La “rivoluzione” normativa tra etica ed estetica

Scarica PDF Stampa

Hannah Arendt in “La tradizione del pensiero politico” distingue tra l’azione dell’eroe greco, degna di solitaria lode, che si risolve nel politico in un succedersi di fondazioni autonome di polis e l’esperienza di fondazione di origine romana, per cui tradizione, autorità e religione si espandono nell’universo politico in una unica trama unitaria.

La rottura delle tradizioni attraverso “rivoluzioni” di pensiero, causa ed effetto dell’evolversi degli assetti economici e relazionali, diventano origine di nuove strutture normative la cui autorità nasce da atti politici di fondazione, in un passaggio pulsante tra tradizioni espanse e nuove “fondazioni” quali atti rivoluzionari risolventi tensioni sociali non più assorbibili nella tradizione.

La normativa stessa nel suo evolversi perde unitarietà, si sfilaccia in mille rivoli pari alle molteplici possibilità dell’agire umano, la fondazione sfuma nel riprodursi dei moduli, mentre le polis si moltiplicano in un sistema economico a rete, nel quale la tecnologia aumenta la velocità della comunicazione e dello scambio e il trasferimento di risorse e degli stili di vita.

Le possibilità economiche creano possibilità culturali che si innestano nelle trame precedenti, si che l’internazionalizzazione dissolve le precedenti fondazioni attraverso il progressivo perdersi prima della tradizione, poi della autorità e della religione, nasce l’esigenza, non solo economica ma anche culturale, di una “rivoluzione” che ri-fondi i rapporti su scala più ampia, di una nuova normativa che abbia nuova tradizione e nuova autorità.

La differenziazione che questa nuova fondazione ricomprende non può portare ad una “maiuscola Verità etica”(Flores d’Arcais), ma accettare in sé “modeste verità di fatto” (Arendt) che tuttavia non devono risolversi in una inesistenza etica pena il dissolversi dell’autorità fondativa, ma anche l’impossibilità di un sistema coordinato di relazioni su un substrato culturale difeso in quanto accettato e riconosciuto, come proprio dell’uomo quale essere relazionale.

Florens d’ Arcais afferma che “nel campo etico- politico, del dover – essere, non ci sono perciò né verità assolute né verità relative e parziali, perché i predicati vero/falso sono fuori luogo. Ci sono scelte.”, ma le scelte presuppongono comunque delle etiche non assolute, relative, comunque dei termini di scelta formati e condizionati dalle proprie relazioni e dal caso sociale.

Souriau in uno slancio creativo riconosce che nessun uomo “è stato conquistato da un’idea morale attraverso un ragionamento ma unicamente per l’irraggiamento di questo ideale, per l’ammirazione che causavano coloro che l’incarnavano” e prosegue con un appello a rimpiazzare le antiche morali ormai superate attraverso una “estetica” che superi la statica e passiva contemplazione, con una azione creatrice e costruttiva nella quale si manifesti pienamente il presupposto fondamentale della libertà del fare.

Questo modello “estetico”, fornito di una propria forza costruttrice, si viene a contrapporre inevitabilmente alla semplice gestione “amministrativa” dell’esistente e dei suoi principi conservatori; l’emozione morale è una emozione estetica e come tale suscita fremiti e movimento base per una “rivoluzione” umanistica ( Cauquelin), tuttavia “questa libertà non è assenza di rigore ma scelta fra numerosi stili di rigore, di cui alcuni sono ancora da inventare” ( Lascault).

L’estetica non è altro che la rappresentazione dell’innata simmetria insita nell’uomo, del suo valutare i colori secondo gli istinti di sopravvivenza e del completare mentalmente le linee partendo da tracce parziali, in un rapido susseguirsi di azione e reazione necessario nella lotta in natura per la sopravvivenza.

In altre parole, la scimmia, dalla quale discendiamo, doveva avere un’idea molto precisa della geometria dello spazio realmente esistente per non cadere dagli alberi e rompersi il collo. Analogamente, è presumibile che le nostre capacità di astrazione e di manipolazione dei simboli logici si siano orientate a strutture realmente esistenti nel mondo esterno” ( Eilenberger), per l’individuo diventa pertanto un a priori e si comincia a intravedere la complementarietà tra scientificità ed estetica nella comprensione della natura e quindi dell’azione umana. Regolarità tecnologica e irregolarità della “misura” umana, ordine e disordine, vengono a completarsi come in una immagine frattale ( Eilenberger).

Nel suo raffinarsi culturale avviene l’estrapolazione delle forme e dei colori in termini di emozioni e quindi di valore, il quale trasportato in una società commerciale diventa economico e pertanto monetario, quindi commerciale.

L’estetica nel determinare il valore delle cose e nel commercializzarsi crea la necessità della normativizzazione, sia quali canoni ideologici che nelle necessarie e successive normalizzazioni normative, la costruzione giuridica è quindi anche un risultato del rapporto estetica- società-economia.

Qualsiasi “rivoluzione” necessita della creazione di una propria estetica, ancor più nell’ipotesi di una esperienza di fondazione o ri-fondazione, estetica che permette l’assimilazione emotiva della necessità organizzativa economico- sociale e come tale ne giustifica e ne glorifica la creazione ponendola quale modello, ma l’estetica possiede un proprio valore derivante dalla sua necessità umana, individuale e indipendente dall’elemento sociale e collettivo.

