La responsabilita’ amministrativa del medico.

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Intesa la responsabilità amministrativa come obbligazione di risarcimento dei danni cui soggiacciono gli amministratori e i dipendenti pubblici per i danni causati all’ente nell’ambito o in occasione del rapporto d’ufficio di guisa che l’accertamento della medesima comporta la condanna al risarcimento del danno a favore dell’amministrazione danneggiata, due sono i presupposti in conseguenza dei quali un soggetto può essere chiamato a risponderne: il dolo e la colpa grave.
La limitazione della colpa alle ipotesi di dolo e di colpa grave, non deve essere intesa come una deroga al principio della colpa lieve, bensì come un elemento per precisare che la forma di colpa alla quale ci si deve riferire è quella in concreto[1], accertata in base ai canoni della prevedibilità e della evitabilità della serie produttiva di danni.
Il danno cui si fa riferimento consiste nel pregiudizio economico ovvero nella diminuzione patrimoniale, che il soggetto danneggiante sarà tenuto a risarcire.
Dalla nozione sopra esposta di responsabilità amministrativa emerge il fatto che la responsabilità amministrativa dei medici opera su un piano diverso rispetto alla responsabilità civile[2], in quanto essa non è rivolta ad una pronuncia riguardante il rapporto tra medico e paziente, ma è diretta a tutelare i pubblici bilanci dalle lesioni che in conseguenza dell’azione dolosa o gravemente colposa dei medici possono essere depauperati in conseguenza di sentenze favorevoli ai pazienti danneggiati.
La giurisdizione in materia appartiene alla Corte dei conti[3] ed il danno che viene contestato è di tipo indiretto, in quanto può essere contestato solo quando di verifichi a carico dell’amministrazione “l’obbligo giuridico di risarcire il terzo, e tale obbligo emerge nella sua pienezza nel momento in cui si sia evidenziato nell’an e nel quantum con un negozio unilaterale (riconoscimento del debito), o bilaterale (transazione) o con una sentenza definitiva di condanna della pubblica amministrazione a risarcire a un terzo un danno prodotto per inadempimento contrattuale o per fatto illecito del proprio dipendente[4].
Conseguentemente, il decorso del termine prescrizionale, ai fini dell’esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti dei responsabili, ha inizio con il momento in cui sorge l’obbligo giuridico di risarcire il terzo[5].
Venendo ora in esame il problema della colpa grave assume rilievo il fatto che il giudice contabile non può e non deve valutare il rapporto in contestazione alla stregua di immutabili norme prefissate, non rinvenibili, peraltro, in alcuna normazione al riguardo[6].
In particolare il giudice deve prefigurare nel concreto l’insieme dei doveri connessi all’esercizio delle funzioni cui l’agente è preposto, attraverso un’indagine che deve tener conto dell’organizzazione amministrativa nel suo complesso e delle finalità da perseguire, alla luce di parametri di riferimento da porsi come limite negativo di tollerabilità, dovendosi ritenere realizzata un’ipotesi di colpa grave ove la condotta posta in essere se ne discosti notevolmente[7].
Pertanto, nell’attività sanitaria. la condotta può essere valutata come gravemente colposa quando il comportamento del medico sia stato del tutto anomalo ed inadeguato, tale, cioè, da costituire una devianza macroscopica dai canoni di diligenza e perizia tecnica e da collocarsi in posizione di sostanziale estraneità rispetto al più elementare modello di attività volta alla realizzazione degli interessi cui gli operatori pubblici sono preposti.
In altre parole, “per configurare .ipotesi di responsabilità a carico del medico, non basta che il comportamento sia stato riprovevole in quanto non rispondente perfettamente alle regole della scienza e dell’esperienza, ma è necessario che il medico, usando la dovuta diligenza, abbia potuto prevedere e prevenire l’evento verificatosi; perché, quindi, possa parlarsi di responsabilità per colpa grave si deve accertare che si siano verificati errori non scusabili per la loro grossolanità o l’assenza delle cognizioni fondamentali attinenti alla professione ovvero il difetto di quel minimo di perizia tecnica che non deve mai mancare in chi esercita la professione sanitaria e, comunque, ogni altra imprudenza che dimostri superficialità e disinteresse per i beni primari affidati alle cure di prestatori d’opera[8].
Il criterio di valutazione della condotta del medico deve quindi essere incentrato sul livello di diligenza da lui impiegato nello scegliere discrezionalmente mezzi e modi suggeriti dalla scienza medica in relazione alla gravità della patologia riscontrata sul paziente in quanto è necessario accertare se il medico abbia usato il metodo operativo più adatto al caso concreto ed alle circostanze contingenti.
Un ultimo problema riguarda il quantum debeatur, in quanto nella valutazione del danno è necessario tener conto anche della situazione ambientale nella quale l’operatore sanitario si è trovato a svolgere le sue mansioni.
Appare pertanto palese il fatto che non possano essere addebitate al medico le conseguenze dannose che sono da attribuire alla struttura sanitaria nel quale lo stesso si trova ad operare.
In ipotesi di questo tipo ricorrono le condizioni previste dagli articoli 52, comma 2, del R.D. n. 1214 del 1934 e 83 del R.D. n. 2440 del 1923 per la riduzione dell’addebito[9].
A titolo esemplificativo il potere riduttivo dell’addebito può essere utilizzato qualora l’evento dannoso sia dovuto a riduzione dell’attenzione dell’operatore, indotto da incombenze di ordine materiale notevolmente gravose e ripetute nel tempo[10], oppure nelle ipotesi di giudizio di responsabilità per turni gravosi di lavoro[11], situazioni queste che possono essere ricollegate a difficoltà operative riferibili a soggetti diversi e che devono quindi portare ad una condanna limitata rispetto all’entità del danno subito dall’amministrazione.
Dott. Giuseppe Mullano


