità criminosa e l’ altra erariale – si osserva ancora una volta che innanzitutto esiste l’ art. 129 Disp. Att. c.p.p. a mente del quale il P.M. penale deve segnalare al P.M. contabile fatti di danno pubblico in sede di richiesta di rinvio a giudizio ovvero allorquando dispone una misura cautelare nei confronti di un dipendente pubblico e, per l’ altrettanto, il P.M. contabile deve trasmettere al P.M. penale le notizie di reato acquisite in fase istruttoria.
Peraltro, tale obbligo spesso risulta inosservato.
Inoltre, la L. n. 97/2001 contempla l’ inoltro dovuto al requirente Corte delle sentenze irrevocabili di condanna pronunziate nei confronti di dipendenti statali e di enti pubblici ovvero di enti a partecipazione pubblica per reati contro la P.A., affinché venga promosso l’ eventuale procedimento erariale entro trenta giorni, termine ritenuto non perentorio.
La problematica più delicata attiene all’ invio delle risultanze istruttorie che siano state acquisite dalla polizia giudiziaria durante le indagini preliminari.
Vi è il diritto dell’ A.G. contabile all’ ottenimento di copia degli atti del procedimento penale ex art. 116 c.p.p. laddove essa provi di averne interesse quando tali atti non siano più coperti da segreto istruttorio, posto ovviamente a tutela delle indagini e non dell’ indagato, ossia quando le indagini o sono state definite e chiuse ovvero prima della chiusura, se l’ imputato o la persona sottoposta alle indagini ne abbia avuto conoscenza ( artt. 61 e 329 c.p.p. ). E’ palese, poi, che per poter procedere a sequestro conservativo in via cautelare, la Procura contabile potrebbe avere necessità di disporre delle risultanze penali. Si esclude l’ applicabilità dell’ art. 75, 3° comma, c.p.p., al giudizio contabile relativamente alla sospensione necessaria.
Ai sensi dell’ art. 651 c.p.p., la sentenza penale irrevocabile di condanna emessa in sede penale dibattimentale od a seguito di giudizio abbreviato, ha efficacia di giudicato “ quanto all’ accertamento del fatto, alla sua illiceità penale ed alla affermazione che l’ imputato lo ha commesso”.
Con riferimento all’ art. 652 c.p.p. ( sentenze assolutorie ), invece, deve rilevarsi che, comunque, la Corte deve valutare fattispecie per fattispecie pur tendendo presente l’ accertamento effettivo di cui alla sentenza di assoluzione, in quanto il danno all’ erario ben potrebbe ugualmente sussistere, sia pure in assenza di ipotesi criminosa.
Si pensi al caso di un reato punito soltanto a titolo di dolo specifico (“al fine di…”). Ancorché penalmente Tizio venga assolto per insussistenza di tale elemento psicologico, ciò non esclude affatto che possa esservi il dolo erariale che non è generico o specifico.
Ergo: non necessariamente chi venga assolto in sede penale, viene assolto in sede erariale. E, parimenti, non necessariamente chi venga condannato in sede penale, va condannato in sede erariale se il danno – ad esempio – non sussista.
Sintetizzo quanto detto:
a) Si può commettere un reato, ma non cagionare danno alla amministrazione di appartenenza o ad altra amministrazione;
b) Si può commettere un reato e cagionare danno pubblico;
c) Si può arrecare danno erariale e non commettere un reato.
Ciò fermo restando quanto previsto dalle disposizioni normative succitate.
In merito alla costituzione di parte civile della amministrazione danneggiata in sede penale ovvero nel caso in cui il responsabile sia condannato al risarcimento dei danni subiti dalla P.A. con provvisionale, si precisa che ciò non è ostativo all’ esercizio dell’ azione di responsabilità da parte della Procura contabile.
Tuttavia, se in sede civile sia intervenuto un giudizio sul risarcimento danni di importo maggiore per le fattispecie di danno pubblico anche se non equivalenti ed identiche, peraltro sovrapponibili, subentra il cosiddetto difetto di interesse Giammai, però, un giudizio civile pendente risarcitorio può incidere su quello contabile.
Perciò, ancorché l’ amministrazione possa costituirsi parte civile nel processo penale, non è inibito al P.M. contabile di procedere alla determinazione definitiva del quantum di danno dovuto dall’ incolpato. Nemmeno la revoca della costituzione di parte civile con transazione extragiudiziale è di per sé idonea a precludere l’ autonoma azione di responsabilità amministrativa allorquando sussista interesse al recupero di danni ulteriori.
Risulta, invece, impeditivo l’ effettivo e totale ristoro del danno arrecato in guisa tale che si ha una declaratoria di improcedibilità della domanda per carenza di interesse o sopravvenuta od originaria.
Se il risarcimento è stato soltanto parziale, il P.M. ha interesse ad agire dovendo solo considerare, in detrazione ed in sede di quantificazione del danno, l’ importo già corrisposto.
