La responsabilità penale e civile quando si abbandona il tetto coniugale

Redazione 30/03/21
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Abbandonare il tetto coniugale viene considerato un comportamento illecito e contrario al matrimonio, dal quale possono derivare delle conseguenze, non esclusivamente di carattere civile, ma anche penale. Si ritiene corretto sapere quando si può andare via di casa e che cosa fare per evitare una denuncia. Della questione si è occupata diverse volte la giurisprudenza, mettendo in evidenza che cosa succeda se si abbandona il tetto coniugale. In questa sede tratteremo la questione. 

Indice

1. In che cosa consiste l’espressione “tetto coniugale”


Con l’espressione “tetto coniugale”, s’intende la casa nella quale marito e moglie abitano di solito, vale a dire, il luogo che è stato da loro scelto come dimora. Il codice civile, nel disciplinare il matrimonio, stabilisce che l’unione tra marito e moglie è fondata, tra le altre cose, sul dovere di convivenza al quale si può derogare esclusivamente in presenza di un patto diverso tra i coniugi. Ad esempio, la circostanza nella quale il marito sia costretto a lavorare in un’altra città. Chi viola il dovere di convivenza sta violando le norme sul matrimonio. L’articolo 143 del codice civile rubricato ” diritti e doveri reciproci dei coniugi” recita: Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri. Dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione. Entrambi i coniugi sono tenuti, ognuno secondo le proprie sostanze e la propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia. Il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono gli stessi obblighi. I doveri elencati per un coniuge diventano diritti per l’altro. In questo modo, la fedeltà si determina nell’astenersi reciprocamente da relazioni sentimentali con altre persone. L’assistenza reciproca comporta il soddisfacimento materiale e morale delle esigenze del coniuge. La coabitazione si rappresenta con la convivenza durevole presso la stessa residenza, e non presso il domicilio che, sempre a norma del codice civile, presenta una connotazione relativa più alla professione, agli affari e agli interessi della persona. La capacità di lavoro deve essere interpretata in senso di solidarietà, nel senso della paritaria contribuzione per i bisogni comuni, svolta in modo reciproco e che non può essere determinata all’inizio. In questo modo, dovranno essere considerati paritari il lavoro professionale e il lavoro casalingo di chi, nonostante non produca in modo diretto il reddito, provveda alle varie faccende domestiche. Il contributo del coniuge deve essere considerato in senso ampio, comprendendo sia i redditi guadagnati, sia il patrimonio costituito, conservato e nel tempo accumulato. La contribuzione è sempre relativa all’interesse collettivo della famiglia, e non all’interesse esclusivo dell’altro coniuge, al quale è relativo il reciproco mantenimento. Alcuni autori hanno parlato di “consorzio familiare” come riflesso del regime comunitario della famiglia, in contrapposizione con la precedente impostazione che vedeva il capofamiglia, come un’autorità che comandava e provvedeva. 

2. Il tetto coniugale può essere abbandonato?


L’obbligo della convivenza può essere violato in modo unilaterale, vale a dire, senza il consenso dell’altro coniuge, esclusivamente in presenza di gravi motivi. Ad esempio, in presenza di violenze fisiche o psicologiche subite. Anche l’inizio di un procedimento di separazione permette ai coniugi di abitare in modo separato. In presenza di simili circostanze, il permesso viene concesso dal giudice alla prima udienza. Ai coniugi non è vietato, prima di depositare gli atti in tribunale, di autorizzarsi in modo reciproco a vivere in luoghi diversi, mettendo fine alla convivenza.  L’abbandono del tetto coniugale è ammesso esclusivamente per brevi periodi. Ad esempio in seguito a un’animata discussione, purché ci sia la volontà di ritornare a casa. L’abbandono del tetto coniugale scatta in presenza di due condizioni: Se non c’è una giusta causa che lo giustifichi. Se non c’è l’intenzione di ritornare più a casa, oppure, la volontà di farlo in tempi brevi. 

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3. Quali sono i rischi nei confronti di coloro che abbandonano il tetto coniugale


In relazione al profilo civilistico, chi abbandona il tetto coniugale rischia l’addebito, vale a dire, la dichiarazione di responsabilità per la fine del vincolo matrimoniale, che viene pronunciata da parte del giudice con la sentenza di separazione. Se la stessa è consensuale, si è esenti da rischi. La pronuncia di addebito  fa derivare due conseguenze: La perdita del diritto all’assegno di mantenimento, se dovesse sussistere. La perdita dei diritti all’eredità dell’ex, se lo stesso dovesse morire tra la separazione e il divorzio. In relazione al profilo penale, si può rischiare il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare se il coniuge e gli eventuali figli non dovessero avere i mezzi economici sufficienti per potersi mantenere. Per evitare un procedimento penale, chi se ne va da casa deve provvedere a fare avere alla famiglia un assegno di mantenimento. 

4. In che modo evitare l’addebito se si decide di abbandonare la  casa coniugale


Secondo le ordinanze n. 1785/21, n. 648/2020  della Suprema Corte di Cassazione, per scongiurare l’addebito della separazione, chi si allontana da casa deve provare che ha un buon motivo che possa giustificare il suo comportamento. Secondo i Giudici Supremi, l’abbandono volontario del tetto coniugale da parte di uno dei coniugi, costituendo una violazione del dovere di convivenza, è motivo sufficiente a giustificare l’addebito, se non risulti provato che sia dipeso dal comportamento dell’altro coniuge, oppure, sia stato fatto in un momento nel quale la convivenza era intollerabile. A parte in caso di violenze, la Corte di Cassazione ha ritenuto legittimo l’abbandono, in caso di prolungata assenza di rapporti intimi tra i coniugi con animati contrasti con la famiglia di origine della moglie, la sua esclusione nella gestione delle entrate, l’occultamento del pensionamento del marito e il ritardo con il quale lo stesso lo aveva ricercato. Chi chiede l’addebito deve dimostrare l’allontanamento dal tetto coniugale da parte dell’altro coniuge, il quale, per difendersi, deve provare che è dipeso da una precedente intollerabilità della convivenza. Per fare in modo che scatti l’addebito non si deve accertare in modo esclusivo la violazione dei doveri matrimoniali ma anche lo stretto legame di causa ed effetto tra la violazione e l’intollerabilità a proseguire la convivenza (Cass. sent. n. 2059/2012).

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