[1] Corte Costituzionale, Sentenza 371/98
 
[2] Si veda in proposito Corte dei conti III Sez. Centrale d’Appello, Sent. n. 601 del 10 novembre 2004 nella quale si osserva che “il giudizio civile di risarcimento e quello di responsabilità amministrativa per danni conseguiti all’attività sanitaria, si muovono su piani distinti, sia perché finalizzati a regolare rapporti giuridici soggettivamente ed oggettivamente diversi sia perché diversi sono i parametri normativi di riferimento (Sez. III^, 30 marzo 2000 n. 124). … mentre nel processo civile la colpa dei medici viene richiesta in grado elevato solo quando la prestazione implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà (art. 2236 c.c.), e, quindi, per l’imperizia e non anche per la valutazione della prudenza e della diligenza per le quali è sufficiente la colpa lieve (art.1176 c.c.), nel giudizio di responsabilità amministrativa è sempre richiesta la colpa grave non solo per l’imperizia, ma anche per l’imprudenza e per la negligenza. Ed è alla luce di tali principi, che il ricordato recepimento da parte del giudice civile della perizia non può costituire preclusione per il giudice contabile ai fini di una diversa valutazione dei fatti nell’ottica della pronuncia che il medesimo è chiamato a rendere: il che, del resto, si inserisce nel più vasto contesto dei rapporti tra giudizio civile e giudizio amministrativo che esclude qualsiasi effetto vincolante dell’uno rispetto all’altro”.
 
[3] Corte di Cassazione, Sent. nn. 15288 del 4/12/2001 e 4634 del 15/7/1988: nelle sentenze in esame la Suprema corte afferma che , quando una struttura ospedaliera pubblica (a seguito dell’attuazione della legge 23 dicembre 1978 n. 833, istitutiva del servizio sanitario nazionale, con riferimento all’art. 28, 1° comma, del D.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761, per il quale «In materia di responsabilità, ai dipendenti delle Unità sanitarie locali si applicano le norme vigenti per i dipendenti civili dello Stato di cui al D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, e successive integrazioni e modificazioni») viene condannata al risarcimento del danno di un suo paziente in conseguenza di un fatto colposo del proprio dipendente (ci si riferisce in particolare alle lesioni personali provocate da un medico nell’esecuzione di un intervento), e successivamente agisce in rivalsa nei confronti dello stesso dipendente, il giudice competente è la Corte dei conti, poichè la giurisdizione contabile, secondo la previsione dell’art. 52 del R.D. 12 luglio 1934 n. 1214 e dell’art. 103 della Costituzione, «non si riferisce ai soli fatti inerenti al maneggio di denaro, ma si estende ad ogni ipotesi di responsabilità per pregiudizi economici arrecati allo Stato o ad enti pubblici da persone legate da vincoli di impiego o di servizio ed in conseguenza di violazione degli obblighi inerenti a detti rapporti»
 
[4] Corte dei conti, Sez. giur. Regione Sicilia, sent. 16 maggio 2007 n. 1287.
 
[5] Si veda in particolare Corte dei conti, Sez. Riunite, sent. 3/2003/QM del 30 ottobre 2002 – 15 gennaio 2002 nella quale si afferma che “in ipotesi di danno c.d. indiretto l’esordio della prescrizione del diritto dell’Amministrazione al risarcimento del danno va fissato alla data in cui il debito della P.A. nei confronti del terzo è divenuto certo, liquido ed esigibile in conseguenza del passaggio in giudicato della sentenza di condanna dell’Amministrazione o dalla esecutività della transazione”.
 
[6] Corte dei conti, III Sez. Centrale d’Appello, Sent. n. 315 del 21 dicembre 1999.
 
[7] Corte dei conti, III Sez. Centrale d’Appello, Sent. n. 154 del 19 maggio 1997.
[8] Corte dei conti, III Sez. Centrale d’Appello, Sent. n. 601 del 10 novembre 2004
 
[9] Corte dei conti, Sez. giur. Regione Sicilia, sent. 16 maggio 2007 n. 1287 secondo cui “L’esercizio in concreto di tale potere è inteso, com’è noto, secondo il prudente apprezzamento del Collegio, a proporzionare il danno risarcibile alla considerevole mole di rischio incombente sui convenuti a causa delle “anomale” condizioni di lavoro
 
[10]Corte dei Conti, Sez. I, 31/01/1994, n. 26.
 
[11]Corte dei Conti, Sez. II, 27/01/1994, n.41

Mullano Giuseppe

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