Proprio in questa necessità insita nella specie umana vi è il suo riflettersi nella costruzione giuridica attraverso il valore che dà alle cose e all’azione, nonché per il parametro decisionale che acquista nelle scelte relazionali individuali o sociali, considerando che l’estetica è tra la plasticità e il desiderio (Lyotard ), che nasconde “un possibile” (Dafrenne) per una potenziale ri-fondazione. Vi è quindi una utopia che interloquisce con le potenzialità tecniche rendendole a dimensione umana, modificando “ciò che esprime e giustifica il sistema”( Dufrenne).

Il desiderio crea l’utopia in un’azione “costruttiva” e quindi di per sé modificativa, un desiderio che investe sia l’utile ( Bentham) che l’estetica, tra edonismo materiale e necessità psicologiche, si che la “rivoluzione” della ri-fondazione a cui una necessità utopica incita il presente diventa una rivoluzione non solo simbolica ma anche formale, che nel rendere evidente quello che è già esaurito ed evaporato ne ricostruisce tradizione e autorità, secondo un nuovo sentire che prefigura ciò che potrà essere realmente ( Dufrenne).

La Rivoluzione ha messo in moto tutte le energie del popolo francese;…, ha trasformato l’energia vitale dell’uomo e la morta potenza dei beni in un capitale rigoglioso” scriveva Gneisenau all’inizio del XIX secolo con il nascere in Europa di una nuova epoca i cui frutti sarebbero stati sparsi nel resto del mondo nel momento in cui pragmatismo e utopia si sono compenetrati, la messa in moto di una trilogia di fattori quale spirito, morale e mezzi forma un trittico fondamentale nel costituire il tutto unico della potenza, che non è la somma ma il prodotto dei tre fattori, un ponte necessario fra le forze intellettuali e quelle materiali ( Jean), sì da superare l’omologazione gratificante ai modelli imposti, con l’azzeramento di fatto di una autonomia individuale in cui la debolezza dell’Io è mascherata dal narcisismo pervasivo e rischia la manipolazione da parte di una economia e di una politica dello spettacolo ( Petrucciani).

La felicità è pertanto la necessità di mettere alla prova le nostre capacità in attività difficili ma realizzabili, comunque per noi dotate di senso, in quanto “ci adattiamo, ci abituiamo, impariamo, cambiamo le nostre aspettative e abbiamo bisogno di nuovi stimoli e di nuove sfide per continuare ad essere felici” (Perrone), questo anche una volta raggiunta la sicurezza tanto economica quanto sociale, è quindi naturale il rapporto tra la necessità creativa insita nella ricerca della felicità e l’estetica, come lo è nell’azione ri-fondativa della tradizione che si esplica attraverso il ripensamento dell’esperienza pragmatica, fino a superare un puro individualismo possessivo per cui “prendo quello che voglio perché posso” ( Sassoon).

Come già ricorda Dewey senza l’estetica “l’umanità può diventare una razza di mostri economici, incessantemente affaccendati in dure transazioni con la natura e l’uno con l’altro, annoiati nell’ozio e capaci di farne uso solo in ostentate pompe e in dissipazioni stravaganti. Come altre questioni morali, questo argomento è sociale ed anche politico.”, vengono quindi a fondersi le funzioni dell’estetica, della determinazione del valore e della capacità creativa.

 

Bibliografia

  • E. Souriau, La couronne d’irerbes , Paris, U.G.E. 1975;

  • P. Flores d’Arcais, Addio alla verità ? Addio all’essere!, MicroMega, 98-104,5/2011;

  • H. Arendt, La storia e l’Azione, MicroMega, 105-139, 5/2011;

  • A. Cauquelin, Mikel Dufrenne : portrait chinois, in AA. VV., Vers une esthetique sans entrave. Melangs offerts a Mikel Dufrenne, Paris, U.G.E. 1975;

  • G. Lascault, Preambule in AA.VV., Vers une esthetique sans entrave. Cit. ;

  • J. F. Lyotard, Discours/Figyre, Paris, Klincksieck, 1978;

  • A. Manesco, Arte e politica nell’ultimo Dufrenne, Clued, 1976;

  • G. Eilenberger, Libertà, scienza, estetica, in H. O. Peitgen – P.H. Richten, La bellezza dei frattali, Bollati Beringhieri, 1978;

  • G. Rittere, Sollevazione popolare e politica di gabinetto: Gueisenau e Metternich nelle guerre di liberazione, in I militari e la politica nella Germania moderna. Da Federico il Grande alla prima guerra mondiale, vol. I, Einaudi 1967;

  • C. Jean, Introduzione a Karl von Clausewitz, Della guerra, Oscar Mondadori, 1994;

  • S Petrucciani, Adorno e la democrazia manipolata, introduzione a T. W. Adorno, Massa e leader, 155-193, MiscoMega, 5/2011;

  • V. Perrone, Denaro e benessere: 147 milioni di motivi per essere felici?, in E & M – Sda Bocconi, 3-8, Etas 5/2009;

  • J. Dewey, Ricostruzione filosofica, in Vita, pensiero, opere scelte, a cura di A.Masserenti, ed. Il Sole 24 ORE 2006;

  • D. Sassoon, L’istant sociology di David Cameron, in Il Sole 24 ORE, Domenica, 38, 147-221, 14/8/11.

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento