La riforma del mercato del lavoro vista dalla Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro

Redazione 22/03/12
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Anna Costagliola

Le anticipazioni sulla riforma del lavoro hanno suscitato da subito aspre osservazioni da parte del mondo del lavoro. La Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, con la circolare del 19 marzo 2012, n. 5, ha compiuto una prima analisi delle misure contenute nel provvedimento, formulando le proprie osservazioni e sottolineando positività, criticità e omissioni.

Obiettivo della riforma, come più volte sottolineato dal Governo, è quello di rendere più dinamico il mercato del lavoro, mediante un’azione di contrasto al fenomeno della precarizzazione e la previsione di una miniore flessibilità in entrata e di una maggiore in uscita, soprattutto attraverso la revisione della disciplina dei licenziamenti individuali, costituente il punto forse più discusso della riforma medesima.

La fondazioni Studi, nel proprio contributo al tema, si sofferma essenzialmente sui seguenti aspetti principali:

 

1) Contratto a tempo determinato.

Sul punto si prevedono due tipi di interventi:

a) Aumento del costo del lavoro, per cui un’azienda si trova a dover pagare un maggior onere contributivo durante il periodo di lavoro a termine, salvo ad essere ricompensata mediante la restituzione del maggiore aggravio sostenuto se in un secondo momento trasformi il contratto rendendo stabile il rapporto di lavoro. La riforma prevede che la nuova disposizione debba applicarsi a tutti i rapporti a termine, salvo quelli avviati per ragioni sostitutive.

La Fondazione Studi, oltre a sottolineare come il maggior costo del lavoro non possa riguardare le aziende stagionali per le quali il contratto a tempo determinato rappresenta un aspetto fisiologico e non patologico, osserva come l’aumento (immediato) dei costi del lavoro, sebbene teso ad una compensazione per effetto del bonus da conversione (futuro), non appare tuttavia una misura ideale ed efficiente per il rilancio occupazionale, soprattutto nell’attuale contingenza del mercato del lavoro;

b) Termini per impugnare la legittimità del termine. Sul punto vengono eliminate le recenti novità introdotte dal cd. collegato lavoro (L. 183/2010) in materia di tempi e modalità per la contestazione della legittimità del termine apposto al contratto. Il Governo propone in luogo dei 60 giorni per l’impugnativa stragiudiziale e 270 per il ricorso al giudice, un unico termine di 9 mesi entro cui proporre il ricorso giudiziale. Osserva la Fondazione, in quanto il termine decadenziale si applica a ciascuna conclusione di contratto, il lavoratore, con la speranza di ottenere un altro contratto a termine ovvero la stabilizzazione del rapporto, rinuncerebbe il più delle volte ad esercitare un proprio diritto. La soluzione ipotizzata, pertanto, non vale a risolvere un problema preesistente, che può al limite risultare affievolito dal più ampio termine concesso, ma certo non eliminato.

Inoltre, per evitare distorsioni, in caso di successioni del contratto che si hanno all’interno di un periodo predeterminato, sarebbe opportuno, suggerisce la Fondazione, imputare la decorrenza dei termini all’ultimo contratto a termine stipulato tra le parti e non da ciascun contratto.

 

2) Contratto di apprendistato.

Il Governo ritiene di modificare il Testo Unico vigente nei seguenti modi:

a) introduzione di un limite percentuale di conferme per avviare nuovi rapporti, secondo la previsione di norme già viste nel contratto di formazione e lavoro e nel contratto di inserimento; peraltro, come sottolinea la fondazione, molti contratti collettivi già prevedevano questa disposizione;

b) presenza obbligatoria del tutor eliminando la figura del «referente»;

c) durante il periodo di preavviso, che si protrae dopo il periodo di formazione, si applica sempre la

disciplina dell’apprendistato;

d) infine, fin quando non sarà operativo il libretto formativo, la registrazione della formazione è sostituita da una dichiarazione del datore di lavoro.

