Recentemente è stata approvata la c.d. Riforma Gelmini dell’Università.
Durante l’iter di approvazione si sono scatenati sulle piazze migliaia di studenti ( a dire il vero più liceali che universitari) per contestare i vari aspetti della medesima: riduzione dei fondi; riduzione delle borse di studio; limitazione della durata dei contratti per i ricercatori ;presenza di privati nei consigli di amministrazione etc.. Nonostante tutta questa mobilitazione degna di ben altra causa,i rilievi del Presidente Napolitano sul merito della Riforma si sono limitati a ben poca cosa( Vedi La Repubblica 3 dicembre 2010). Ci sono stati invero “richiami generali “ ,quali “la richiesta di aumentare le risorse a disposizione e la necessità di confrontarsi con tutte le parti interessate nella lunga fase attuativa che la riforma Gelmini dovrà superare prima di diventare realtà”, ma sulla nuova struttura,in definitiva, non ci sono state critiche importanti.
Allora, tanto rumore per nulla ??!!
Ma in effetti non è così.C’è stato tanto rumore per un motivo ben preciso ed è proprio questo che è servito da detonatore dell’esplosione di rabbia e ha spinto a mobilitare i più facinorosi, un po’ convinti e un po’.si sa,ben contenti di essere protagonisti di manifestazioni di piazza che li esonerava per un certo tempo dall’applicarsi agli impegnativi studi.
Questo motivo ,a parere nostro, è stato il nuovo modo di arruolamento dei professori universitari.
Giornali e televisioni,in questi ultimi tempi, si sono divertiti a evidenziare le varie”parentopoli” in giro per lo Stivale,
Forse non saranno più possibili…..forse!
La nuova procedura di assunzione si svolge in due Fasi:la prima consiste nella istituzione dell’abilitazione scientifica nazionale ( articolo 16) ;la seconda nella introduzione della chiamata dei professori,in possesso dell’abilitazione nazionale,da parte delle singole università (art.18),
Il vero vulnus al sistema clientelare in atto sta appunto nel togliere dalla disponibilità dei c.d “Baroni “ il reclutamento dei nuovi docenti.
Non a caso alcuni anni fa divampò il caso dei “concorsi truccati” riportato da tutti i giornali.
L’importante quotidiano de Il Corriere della Sera vi dedicò molte pagine.
Ma nulla successe :gli intoccabili e inamovibili sono sempre là,pronti a combattersi e riappacificarsi dopo avere trovato il compromesso utile.
Così il Corriere della Sera del 16 giugno 2005:
<<- I concorsi per diventare professore o ricercatore
universitario sono « sovente predeterminati secondo logiche non
meritocratiche » . C’ è « una gestione combinata nella selezione dei
giovani studiosi » . Prova ne sia il fatto che, di regola, ai
concorsi partecipano tanti candidati quanti sono i posti in gara «
perché si sono scoraggiati i migliori dal proporre o mantenere la
propria candidatura » . Questo avverrebbe almeno per quanto riguarda
la disciplina del diritto del lavoro. Ma la « degenerazione » del
sistema potrebbe essere diffusa. La denuncia viene dal più
autorevole dei giuslavoristi italiani, Gino Giugni, già ministro del
Lavoro e padre dello Statuto dei lavoratori. Il professore ha deciso
di uscire allo scoperto con una lettera inviata ieri a tutti i
colleghi attraverso Labourlist, la mailing list della categoria. «
Nella mia qualità di collega tra i più anziani, prendo spunto da
diversi episodi recenti per manifestare la mia preoccupazione di
fronte a quella che mi appare una degenerazione grave nei rapporti
interni alla nostra comunità scientifica » . « Il mio auspicio –
conclude Giugni – è che tutti i colleghi giuslavoristi di buona
volontà uniscano il loro impegno per riportare serenità,
trasparenza, e ancor più equità nelle scelte accademiche » . La
lettera ha suscitato scalpore nella categoria. Molti, moltissimi ne
condividono in pieno la denuncia e sottolineano il coraggio e l’
opportunità dell’ iniziativa di Giugni. Quasi con un senso di
liberazione: « Era ora che venisse fuori » . Ma nessuno o quasi
accetta di uscire allo scoperto. Molti descrivono un sistema dove
gli esiti dei concorsi sarebbero di fatto predeterminati da accordi
gestiti da un gruppo ristretto di « baroni » che di volta in volta
aprirebbe la strada all’ un candidato o all’ altro non tanto secondo
logiche meritocratiche ma piuttosto in base a criteri spesso
clientelari o nepotistici. Qualcosa che più o meno c’ è sempre
stata, ma che adesso avrebbe raggiunto livelli sfrontati, con
candidati ai quali si direbbe chiaramente che non è il caso si
presentino perché non è ancora il loro turno e intese nelle
commissioni esaminatrici per far passare di regola il candidato
interno dell’ Università con priorità su tutti gli altri. Molti,
quindi, confermano e arricchiscono di particolari quanto denunciato
da Giugni, a patto però di mantenere l’ anonimato. Perché,
sostengono, « se esco allo scoperto, mela fanno pagare: non mi fanno
più passare nessuno dei miei » . Bisogna arrivare così a un altro
decano dei giuslavoristi, Umberto Romagnoli, già maestro di Marco
Biagi, e altro grande nome del diritto del lavoro accanto a quello
di Giugni, per raccogliere un commento non anonimo: « Gino ha
perfettamente ragione. Il numero dei promossi coincide sempre col
numero dei candidati » . Secondo Romagnoli ci sarebbe un sistema di
« cooptazione, rigidamente centralizzato di stile staliniano »
gestito da « un gruppo di cattedratici intraprendenti » . Chi sono?
« Nell’ ambiente li conosciamo tutti » , risponde il professore
senza però voler fare i nomi. « Ma adesso – aggiunge – è ora di
voltar pagina. L’ appello di Gino non cadrà nel vuoto. Sarà seguito
da iniziative per riportare trasparenza » .
Questa denuncia parla da sola né richiede aggiunte.
Ci si consenta però di fare un’ultima notazione ,tra le tante che si possono fare. Tra gli indicatori ai fini della valutazione delle Facoltà è compreso l’indicatore di Produttività. Esso rappresenta l’ indicatore relativo al tasso di iscritti e laureati in corso(tasso di sopravviventi tra il 1^ e il 2^ anno, tasso di iscritti in corso,tassi di laureati in corso etc.).Tale indicatore a noi appare ambiguo.Infatti potrebbe essere soltanto indice di un minor rigore nella valutazione degli studenti e non un indice di qualità dell’insegnamento.Si sa che gli studenti meno bravi migrano verso le Università meno esigenti. Occorrerebbe allora precisare meglio i termini di tale indicatore o sostituirlo con altro più significativo.