In sostanza, egli agisce per la differenza non coperta dal risarcimento parziale.
Nell’ ipotesi di procedimento penale definito con sentenza di patteggiamento ex art. 444 c.p., si afferma che detta sentenza non integra di per sé prova di responsabilità amministrativa dovendo il giudice valutare, dagli atti e dalle risultanze acquisite in sede penale, se tale responsabilità effettivamente sussista o meno.
In ogni caso, la sentenza patteggiata riveste un particolare valore probatorio anche a non volerla considerare ammissione di responsabilità penale ( valore probatorio superabile solo mediante prove contrarie specifiche ). Anche rispetto al giudizio civile risarcitorio, deve rilevarsi che sussite preclusione soltanto quando sia intervenuta una pronunzia integralmente satisfattiva. La mancata partecipazione del dipendente al giudizio di responsabilità civile fra P.A. e terzo danneggiato non incide in sede contabile essendo il fondamento della dedotta responsabilità differenziato.
Pertanto, non vi è alcun vincolo scaturente dal giudicato civile se non nei termini di massimale di commisurazione del danno indiretto a base dell’ azione. Neanche il Giudice civile che abbia condannato definitivamente il dipendente in solido con la P.A. può vincolare il Giudice contabile, il quale, riesaminati i fatti sotto il profilo della colpevolezza, potrebbe, nonostante il giudicato intervenuto assolvere per carenza di colpa grave o condannare il dipendente ad una minor somma per effetto del criterio di parziarietà e del potere riduttivo. Non vi è dunque pregiudizialità del giudizio civile rispetto a quello contabile; né è ipotizzabile una litispendenza ex art. 39 c.p.c. perché tale norma concerne i conflitti di competenza e non quelli di giurisdizione. Perciò, la pendenza di un giudizio civile ex se non comporta sospensione. Il concorrente giudizio contabile potrebbe essere dichiarato estinto per cassata materia del contendere solo in caso di avvenuta refusione del danno. Peraltro, la lite civile sui recuperi di somme illecitamente erogate può essere pregiudiziale e legittimare la sospensione del giudizio contabile. In quest’ ultimo, si eslcude la applicabilità della sospensione necessaria del processo ex art. 295 c.p.c., potendosi avere solo quella facoltativa al di là dei casi normativizzati, allorché  vi sia una pregiudizialità meramente logica ed utile con la decisione civile. Quindi, la sospensione si rende necessaria per l’ incidente di falso ex art. 10 reg. proc. n. 1038/33 e quando occorre risolvere una questione di status ex art. 9 c.p.c. essendo la cognizione riservata alla competenza esclusiva del giudice civile. Fra giudizio civile e responsabilità amministrativa esiste, invece, uno stretto rapporto, come già evidenziato, in tema di danno indiretto ossia quando scatta il diritto di rivalsa della P.A. danneggiata. E’ palese che l’ accertamento del danno nei confronti del terzo e la relativa condanna integrano il presupposto dell’ azione erariale in quanto è solo dopo la condanna che si può individuare un danno pubblico. Peraltro, alla valutazione della colpevolezza si deve procedere autonomamente, nel senso che non può, ad esempio, il giudice contabile recepire supinamente gli effetti di una condanna in sede civile fondata su presunzione di colpa ( vedasi l’ art. 2048 c.c. per gli insegnanti ), senza acquisire in sede di rivalsa amministrativa idonei elementi porbatori atti a comprovare la colpa grave per omessa vigilanza. Fermo restando che il danno pubblico deve essere certo ed attuale, non occorre affatto che esso sia definitivo. Ne consegue che non rileva se il danno indiretto non sia stato ancora definitivamente accertato ovvero se siano in corso azioni recuperatorie del medesimo dato che i possibili recuperi sono futuri e ad esito incerto. In quanto alle prove assunte in sede civile, esse possono rilevare alla stregua di supporto documentale autonomamente valutabile anche laddove il giudizio fosse stato annullato. Giurisprudenza costante contabile esclude che la presunzione di colpa ex art. 2051 c.c. per la responsabilità aquiliana della P.A. possa essere invocata nell’ ambito della responsabilità amministrativa per danno indiretto. Le sentenze di condanna della P.A. per danni a terzi per fatto del dipendente non hanno, pertanto, efficacia vincolante o preclusiva, senza però escludersi che il giudizio contabile possa trarre utili elementi dalle prove acquisite e comunque l’ intervenuta pronunzia del G.O. sui fatti da cui è insorto il danno indiretto non preclude il loro riesame in sede contabile stante l’ autonomia dei due giudizi e non vincola il giudice contabile sia per la valutazione del danno che per la qualificazione dell’ elemento soggettivo. La costituzione di parte civile da parte della P.A. danneggiata determina l’ interruzione della prescrizione della azione di danno sino al passaggio in giudicato della sentenza. La giurisdizione contabile è tendenzialmente esclusiva, nel senso che, secondo gli orientamenti della S.C., l’ unico organo giudiziario che può decidere sulle materie devolute alla sua cognizione – in ispecie nei giudizi di responsabilità in sede di rivalsa – con conseguente esclusione di una concorrente giurisdizione ordinaria è la Corte dei Conti. L’ azione di rivalsa erariale – anche se normativamente prevista ex art. 22 T.U. n. 3/57 e 574 T.U. n. 297/94 non ha nulla a chè spartire con l’ azione di rivalsa o di regresso in ipotesi di responsabilità solidale spettante al condebitore che ha pagato l’ intero debito ex art. 1299 c.c., bensì si concretizza in un’ autonoma azione di responsabilità erariale fondata sulla violazione di obblighi di servizio. Ordunque, essa è generale ed è esperibile per qualunque tipo di condanna risarcitoria subita dall’ ente purchè il pregiudizio patrimoniale sia attribuibile ad una condotta illecita del funzionario.