Secondo la Fondazione Studi, per essere considerato il principale contratto per l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, le modifiche apportate all’apprendistato appaiono insignificanti e non sembrano cogliere i reali nodi problematici della relativa disciplina. Se si considera che negli anni passati un tale contratto non ha dato impulso all’occupazione dei giovani, non si comprende come possa funzionare per il futuro l’attuale impianto in assenza di modifiche sostanziali. Il Governo, infatti, si limita a prevedere modifiche poco incisive, senza toccare, ad esempio, le norme in tema di competenze ad erogare la formazione, oggi molto complicate per i datori di lavoro, alternandosi in vario modo tra Regioni, Provincie e contratti collettivi. Gli stessi standard formativi da emanarsi determinano incertezze che scoraggiano il datore di lavoro dall’utilizzare la tipologia contrattuale de qua, poiché le sanzioni in caso di contratto errato sono molto rilevanti.

 

3) Contratto a tempo parziale, intermittente e accessorio.

Per queste tre tipologie contrattuali il Governo intende introdurre nuovi obblighi amministrativi a carico dei datori di lavoro. Sul punto, la Fondazione Studi non manca di evidenziare la singolarità di una situazione che ha visto l’approvazione di un decreto legge in tema di semplificazioni per rendere il «Sistema Italia» meno burocratico in concomitanza ad una previsione di riforma del mercato del lavoro che introduce nuovi adempimenti a carico dei datori di lavoro. Peraltro, in tale riforma manca del tutto l’attenzione ai tempi di vita e di lavoro delle lavoratrici madri; in questo senso lo sviluppo del contratto di part-time potrebbe essere un ottimo strumento di soluzione.

 

4) Contratto a progetto.

Con riguardo a tale tipologia di contratto le modifiche proposte attengono ai seguenti aspetti:

a) il progetto non può essere la riproduzione dell’oggetto sociale dell’azienda, come più volte ribadito dalla giurisprudenza;

b) eliminazione del fuorviante «programma» di lavoro;

c) presunzione relativa di subordinazione se la stessa attività in azienda è svolta anche da lavoratori subordinati;

d) impossibilità di recedere anticipatamente rispetto al termine se non per giusta causa, impossibilità del lavoratore a proseguire il rapporto e cessazione del progetto;

e) previsione di una norma di interpretazione autentica (art. 69 del D.Lgs. 276/2003), per cui la mancanza o illegittimità del progetto configura una presunzione assoluta di lavoro subordinato;

f) aumento dei contributi previdenziali.

Si tratta, per la Fondazione Studi, di modifiche incisive ma che potrebbero dar luogo ad un aumento di contenzioso. Di più efficace presa sarebbe eliminare la convenienza contrattuale equiparando il carico contributivo delle collaborazioni con quella dei lavoratori subordinati.

 

5) Associazione in partecipazione.

Il Governo propone al riguardo le seguenti modifiche:

a) circoscrivere l’associazione solo nelle realtà aziendali fino a 5 addetti compreso l’associante (sono escluse le associazioni nell’ambito familiare e quelle aventi elevato contenuto professionale);

b) previsione di effettiva partecipazione agli utili e di consegna del rendiconto, secondo principi già

affermati dalla giurisprudenza;

c) introduzione di un numero limitato di associazioni in partecipazione da avviare in azienda;

d) presunzione relativa di subordinazione in mancanza dei requisiti;

e) aumento dei contributi previdenziali;

A parere della Fondazione Studi le restrizioni proposte rischiano di annullare uno dei pochi contratti che consente di stimolare la produttività aziendale attraverso un genuino rapporto associativo. Circoscrivere il contratto solo alle realtà fino a 5 addetti (compreso l’associante) appare penalizzante e soprattutto contraddittorio rispetto all’intento di contrastare gli artifizi elusivi. Normalmente, infatti, gli abusi si realizzano soprattutto nelle piccole realtà aziendali e non in quelle di rilevanti dimensioni.

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