La riforma della giustizia minorile e l’amaro destino della Procura minorile

Vito Murgolo 10/02/17
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Il sistema penale minorile italiano rappresenta il risultato di un lungo processo di maturazione della coscienza civile che, nel corso degli ultimi secoli, è giunta alla piena consapevolezza dell’uso di strumenti specifici nel trattamento della condizione minorile.

In prospettiva di una ampia riforma del processo civile che potesse assicurare una maggiore specializzazione e semplificazione dell’offerta di giustizia, durante la seduta del 27 gennaio 2016 della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati in sede referente, è stato approvato l’emendamento a firma di Donatella Ferranti in relazione al Disegno di Legge delega al Governo recante disposizioni per l’efficienza del processo civile, con il quale è stato fissato di “sopprimere il tribunale per i minorenni e l’ufficio del pubblico ministero presso il tribunale per i minorenni, introducendo le conseguenti necessarie abrogazioni e modifiche delle disposizioni vigenti..

Dopo l’approvazione, il testo di legge è passato al Senato per il relativo esame.

Enormi sono, però, le perplessità che la sua introduzione possa davvero continuare a garantire una giurisdizione specializzata in materia di famiglia e minori.

Si prevede – molto sinteticamente – la creazione di sezioni specializzate circondariali, istituite presso il tribunale del capoluogo del distretto di corte d’appello, che si occuperanno delle controversie attualmente di competenza del tribunale ordinario relative a stato e capacità delle persone, separazioni e divorzi, rapporti di famiglia e minori, dei procedimenti civili attualmente di competenza del tribunale per i minorenni, con qualche eccezione, e dei procedimenti attribuiti oggi al giudice tutelare in materia di minori ed incapaci. Funzioni di primo grado avranno anche le sezioni specializzate distrettuali, istituite presso le corti d’appello. Queste sezioni si occuperanno dei procedimenti previsti dalla legge sulle adozioni, dei procedimenti previsti dagli articoli 330, 332 e 333 del codice civile, dei procedimenti relativi ai minori non accompagnati ed ai minori richiedenti asilo, dei procedimenti attualmente devoluti al tribunale per i minorenni, diversi da quelli previsti dall’articolo 38 delle disposizioni di attuazione del codice civile (che vengono attribuiti alle sezioni circondariali), sia in materia civile che in materia penale.

Per il secondo grado, ulteriori apposite sezioni specializzate dovranno essere istituite presso le corti d’appello, con garanzia che le funzioni siano esercitate in via esclusiva da parte dei magistrati o che, ove ciò non sia possibile, questi procedimenti vengano comunque assegnati a un collegio specializzato.

Le competenze per i procedimenti penali a carico di minorenni, oggi del tribunale per i minorenni, dovranno essere attribuite alle sezioni specializzate distrettuali.

In questo quadro suonano indovinate le parole di Alfredo Carlo Moro[1], che metteva in guardia sul pericolo che nel diritto avesse il sopravvento un atteggiamento di “atonia”, cioè di perdita di attenzione, nei confronti dei minori e dei loro bisogni.

Oggi, nessuno ha dubbi sulla necessità, nel più generale quadro di razionalizzazione degli uffici giudiziari, di accorpare le competenze e di ampliare la specializzazione dei magistrati, così da realizzare una struttura unica per le controversie in materia di persona, famiglia e minori, attualmente distribuite tra il Tribunale ordinario, il Tribunale per i minorenni ed il Giudice tutelare. L’unificazione delle competenze presso le istituende sezioni specializzate per la famiglia e per i minori avrebbe l’obiettivo sia di porre fine ai contrasti ed alla parcellizzazione delle competenze, sia di garantire una specializzazione del giudice in una materia vasta e delicata come quella in esame.

Ma è altamente improbabile – ad esempio – che l’efficienza e l’efficacia della giustizia minorile, in attuazione del disposto dell’articolo 31 della Costituzione[2], traggano giovamento dalla soppressione della esistente Procura per i minori e dal trasferimento delle sue competenze a “gruppi specializzati” di magistrati presso le Procura ordinaria.

 Come rappresentato da più parti, si ritiene che solo la costituzione di uffici qualificati con competenze esclusive in materia minorile e familiare, sia una scelta in linea con i principi costituzionali e le raccomandazioni europee: scelta che permetterebbe di superare le ripartizioni di competenze nel settore civile tra Tribunale ordinario e Tribunale per i minorenni. Inoltre, le esigenze di prossimità all’utenza potrebbero essere ancor più salvaguardate, laddove venisse costituito il Tribunale per la famiglia, attraverso l’istituzione di sedi decentrate, realizzabili senza ulteriori spese, attraverso una proficua razionalizzazione delle risorse e professionalità già operanti. 

L’impianto normativo, oggetto di delega, rischia di compromettere le attuali strutture di protezione delle persone di minore età, già provate dai tagli alla spesa pubblica, così determinandosi un ulteriore grave pregiudizio alla condizione dei diritti dei bambini e degli adolescenti nel nostro Paese, e alla tutela dei loro diritti, come sanciti anche dalla Convenzione Onu dei diritti del fanciullo.

Il processo minorile, che anche in Europa ci invidiano, è stato per di più spesso adottato da quello degli adulti: l’istituto della messa alla prova, ad esempio, è nato nella Giustizia minorile e solo successivamente è stato introdotto in quella degli adulti, trasformando la commissione di un reato in una concreta opportunità di sviluppo attraverso una sorta di assunzione di responsabilità.

In un momento come quello attuale nel quale, indubbiamente, bisogna prestare molta diligenza nella spesa di denaro pubblico, è necessario razionalizzare. Questo è lo spirito della riforma che non può che essere condivisibile, ma in molti hanno messo in discussione che con questo tipo di decisione si possa, effettivamente ed efficacemente, garantire una giurisdizione specializzata in materia di famiglia e minori.

Si avverte la minaccia che con il riordino della Giustizia minorile non venga attuato un sistema migliore, trascurando lo stato di particolare “debolezza” nel quale versa un minore che viene in contatto, per i motivi più disparati, con procedimenti di giustizia civile o penale.

“Questo progetto, che apparentemente realizza una razionalizzazione del Sistema Giustizia nel rispetto della specializzazione, contiene in sé, invece, la negazione proprio della specializzazione.” E inoltre: “L’accorpamento della Procura Minorenni produrrebbe, di fatto, la scomparsa della cultura minorile, schiacciata dalle esigenze di efficienza degli uffici di Procura ordinaria, con buona pace dei diritti dei minorenni e delle direttive europee in punto specializzazione.[3]

                In altre parole, il rischio è che, in nome del cambiamento, i magistrati assegnati a tali uffici specializzati si occuperanno “anche” di giustizia minorile, ma ciò non potrà non comportare una riduzione della loro specializzazione e della loro capacità di azione.


[1] Alfredo Carlo Moro, fratello di Aldo, giudice minorile e docente universitario. Scomparso nel 2005, è stato autore di numerosi testi giuridici fondamentali per lo studio della condizione del minore.

[2] L’art. 31 comma 2 della Carta Costituzionale sancisce che la Repubblica è tenuta a proteggere la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo.

[3] Inciso tratto dall’intervento del procuratore capo della Procura della Repubblica per i minorenni di Torino, Anna Maria Baldelli, tenuto in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2016.

Vito Murgolo

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