Quindi, le pronunzie di condanna della P.A. in sede civile non vincolano la Procura contabile nel senso che, in ogni caso, al P.M. è demandato l’ accertamento se vi sia stata o meno colpa grave. Ne deriva che la sentenza civile potrà assurgere ad indizio di prova. Se è intervenuta una transazione ( art. 1965 c.c. ) fra amministrazione e danneggiante, la giurisprudenze è orientata nel senso di ammettere l’ esercizio della azione erariale a meno che il risarcimento del danno non sia stato integrale e satisfattivo alla stregua di limite di procedibilità di detta azione, con l’ avvertenza che, comunque, la somma versata in via transattiva deve andare a scomputo del danno arrecato.
Il lodo arbitrale, reso esecutivo, ha la stessa efficacia di una sentenza civile ex art. 825 c.p.c. e si pone rispetto al giudizio contabile nello stesso rapporto in cui è il giudizio civile.
I principi di cui sopra in punto autonomia e separatezza si applicano anche ai rapporti fra giudizio contabile e giudizio amministrativo o tributario.   Rispetto a quello amministrativo non è ravvisabile alcuna interdipendenza o pregiudizialità stante la differenza di oggetto ( uno verte sulla illegittimità attizia – l’ altro sulla illiceità della condotta ). Con quello tributario, il rapporto può essere di coordinazione ma non di concorrenza. Infine, con quello disciplinare, privo di carattere giurisdizionale, non vi è pregiudizialità ancorché sussista una relazione reciproca rispetto ai fatti integranti una violazione di obblighi di servizio, poiché l’ accertamento di tale violazione, se produttiva di danno, può costituire un presupposto per l’ esercizio dell’ azione erariale. Peraltro, l’ estinzione del procedimento disciplinare per omessa attività istruttoria può tradursi in un’ ipotesi di danno in relazione alle somme corrisposte per la necessaria riammissione in servizio e restituito in integrum del dipendente sospeso cautelativamente dal servizio.
 Intervento: Per il rimborso delle spese sostenute da dipendenti andati assolti come funziona?
Dott.ssa Francaviglia: Nella mia dispensa “Aggiornamenti” c’è tutto sulla tematica delle spese e relativo rimborso. Il principio per le spese è che se uno è stato assolto, non quindi nelle ipotesi di declaratoria di prescrizione, di estinzione del giudizio e via dicendo, può ottenere il rimborso delle spese dall’Amministrazione, facendo attenzione che: esse non devono riguardare la fase pre-processuale, ma la fase processuale, che parte dall’atto di citazione in poi. Quindi dall’invito non ti possono  chiedere nulla e bisogna stare attentissimi, perché il principio deve essere: assoluzione totale, non estinzione, prescrizione, archiviazione da invito…lì non si può rimborsare.Il principio è questo: tu non puoi mai rimborsare se non c’è stata assoluzione, vale per il Penale e per il Contabile. Il problema è anche quello della congruità delle parcelle. Quando ti presentano parcelle che non stanno né in cielo né in terra. È vero che tu devi rimborsare le spese, ma non è esatto affermare che non avete un potere di vaglio. La parcella può essere vistata anche dal Consiglio dell’Ordine, nel senso che se chiedono un importo esorbitante, scatta la Responsabilità Erariale se pagate ad occhi chiusi. La parcella certo che va liquidata, ma la congruità dell’ importo verificata…Si può comunque chiedere il parere all’Avvocatura dello Stato. Bene. Abbiamo esaurito il tempo a nostra disposizione. Confido che quanto oggi detto possa esservi di utilità nel prosieguo della Vs. attività istituzionale; vi ringrazio di avere partecipato così numerosi e soprattutto di avermi seguito fino all’ ultimo con la dovuta attenzione.
 
Dott. Guarente:
Ringraziamo con un applauso la Dott.ssa Francaviglia che ci ha illustrato in maniera chiara ed incisiva – direi con molta energia – il sistema delle Responsabilità Amministrativa e Contabile.
Grazie a tutti.

Francaviglia Rosa – Tamassia Luca

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento